mercoledì 13 febbraio 2013

LA VERA LOTTA ALL'EVASIONE: PATRIMONIALE E SGRAVI IMPOSITIVI SUL REDDITO

Dopo "I tagli ai costi della politica: facciamoli per benino", passiamo alla "vera lotta all'evasione fiscale".
Questo articolo, pubblicato su giustamm.it, oltre un anno fa, consente di vedere sia ciò "che avrebbe potuto essere fatto" per evitare di mandare il paese in recessione, sia ciò che, ancora oggi, in preda alle ideologie neo-classiche, non si vuole fare, (pensandosi piuttosto a un inasprimento "non selettivo" dell'imposizione patrimoniale).
E non solo: tutt'ora si fa cadere dall'alto, come di difficilissima realizzazione, uno sgravio della imposizione diretta che, invece, sarebbe di agevole e immediata attuazione, rilanciando il PIL e, in definitiva, la base imponibile (e quindi sanando "veramente" i conti dello Stato invece di devastarli con l'austerità, come mostriamo qui).
I dettagli tecnici complementari alle misure qui ipotizzate sono molteplici ed includono, ovviamente, l'effetto del "moltiplicatore fiscale". E non verranno ora affrontati: in realtà quello che conta è la "filosofia complessiva".

L'evasione fiscale, tanto odiosa quanto, ora più che mai, "comprensibile" in base alla "demenzialità" della pressione tributaria, è infatti, volendolo, riconducibile a limiti fisiologici e tollerabili, raggiungendosi una maggiore equità fiscale, solo abbandonando l'idea che Maastricht--Fiskalpakt ci possano imporre la riduzione del deficit e del debito anche "a costo della crescita".
In realtà sappiamo che ciò è politicamente impraticabile e che quindi l'euro arriverà al punto di rottura per manifesta insostenibilità.
La crescita non può, contrariamente a quanto ritengono i "neoclassici" imperanti, derivare da una situazione di impoverimento che intacchi, per un periodo che si prefigura addirittura ventennale, la capacità di consumo, di risparmio e di connesso investimento, al punto da non consentire altro che il successivo saccheggio "estero" del residuo sistema industriale italiano, depresso nei suoi valori aziendali patrimoniali.
Da notare, a prevenire obiezioni affrettate, che il proposto "credito di imposta" sull'imposizione patrimoniale (chiamatela IMU, ICI o come diavolo vi pare, sempre quello è), è concesso in ogni caso a chi risulti già contribuente sul reddito in misura "consistente": non "premia" cioè i più abbienti.
Piuttosto i più onesti: la combinazione di scaglione di esenzione e di credito di imposta esenta praticamente tutte le prime case "normali", o agevola, in pratica chi abbia un patrimonio non solo "giustificato" dal livello di reddito, ma anche produttivistico e trasparente nella sua gestione. Realizzando anche quella progressività impositiva "patrimoniale" difettosa persino per l'Europa.
Ovviamente, queste misure non sono in linea con il "mainstream" italico delle politiche fiscali anticicliche.
Semplicemente perchè non conformi a un'ideologia imposta dall'UEM, tesa solo a garantire i "creditori" esteri con "pochi, maledetti e subito": il flusso dell'imposta sul reddito, a carico del lavoro dipendente e delle pensioni per il 93,2% del totale, è, agli occhi dei "mercati" (che poi si riducono alla valutazione di Bundesbank) la principale garanzia del nostro debito pubblico. Ma la prospettiva indotta di crescente disoccupazione, farà sì che il carico si inasprirà ulteriormente, attraverso svariati meccanismi, diretti o indirretti, "in gestazione": dal regime limitativo di detrazioni e deduzioni, a inasprimenti contributivi previdenziali per prestazioni "fantasma", a sistemi di progressiva privatizzazione di pensioni e sanità (che diminuiscono il reddito disponibile per transitori ed effimeri risparmi di spesa).
La proposta di (vera) revisione della base imponibile e delle aliquote sul reddito, qui prospettata, consente invece di riconnettere l'aumento del prelievo alla "crescita" del PIL, contemporaneamente sconfiggendo la parte più consistente dell'evasione.
Ciò attraverso un recupero non "vessatorio", come quello attualmente perseguito, che è oltretutto molto più costoso sul versante dell'organizzazione fiscale. Anche ammettendo che il gettito scenda, a causa della fase recessiva, indotta proprio dall'eccesso di pressione fiscale - unita a tagli prolungati da decenni della spesa pubblica- il doverlo immediatamente compensare, in caso di diffusa disoccupazione (ancorchè i disoccupati non rientrerebbero certo nei casi "sopra soglia"...salvo "eredità" clamorose)  è una follia degli attuali indirizzi imposti dall'Europa.
Tale "follia" mira, in realtà, a creare ""competitività" attraverso la manovra fiscale, che non vuole "raddrizzare" i conti pubblici, come si dichiara, ma creare recessione e conseguente disoccupazione per disarticolare la forza contrattuale del lavoro e diminuire le retribuzioni.
E questo viene proseguito anche a costo di peggiorare costantemente gli stessi conti pubblici in termini di rapporto debito/PIL, fallendosi coscientemente gli obiettivi di riduzione dell'indebitamento annuale.
Il pareggio di bilancio diviene così un totem di legittimazione, sovranazionale, di un nuovo potere assoluto, cioè concentrato nell'esecutivo e svincolato da qualsiasi espressione di consenso democratico e, mediante la sua costituzionalizzazione, persino da controlli di legittimità costituzionale.
Perciò, un corollario logico - non enunciato nello studio, ma strettamente connesso- è quello di abbattere immediatamente le aliquote IVA, in modo da evitare lo spettacolo penoso di un governo che dichiara di volerci far recuperare la "competitività" aumentando invece artificialmente l'inflazione e alterando i tassi di cambio reale, senza consentircene il riequilibrio se non a carico del livello retributivo reale...e della domanda interna. Ottenendo, per di più, la diminuzione dello stesso gettito IVA, amplificando la perdita rispetto a quella derivante dallo stesso calo dei consumi (e quindi oggettivamente "incentivando" una ulteriore evasione).
Va soggiunto che la effettiva finalità, neppure recondita, dell'aumento dell'IVA è quella di rendere più costose le importazioni, anche a costo di deprimere i consumi in modo non selettivo.
Ma è una politica miope, perchè il calo dei consumi si accoppia al calo del risparmio, degli investimenti e dell'occupazione, e perciò avrebbe bisogno, per avere un "certo" effetto utile in termini di restrizione delle importazioni, di una forte spesa pubblica di welfare del lavoro (stile riforme Hartz e non a caso).
Esattamente ciò che, invece, ci viene interdetto col fiscal compact: insomma una via per la distruzione socio-economica definitiva della Nazione, dato che l'effetto distruttivo è così generalizzato e coordinato da rendere impossibile, nel medio-lungo periodo, proprio il presunto miglioramento della bilancia dei pagamenti e della competitività che si intederebbe ottenere.
"Hanno fatto un deserto e l'hanno chiamato Europa". Questo è il "loro" sogno.

ABSTRACT RIASSUNTIVO DELLE REGOLE DA INTRODURRE

- IMPOSTA PATRIMONIALE REDISTRIBUTIVA DELLA FISCALITA’ “DI SISTEMA”.
INTERVENTI DI SVILUPPO COMPLEMENTARI AGLI EFFETTI ANTIEVASIONE DELLA NUOVA IMPOSIZIONE. 
Obiettivo di intervento: concepire una patrimoniale immobiliare che non inasprisca la già eccessiva pressione fiscale in modo indiscriminato, e che, mirata su indici di capacità contributiva obiettivamente consistenti, incida in misura inversamente proporzionale all’onere sopportato in sede di imposizione diretta, incentivando l’emersione del reddito dichiarato e scoraggiando l’evasione fiscale.
Obiettivo di sistema: consentire attraverso il maggior gettito rapidamente acquisito, essendo decisivo il fattore “tempo”, misure coordinate di ricalibratura della pressione “redistribuita”, di incentivazione alla crescita del PIL nonché di risanamento strutturale sostenibile della situazione debitoria statale.

Principio guida: per qualunque contribuente,  persona fisica o soggetto societario, basso reddito e alto patrimonio, sarebbero indice o di bassa produttività (dovuta alla scarsa competitività del bene o del servizio prodotto), ovvero, di elusione-evasione fiscale. In entrambi i casi immaginare un’imposizione patrimoniale inversamente proporzionale alla “redditività, spinge a ridurre l’elusione fiscale o incentiva la produttività, attraverso un’opportuna politica di investimenti innovativi (che vanno incentivati), utilizzando le risorse staticamente “immobilizzate”.

 1-               Imposta patrimoniale immobiliare (sostituisce l’IMU):
 - aliquota: 1% (intorno a…);
 - scaglione di esenzione: 310.000 euro (assoggetta gli ultimi due decili più “ricchi” delle classi di detentori di patrimonio, secondo lo studio di Bankitalia citato in allegato, ed è tarato sulla ricchezza immobiliare detenuta da tali decili, la cui soglia di “entrata” è di 349.000 euro);
- detrazione di imposta: 10% dell’imposta netta sul reddito assolta nel periodo di imposta precedente (possibile incremento per i redditi da pensione), imputabile fino alla compensazione ma senza dar luogo a “credito” di imposta per l’eventuale eccedenza;
- base imponibile lorda: pari a circa 3080 miliardi, cioè quota della ricchezza immobiliare, detenuta dagli ultimi due decili; a tale importo va sottratto lo scaglione di esenzione moltiplicato per il numero di soggetti rientranti negli ultimi due decili, (assoggettando anche le “società”, con l’opzione di assoggettare anche i beni strumentali ed  ampliando, per esse, la detrazione al 10%, o più, dell’IRAP. Il gettito riveniente dalle società non è allo stato stimabile con precisione;
Effetto atteso: gettito stimabile, quantificato in 8,67 miliardi quanto alle sole persone fisiche oltre a un “quid” dai soggetti societari (l’ICI, precedente all'introduzione dell'IMU,  assolta sia da persone fisiche che giuridiche era pari a 8,4 miliardi ma la base imponibile non era stata ampliata attraverso la maggiorazione delle rendite catastali e gravava in modo meno "progressivo").
L’imposta così modulata, a differenza dell’ICI-IMU, grava solo su soggetti dotati di elevata capacità contributiva e risulta inversamente proporzionale all’emersione, dal secondo anno di applicazione, di redditi sensibilmente superiori a quelli attualmente dichiarati, al fine di poter fronteggiare la “patrimoniale”, riducendola o neutralizzandola, (consentendo l’”alta” aliquota un forte effetto incentivante in tal senso).

2-    Imposta patrimoniale mobiliare:
- aliquota: 0,5% (intorno a…)
- scaglione di esenzione: 90.000 euro (assoggetta l’ultimo decile di cui sopra, ed è tarato sulle tipologie di attività e titoli finanziari considerate imponibili, rispetto ad una quota patrimoniale “globale” di “accesso” a  tale ultimo decile pari a 529.000 euro, secondo i rilievi Bankitalia);
- detrazione di imposta: uguale a quella della “immobiliare” e stesse modalità;
- base imponibile lorda: circa  1426 miliardi, cioè quota della ricchezza “mobiliare-finanziaria” detenuta dall’ultimo decile, da cui va detratto l’ammontare dei titoli del debito pubblico e altre tipologie esenti, detenuti dai soggetti appartenenti a tale decile, “meno” scaglione di esenzione moltiplicato per il numero dei soggetti medesimi (assoggettando anche “partecipazioni” in società e persone giuridiche, con “certificazione” dei valori di bilancio o di “quotazione” sul mercato, e con detrazione estesa all’eventuale IRAP incidente su talune categorie di persone fisiche). Non sono assoggettati i contribuenti IRES, persone giuridiche;
- operatività, mediante ratifica immediata, di convenzioni con Stati esteri di destinazione dell’esportazione” di capitali nazionali, al fine di sottoporli a “tassazione integrativa” rispetto a quanto applicabile in Italia;
- soppressione dell’attuale imposta di “bollo” progressiva sui depositi titoli.

Effetto atteso: gettito netto di 4,26 miliardi, essendo anche in tal caso un’imposizione inversamente proporzionale all’imposta sul reddito assolta nel periodo precedente, con gli stessi, ed anzi maggiori, effetti di “emersione” del reddito attesi nel caso della “immobiliare”, e, in aggiunta, quello di impedire elusione della medesima “immobiliare” mediante esportazione dei capitali o loro “mobilizzazione”. C’è inoltre un rilevante effetto di incentivazione alla detenzione di titoli del debito pubblico nazionale. Dal gettito suindicato va sottratta l’attuale tassa di “bollo” sui depositi (indifferenziata e regressiva).

3-    Attenuazione “simultanea” dell’imposizione sul reddito delle persone fisiche (misure a introduzione simultanea o immediatamente susseguente agli effetti delle due “patrimoniali”):
- accorpamento dello scaglione di reddito con aliquota al 38% (da euro 28.000 a 55.000), in un unico scaglione con aliquota al 27% che parta da euro 15.000.
Nella fascia definita dal “limite” costituito da tale maxi-scaglione, si colloca ben oltre il 90% dei contribuenti (che però, ora, corrisponde meno della metà del gettito), evidenziandosi che l’aliquota marginale al 38% è il problema centrale di gettito evaso o eluso: i redditi dichiarati tenderebbero così ad aumentare e, in modo più che proporzionale, anche per il concorrente effetto dell’incisione patrimoniale "da neutralizzare", compensando, a partire dal secondo anno, il minor gettito Ire.
Inoltre, diminuendo, per l’anno successivo, i crediti di imposta (derivanti dall’ammontare del reddito dichiarato) ci sarebbe un’ulteriore compensazione del minor gettito da imposizione sul reddito, con un aumento del gettito delle “patrimoniali”[1]. Quindi al lordo del duplice recupero di base imponibile dovuto alla “patrimoniale” ed alla stessa introduzione di un'aliquota attenuata, uno sgravio di circa 9,2 miliardi. Ma l'effetto redistributivo rispetto alle basi imponibili "effettive", per lo più oggetto di elusione e evasione fiscale, sarebbe pronunciato.
Ed infatti, lo sgravio "netto", detratto il recupero sicuro “minimo” di imposizione patrimoniale, sarebbe di circa 8 miliardi in via prudenziale (cioè senza conteggiare gli attesi maggiori redditi dichiarati, l’effetto di nuove misure di lotta "orizzontale" all’evasione, aumento dell’occupazione nonché l’aumento dei consumi, con relativo gettito IVA e aumento dei fatturati);
- riconoscimento di deducibilità delle imposte pagate ad altro titolo (registro, preferibilmente pro-rata, sugli acquisti immobiliari, possesso automobilistico, tasse locali varie su base periodica annuale);
- in funzione dell’andamento complessivo di imposta sul reddito in combinazione con la nuova imposizione “patrimoniale”, programmare, per gli anni immediatamente successivi, un sensibile ampliamento della deducibilità di ampie tipologie di “spese” fiscalmente documentate.

Si ottiene, con tale ultima misura, senza dispendio di attività di accertamento, “riequilibrio” di gettito dalla tassazione sui “consumi” (senza dover aumentare l'aliquota) e ampio recupero di base imponibile da categorie diverse dal lavoro dipendente, mediante l’emersione di volumi d’affari credibili; ciò in corrispondenza a una recuperata capacità di spesa delle famiglie, determinata dalla generalizzata riduzione della pressione fiscale per via di una minor base imponibile, consentita in realtà a tutte le categorie di contribuenti a prescindere dal tipo di reddito prodotto.
Nel medio periodo, dato il recupero di base imponibile sulle attività autonome e professionali, si avrebbe crescita del PIL (maggior potere d’acquisto reale) e il gettito dovrebbe stabilizzarsi (ma in rapporto a un PIL cresciuto), considerata anche la gradualità dell’introduzione del sistema, su un mantenimento del suo volume assoluto “anteriore alla riforma”, ma redistribuendo il reddito disponibile verso categorie con più alta propensione al consumo.
Al contempo si sarà evitato stabilmente l’occultamento fiscale di quest’ultimo, consentendo anche risparmi dell’attività “fiscale” di controllo, affidato ormai alla reciprocità “orizzontale” di tutti i contribuenti tra loro.

Effetto atteso: aumento della base imponibile dichiarata per i redditi non da lavoro, incentivazione ai consumi (maggior reddito disponibile per ogni categoria di contribuente) e agli investimenti (minor costo “finanziario” del lavoro per i “sostituti d’imposta”), conseguente aumento del PIL corrispondente all’aumento complessivo della domanda interna, con ulteriore aumento del gettito dell’imposizione sui consumi e dei volumi d’affari dichiarati. Ripresa degli investimenti, dato l’effetto combinato di sostegno alla domanda interna.
4- Legge di incentivazione, generalizzata, dell’innovazione tecnologica per le imprese:
- concessione di mutui agevolati- in luogo dell’attuale sistema degli incentivi a fondo perduto, da mantenere per le sole attività previste specificamente per i “Fondi UE”- erogati sulla base di “piani di investimento”, approvati da autorità pubbliche decentrate, e relativi a “tipologie” di investimenti, linee di attività e manodopera qualificata determinate dalla legge in base alle esigenze di incremento della competitività legata a innovazione e ricerca “privata”;
- concessione di sgravi contributivi e fiscali sulle assunzioni rientranti nelle tipologie di manodopera “qualificata” individuate dalla legge, per il periodo di ammortamento del piano approvato.
Effetto atteso: incentivazione alla occupazione e alla produttività del sistema in funzione della riconversione del “modello di specializzazione” del sistema produttivo italiano, rendendolo meno vulnerabile alla concorrenza dei paesi produttori a manodopera scarsamente qualificata e capace di generare “domanda” di personale qualificato, cioè a occupazione più stabile e produttiva nel tempo. 

ALLEGATO 1: STUDIO SUL GETTITO.

Lo studio sul gettito delle due forme di patrimoniale, da considerare autonome pur se tra loro complementari, è condotto sulla base delle indagini statistiche e delle analisi compiute dagli studi della Banca d’Italia su “ricchezza delle famiglie italiane-2009” e sui “bilanci delle famiglie italiane- 2008” (reperibili all’indirizzo www.bancaditalia.it/statistiche). Nelle note si trovano calcoli di dettaglio.
La ricchezza totale “netta” delle famiglie per il 2009 è risultata di 8600 miliardi (con una ricchezza media di circa 350.000 euro per famiglia) [2].

A.                     Cominciando dal gettito della “patrimoniale immobiliare” (sostitutiva dell’ICI). 
Qui l’ipotesi è di assoggettare gli ultimi due “decili” (ovverosia l’ultimo “quintile”, pari a circa 4,8 milioni di famiglie, v.nota 2). Per lo studio Bankitalia sui “bilanci delle famiglie-2008” (effettuato nel 2009), tale 20% più ricco detiene il 65,1% della ricchezza (l’ultimo decile il 45%, reso famoso dal recente dibattito sulla patrimoniale, oltre al 20,1% del secondo decile. Si noti che l’1% più ricco, detiene una quota del 13% della ricchezza; su tutti tali dati, v. pag.21-24, studio 2009, cit., tav.E2, fig.15, tav.2, pag.24).
Detto della “distribuzione” della ricchezza, l’ammontare di quella in immobili (abitazioni e fabbricati non residenziali) è pari all’88% delle attività “reali” (che includono anche immobilizzi in impianti, macchinari, scorte, avviamento e oggetti di valore). A loro volta, le  attività reali ammontano al 62,3% della ricchezza complessiva (8600x 0,623= 5375,8 miliardi, laddove le “restanti” attività finanziarie – il “mobiliare” in senso contributivo di cui in seguito- è pari a totali 3242 miliardi).

Il valore della ricchezza reale “immobiliare” netta di tutte le famiglie, sarà dunque pari a 5375,8x 0,88= 4730,7 miliardi che rappresentano la base imponibile generale “teorica” ai presenti fini.
Poiché gli ultimi due decili (id.est; l’ultimo quintile) sono definiti (studio Bankitalia sulla ricchezza delle famiglie 2009, effettuato nel 2010, cit.) da un patrimonio medio superiore alla soglia di “entrata” di 349.000 euro, e poiché la ricchezza detenuta da tale “quintile” più ricco è pari al 65,1% del totale, (come s’è visto), la base imponibile “reale” immobiliare (al “lordo”della quota di esenzione) sarà di 4730,7x 0.65= 3079,7 miliardi.

Successivamente, rapportando la quota di ricchezza “minima” che definisce tale ultimo “quintile”, (cioè oltre i 349.000 euro) alla quota di ricchezza “immobiliare” media, pari all’88%, si individuerà la quota “proporzionale” di esenzione ai fini della imposizione patrimoniale immobiliare in modo da restringere a tale “quintile” il carico impositivo.
Dunque: 349.000x 0.88=  307.000 euro, arrotondabile, per facilità di calcoli, a 310.000 euro[3].
Pertanto, la base imponibile al netto dell’esenzione sarà pari alla ricchezza media del quintile considerato, meno tale quota di esenzione. Avremo: per circa 6,2 milioni di contribuenti (un “quintile” del totale di cui alla nota 2), ipotizzabili come titolari di una ricchezza immobiliare complessiva di 3079,7 miliardi, una base imponibile “individuale media” di euro di circa 497.000 euro (cioè pro-capite lorda per ciascun titolare). A questa va sottratta la quota esente di 310.000 euro, con risultato medio individuale di 187.000, dando luogo ad una “base imponibile netta individuale” di euro 187.000x 6.2 milioni= 1159.4 miliardi che costituirà la base imponibile netta generale.

Assumendo un’aliquota all’1%, si avrà un gettito “al lordo del credito di imposta” pari a euro 11,59 miliardi riferibile alle sole persone fisiche, dato che la base imponibile è stata calcolata sul possesso delle “famiglie”.

(N.B.: l’aliquota ipotizzata non è obiettivamente eccessiva, non solo per i meccanismi riduttivi illustrati, ma perché la ricchezza immobiliare è calcolata nei rilievi Bankitalia sulla base dei prezzi di mercato, rilevati dall’”Osservatorio del Mercato immobiliare” dell’Agenzia del Territorio, quali utilizzati dagli studi Bankitalia; mentre qui, per convenzione dovuta alla disciplina finora seguita e per non inasprire l’imposizione in senso depressivo, la base imponibile è “scontata” sulle rendite catastali, attualmente rivalutate e con il coefficiente di aumento al 5%.
Si sottolinea che l’aumento delle rendite catastali ha un moltiplicatore di pressione fiscale di quasi 5 volte quello del mero incremento dell’ICI, considerate tutte le altre imposte sugli immobili, onde tale aumento delle rendite può indurre effetti depressivi sui prezzi delle case, calo repentino dei prezzi, scoraggiando gli acquisti oltre che la detenzione di immobili. Le rendite attuali, senza tali inconvenienti, consentono, con l’imposta qui proposta, di avere comunque un gettito maggiore dell’ICI previgente e un simultaneo effetto di incentivo all’emersione dei redditi ai fini delle imposte dirette)

Infine, in base alle disciplina qui proposta, la successiva imposta netta sarà liquidata previa deduzione del credito di imposta pari al 10% dell’imposta sul reddito assolta nell’anno precedente.
Includendo pure le società, avremo:
1)      per le persone fisiche, un ammontare del credito d’imposta pari al 10% dell’imposta media assolta a titolo di IRE;
2)      per le società- persone giuridiche, un credito pari al 10% di IRES+ IRAP (se e in quanto soggetti a tali imposte).

Per le società, quindi, l’imposta patrimoniale darà luogo ad uno sgravio, utilizzabile in sede di liquidazione della patrimoniale, pari al 10% dell’imposta media assolta per IRES e IRAP.
Qui il calcolo dell’imposta media si fa disomogeneo rispetto alle basi di riferimento finora assunte, che calcolano il numero dei contribuenti e la quota di patrimonio immobiliare (e ricchezza totale) riferiti alle famiglie: tuttavia, sappiamo che il gettito IRES è pari a 34 miliardi (dati Bankitalia riferiti al 2010, quindi il 2,2% del PIL),  e quello dell’IRAP a 30 miliardi (pari a circa il 2% del PIL). Non si dispone quindi dei dati relativi a tale numero di soggetti-societari, contribuenti nonché possessori di patrimonio immobiliare, ma si può affermare che:
1) comunque possono fruire di una quota di esenzione tarata sulla parte più ricca dei soggetti-persone fisiche (cioè sempre 310.000 euro);
2) comunque possono fruire di crediti di imposta totali per 6,4 miliardi (sgravio “potenziale” del 10% dell’imposizione su redditi e attività complessivamente sostenuto);
3) tutto il gettito derivante dai soggetti societari si “aggiunge” a quello calcolabile per i contribuenti persone fisiche (famiglie).
  
Venendo al gettito “netto” per le famiglie, sempre teoricamente appartenenti all’ultimo quintile più ricco di possessori immobiliari, dobbiamo determinare l’imposta media corrisposta dall’intero insieme dei contribuenti IRE, pari a 41,5 milioni di dichiaranti, per un gettito di 173,2  miliardi nel 2010 (sempre dati Bankitalia per il 2010), pari all’ 11,1% del PIL.
L’imposta media risultante nel 2010 è pari a 4720 euro, che dà luogo a un credito medio di 472 euro, che moltiplicato per 6.2 milioni di contribuenti, da’ un credito di imposta complessivo stimabile in euro 2,926 miliardi. Sottraendo tale credito al gettito lordo (già dopo la quota di patrimonio esente) di 11,59 miliardi, si avrà un gettito netto stimabile in euro 8,67 miliardi per le sole persone fisiche, di poco superiore al gettito ICI per il 2009, pari a 8,4 miliardi (già privo del gettito relativo alla “prima casa”).

La particolarità dell’imposta proposta è che, essa, rispetto alle persone fisiche, dà luogo a un gettito pressocchè equivalente a quello dell’attuale ICI ma tutto concentrato sulla fascia sociale (ultimo quintile) che detiene il 65.1% della ricchezza patrimoniale, e dunque, con:
 a) una sensibile riduzione dell’effetto “depressivo”, in quanto solleverebbe dall’imposizione patrimoniale i patrimoni minori e i detentori di maggior reddito, cioè la situazione in cui si trovano i lavoratori dipendenti e pensionati, (che già corrispondono il 93,7% dell’IRE) e che avrebbero più reddito da destinare al consumo;
b) si raggiungono con oggettiva evidenza gli obiettivi enunciati in premessa della proposta delle “regole da introdurre” (incentivazione all’emersione del reddito e alla maggior produttività della ricchezza immobiliare);
c) non si pone una questione di tassazione della prima casa, che sarà assoggettata o meno in funzione del suo valore superiore alla soglia di esenzione misurata sulla rendita catastale attualmente rivalutata, (che, come s’è detto, non si rende necessario aumentare per non innalzare troppo repentinamente la pressione fiscale sui soggetti più incisi dalla imposizione diretta;
d) il gettito (netto) complessivo sarà comunque superiore di svariati miliardi - cioè pari a 8,67 miliardi +X- a quello dell’ICI, perché bisogna includere la tassazione patrimoniale dei soggetti societari, comunque “contenuta” in limiti (quota esente e crediti di imposta) ragionevolmente consistenti, ma compatibili con gli “obiettivi” di emersione della redditività (profitti) e maggior produttività degli immobilizzi d’impresa in generale (potendosi procedere a variazioni della composizione di tale ricchezza nella direzione di investimenti più produttivi, ovvero procedere a operazioni disale and lease back” che non diminuiscono il gettito dell’imposta qui ipotizzata, ma solo lo spostano su altri soggetti).
Si sottolinea come allo stato non sia nota la percentuale dell’ICI corrisposta dai soggetti societari (certamente inclusa nel gettito ICI attuale di 8,4 miliardi). Il gettito dovrebbe cioè comunque superare gli 11 miliardi.

B.                    Gettito della patrimoniale “mobiliare”. 
Qui il calcolo è più semplice, o quantomeno meno “incerto” perché riferibile alle sole ricchezze “finanziarie” detenute dalle famiglie.
La ricchezza finanziaria totale netta, (cioè mobiliare ai fini qui considerati), riferita alle famiglie, è complessivamente pari a 3242 miliardi.
Per ridurre effetti depressivi dei corsi delle varie attività,  per perseguire una ragionevole progressività e per maggior snellezza di calcolo, (nonché per tutte le ragioni di tassazione complementare e perequativa esposte nella “regole proposte”), si è ipotizzato di assoggettare a imposizione patrimoniale solo l’ultimo decile più ricco, quale detentore del 45% della ricchezza complessiva, che si suppone riflettersi nella stessa percentuale nelle due ipotesi di patrimoniale qui considerata.
Tale ultimo decile è definito da un patrimonio complessivo “a partire” da 529.000 euro (individuato sempre nello stesso studio Bankitalia sui bilanci delle famiglie del 2008; si suppone sempre che abbia una consistenza numerica di circa 3,1 milioni di contribuenti come ipotizzato alla nota1)).
La “quota esenteproporzionale per tale ultimo decile, corrisponde (v.infra), al 45% della quota di patrimonio che definisce l’ultimo decile, x la quota globale di ricchezza corrispondente alle attività finanziarie, pari, come s’è visto, al 37,7%. Dunque 529.000x0,45x 0,38=90.400 euro[4].
Inoltre, al fine di rendere “comparativamente” appetibile la continuità nonchè l’incremento di sottoscrizione dei titoli del debito pubblico, si prevede la loro totale esenzione dall’imposizione.
Il credito di imposta è nella stessa misura di quello per la “immobiliare” ed è riutilizzabile per intero su questo diverso “titolo” di imposizione patrimoniale. Quindi, per semplificazione, si continuerà a calcolare il credito di imposta, ai presenti fini, sull’imposta media netta sul reddito prima indicata in 4720 euro. 
La base imponibile lorda sarà quindi da rapportare all’insieme considerato dallo studio 2010 della Banca d’Italia, che include le seguenti tipologie:
1) obbligazioni private, titoli esteri, prestiti alle cooperative, azioni, partecipazioni e fondi comuni di investimento (44,2% del totale);
2) contante, depositi bancari e risparmio postale (29,8%);
3) titoli in debito pubblico (5,3% del totale).
Una ragionevole considerazione della effettiva capacità contributiva sotto questo profilo (conforme anche alle norme costituzionali che tutelano il risparmio “popolare” e la cooperazione, artt.47 e 45 Cost.), e contando la già anticipata esenzione del debito pubblico, le voci 2) e 3) vanno ragionevolmente sottratte all’imposizione (anche per impedire, nell’attuale fase effetti di vero e proprio “panico” e la repentina esportazione di capitali), mentre dalla 1) “potrebbero” sottrarsi i “prestiti alle cooperative” (di ammontare specifico non noto ma non consistente se riferito alle famiglie).
La base imponibile lorda sarà quindi pari a circa il 44% di 3242 miliardi, cioè a 1426 miliardi.
La quota esente complessiva sarà pari a euro 90.000x 3,1 milioni (di contribuenti)= 279 miliardi circa, dando luogo a una base imponibile netta di 1147 miliardi.
Il credito di imposta (sempre calcolato sulla media dell’imposta netta IRE) sarà pari a euro 472x3,1 milioni= 1,46 miliardi.
La aliquota sarà collocabile in un valore “opportuno” (per non risultare punitiva del risparmio oltre i limiti dell’art.47 Cost.) allo 0,5%.
Il gettito netto, gravante su tale ultimo decile (che, ove correttamente inciso, è quello che detiene il 45% della ricchezza nazionale), è quindi stimabile in euro 5,74 miliardi-1.46 miliardi= circa 4,28 miliardi.


[1] E’ presumibile uno sgravio dell’11% su un numero di circa 3 milioni di contribuenti che corrisponderebbero attualmente un’imposta di circa il 25% del totale. Quindi uno sgravio dell’11% sui possessori di reddito tra i 28.000 e i 55.000 euro e sul 25% del gettito, con uno sgravio minore per i restanti 2 milioni che pagano su redditi maggiori con aliquote medie superiori, per via delle più alte aliquote marginali. All’incirca lo sgravio totale sarebbe pari a circa 11% di 43 miliardi+ circa il 7,6% su ulteriori 47 miliardi= 4,7+ 3,5 sgravio totale di 9,2 miliardi.
Si noti che tale sgravio, che renderebbe immediatamente inferiore il carico fiscale dei sostituti, incentivando l’occupazione (specie qualificata), sarebbe sicuramente lordo. Come si vedrà infatti dai calcoli sulla “patrimoniale”, l’attuale imposta media è di 4720 euro rispetto a un gettito di 173,2 miliardi. Immaginando un gettito IRE diminuito di 9,2 miliardi, (ipotesi altamente improbabile), l’anno successivo, a fronte di una nuova imposta media ridotta a circa 4.400 euro, porterebbe a un “sicuro” aumento del gettito patrimoniale di circa il 6% di quanto ipotizzato. Quindi, da entrambi i tipi di patrimoniale per la parte gravante sulle persone fisiche, di circa 12,93x 0,94= 1,2 miliardi. Lo sgravio netto sarebbe perciò di 8 miliardi finanziabile con i tagli derivanti dalla riforma del trattamento pensionistico e con effettivi tagli alle spese della “politica”ampiamente intese (incluso il “settore” società a partecipazione pubblica).  Ma tale ipotesi è”pessimistica” perché suppone un recupero di imposta pari a 0 a seguito della nuova curva delle aliquote e dell’introduzione di nuove misure di lotta all’evasione, in presenza di maggior convenienza a dichiarare e di aumento dell’occupazione e dei consumi, (fatturati, redditi di impresa e IVA) conseguenti allo sgravio.
[2] Le famiglie complessive “stimate” assommano a 23,9 milioni con una media di componenti di 2,5.
Le famiglie “monocomponente” sono salite, al 2008 (cfr; studio “bilanci delle famiglie-2008”, pagg.19ss.) al 26,4% e le famiglie di “coppie senza figli” sono pari al 22,8%. In totale, le imposte ipotizzate coinvolgono, a seconda del numero dei componenti “titolari” dei beni per ciascuna famiglia, una platea “totale” di potenziali contribuenti che vanno da 23,9 milioni (tutte famiglie con unico titolare) a 59,75 milioni (ipotesi limite di “tutti” i componenti titolari di beni). La più probabile ipotesi è quella di un numero di “titolari” intorno ai 30-31 milioni, incorporando, nelle “medie”dei “titolari”, le famiglie “mono”(6 milioni) e una metà di duplici titolari nelle famiglie di sole coppie (5 milionix2x1.5=7.5 milioni di titolari) , oltre a 2 titolari in media nelle restanti famiglie con la media superiore a 2,5 e, per sottrazione delle altre composizioni, stimabile in una media di 4 componenti (cioè 11.95x4x0.5= 24 milioni circa di titolari, rapportabile, appunto, a un totale pari ai 59,75 milioni di soggetti complessivi rientranti nelle famiglie) .  Il numero di “titolari” così individuato darebbe una ricchezza degli effettivi possessori, media, di 277.000 euro “pro-capite”.
[3] Il calcolo così effettuato risulta più favorevole di quello che si otterrebbe depurando lo scaglione esentato anche in ragione del tasso corrispondente alla quota “reale” della ricchezza (cioè la parte non “finanziaria”), pari al 62,3 del totale della ricchezza nazionale. Tuttavia, si è ritenuto che l’effetto di esenzione su una soglia patrimoniale di entrata relativamente “bassa”, potesse considerarsi anche in ragione della più che proporzionale quota di possesso degli immobili che caratterizza la ricchezza “diffusa” (non “media”) in Italia, specie se rapportata a un “quintile” altamente rappresentativo di tale tendenza nazionale.
Si noti che l’effetto finale del gettito “netto” relativo alle famiglie (8,67 miliardi)  rapportato alla base imponibile netta di 1159,4 miliardi) equivale ad un’aliquota, gravante sui soli patrimoni “maggiori”, del 7,45 per mille. Cioè di poco superiore a quella massima attuale dell’ICI (7per mille), ma dotata, data la base imponibile, di una ragionevole e moderata progressività intrinseca.
[4] Il criterio, in coerenza con quanto indicato alla nota 3), è più rigoroso e proporzionale di quello usato per la quota esente “immobiliare” (scontando la quota finanziaria della ricchezza totale), ma ciò è dovuto alla supposizione che sui patrimoni “maggiori”, si concentri la tendenza all’investimento finanziario in modo naturalmente più elevato che nel caso della ricchezza “diffusa”.
Si noti, peraltro, che il gettito netto finale (4,28 miliardi), tutto rapportato al possesso delle “famiglie”, su una base imponibile netta di 1147 miliardi, dà luogo a un’aliquota effettiva “finale”del 3,7 per mille, inferiore all’attuale aliquota minima dell’ICI, quindi tale da non portare a rilevanti effetti depressivi dei “corsi” delle attività finanziarie assoggettate.

10 commenti:

  1. mi spiace ma stavolta non sono molto d' accordo.
    bisogna tagliare le imposte indirette piu' (e prima) che quelle dirette.

    Quella di aumentare le imposte indirette (che gravano di piu' sui meno abbienti) a discapito delle imposte dirette (che gravano maggiormente sui piu' abbienti) è esattamente la politica liberista che abbiamo visto all' opera in occidente in questi 30 anni, Italia compresa. Basti dare una occhiata alle aliquote irpef, al momento della sua introduzione negli anni '70 e confrontarle con le aliquote odierne.

    C'è di piu' e di peggio.

    Aumentare la disponibilità presso i meno abbienti favorisce l' aumento dei consumi, conseguentemente l' occupazione (e conseguentemente gli investimenti), favorire i piu' abbienti NON FA AUMENTARE I CONSUMI (o lo fa di poco) e -FORSE- e sottolineo FORSE- si limita a rilanciare gli investimenti, anche se l' esperienza ci insegna che favorisce piu' che altro la rendita (parassitaria).

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    1. Marco ma dove dico che si devono aumentare le imposte indirette, se dico in premessa che l'IVA va abbassata subito? E se poi critico come concretamente impraticabile l'idea che l'aumento delle imposte indirette serva a ridurre le importazioni?
      Dico solo che le imposte indirette, che sono l'imposizione più ridicolmente evasa, devono essere regolate correttamente dal punto di vista legale (senza costi di accertamento, risparmiandoli), per consentire sì l'emersione della base imponibile del lavoro non dipendente, ma anche, l'abbattimento dell'imposizione diretta (tramiete le deduzioni), aumentando il reddito disponibile e quindi i consumi proprio per i redditi più bassi (che tra l'altro avrebbero il maggior sgravio delle nuove aliquote)...
      Non che occorra inasprire le imposte indirette.
      I redditi più alti ove avvantaggiati dalla riduzione della base imponibile, e capaci quindi di creare più risparmio, sarebbero colpiti dalla patrimoniale mobiliare (e pure da quella immobiliare), che sopra soglia, riequilibrerebbe il carico fiscale.
      Grazie alle "soglie" (e al loro superamento), automaticamente lo sgravio sull'imposizione diretta si traduce in maggior patrimoniale sui contribuenti maggiori.
      Solo che tutti avrebbero al convenienza a far emergere le basi imponibili...

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    2. la pressione fiscale deve calare. Sono certamente d' accordo. Ma, secondo me priorità va data alle imposte indirette. nonché ad un bel piano di spesa pubblica (per investimenti)

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    3. Ma la spesa pubblica per investimenti, se rimani in situazione di BC che non finanzia il fabbisogno, ha bisogno di maggiori entrate di copertura.
      E queste le ottieni proprio agendo sull'evasione fiscale VERAMENTE. Cioè agendo sui punti critici della stessa: ripeto l'aliquota delle imposte indirette deva calare, ma l'importante è il valore sintomatico di tale evasione, perchè sconfiggerla fa emergere i volumi d'affari reali (cioè smaschera pletore di falsi poveri, dato che è inconcepibile che il 91% dei contribuenti sia VERAMENTE sotto i 30000 euro di reddito, e che il 55% sia sotto i 15.000, composta da categorie di autonomi per di più ben patrimonializzati: te ne rendi conto?).
      E' ovvio che la proposta non riguarda un mondo ideale dove si può decidere in termini keynesiani. Riguarda i margini "praticabili" allo stato attuale.
      E comunque la spesa pubblica non può che giovarsi della drastica riduzione dell'evasione fiscale. Questo è, in definitiva, il problema affrontato. Non un'astratta ipotesi redistributiva a tabula rasa e potendo utilizzare liberamente la leva della spesa in tal senso...

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  2. Ottimo esempio di come la "Scienza delle finanze" possa essere applicata per ridurre la rendita (parassitaria per definizione) e stimolare l'impiego produttivo del capitale, restando nell'ambito del sistema (capitalistico).
    Sarebbe più corretto parlare di lotta alla rendita e incentivo alla riduzione dell'evasione.
    Ovviamente i "pesi fiscali", cioè le aliquote, dovrebbero essere modificati tempo per tempo fra le due componenti (attività finanziarie e immobili) in ragione dell'andamento delle altre variabili macroeconomiche (in particolare l'inflazione), specie nella prospettiva di ritorno ad un sistema di "repressione finanziaria". Al riguardo, per la parte "finanziaria" si potrebbe perfino pensare di lasciare la sola componente di imposizione progressiva sul patrimonio ed eliminare il prelievo uniforme sugli interessi (ovvero considerarla un "acconto").
    E' una proposta "stimolante" per il rispetto dei precetti costituzionali. Temo però praticabile solo con forti limiti alla mobilità dei capitali.
    E'mia convinzione profonda che libertà di movimento dei capitali e libertà democratiche costituzionali non possano convivere.

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    1. Sull'ultimo punto hai ragione: la Francia, che sul versante patrimoniale-MOBILIARE ha già applicato un meccanismo analogo, si ritrova infatti con problemi di delocalizzazione delle sedi finanziarie (e quindi delle stesse residenze fiscali dei detentori della partecipazioni).
      Solo che:
      1) in Italia ciò è già in gran parte accaduto (per via della pressione fiscale sui redditi comunque GIA' eccessiva);
      2) la repressione finanziaria è sempre più sentita come esigenza di sistema (ne discutono un pò ovunque); ma, intanto, è inaccettabile il "dumping fiscale-normativo" di paesi come Lux e Olanda, o peggio (per loro) Irlanda;
      3) il complesso delle norme qui suggerite, peraltro, favorendo l'emersione della base imponibile effettiva, pratica una progressività di "sistema", cioè redistribuita tra "molti di più di prima", ma in cambio attenua la progressività eccessiva affidata, ottusamente, alle sole aliquote; ciò, in una certa misura favorirebbe il "rientro" di contribuenti medio-grandi ora residenti all'estero. E avremmo comunque un aumento del gettito complessivo.

      Insomma, oggi, la scelta è tra "spremere" chi è rimasto, inasprendo la progressività di aliquota -e deprimendo l'economia, provocando semmai il calo del gettito, per "estinzione" del contribuente-, ovvero, appunto, riallargare la base imponibile compensando il dumping interno alla UEM e reicentivando l'impiego nazionale dei profitti-risparmi in investimenti

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    2. Ecco, un'adeguata incentivazione va data anche agli investimenti alleggerendo il carico fiscale su chi, pubblico o privato, vincola i PROPRI capitali per un tempo sufficientemente lungo.

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    3. L'incentivazione degli investimenti è sacrosanta: il problema è che non ci sono capitali (distruzione di profitti e risparmio per deficit strutturale CAB unito a riduzione forzosa del deficit pubblico "naturale") e nemmeno è praticabile l'accesso al credito (conseguenza anch'esso degli squilibri commerciali prolungati e delle politiche di austerità che hanno trasformato una crisi di liquidità in crisi di insolvenza-sofferenze diffusa).
      Ma qui, per la verità, ribadisco, non ci si occupava dell'intera manovra fiscale praticabile. Principalmente di sbloccare i conti dello Stato riducendo l'evasione a limiti fisiologici.
      Dal che poi nascono logiche conseguenze in termini di ritrovato margine di spesa pubblica in investimenti...

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  3. Non si dovrebbero rivedere il catasto per tutti gli edifici per verificare effettivo valore immobiliare? Avremmo dati più precisi, o no?

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  4. Costituzione della Repubblica: Art. 53.
    "Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva.
    Il sistema tributario è informato a criteri di progressività."
    Riflessione: la Costituzione non contempla in modo assoluto forme di tassazione che non siano direttamente correlate alla capacità contributiva ed al criterio della progressività; ne consegue che risultano incostituzionali tutte le forme di tassazione (es.: bolli, IVA, ICI e relative evoluzioni, accise, canone RAI, ecc.), che, in modo assoluto o relativo, finiscono, in sede legislativa, per capovolgerne i principi.
    Ciò detto, qualsiasi ipotesi che non contempli a priori il cambiamento dell'articolo predetto (e, in verità, anche degli altri ad esso correlati), non può, ragionevolmente e correttamente, che prevedere l'eliminazione del sistema neo-medievale di "tasse, imposte, diritti e tributi" vigente.

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