sabato 19 gennaio 2013

L'ART.18 E "ALL THAT JAZZ": LA COLPA E' DEI GIUDICI..."WHAT ELSE?"

1. About "All that jazz" (trad. dall'"idiomatico": "tutto l'agitarsi") che è susseguito alle dichiarazioni di Fassina al Financial Times, pari pari, nel tenore, a quelle di Bersani (cfr; parr 6 e 7) sempre al FT (e che concludono, in soldoni, con..."alleiamoci con Monti"), mi pare interessante commentare (e non solo perchè, indirettamente, me lo chiedono da...altri blog), questa "interessante" parte finale:
"...Ma Mr Fassina ha detto che non vede ragioni, per il centro-sinistra, di fare una nuova riforma del mercato del lavoro, ulteriore a quella approvata dal governo tecnocratico (sic: ndr) di Monti lo scorso anno.
- Non è difficile per gli imprenditori ("the business", in originale, ndr), licenziare gente, in Italia. Quello che non funziona è l'applicazione della legge. Per questo abbiamo necessità di riformare il sistema giudiziario- ha detto".
Wow! Ma 'sta applicazione della legge che "non funziona", mentre la legge invece è "ottima" (...e abbondante, disse il comandante), chi gliela ha spiegata così bene a Fassina?
No perchè la bellissima riforma dell'art.18, qualche problemuccio applicativo, può darlo. Ma proprio letterale. Insomma non è che la sua applicazione possa poi prescindere dal risolverlo questo problemuccio. Ah, ma certo, se "sbaglio la mira" (Legislatore), guardo al "fucile" ('sto giudice che non funziona mai e...proprio sul più bello!).
Nel paragrafo finale del post (par.9, "Conclusioni...") troverete le linee della "riforma costituzionale del sistema giudiziario" che conseguono, sul piano logico (o meglio "illogico"), alla premessa enunciata da Fassina al FT, e induttivamente, a tutto quanto i maggiori partiti italiani continuano a sostenere da 20 anni, senza che sia praticamente sollevata alcuna obiezione fondata su "dati attendibili" che, invece, ci descrivono una realtà "giudiziaria" ben diversa da quella che politica e media continuano a rappresentare agli italiani.

2. Ora: qui è il testo del "nuovo" art.18 (ero tentato di riportarlo per esteso, proprio per farvi vedere quale sia lo "spessore" logico-sintattico della utilissima riforma. Ma vi prego di provare a leggervelo tutto, questo "unico articolo", e vi assicuro che non è "l'unica" normativa che viene formulata in questo modo e con questa splendida chiarezza).
Ma...no, colpo di scena! Non posso resistere, ve lo metto nel testo integrale (poi chi non è interessato può saltarlo: magari è troppo complicato e non sia mai che la legge che lo riguarda se la debba vedere. Oddio, si può essere precari o in cassa integrazione e allora avrebbero raggggione, ma certo spero che per loro non sia una grande consolazione, perchè la "guerra tra i poveri", non è una gran cosa e fa, guarda un pò, il "loro" gioco).
NDR: i numeri dei commi (e il nertto) li ho aggiunti "pirsonalmente di pirsona", se no, per come è stata redatta la legge (nell'era "che...la semplificazione normativa la vuole l'Europa"), non ci si capirebbe mezzo tubo (l'altro mezzo non lo si capisce comunque).

"Art. 18  Tutela del lavoratore in caso di licenziamento illegittimo
  In vigore dal 18 luglio 2012
1. Il giudice, con la sentenza con la quale dichiara la nullità del licenziamento perché discriminatorio ai sensi dell'articolo 3 della legge 11 maggio 1990, n. 108, ovvero intimato in concomitanza col matrimonio ai sensi dell'articolo 35 del codice delle pari opportunità tra uomo e donna, di cui al decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198, o in violazione dei divieti di licenziamento di cui all'articolo 54, commi 1, 6, 7 e 9, del testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, e successive modificazioni, ovvero perché riconducibile ad altri casi di nullità previsti dalla legge o determinato da un motivo illecito determinante ai sensi dell'articolo 1345 del codice civile, ordina al datore di lavoro, imprenditore o non imprenditore, la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, indipendentemente dal motivo formalmente addotto e quale che sia il numero dei dipendenti occupati dal datore di lavoro. La presente disposizione si applica anche ai dirigenti. A seguito dell'ordine di reintegrazione, il rapporto di lavoro si intende risolto quando il lavoratore non abbia ripreso servizio entro trenta giorni dall'invito del datore di lavoro, salvo il caso in cui abbia richiesto l'indennità di cui al terzo comma del presente articolo. Il regime di cui al presente articolo si applica anche al licenziamento dichiarato inefficace perché intimato in forma orale.
2. Il giudice, con la sentenza di cui al primo comma, condanna altresì il datore di lavoro al risarcimento del danno subito dal lavoratore per il licenziamento di cui sia stata accertata la nullità, stabilendo a tal fine un'indennità commisurata all'ultima retribuzione globale di fatto maturata dal giorno del licenziamento sino a quello dell'effettiva reintegrazione, dedotto quanto percepito, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative. In ogni caso la misura del risarcimento non potrà essere inferiore a cinque mensilità della retribuzione globale di fatto. Il datore di lavoro è condannato inoltre, per il medesimo periodo, al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali.
3. Fermo restando il diritto al risarcimento del danno come previsto al secondo comma, al lavoratore è data la facoltà di chiedere al datore di lavoro, in sostituzione della reintegrazione nel posto di lavoro, un'indennità pari a quindici mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, la cui richiesta determina la risoluzione del rapporto di lavoro, e che non è assoggettata a contribuzione previdenziale. La richiesta dell'indennità deve essere effettuata entro trenta giorni dalla comunicazione del deposito della sentenza, o dall'invito del datore di lavoro a riprendere servizio, se anteriore alla predetta comunicazione.
4. Il giudice, nelle ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa addotti dal datore di lavoro, per insussistenza del fatto contestato ovvero perché il fatto rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari applicabili, annulla il licenziamento e condanna il datore di lavoro alla reintegrazione nel posto di lavoro di cui al primo comma e al pagamento di un'indennità risarcitoria commisurata all'ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell'effettiva reintegrazione, dedotto quanto il lavoratore ha percepito, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative, nonché quanto avrebbe potuto percepire dedicandosi con diligenza alla ricerca di una nuova occupazione. In ogni caso la misura dell'indennità risarcitoria non può essere superiore a dodici mensilità della retribuzione globale di fatto. Il datore di lavoro è condannato, altresì, al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali dal giorno del licenziamento fino a quello della effettiva reintegrazione, maggiorati degli interessi nella misura legale senza applicazione di sanzioni per omessa o ritardata contribuzione, per un importo pari al differenziale contributivo esistente tra la contribuzione che sarebbe stata maturata nel rapporto di lavoro risolto dall'illegittimo licenziamento e quella accreditata al lavoratore in conseguenza dello svolgimento di altre attività lavorative. In quest'ultimo caso, qualora i contributi afferiscano ad altra gestione previdenziale, essi sono imputati d'ufficio alla gestione corrispondente all'attività lavorativa svolta dal dipendente licenziato, con addebito dei relativi costi al datore di lavoro. A seguito dell'ordine di reintegrazione, il rapporto di lavoro si intende risolto quando il lavoratore non abbia ripreso servizio entro trenta giorni dall'invito del datore di lavoro, salvo il caso in cui abbia richiesto l'indennità sostitutiva della reintegrazione nel posto di lavoro ai sensi del terzo comma.
5. Il giudice, nelle altre ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa addotti dal datore di lavoro, dichiara risolto il rapporto di lavoro con effetto dalla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un'indennità risarcitoria onnicomprensiva determinata tra un minimo di dodici e un massimo di ventiquattro mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, in relazione all'anzianità del lavoratore e tenuto conto del numero dei dipendenti occupati, delle dimensioni dell'attività economica, del comportamento e delle condizioni delle parti, con onere di specifica motivazione a tale riguardo.
6. Nell'ipotesi in cui il licenziamento sia dichiarato inefficace per violazione del requisito di motivazione di cui all'articolo 2, comma 2, della legge 15 luglio 1966, n. 604, e successive modificazioni, della procedura di cui all'articolo 7 della presente legge, o della procedura di cui all'articolo 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604, e successive modificazioni, si applica il regime di cui al quinto comma, ma con attribuzione al lavoratore di un'indennità risarcitoria onnicomprensiva determinata, in relazione alla gravità della violazione formale o procedurale commessa dal datore di lavoro, tra un minimo di sei e un massimo di dodici mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, con onere di specifica motivazione a tale riguardo, a meno che il giudice, sulla base della domanda del lavoratore, accerti che vi è anche un difetto di giustificazione del licenziamento, nel qual caso applica, in luogo di quelle previste dal presente comma, le tutele di cui ai commi quarto, quinto o settimo.
7. Il giudice applica la medesima disciplina di cui al quarto comma del presente articolo nell'ipotesi in cui accerti il difetto di giustificazione del licenziamento intimato, anche ai sensi degli articoli 4, comma 4, e 10, comma 3, della legge 12 marzo 1999, n. 68, per motivo oggettivo consistente nell'inidoneità fisica o psichica del lavoratore, ovvero che il licenziamento è stato intimato in violazione dell'articolo 2110, secondo comma, del codice civile. Può altresì applicare la predetta disciplina nell'ipotesi in cui accerti la manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo; nelle altre ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del predetto giustificato motivo, il giudice applica la disciplina di cui al quinto comma. In tale ultimo caso il giudice, ai fini della determinazione dell'indennità tra il minimo e il massimo previsti, tiene conto, oltre ai criteri di cui al quinto comma, delle iniziative assunte dal lavoratore per la ricerca di una nuova occupazione e del comportamento delle parti nell'ambito della procedura di cui all'articolo 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604, e successive modificazioni. Qualora, nel corso del giudizio, sulla base della domanda formulata dal lavoratore, il licenziamento risulti determinato da ragioni discriminatorie o disciplinari, trovano applicazione le relative tutele previste dal presente articolo.
8. Le disposizioni dei commi dal quarto al settimo si applicano al datore di lavoro, imprenditore o non imprenditore, che in ciascuna sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo nel quale ha avuto luogo il licenziamento occupa alle sue dipendenze più di quindici lavoratori o più di cinque se si tratta di imprenditore agricolo, nonché al datore di lavoro, imprenditore o non imprenditore, che nell'ambito dello stesso comune occupa più di quindici dipendenti e all'impresa agricola che nel medesimo ambito territoriale occupa più di cinque dipendenti, anche se ciascuna unità produttiva, singolarmente considerata, non raggiunge tali limiti, e in ogni caso al datore di lavoro, imprenditore e non imprenditore, che occupa più di sessanta dipendenti.
9. Ai fini del computo del numero dei dipendenti di cui all'ottavo comma si tiene conto dei lavoratori assunti con contratto a tempo indeterminato parziale per la quota di orario effettivamente svolto, tenendo conto, a tale proposito, che il computo delle unità lavorative fa riferimento all'orario previsto dalla contrattazione collettiva del settore. Non si computano il coniuge e i parenti del datore di lavoro entro il secondo grado in linea diretta e in linea collaterale. Il computo dei limiti occupazionali di cui all'ottavo comma non incide su norme o istituti che prevedono agevolazioni finanziarie o creditizie.
10. Nell'ipotesi di revoca del licenziamento, purché effettuata entro il termine di quindici giorni dalla comunicazione al datore di lavoro dell'impugnazione del medesimo, il rapporto di lavoro si intende ripristinato senza soluzione di continuità, con diritto del lavoratore alla retribuzione maturata nel periodo precedente alla revoca, e non trovano applicazione i regimi sanzionatori previsti dal presente articolo.
11. Nell'ipotesi di licenziamento dei lavoratori di cui all'articolo 22, su istanza congiunta del lavoratore e del sindacato cui questi aderisce o conferisca mandato, il giudice, in ogni stato e grado del giudizio di merito, può disporre con ordinanza, quando ritenga irrilevanti o insufficienti gli elementi di prova forniti dal datore di lavoro, la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro.
L'ordinanza di cui al comma precedente può essere impugnata con reclamo immediato al giudice medesimo che l'ha pronunciata. Si applicano le disposizioni dell'articolo 178, terzo, quarto, quinto e sesto comma del codice di procedura civile. (32)
L'ordinanza può essere revocata con la sentenza che decide la causa.
Nell'ipotesi di licenziamento dei lavoratori di cui all'articolo 22, il datore di lavoro che non ottempera alla sentenza di cui al primo comma ovvero all'ordinanza di cui all'undicesimo comma, non impugnata o confermata dal giudice che l'ha pronunciata, è tenuto anche, per ogni giorno di ritardo, al pagamento a favore del Fondo adeguamento pensioni di una somma pari all'importo della retribuzione dovuta al lavoratore."

Ve ne riassumo il senso: la reintegrazione viene limitata al caso del licenziamento discriminatorio, o, ancora, in materia disciplinare, a quello ingiusticato perchè comminato per "fatti insussistenti" (accertati come non veri), ovvero, se al di fuori della materia disciplinare, "manifestamente inussistenti". E si precisa il concetto di licenziamento "discriminatorio", in modo da limitarlo ai casi riconducibili a leggi che non potevano contestualmente abrogare...pena una "fastidiosa" incostituzionalità e l'introduzione di una disciplina peggiorativa rispetto a qualsiasi altro paese europeo.
Si legittima quindi il licenziamento individuale per "motivi economici" ("oggettivo"), dovuti a esigenze organizzative dell'impresa, sulle quali si opera una peculiare "inversione dell'onere della prova": cioè è il lavoratore a dover dimostrare il carattere discriminatorio, la natura disciplinare "dissimulata", ovvero la "manifesta" insussistenza dei fatti, perchè qualunque ragione "economico-aziendale" sarà considerata valida "fino a prova contraria". 
Attenzione: si tratta di una via comunque più vantaggiosa per il datore, poichè, a differenza che nel caso del licenziamento "disciplinare", la mera insussistenza dei fatti non porta al reintegro, occorrendo invece, per l'appunto, dimostrare la "manifesta insussistenza" ed essendo la prova della "insussistenza", comunque, molto più difficile da fornire rispetto a fatti disciplinarmente rilevanti (che sono violazioni legate a comportamenti che o ci sono stati e con quella gravità, o non ci sono stati). Mentre una "nuova" organizzazione del lavoro, dovuta a mutamenti di processo o di prodotto, dettate da esigenze complese di mercato, che esiga un diverso livello di organico, di un "certo tipo professionale", è, ovviamente, molto più difficile da "smontare" e per di più per arrivare a dimostrarne la "manifesta" insussistenza. 
Si tratta di licenziamenti individuali: quindi che ragioni organizzative e di andamento dei processi produttivi, ovvero congiunturali ("l'euro", ma questo per "loro" non esiste), possano incidere discriminatoriamente sulla singola posizione, ovvero in base ad asserzioni datoriali del tutto infondate, e immediatamente rivelatesi come tali, è, in linea logica, teorica e pratica, piuttosto difficile da dimostrare.
E  a loro volta, i datori, non devono dimostrare il quadro organizzativo aziendale, ma solo "ostentarlo" possibilmente in un "aziendalorum", il più criptico e "facite ammujna" possibile. E smontare "prima facie" la ridda di fatti adducibilii, o anche il loro "coprire" ragioni discriminatorie" (ulteriore e distinto aspetto da provare), non è roba facile.
Se incido su una posizione individuale sarà sempre perchè non ritengo quel lavoratore utilizzabile proficuamente (anche su un altro posto, anche consentendogli ulteriore formazione), proprio lui e, allora, me ne libero coi motivi economici, evitando di mettere in mezzo motivi disciplinari (cioè dovrebbe essere, in realtà, che il dipendente non rende "veramente" e oggettivamente, mica solo perchè guarda male i "quadri" e magari fa attività sindacale: sarebbe discriminatorio...sempre che lo dimostri).
Attenzione, quindi, ribadisco (dicono che non si capisce quello che dico: purtroppo sono molto limitato. Per Fassina invece è tutto semplice e comprensibile): se il dipendente dimostra che un licenziamento economico sia "fuori dei presupposti", deve anche dimostrare che sia o adottato in base a fatti manifestamente pretestuosi e infondati (non basta che siano semplicemente "incerti" e opinabili), oppure che sia "disciplinare", nella sostanza (cioè disciplinare "dissimulato"), ma che la violazione commessa non era tale o che era punita con sanzione minore del licenziamento. Altrimenti il posto lo perdo comunque, anche avendo ragione.
Come vedete è un bel "macello": ma per spiegarne meglio le implicazioni, tiro fuori ciò che ho già esposto (invano naturalmente) nei miei interventi sul FQ (in margine agli interventi di Bruno Tinti che ci vedeva, nell'art.18 new edition, una cosa sacrosanta). Considerate che risalgono alla primavera scorsa. Ma ancora valgono. Anzi.
Potremmo chiamare l'argomento così:

 3- RIFORMA DEL LAVORO E CRESCITA
...E cosa impedirà a tutti i licenziati di buttarla in caciara sul fatto che sono musulmani o gay o "figli dell'amore eterno" e dire che sono stati licenziati per discriminazione, dopo tutto ciò? Con una lievitazione ulteriore del contenzioso giurisdizionale (ce n'è proprio bisogno), per numero e complessità?


Ci sarà la gara tra datori e licenziandi a chiamare la stampa per chi la dice più grossa col mercato delle testimonianze "clamorose" (con Santoro e Formigli che fanno le aste per accaparrarseli) e gli avvocati che le “rincorrono”? Vi piacciono i serial TV c.d. “Trial” made in  USA,?
Tutto questo “fuss” perchè ogni anno, con la precedente disciplina, erano disposti 5 o 6 reintegri, o talvolta 15 (come attestano le statistiche giudiziarie di accoglimento con reintegra)
MA POI SPECIALMENTE, che "c'azzecca" con la "crescita" quando c'è il credit crunch più bestiale del 2° dopoguerra, nessuno può fare investimenti, le banche si tengono, in depostiti overnight presso la BCE  i soldini "nuovi nuovi" (quelli non aumentano la massa monetaria e non "destano" apprensione per l'inflazione, eh?) e al massimo rifinanziano il proprio profilo obbligazionario? (Ah, dicevano che ai LTRO corrispondeva "ritiro" di corrispondente liquidità, mediante il "pegno" dei titoli dati in garanzia. Ma le valutazioni sa solo il Cielo come siano fatte e come si possano aggiustare per indirizzare il comportamento del sistema debitorio).
Se avessimo mai problemi di produttività, SENZA il blocco della funzione creditizia, e , avendo un livello di cambio (della moneta nazionale) che consenta di affermare che, pur ricorrendo alla flessibilità del cambio, non potremo essere competitivi neanche sfruttando a pieno gli impianti,  penserei a aspetti come questi...
Ma così, si tratta solo di fare l'occhiolino ai tedeschi, in vista di ingressi di controllo, dandogli pure una mezza “sòla”, cioè facendogli credere che l'ordine regna sovrano nella produzione italiana, quando con la pressione fiscale e i costi da ritardo infrastrutturale accumulato, solo un pazzo potrebbe decidere di imbarcarsi in Italia. Ma...un momento: forse si tratta di spolpare l'esistente più che si può, cioè SENZA NUOVI INVESTIMENTI e portandosi i profitti fuori dall'Italia, preso qualche prezioso know how e devastato il clima delle PMI con tagli del personale, magari quello “buono”, cioè in possesso delle qualità artigiane essenziali nella tradizione italiana, perchè degli a.d. “neofiti” non ci capiscono un tubo.


4- Dunque. Il licenziamento individuale per motivi economici comporta un quasi insostenibile aggravamento dell'onere della prova rispetto alla situazione precedente.
Fino ad oggi, in sostanza, come presupposto (garantistico) del processo, la prova della giusta causa o del giustificato motivo, (cioè, essenzialmente, la sussistenza del motivo disciplinare), era a carico del datore che doveva fare un provvedimento esauriente e coerente "in fatto e in diritto", cioè doveva delimitare i fatti che assumeva come rilevanti, e non poteva poi integrarli e alterarli in giudizio, tant'è vero che il licenziamento poteva (può) essere annullato anche solo per difetto di motivazione e condurre al paventato "reintegro". Ora non più: il difetto di motivazione porta solo al risarcimento, ma il rapporto cessa comunque.

Cioè il lavoratore per il solo fatto di impugnare un thema decidendi in fatto già fissato preventivamente, sotto la responsabilità del datore, poteva, prima, dedurne travisamento dei fatti e erroneità dei presupposti: a quel punto poteva indicare le prove testimoniali che attaccavano quei fatti senza che il datore potesse più "cambiarli" se si rivelavano infondati.
Ora se vuole impugnare il lavoratore avrà due ordini di fatti diversi da provare, molto più complessi.
Prima di tutto, dovrebbe provare che i motivi "economici" non sussistono: per fare ciò non avrà di fronte un preventivo accertamento (o selezione) di meri fatti "rilevanti" (rispetto a un regola disciplinare) da parte del datore, ma l'enunciazione di concetti tecnici, a contenuto "indeterminato", che rientrano in nozioni di tipo economico-aziendalistico, basati su presupposti estremamente complessi e sfuggenti, cioè su dati rispetto ai quali non ha la disponibilità (che starebbe nelle segrete documentazioni aziendali) e, ancor prima neppure la conoscenza.
Insomma, i fatti essenziali presupposto della valutazione di antieconomicità non lo riguarderebbero a titolo personale (almeno per come il datore inevitabilmente la prospetterà) e sarebbero in essenza fuori della sua sfera di controllo. E persino di quella del giudice se il datore "imposta" corposamente la motivazione economica, fino a renderla impenetrabile a un sindacato sul merito "economico".
Ma non basta, ammesso e non concesso che riesca ad accedere a questi fatti (comunque presupposto di valutazioni tecniche complesse e difficilmente in sè sindacabili) e riesca magari attraverso perizie (CTU)  documentali e contabili (ma ce la vedete Telecom dare veramente accesso ai suoi "piani" di investimento e di marketing? Ai suoi documenti finanziari?), dovrebbe poi provare una seconda serie di fatti, quelli a base della natura "discriminatoria".
Qui non ha più la costruzione preventiva della motivazione "impegnativa" e irrevocabile fatta dal datore (che ha assoluta convenienza a simulare comunque un licenziamento economico), e dovrebbe lui stesso, il lavoratore, "costruire" un difficile percorso, deducendo elementi personali, la consapevolezza degli stessi da parte del datore, le circostanze sintomatiche di una discriminazione che, nella realtà, sarà difficlmente enunciata in modo chiaro: cioè dovrebbe provare "elementi sintomatici" quindi circostanziali e, per di più essenzialmente in base a TESTIMONIANZE.
Solo che stando così le cose, nessun collega, o quasi, sarà disposto a testimoniare per comprovare la natura discriminatoria (e se per questo, neppure, nella prima fase, sull'insussistenza dei motivi economici): questo perchè chi testimonia a favore del licenziato sarà a sua volta esposto a quasi sicura procedura di licenziamento per motivi economici, data la difficilissima attaccabilità di tale tipo di licenziamento, ovvero, finirà per essere, più probabilmente, un testimone reticente.
E questa reticenza o indisponiilità a testimoniare varrà anche, ci pensi Tinti, per tutti gli altri diritti dello Statuto dei lavoratori: svolgimento di mansioni superiori, violazioni degli orari senza straordinario, corretto inquadramento all'assunzione, diritti di congedo a vario titolo. Nessuno più avrà il coraggio di farli valere per non incorrere in un prossimo venturo licenzamento "economico" e comunque nessuno verrà a rischiare il posto solo per testimoniare sul diritto di un collega.

5- Cosa sarà rimasto allora del livello di tutela precedente? Praticamente nulla...in compenso il livello salariale medio, per la portata di sistema della riforma, calerà a gran ritmo e l'Italia sprofonderà nella recessione (per caduta dei consumi e della domanda interna e ulteriore aumento della disoccupazione...)
Ma ancor più, sfuggono gli aspetti di maggior impatto che rimangono sullo sfondo:

a.Licenziamenti individuali non sarebbero, in sè considerati, idonei a risolvere (in imprese medio-grandi, cioè quelle di cui ci si occupa) problemi di redditività-competitività e senza potersi realisticamente effettuare analisi inerenti a questa o a quell'altra unità di lavoro, la scelta avrà un'intrinseca componente discriminatoria (sconfinando in valutazioni paradisciplinari o discriminatorie "mascherate")
b. La valutazione sull'antieconomicità di un singolo "posto di lavoro" - elemento organizzativo "minimo" che non coincide necessariamente con una persona fisica determinata dalle sue qualità e attitudini-  coinvolge, in realtà, uno scrutinio sul sistema di produzione, la sua eventuale innovazione e comunque la sua diligente gestione imprenditoriale, e in definitiva la capacità di investire e di avere credito.
In pratica, il lavoratore sopporterebbe il costo di eventuali "incapacità" imprenditoriali e si disincentiverebbe la capacità e la convenienza di investimento, fenomeno già verificatosi con l'introduzione legale del lavoro "flessibile"...
c. Se poi la caduta produttiva, com'è in questo momento, è generalizzata e dovuta a una crisi di liquidità-insolvenza che investe l'Italia in dipendenza di squilibri commerciali dovuti al meccanismo dell'euro, ancor più la norma tende solo a ridurre i costi per l'impresa scaricandoli sulla forza lavoro.

d. L'effetto di sistema della norma è comunque di neutralizzare il resto dello Statuto dei lavoratori (e i costi relativi). Solo un esempio: chi oserà più chiedere differenze retributive per mansioni superiori, segnando il proprio destino per un futuro licenziamento? Si apre così la via alla deflazione salariale mediante utilizzazione dei dipendenti in violazione del contenuto funzionale del contratto di lavoro, da parte del datore che non ne sopporterebbe più il costo "indennitario".
e. Smantellata l'effettività dello Statuto, poi, l'abbassamento dei costi che ne sarebbe la ricaduta non sarà sufficiente a risanare le imprese italiane, data l'attuale incidenza non decisiva del costo del lavoro, essendone tra l'altro il carico fiscale il problema. In sostanza si renderà la vita lavorativa e l'uscita dal lavoro meno costosa per le imprese in un momento in cui ciò significa solo incentivazione alla progressiva deindustrializzazione, cioè smantellamento del sistema produttivo senza alcuna prospettiva di investimenti (in caduta libera).

6- Insomma, una presa di posizione che, altamente intempestiva, segnala, al contrario della superficiale analisi divulgata dal governo, una decisa presa di posizione ideologica pro-capitale, anti labour, e antiproduttiva . Altrimenti si agirebbe su accesso al credito e incentivo agli investimenti, interventi pubblici di cui anzi si propone la quasi totale abolizione...
Ma il punto fondamentale è che, depotenziato autonomamente dall'euro il sistema manifatturiero, il vero bersaglio della riforma è il settore dei servizi (bancari, assicurativi, telecomunicazioni, gestione servizi pubblici), non il “manifatturiero”, per il quale lo spaventoso credit crunch- e costo del credito- già innescato dagli squilibri commerciali (e di cambio reale) all’interno dell’area euro, consente il disastroso effetto smantellamento da tempo in atto (e tutto dovuto ai limiti valutari e fiscali dell’area UEM).

Se qualcosa avesse mai ancora una qualche vitalità produttiva (le chicche del made in Italy, meccanico e cantieristico ad es;) si accentueranno  depatrimonializzazione e assenza di linee di credito, sicchè chi ha capitali -e sistema bancario protetto dai meccanismi UE- potrà fare shopping in Italia a prezzi da saldo e decidere quanto spremere un marchio, salvo poi delocalizzare e produrre sulle strategie di mercato del controllo “straniero”. Non è ipotizzabile, dati anche i permannti costi fiscali del lavoro, un afflusso di investimenti in strutture tecnologicamente più avanzate e in innovazione di prodotto e di processo (da mantenere nel paese di residenza dei "controllori"), ma solo la logica dell’acquisizione di “avviamento” di potere di mercato di un marchio, con riduzione dell’occupazione e esportazione di tecnologie, know-how e profitti…

7- I servizi, invece,  inseriti in “reti” disciplinate in dettaglio dall’UE, sono lo zoccolo duro indeclinabile della redditività delle imprese IMMEDIATAMENTE  a valle del sistema finanziario-bancario. Un mercato che semplicementee non “può” venire meno, perchè costruito su "reti" corrispondenti a attività di preminente interesse pubblico,  e che porta (attraverso l’irrisolto problema del controllo delle reti, nonché di costi tariffari calibrati da criteri legali che consentono la sistematica e incontrollata formazione di rendite, “protette” da neo-diritto europeo).
Su questo gigantesco business “residuale” (in senso ideologico-programmatico, perché il meno soggetto alla concorrenza extra-UE e il più “localizzato” e vincolato dal disegno normativo europeo, e quindi supportato dalla visione di investimento della grande impresa europea) si appuntano gli appetiti degli “investitori” stranieri.
In definitiva la manovra sull’art.18, e quindi sulla sterilizzazione dello Statuto dei lavoratori,  mira a far entrare (come sul finire del Rinascimento) “conquistatori” stranieri che prendano il controllo delle uniche strutture produttive che l’assetto mercantilistico tedesco-bundesbank, intende consentire all’Italia.
Senza il “freno” dello SdL, gli investitori (tedeschi, nord europei e francesi) potranno gestire il costo del personale operando su demansionamenti e riduzioni del personale strategicamente effettuati, accelerando la realizzazione del modello sotto-occupazionale che già caratterizza la germania nel settore dei servizi (come evidenziano tutti gli studi seri accuratamente nascosti in Italia), rialzandosi i profitti da “rendite” che permarrebbero intangibili (anche per la deliberata inefficacia del sistema di controllo delle autorità indipendenti italiane).

8- Non solo ma impadronirsi del bancario-assicurativo consente di divenire i “controllori” della politica economica del settore privato -e di un potere di interdizione politica praticamente illimitato-, indirizzando il credito verso i soli settori che siano considerati strategici per i padroni (padrini) stranieri, in modo da eliminare ogni possibile minaccia commerciale costituita da un’ipotetica ripresa italiana e ampliare i profitti attraverso una politica di partecipazioni calibrate sugli obiettivi stabiliti dai nuovi controllori.
Il che, oltre a impoverire definitivamente la struttura produttiva italiana, segnerà il declino socio-economico della penisola in termini di colonializzazione: tutto ciò che è profittevole sarà gestito in funzione della esportazione dei profitti, tutto ciò che è potenzialmente concorrenziale sarà integrato nelle strategie di gruppi stranieri di controllo, il costo del lavoro sarà stabilito con la logica del ricatto in situazione di riduzione permanente dell’occupazione e del conseguente potere contrattuale della forza lavoro.
Nulla di ciò che potrebbe arrestare questa colonizzazione è stato fatto: si opera piuttosto in senso accentuativo, in un “cupio dissolvi” delle risorse di ripresa dell’Italia che non ha ragionevoli spiegazioni e in cui la prima istanza di dignità nazionale sarebbe il porre sul tappeto l’uscita dall’euro, negoziata attraverso ragionevoli alleanze con i paesi che, come noi, subiscono, i disegni di Bundesbank e l’impoverimento eretto a sistema di conquista dell’economia…

9- CONCLUSIONI. ALLA FINE DEI GIOCHI SI TORNA A VOLER "RIFORMARE" LA COSTITUZIONE.
Alla fine, dunque, la colpa "se le cose vanno male" di chi è?
Ma dei giudici! C'era bisogno di dirlo? E allora, giù a modificare la Costituzione, a quanto pare, perchè così ci preannunciano, dicendo che occorre riformare il "sistema giudiziario". 
E quindi la Costituzione...Kaputt, questa cosa obsoleta, capziosa, sorpassata e, possibilmente, stalinista, che, per di più, può dare tanto fastidio agli investitori europei.
Solo che per modificare la Costituzione occorrerebbe una maggioranza molto forte (art.138 Cost.): non c'è problema su questo, a quanto pare, visto che si saldano tutti in un accordo totale (il partito unico dell'euro).
Ma ci vorrebbe anche che la modifica non "impatti" con diritti inviolabili che danno "forma" alla Repubblica democratica fondata sul lavoro, secondo il "fastidioso" (e ormai ignorato) art.139 Cost. Ma se si "deve" smontare proprio tale fondamento, il lavoro, vi pare che il principio fondamentale della indipendenza dei magistrati e della loro conseguenziale imparzialità costituirà un ostacolo vero?
Secondo Mortati un ostacolo i diritti fondamentali lo sarebbero. Ma siccome ci diranno che "lo vuole l'Europa", non credo che si riuscirà a fermali. "Loro".
Specie se si lancerà a testate e reti unificate la scontatissima campagna di linciaggio sui giudici che ostacolano.."la ripresa" (che passerebbe per la facoltà di licenziare di più, sempre di più..."la ripresa").
E ci scommetto che i "cittadini", caricati a pallettoni contro una tale "casta di fannulloni" se la berranno, diventando così la nuova frontiera dei "livorosi" occupati a lottare contro lo Stato-cattivo-brutto ("meno Stato per tutti")
E allora inventeranno ogni sistema possibile perchè il giudice non sia più, "soltanto soggetto alla legge" (art.101 Cost.).
Inventeranno una interpretazione della legge  vincolata da "loro", che riesca a far pagare i giudici di persona nel caso volessero evitare che un licenziamento discriminatorio o basato su fatti "manifestamente insussistenti", divenga efficace.
I modi sono tanti e la fantasia, in 20 anni che ne parlano, non gli manca: ad esempio creare un organo di autogoverno a maggioranza composta da "nominati" dal potere politico, specie se messi insieme ai vertici dell'ordine giurisdizionale.
E sottoporre sempre più la nomina di tali vertici al "gradimento" politico; bastano piccoli accorgimenti, aggettivi ben studiati, messi...in Costituzione.
Magari, in più, si stabilisce, in Costituzione e con apposita legge attuativa (nell'interesse dei cittadini, caricati dai media, what else?),  che i giudici sono sindacabili negli avanzamenti in carriera e disciplinarmente - le due cose vengono poi opportunamente collegate-, in funzione della produttività (sebbene già oggi i giudici italiani siano quelli che, tra i paesi "maggiori", in Europa lavorano di più, v.tabelle pagg.15 ss.), cosa moderna e "europea". E tagliando le spese per la giustizia in modo da rendere irraggiungibili degli obiettivi tarati ad hoc. Cioè, si organizzano i parametri di produttività in modo che siano sempre "in difetto" i giudici esposti in prima linea e proprio sul fronte della tutela dei singoli vs. sistema delle imprese (sempre più "europee").

E non basta: si può creare un organo disciplinare composto da soli avvocati e "giuristi", nominati dalla politica. Dicendo che questa sarebbe, per i cittadini (sebbene già oggi i magistrati italiani siano "ai vertici" tra quelli più "puniti" in Europa, v. pag.27), una garanzia che i magistrati non siano "autoreferenziali". Dato che è molto meglio che diventino "eteroreferenziali". E che si trovino una protezione "politica" adeguata, salvo poi entrare in "sinergia" con il protettore.
Ma d'altra parte, se creo un pericolo e poi mi presento come "protettore", non ricalco un metodo che potrebbe essere usato da ogni, e sottolineo, "ogni", gruppo di potere abbastanza forte da poter controllare voti e persone incardinate nelle "istituzioni"?

Ovviamente questo discorso sarebbe radicalmente diverso se invece che riformare il "sistema giudiziario", nei modi più che probabili che preannunziano questi "pieni di luna", dicessero CHE VOGLIONO INVESTIRE SULLA GIUSTIZIA, INVECE DI TAGLIARE, CIOE' FARE SPESA PUBBLICA, CON UN ALTO MOLTIPLICATORE, PER DI PIU'.
Ma il moltiplicatore fiscale, si sa, non esiste. E se esiste, non vale in Italia. E se valesse, sarebbe un "nipotino di Stalin"...come Blanchard e De Grauwe, e Krugman e...ma che ve lo dico a fffa'?
 


14 commenti:

  1. Io sono abbastanza giovane, ma non abbastanza per non ricordarmi "le motivazioni" (rigorosamente tra virgolette) che giustificarono le varie riforme Treu, Biagi , ecc. E la solita postilla: Chiediamo questo ora ma poi "compenseremo" con una riforma degli ammortizzatori sociali, il solito "secondo tempo" di "ora il bastone, ma poi -tranquilli- arriva la carota", altrimenti noto come "gli operai vanno paradiso".....
    Le motivazioni erano pressapoco queste: Il lavoro nero...la possibilità di aumentare l' occupazione gggiovanile....e bla..bla...bla...-MA -tranquilli!!- è solo un modo per entrare nel mondo del lavoro , poi arriveranno le doverose garanzie che hanno tutti gli altri lavoratori.


    Oggi, se osservate il dibattito (tipico dei fermatori del declino E -certo- NON SOLO), è: "il problema è il dualismo del mercato del lavoro"*...e le "annesse e connesse" tutele degli "ipergarantiti" (all' epoca delle su citate riforme ricordo che erano "gli altri lavoratori con le DOVEROSE garanzie")


    *mercato del lavoro locuzione abominevole, secondo me, ma per dire quanto l' opera di destrutturalizzazione cerebrale a mezzo stampa tocchi tutti, anche me, questa locuzione la uso anche io, sovente

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    1. Non ti colpevolizzare. :-) "Mercato del lavoro" in fondo va benissimo: ci consente di trovare come funzionano domanda e offerta e di spiegare, o nmeglio smascherare, con la curva di Philips i bla bla bla...
      E anzi. "loro" sono moralmente dei nichilisti, senza neppure il coraggio proclamarlo. Non credono nella curva di Philips, non credono nel moltiplicatore fiscale, non credono nella Costituzione, non credono nella flessibilità dei cambi, ma sono costretti, per propaganda, a usare il termine mercato, cioè il luogo (concettuale) di inconto della domanda-offerta. E con questo si tirano addosso tutte le cose che "nascondono"...IN raltà sono già schiacciati sotto le "loro" menzogne: solo che si sono tirati dietro tutti gli italiani, facendogli credere che solo B. mentisse e seppellendoli nel nichilismo ammantato da manicheismo.
      UNa cotraddizione insanabile? Certo, ma perchè gli italiani non se ne accorgono? Perchè i media hanno disattivato ogni reazione neuronale di massa. Tutti i media...

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    2. solitamente la "giustificazione di ultima istanza" è : "abbiamo (che ovviamente è da intendersi "avete") vissuto al di sopra delle nostre (cioè vostre) possibilità*...che detto da milionari (i giornlisti "prestigiosi") pagati da miliardari -in euro- (i loro editori) farebbe piangere, anzi piangere dal ridere se l' asportazione cerebrale a mezzo stampa non avesse fatto il suo corso negli ultimi 30 anni...

      *abbiamo vissuto al di sopra delle nostre possibilità in versione short-piddina puo' essere assimilato a "oggi ce sta a Cina".

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    3. Prima o poi ci renderemo conto "che hanno (gli oligarchi) vissuto al di sopra delle nostre possibilità".
      Ho letto l'art.18 nuovo e mi viene lo sgomento, specie per chi dovrà riscrivere leggi e regole, dopo, perché l'€urodemenza finirà in qualche modo.

      Una analisi un po' realistica su quello che sta succedendo la vedremo al Carnevale?
      Il pollaio
      La trappolona
      Non un'analisi raffinata come quella che si fa qui... ma possiamo cercare di dargli una mano?

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    4. @Marco: la deriva piddina si risolve nell'ambito della "ipotesi frattalica" (25 luglio, 8 settembre e fuga a qualcosa che assomiglia a Brindisi; la "guerra continua").
      Intanto: CERCARE DI RINEGOZIARE IL FISKALPAKT E' COME FIRMARE LA DEFINITIVA CONSEGNA DELLA SOVRANITA' FISCALE ALLA GERMANIA E AI SUOI SATELLITI. UK e Francia agiranno prima e indipentemente da noi. Vedremo come rimarranno i nostri "mostri" del partito unico dell'euro.

      @Silvia: non è difficile riscrivere le norme, basta ripristinare quelle previgenti. Anche ritornando, in tema di enti locali al TU del 1915 (ben fatto e lineare, con l'interesse delle comunità come guida). Il difficile è tornare ad avere un governo-parlamento che votino nell'interesse del popolo sovrano quale fissato nella Costituzione democratica...

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    5. ETICA & MORALE vs AUTORITA' & SOVRANITA'

      Caro Knight,
      noti l'equivalenza equipollente?

      That's all, fols!

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    6. Id est, SOVRANITA' E ETICA vs. MORALE(ISMO) E AUTORITA'?

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    7. SOVRANITA’ & AUTORITA’

      I “maestri del sospetto”, gli Nietzsche, gli Jung, i Focault, gli Agamben ..., hanno insegnato a destrutturare il “potere” denunciandone la falsa coscienza e la sua illusione, su cui invece Cartesio e il pensiero moderno hanno basato la certezza del sapere: il “cogito ergo sum”.

      L’una, la sovranità, come “determinazione” giuridica del potere prima imperiale poi repubblicano (summa potestas) con coercizione legittima, l’altra, l’autorità, come “manifestazione” prima spirituale poi del sapere (auctoritas) con coercizione scientifica.

      "Volti" di una medaglia chiamata “potere”.
      Cosa sia il “potere” continua a sfuggire o, meglio, tanto diffuse sono le "sue" forme di dominio quotidiano, tante e mutevoli sono le "sue" rappresentazioni che conducono ad affermare consapevolmente che il “potere” sono le relazioni tra gli individui e che ogni rapporto sociale è un rapporto di potere.

      Entrano in scena le “verità” che avvolgono le relazioni nelle quali H Arendt conduce alle riflessioni sulle dissociazioni che accadono durante le rivoluzioni tra "potere", "sovranità" e "autorità" e alle loro leggittim(azioni) che, attraverso il diritto e l’ordinamento, riconducono al “potere” fondato su il “potere”.

      In questo interminabile “giro di giostra”, io "the barefoot", valgo sull' “altro giro di giostra”, "quelo" della possibilità umana del non-potere fondato sul “sum ergo cogito”.

      That's all, folks!

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    8. OK, se introduci l'autorità nell'accezione di "auctoritas", cioè di potere legittimo (o legittimato, al di là del criterio storico di legittimazione). Diversamente "autorità" significa, meramente, "possesso del potere d'ordine", precettivo-conformativo delle azioni dei consociati (anche coi mezzi di coercizione legalmente previsti).
      Sovranità invece, in senso moderno (intervenute le Costituzioni), significa...."auctoritas" (nel senso che dici tu), cioè potere democraticamente legittimato dal consenso della nazione (espresso nelle forme che sempre la Costituzione stabilisce).
      Ma al di là della questione dei "concetti giuridici" o "culturali" utlizzabili, il punto rimane sempre quello esposto nella sottointitolazione iniziale del blog (cui rinvio)

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  2. l'art. 1 e 11 usano termini differenti (potere il primo e sovranità il secondo).

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    1. Beh ma con Poggio stiamo precisasndo concetti di teoria generale, divergenti sul piano filosofico generale rispetto a quello guiridico (c.d dogmatica) :-)
      Ma quanto da me sostenuto peraltro ti consente di leggere le due norme in questione in modo perfettamente coerente tra loro...

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  3. Caro Quarantotto, grazie del post. Sono riuscito ad arrivare (vivo) fino in fondo. Spero di arrivare (e lo spero per tutti i miei connazionali) vivo e in fondo a questa storia che, come tu stesso hai richiamato, ricorda il periodo successivo al Rinascimento. Recentemente mi sono riletto i Promessi Sposi del Manzoni, e con sconforto ho scovato molti paralleli con la situazione attuale, solo che oggi i lanzichenecchi hanno il colletto bianco, ma allora come ora sono intrisi di fede "luterana"....

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    1. A parte il richiamo al Rinascimento, "parte finale", (se evochi lo straniero in armi - e anche n quel caso si cominciò coi francesi- poi non te ne liberi più), qui si segue "passo passo" la ipotesi "frattalica" http://orizzonte48.blogspot.it/2012/12/una-precisazione-e-unipotesi-frattalica.html
      E puoi trovare i vari post con i vari aggiornamenti...aspettando il "25 luglio" p.v.

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  4. Ma dotto', 'a colpa cc'ha da esse' der giudice no? Quello c'ha da interpretar 'a legge, che ddice paro paro: "io te licenzio perché io so' io, e voi nun siete 'n cazzo"! Eddaje, che famo notte a senti' 'sti zozzoni. A riguardo, qualcuno ha visti i manifesti della Lista Civica (buahahah) Monti? "Con l'Italia che cresce" ("morte all'Italietta") "per non tornare indietro" ("decisioni inevitabili", "boia chi molla"). Se aggiungessi alcune postille tipo "con l'Italia che cresce""negli indici di povertà" e mi beccassero dice sarebbe reato, 48? Perché visto lo stato macerico del Dir. Pen. e la mia bassa propensione ad esso non mi senti sicuro di dire che non mi porterebbero ar gabbio...
    Comunque le riforme dell'art. 18 non sono che l'effetto: ormai le cause sono vecchie, più o meno le direttive europe(ist)e su flessibilità e tempo determinato. A riguardo ricordo con piacere uno dei considerando della direttiva del 2001 sul tempo determinato: "per tutelare i lavoratori nei sistemi dove è già stato introdotto...le confederazioni sindacali europee". Al che mi vien da dire:
    1. ma dato che da noi non c'era il tempo determinato, e che la direttiva ha come scopo e quindi come presupposto vincolante l'esistenza del tempo determinato, i decreti che lo hanno introdotto non sono illegittimi perché in contrasto con la legge di delega, che ordina di attuare la direttiva (ovvero: la direttiva dice che essa vale per i sistemi che hanno già il determinato → il nostro sistema non ce l'aveva → il decreto delegato di recepimento NON poteva introdurre il tempo determinato perché nel nostro sistema non c'era)? Il precedente dell'incostituzionalità del decreto La Pergola per contrasto con la normativa europea lascia sperare. Dico fesserie?
    2. ma questi sindacalisti europe(ist)i della domenica tenersi le mani in tasca no vero? No, andiamo a legittimare le porcate europe(ist)e! Ho nostalgia di di Vittorio...
    3. ma tutto questo non prova che le nuove BR erano una manica di scemi nella migliore delle ipotesi o dei burattini nella peggiore? Se davvero volevano fermare la riforma Biagi dovevano sparare ai commissari europe(ist)i. Non che appoggio il terrorismo sia chiaro: ha come risultato spingere la “ggente” esattamente dalla parte opposta, sarebbe inutile
    Altrettanto si potrebbe dire di quegli obbrobri giuridici che sono le sentenze Viking Line e Laval, le leggi Le Chapellier europe(ist)e: incostituzionali a prima vista, dato che dichiarano ILLEGALE lo sciopero se contrasta con le “libertà” europe(ist)e (e potrei parlare del sindacalista CGIL che me ne parlò a lezione come di una conquista dei lavoratori...di Vittorio, risorgi!). E poi mi si chiede perché mi fidi poco della CGUE...
    PG
    P.s. A giudicare dai poster di monti, a ipotesi frattalica stiamo occhio e croce al Ventennio, circa al tempo delle Battaglie per il Grano...butta malissimo.

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