martedì 30 aprile 2013

IL MOLTIPLICATORE, IL PAREGGIO DI BILANCIO E I CONTI CHE NON TORNERANNO.

Il moltiplicatore fiscale è una faccenda complicata. Infarcito di variabili su fattori rilevanti opinabili, secondo gli stessi ricercatori, quel che è certo è che esista. Ovviamente nessuno si azzarda più a usare quello originario Keynesiano, ma intanto, ci attestiamo sugli ultimi, ma non solo, studi di FMI-Blanchard.
E facciamo una semplificazione da praticoni come di consueto.
Con l'avvertenza che la prima parte dell'esposizione, quella relativa all'individuazione dei moltiplicatori utilizzati e alla ricostruzione dei calcoli "ufficiali" dell'Economia e di Bankitalia, è quasi un "divertissment", che mira a enfatizzare la confusione totale in cui sono piombati (al PUD€). Essenzialmente per celare la strategia di conservazione del potere e "temporeggiatrice" che stanno disperatamente adottando in attesa di vie d'uscita che, i più accorti tra "loro" (qualcuno forse ci sarà), si rendono conto essere molto scarse.
Quindi svolte badogliste sempre più probabili e calcoli di futuro riposizionamento opportunistico che dominano, come "retropensiero" che i media irregimentati non riescono più a ben dissimulare, tutto quanto sta accadendo.

Allora, rinunziando a distinguere tra moltiplicatore della spesa corrente e quello del public investment, e al periodo, breve o medio, di rilevazione, avevamo ipotizzato, un moltiplicatore di circa 1,5 per ogni punto di riduzione del deficit via tagli della spesa.
Sapir, usando lo stesso metro - riferimento al punto di PIL di minor ìndebitamento, però senza troppo distinguere nel mix di tagli&tasse-, ci dice che il moltiplicatore è "1,4, se non di più".
Quindi diamo per buono l'1,5 "medio" in relazione al tipo classico di mix in cui sono FINORA consistite normalmente le manovre; poi potremmo accreditare, sempre per semplificazione empirica, un moltiplicatore, ad origine FMI, di 0,9 per le misure di imposizione fiscale (nuove tasse o tagli delle stesse) e di 1,7 per la spesa pubblica.
E' ovvio che il sistema è, come detto, grossolano, ma vedremo poi come appaia ORA ragionevole tendere ormai a tarare il moltiplicatore "mediato" sul taglio della spesa piuttosto che sull'aumento dell'imposizione. E quindi il criterio omnicomprensivo mediato di Sapir ci appaga, confermato com'è dai calcoli qui in precedenza effettuati, poi asseverati dalle successive uscite dei nostri responsabili economici.

Con questi "grossolani", ma pragmatici e più realistici, mezzi a disposizione, la situazione sarebbe questa:
Quello stimato per il 2013 sarà del 2,9.
In precedenza, prima del provvedimento d'urgenza sui crediti delle imprese verso la p.a., abbiamo anche quantificato, - in base agli effetti dei tagli della spesa 2012 sul 2013 e alle operazioni di rifinanziamento di CIG, rimedi per gli esodati e contribuzione varia ai fondi e ai salvataggi europei, cioè alle voci "inevitabili"-un deficit intorno a 2,4/2,5 punti di PIL.
Che poi questo sarebbe l'indebitamento "ante-pagamento crediti alle imprese" ci è stato confermato dallo stesso governo e al centesimo in corso d'anno: l'indebitamento annuale sarebbe stato al 2,4% (evidentemente scontando gli oneri ineludibili indicati nella prima stima da noi effettuata), ma si aggraverà, a seguito del DL sui crediti alle imprese, fino al 2,9.

La Commissione UE, però, non si fida. Ma perchè non ha chiara la situazione contabile: non perchè creda nel moltiplicatore, nonostante gli studi di Blanchard abbiano stigmatizzato proprio il loro calcolo dello stesso, stimato a 0,4-0,5, livelli che, per l'ufficio studi del FMI, va bene per i paesi del terzo mondo e non per paesi a capitalismo avanzato e in vincolo di cambio fisso come l'area UEM.
Senonchè, e ovviamente lo diciamo sempre sulla base dell'approssimazione grossolana che il confuso balletto di cifre e di criteri "ufficiali", e ufficiosi, ci consente, i 20 miliardi da erogare come pagamenti alle imprese entro quest'anno, sarebbero pari a 1,3 punti di PIL abbondanti. Di cui solo una parte sarebbe già scontata, col criterio di cassa, nella spesa in erogazione e quindi non inciderebbe sul deficit. La parte che invece non solo agisce sul debito da emettere da parte del tesoro, ma ANCHE sull'indebitamento-deficit, avrebbe un effetto sul deficit (non sarebbe nell'ammontare) pari a, evidentemente 0,5 punti di PIL.
Ciò quindi non significa che l'ammontare "scoperto" dal criterio di cassa sia intorno ai 7,5 miliardi circa: per avere un effetto sul deficit di questa portata, infatti, deve essere ben superiore (il deficit è un differenziali tra flussi in entrata e in uscita).
Infatti, in termini contabili dare/avere, tutto ciò che non trova già coperura nella spesa programmata nel 2013, è stata fatta oggetto di previsioni apposite di ulteriore copertura per poco meno di un punto di PIL, da raggiungere, si noti, mediante tagli futuri, a carico degli enti locali erogatori, e comunque di tagli lineari a carico delle amministrazioni centrali.
L'ammontare di questa modalità di copertura non graverebbe però per intero sull'anno in corso, per cui non sarebbe indicativa per riquantificare con esattezza i dati 2013. Ma accontentiamoci del principio di copertura annuale immaginandolo corrispondente a pagamenti effettuati entro lo tesso termine, con sorprendente efficienza.
Dando dunque per scontata la solerte esecuzione dei pagamenti, senza eccessivi ritardi burocratici accuratamente disseminati nella disciplina di pagamento (un vero e proprio atto di fede), per avere un aggravio di 0,5 punti di PIL nel deficit 2013 vuol dire che dobbiamo risalire al moltipicatore utilizzato dall'Economia: questo risulterebbe, in base ai dati ricavabili dalle rilevazioni precedenti, di circa 1,3. Lo abbiamo desunto da come ha eseguito i calcoli previsionali correttivi della recessione 2013.
Quindi la spesa aggiuntiva per i pagamenti della p.a. dovrebbe avere un moltiplicatore di 1,3,  dando luogo a un differenziale positivo teorico di crescita di 1,69 punti di PIL.
Che, a sua volta, dovrebbe dare un gettito approssimativo, di nuove entrate, di poco meno della metà, calcolando la pressione fiscale annuale "media" attestatasi oltre il 46% (con le oscillazioni che registrerà trimestre per trimestre, a seconda degli adempimenti e dando per altrettanto scontato l'aumento dell'IVA per giugno o, in sua sostituzione inevitabile, una manovra sulle deduzioni/detrazioni fiscali).
Senonchè, per arrivare a un deficit aggiuntivo di 0,5 del PIL, questi 1,69x0,46= 0,78 punti di PIL di nuove entrate, dovrebbero portare, simultaneamente, a un calo del gettito determinato dalla anzidetta copertura mediante tagli alla spesa: supponendo infatti di attenersi al moltiplicatore "ufficiale ricostruibile" di 1,3 (che però è errato per difetto, perchè sarebbe in realtà 1,7, secondo i parametri del FMI), ciò vuol dire che l'ammontare della copertura avrà dato un risultato recessivo superiore a quello dell'effetto espansivo; "aggiustando" i calcoli deduttivamente, a ritroso, dovrebbe essere pari a un minor PIL per 2,5 punti circa, e quindi a minori entrate (da caduta della base imponibile) per corrispondenti 1,15 punti di PIL, sempre alla pressione fiscale ipotizzata di 0,46% sul PIL.
Ma allora i conti proprio non tornano: com'è possibile?
Una contrazione di PIL di 2,5, con un moltiplicatore di 1,3, dovrebbe essere corrispondente a tagli aggiuntivi di copertura per 1,92 punti di PIL, mentre invece parrebbe di capire, dalle cifre poste nel DL "crediti delle imprese",  che la copertura, in realtà  pure scaglionata a cavallo di questo e del prossimo anno, è pari circa a 0,8 punti di PIL!
E, tra l'altro, se così fosse, i differenziali tra spese aggiuntive effettuate e quelle tagliate porterebbero una recessione aggiuntiva di circa 0,8 e quella totale a fine anno a 2,1 punti di PIL (e non è detto che poi non sia così, ma per altre vie).
La verità? Non hanno usato alcun moltiplicatore: il calcolo effettuato per ricorreggere il deficit 2013, per come esaminato dalla Commissione, è stato basato sul fatto che si considera il solo fatto contabile di (ipotizzabile) cassa: al netto della copertura mediante tagli nel loro ammontare nominale ci sarà un'erogazione di spesa aggiuntiva di circa 0,5 punti di PIL, che si riflette in misura essattamente corrispondente sul deficit.
Cioè, non si applica in queste previsioni iniziali alcun moltiplicatore. Semplicemente se ne nega l'esistenza e si procede come se lo Stato fosse un'impresa, e non determinasse il meccanismo complessivo dell'intervento pubblico e della leva fiscale, cioè la sua influenza propagantesi sul PIL. Come se conseguentemente la contrazione-espansione della spesa pubblica, in base al moltiplicatore, non agisse a più livelli sui fattori aggregati della domanda.

Poi, quando si faranno aggiornamenti in base al consuntivo trimestrale, cioè dell'andamento reale dei conti pubblici, ci si accorgerà che il moltiplicatore esiste, se non altro perchè "è inutile discutere con i fatti".
Ma i calcoli saranno così sempre sbagliati.
Il fatto è che, se li facessero giusti, stimando un ragionevole moltiplicatore, le politiche suggerite si rivelerebbero in partenza sempre sbagliate
E non possono permetterselo. Devono prendere tempo: anche ora, anzi subito.
Ma questo perchè, come si legge abbondantemente sui giornali, si sono convinti che occorra dire che l'austerità va allentata.
Solo che non ci raccontano per bene come: ciò, infatti, sarebbe raggiunto mediante alcuni ventilati alleggerimenti di imposizione fiscale, ma anche spese "sociali", come il rifinanziamento della cassa integrazione straordinaria, possibili redditi di sostegno (cittadinanza a metà?) alle famiglie in difficoltà, soluzione del problema esodati, e via dicendo.
Vigendo tuttavia il "pareggio di bilancio", tutti questi saranno finanziati principalmente con tagli della spesa. Per 10 o 20 miliardi, non si sa bene, e non si neppure in che arco di tempo, a seconda di quali sgravi, tipo IMU, mancato aumento dell'IVA a giugno, allentamento del patto di stabilità coi comuni, saranno per primi dati in pasto alla propaganda della "Nuova era".
Mentre su questo già iniziano a litigare!
"Era" che nuova non sarà affatto: se per dare il sostegno alle famiglie taglierò, abolendoli o accorpandoli, altri sussidi sociali, nella migliore delle ipotesi avrò raggiunto un risultato neutrale.
Se invece, notate bene, per dare copertura a sgravi fiscali opereranno tagli alla spesa in misura corrispondente, il risultato sarà di aggiuntiva recessione.
Perchè, infatti, lo sgravio fiscale aumenta il reddito disponibile effettivo meno della spesa pubblica: il primo ha un moltiplicatore comunque inferiore, supponiamo, di 0,8-0,9, attenendoci alla semplificazione per il breve periodo del calcolo  del FMI; la seconda, "in media", di 1,5 (se non di 1,7: almeno, date le condizioni creditizie della nazione e la straordinaria rigidità della curva IS, che solo la spesa pubblica può sbloccare).
Quindi mentre la sostituzione di spesa sociale con altra è una mera operazione neutrale da punto di vista del PIL, cambiando soltanto, a seconda dell'individuazione dei beneficiari rispetto alla legislazione presistente, la distribuzione del reddito, la sostituzione di tasse con tagli a loro copertura è un'operazione recessiva. Cosa che molti di voi sanno benissimo.
Ma è proprio per questo che hanno bisogno di ignorare il moltiplicatore.
Ed è proprio per questo che in breve, attuati programmi fiscali del genere, si ritroveranno con recessione perdurante e amplificata sulle previsioni 2013 e 2014.
Basta attendere pochi mesi.
Ammesso, per concludere, che mentre comunque gli accantonamenti dei relativi fondi - creati mediante tagli- già operano, siano poi resi effettivi i pagamenti dei crediti alle imprese: cosa che pare proprio impossibile, dato il regime di "burocrazia a ostacoli" prescelto. Il che accelerererà sia la recessione, sia l'andamento dei conti fuori previsione, anche prima dell'effetto delle nuove manovre.
Insomma, a noi non danno scampo, ma pure "loro" non stanno tanto bene...

lunedì 29 aprile 2013

UOMINI E NO


Il problema è che non sentiamo parole. Parole che siano "pensiero", nobile come può esserlo ciò che è giusto, e giusto come può esserlo ciò che tiene conto, sopra ad ogni cosa, delle aspirazioni umane immutabili e del benessere dei propri simili.
E, invece, udiamo solo parole che altro non sono che squallide eco di pensieri imposti da tessitori dal volto sconosciuto; parole di "padroni" che sono, a loro volta, schiavi guidati dall'ignobile e dal meschino, servili, fino al fanatismo, nei confronti degli oscuri "tessitori".
E guidati così dalla vanità e dall'avidità personali, senza timore alcuno di contraddire la coscienza e, ancor più, la verità..
Non ci sono uomini, ci sono solo contabili votati al conformismo di un potere ottuso, come poche volte nella storia umana.
E non avremo speranza finchè non udremo le "parole" che esprimano il pensiero di chi sente, vede e intuisce, e studia, sapendo che deve servire gli altri esseri umani per il benessere comune. Parole di "uomini".
Questo silenzio è assordante e avvilente. Un ossimoro grigio: il silenzio delle parole degli "uomini", sostituito dal fragoroso sbraitare delle disumane marionette senza coscienza.

Vi riporto queste parole di John Maynard Keynes, tratte da un più ampio brano del 1933 (che molti conosceranno), perchè sono un esempio di quello che intendo. Notate come nello stigmatizzare la follia del suo tempo, si trovasse a confutare esattamente i luoghi comuni, le parole d'ordine dei "padroni-schiavi" degli oscuri tessitori, sempre gli stessi a quel tempo, e che oggi sono di nuovo al potere:
"...C'è un'altra spiegazione, io credo, di questo nuovo orientamento delle nostre menti. Il secolo XIX aveva esagerato sino alla stravaganza quel criterio che si può chiamare brevemente dei risultati finanziari, quale segno della opportunità di una azione qualsiasi, di iniziativa privata o collettiva. Tutta la condotta della vita era stata ridotta a una specie di parodia dell'incubo di un contabile.
Invece di usare le loro moltiplicate riserve materiali e tecniche per costruire la città delle meraviglie, gli uomini dell'ottocento costruirono dei sobborghi di catapecchie; ed erano d'opinione che fosse giusto ed opportuno di costruire delle catapecchie perché le catapecchie, alla prova dell'iniziativa privata, «rendevano», mentre la città delle meraviglie, pensavano, sarebbe stata una folle stravaganza che, per esprimerci nell'idioma imbecille della moda finanziaria, avrebbe «ipotecato il futuro», sebbene non si riesca a vedere, a meno che non si abbia la mente obnubilata da false analogie tratte da una inapplicabile contabilità, come la costruzione oggi di opere grandiose e magnifiche possa impoverire il futuro.
Ancor oggi io spendo il mio tempo, - in parte vanamente, ma in parte anche, lo devo ammettere, con qualche successo, a convincere i miei compatrioti che la nazione nel suo insieme sarebbe senza dubbio più ricca se gli uomini e le macchine disoccupate fossero adoperate per costruire le case di cui si ha tanto bisogno, che non se essi sono mantenuti nell'ozio.
Ma le menti di questa generazione sono così offuscate da calcoli sofisticati, che esse diffidano di conclusioni che dovrebbero essere ovvie, e questo ancora per la cieca fiducia che hanno in un sistema di contabilità finanziaria che mette in dubbio se un'operazione del genere «renderebbe».

Noi dobbiamo restare poveri perché essere ricchi non « rende ». Noi dobbiamo vivere in tuguri, non perché non possiamo costruire dei palazzi, ma perché non ce li possiamo «permettere».

La stessa norma, tratta da un calcolo finanziario suicida, regola ogni passo della vita. Noi distruggiamo le bellezze della campagna perché gli splendori della natura, accessibili a tutti, non hanno valore economico. Noi siamo capaci di chiudere la porta in faccia al sole e alle stelle, perché non pagano dividendo. Londra è una delle città più ricche che ricordi la storia della civiltà, ma non si può «permettere» i massimi livelli di civiltà di cui sono capaci i suoi cittadini, perché non «rendono».
Se io oggi avessi il potere, mi metterei decisamente a dotare le nostre capitali di tutte le raffinatezze dell'arte e della civiltà, ognuna della più alta e perfetta qualità, di cui fossero individualmente capaci i cittadini, nella persuasione che potrei permettermi tutto quello che potessi creare, - e nella fiducia che il denaro così speso non solo sarebbe preferibile ad ogni sussidio di disoccupazione, ma renderebbe i sussidi di disoccupazione superflui.
Con quello che abbiamo speso in Inghilterra, dalla guerra in poi, in sussidi di disoccupazione, avremmo potuto fare delle nostre città, i maggiori monumenti dell'opera dell'uomo.
O anche, per fare un altro esempio, sino a poco tempo fa, abbiamo considerato come un dovere morale di rovinare i lavoratori della terra e di distruggere le secolari tradizioni collegate all'agricoltura, solo che potessimo ottenere un filo di pane mezzo centesimo più a buon mercato. Non c'era più niente che non fosse nostro dovere di sacrificare a quest'idolo, Moloch e Mammone insieme; perché noi fiduciosamente credevamo che l'adorazione di questi mostri avrebbe vinto i mali della povertà e condotto la prossima generazione, sicuramente e comodamente, in sella agli interessi intrecciati, verso la pace economica.
Oggi noi soffriamo una delusione, non perché siamo più poveri di quello che eravamo, - al contrario, anche oggi, in Inghilterra almeno, noi godiamo di un tenore di vita più elevato che in ogni altra epoca, - ma perché ci pare che altri valori siano stati sacrificati e perché ci sembra che siano stati sacrificati senza necessità. Infatti, il nostro sistema economico non ci permette davvero  di sfruttare al massimo le possibilità di ricchezza economica offerteci dai progressi della tecnica, resta anzi ben lontano da questo ideale, e ci fa sentire come se avessimo potuto benissimo usare tutto il margine disponibile in tanti altri modi più soddisfacenti.
Ma, una volta che ci siamo permessi di disubbidire al criterio dell'utile contabile, noi abbiamo cominciato a cambiare la nostra civiltà. E noi dobbiamo farlo molto prudentemente, cautamente e coscientemente
(si riferisce alla Russia stalinista di cui parla in altra parte dello stesso scritto, ndr.).
Perché c'è un ampio campo dell'attività umana in cui sarà bene che conserviamo i consueti criteri pecuniari. È lo Stato, piuttosto che l'individuo, che bisogna cambi i suoi criteri. È la concezione del Ministro delle Finanze, come del Presidente di una specie di società anonima, che deve essere respinta.
Ora, se le funzioni e gli scopi dello Stato devono essere di tanto allargati, le decisioni riguardo a ciò che, parlando grossolanamente, dovrà essere prodotto nel paese e ciò che dovrà essere ottenuto in cambio dall'estero, dovranno essere tra le più importanti della politica."

E vi riporto le parole di un imperatore romano, Tito Elio Antonino Augusto, detto il "Pio", il padre adottivo di Marco Aurelio.
Parole con cui affronta quella che chiameremmo la "questione sociale", con una visione che tradusse in atti di governo, e che travalica di gran lunga le successive pretese del cristianesimo di "portare conforto" a servi che, per volere divino, dovevano rimanere tali, senza altra pretesa che l'ubbidienza; in cambio di una vita ultraterrena che quasi tutte le loro umane necessità istintive, però, gli avrebbero negato, sanzionate dalla "colpa", dall'inflizione del senso del peccato.
Antonino Pio, pur nella diversità inconciliabile di organizzazioni sociali e istituzionali distanti tra loro millenni, ci restituisce il vero significato immutabile della "dignità umana" e  della "responsabilità" che ognuno ha sempre, a prescindere dalla sua collocazione nella società:
"Liberi coloni e schiavi per me sono uguali. Sono loro a procurarci e a prepararci il mangiare. Perciò dobbiamo avere cura della loro salute e vegliare sulla loro soddisfazione nel lavoro. E' necessario costruire per loro abitazioni decenti con i maggiori accorgimenti igienici possibili.
Puoi conoscere il comportamento dei padroni osservando chi lavora per loro. Se vedi che hanno denti neri o sono sdentati, che puzzano di selvatico, che hanno capelli incolti, piaghe, cicatrici, significa che servono signori tra i peggiori del mondo. Se gli schiavi agricoli parlano in modo poco comprensibile, con un volume di voce troppo alto e storpiano la parole, non devi ridere. Indignati piuttosto con il loro padrone...Se si accovacciano più che sedersi e si siedono sembrando sacchi vuoti, puoi capire il livello di crudeltà ma anche di stupidità dei padroni".

E i "non-uomini" asserviti a Moloch e Mammone, gli sprezzanti fautori della nuova (e antichissima) logica del "rendimento", del governo come c.d.a di un'azienda, coloro che perdono la loro dignità per favorire gli "oscuri tessitori", sono anche degli irresponsabili.
Ma non lo capiscono perchè il loro male è la stupidità. E la stupidità è la madre dell'intolleranza.
Ed infatti Keynes ci dice, riferendosi ai totalitarsimi della sua epoca, con parole sinistramente attuali in riferimento alle attuali insinuanti forme di tecno-autoritarismo:
"Il terzo rischio, che è il peggiore dei tre, è l'Intolleranza e il soffocamento della critica. Ordinariamente le nuove correnti sono giunte al potere attraverso una fase di violenza o di quasi-violenza. Esse non hanno convinto gli oppositori; li hanno domati. Il metodo moderno è quello di fare affidamento sulla propaganda e controllare gli organi dell'opinione pubblica; si crede che sia cosa molto furba e molto utile fossilizzare il pensiero ed adoperare tutte le forze dell'autorità per paralizzare il gioco di interazione di una mente sull'altra. Per quelli che hanno trovato necessario adoperare qualsiasi metodo pur di conquistare il potere, la tentazione è forte di continuare ad adoperare per il compito costruttivo quegli stessi pericolosi strumenti che sono serviti preliminarmente a forzare la porta d'ingresso".


domenica 28 aprile 2013

IL FEDERALISMO "LITE" DELLA BONINO E I DATI DI SAPIR

Ormai scrivere di quel che sta accadendo possiamo farlo col "montaggio" di quanto già detto. Lo potreste fare persino voi, da soli, ma vi facilito il compito.
Nel post "Osservatorio PUD€-5", abbiamo esordito con questo incipit:
"L'introduzione a questo quinto capitolo dell'Osservatorio PUD€ la lasciamo tutta a queste recenti parole di Krugman:
"Ciò che l'élite Europea non riesce a cogliere è che la percezione pubblica del loro diritto di governare dipende dalla loro capacità di raggiungere almeno alcuni risultati effettivi.
Quel che hanno consegnato in realtà, tuttavia, sono anni di sofferenze incredibili accompagnate da ripetute promesse che la ripresa era proprio dietro l'angolo - e ora si stupiscono che molti elettori non si fidano più del loro giudizio, e si rivolgono a qualcuno, chiunque, che offra un'alternativa.
Vorrei poter credere che le elezioni italiane siano servite da campanello d'allarme - una ragione, ad esempio, per dare alla BCE il via libera per una maggiore espansione, una ragione per la Germania di fare un po' di politica espansiva e per la Francia di sospendere il suo non necessario stringere la cinghia.
La mia ipotesi, tuttavia, è che avremo soltanto altre lezioni per gli italiani e per tutti gli altri su come non stanno dandoci abbastanza dentro."
Inutile dire che tutto questo diverrebbe attualissimo nel caso in cui si interpretasse il voto, da parte delle forze politiche tradizionali, solo come un fatto di "volti nuovi",  e cioè che, in  pieno delirio "cosmetico" (non a caso), pescassero qualche Jolly "inedito" rispetto alle stanze dei governi post-Maastricht, e ritirassero fuori le solite vecchie politiche...mentre i grandi gruppi finanziari e industriali esteri "mettono nel mirino" le imprese italiane, pubbliche e private, da acquisire a prezzi di saldo."

Ora come volto "sempre-nuovo" (una caratteristica che è "ontologica" nel personaggio in questione, come la verginità della Madre di Dio) pescano la Bonino, ministro degli esteri, destinata a farsi valere in Europa per un futuro radioso.
La Bonino, per capirci subito sulle prospettive che offre, ha scritto un libro con Marco de Andreis ("già consigliere del Ministro per le politiche comunitarie (2005-2006) e funzionario della Commissione europea (1995-2000), dirige l'ufficio studi economici dell’Agenzia delle Dogane"), “Making the case for a ‘federation lite'”.
Cioè gli Stati Uniti d'Europa "leggeri", che dovrebbero "gestire la crisi economica in maniera più efficace e puntuale". Come?
"Per fare questo - sostiene il saggio - è necessario ripensare il bilancio europeo. Proprio quel bilancio che - nell’ultima stesura riguardante il settennato 2014-2020 - è rimasto per il momento bloccato senza l’approvazione del Parlamento europeo. Il bilancio europeo è costituito quasi esclusivamente da trasferimenti da parte degli Stati membri (l’Ue non ha il potere di tassare direttamente i cittadini) e pesa circa l’1% del Pil europeo; non viene utilizzato per funzioni fondamentali di governo e - quasi per la metà - va a finanziare il settore agricolo.
Il trasferimento di alcune funzioni di governo dal livello nazionale e quello europeo - spiega il saggio - come la difesa, la politica estera e la ricerca, non dovrebbe comportare un aumento della spesa pubblica, ma al contrario potrebbe determinare un risparmio grazie alle economie di scala. Basterebbe così un bilancio pari al 5% del Pil europeo (laddove le percentuali, in Stati veramente federali come gli Usa, sono molto più alte) per dare sostanza a questa maggiore integrazione. Bilancio che andrebbe a coprire i seguenti capitoli di spesa: l’1% per la difesa, l’1% per la diplomazia (inclusi gli aiuti umanitari), l’1% per la ricerca e lo sviluppo, lo 0,7% per le politiche di redistribuzione sociale e regionale, lo 0,5% per il controllo delle frontiere, lo 0,5% per le Reti Trans-Europee (TEN) e lo 0,3 per l’amministrazione. Una proposta ‘leggera’ ma incisiva che potrebbe costituire il motore di quella nuova politica comunitaria verso cui il Governo Letta sembra voler tendere".

Come primo commento generale, riportiamo quanto detto sempre in Osservatorio PUD€-5:
"...in USA  i trasferimenti arrivano al 33% (20% agli Stati, 13% alle municipalità) delle entrate fiscali del bilancio federale e il sostegno finanziario conseguente oscilla tra i 9 e i 30 punti di PIL per i singoli Stati. Anche negli USA i singoli Stati si noti, sono vincolati al "pareggio di bilancio", ma sempre sulla predetta condizione di trasferimenti differenziati in un range che sarebbe impensabile in Europa. E questo perchè politicamente inaccettabile nelle chiarissime e "vibranti" posizioni espresse dalla Germania.
Il bilancio federale USA, invece, è in deficit eccome: solo che ricorre alla politica monetaria "concertata" con la FED, che acquista il debito connesso al deficit-fabbisogno con vari sistemi coordinati a banche operatrici su mandato. Non bisogna poi dimenticare che negli USA il tutto si basa sulla unità di regime fiscale delle imposte a maggior gettito (altro punto inaccettabile non solo per i tedeschi, ma anche per paesi "creditori" come Olanda e Lussemburgo che fanno del dumping fiscale un punto di forza e che fuggirebbero rapidamente dall'euro zona in caso di "federalismo"-OCA "US-pattern"), nonchè su una forte mobilità della forza lavoro, e quindi, non dimentichiamolo, della stessa base imponibile".
Premettiamo che l'1% del PIL euro-zona per la difesa, supponendo una contribuzione equamente proporzionale dell'1% a carico di ciascun Stato-membro, è un decremento delle spese militari; ma non per l'Italia, peraltro, che sta allo 0,9 del PIL,("in rapporto al PIL la Gran Bretagna si posiziona al 2,3%, la Francia al 1,7%, la Germania al 1,8%, l'Italia al 0,9%, la Spagna al 0,7%...").  
Decremento dunque significativo  che incontrerebbe il dissenso USA per la asimmetria a suo carico evidenziata in sede NATO: il che non è un problema politico da poco. Sempre che non si vogliano acuire le tensioni con gli importanti alleati d'oltreoceano, già messe a dura prova dal deflazionismo e dalla compressione della domanda dell'eurozona. E si vorrebbe una gestione della crisi "più efficace e puntuale". 
Ma su tutto il resto lasciamo la parola a Sapir, che ha seriamente calcolato il "costo del federalismo in Europa" (trad. Vocidall'estero):

I trasferimenti che si calcolano qui riguardano solo quattro paesi (Grecia, Portogallo, Spagna e Italia), e non includono gli aiuti comunitari già esistenti.  Il primo punto consiste nel calcolare lo scarto accumulato in 10 anni nel campo della R&S. Questo divario ammonta, in percentuale del PIL, per ciascun paese, a :

Spagna
17,3%
Italia
17,2%
Portogallo
18,8%
Grecia
24,0%

A questo va aggiunto  la deviazione annuale (nel 2010):

Spagna
1,43%
Italia
1,56%
Portogallo
1,23%
Grecia
2,37%

Se calcoliamo un recupero su 10 anni, questo implica un trasferimento annuale dai paesi del "nord", calcolato in punti percentuali del PIL di ciascun paese, per recuperare lo scarto accumulato in spesa per R&S :

Spagna
3,16%
Italia
3,28%
Portogallo
3,11%
Grecia
4,77%

Il secondo punto importante consiste nel permettere a questi paesi di recuperare nei loro sistemi di istruzione. Le spese necessarie per ridurre il numero di giovani che abbandonano la scuola con un livello più basso del 2 ° ciclo di istruzione secondaria, sono stimate, ancora in punti di PIL del paese, a:

Spagna
2,00%
Italia
2,00%
Portogallo
3,00%
Grecia
3,50%

Il terzo punto è quello di stabilizzare la domanda in questi paesi, perché altrimenti gli sforzi nel campo della R&S e nel campo dell'educazione non serviranno a nulla. Questa stabilizzazione della domanda può passare attraverso la ristrutturazione o costruzione di infrastrutture, ma anche sostenendo la domanda di alcune categorie della popolazione. Calcolate in punti percentuali del PIL di ciascun paese, queste spese ammontano annualmente, per un periodo di dieci anni, a :

Spagna
3,00%
Italia
2,50%
Portogallo
4,00%
Grecia
6,00%

Se sommiamo queste spese, da finanziare mediante trasferimenti di bilancio dai paesi del "nord" della Zona Euro, si arriva al totale seguente, che ricordiamo è la cifra annuale calcolata sulla base di un recupero in 10 anni (!) degli scarti di questi diversi paesi:


Contributo in% del PIL, per recuperare il ritardo in R & S
Contributo in% del PIL, per recuperare il ritardo in materia di istruzione
Contributo in% del PIL, per rilanciare la domanda
Totale (% del PIL per ogni paese)
PIL2011 per ogni paese in Mlrd euro
Importo dell'aiuto annuale in Mlrd euro nell'ipotesi di trasferimenti federali
Spagna
3,16%
2,00%
3,00%
8,16%
1.063,36
86,76
Italia
3,28%
2,00%
2,50%
7,78%
1.580,22
122,99
Portogallo
3,11%
3,00%
4,00%
10,11%
170,93
17,27
Grecia
4,77%
3,50%
6,00%
14,27%
215,09
30,69

Il totale ammonta quindi a € 257,71 miliardi di euro all'anno. Questo non è il totale di tutti i trasferimenti - vi sono le esigenze di altri paesi -, e  non comprende il contributo comunitario (che è un costo netto per paesi come la Germania e la Francia), ma copre solo i bisogni necessari perché la zona euro possa sopravvivere, al di fuori dei bisogni finanziari immediati, che già implicano un significativo contributo di Germania e Francia."
Va quindi considerato che il bilancio ipotizzato nel citato libro non si riferisce ai trasferimenti, ma proprio alle funzioni, cioè all'ammontare globale della spesa che continuerebbero pro-quota (proporzionale) a sostenere tutti i paesi; tale bilancio, in tal modo, include anche quanto, in proporzione esatta del PIL, verrebbe ovviamente speso in Germania.
Ed allora le cifre non tornano neanche un
Solo per recuperare il ritardo in investimenti per la "ricerca", all'Italia e alla Spagna dovrebbero essere attribuiti oltre 3 punti del rispettivo PIL a titolo di trasferimenti, evidentemente aggiuntivi rispetto alla contribuzione. E a carico prevalentemente della Germania. E sugli altri settori le cifre sono altrettanto eloquenti.
La Bonino, invece, ipotizza 0,7 punti di PIL (europeo? eurozona? Parrebbe la prima ipotesi) per le politiche di redistribuzione sociale e regionale, cifra cui pare logico sottrarre l'attuale ammontare dei fondi UE per lo sviluppo, pari a circa 0,5 punti di PIL-UE. Il che porta l'ammontare (UE, non UEM) dei trasferimenti addizionali appunto al rimanente 0,2%: si tratterebbe di circa...28 miliardi di intervento "puntuale ed efficace" per risolvere la crisi, e riferito a tutta l'UE!
Rimanendo nella zona UEM, più pragmaticamente, perchè questa è la posta di sopravvivenza in gioco, va detto che il relativo PIL si aggira sui 10.000 miliardi e qualchecosa.
La cifra indicata da Sapir, - che include solo i calcoli su Italia, Spagna, Portogallo e Grecia, e solo i trasferimenti "minimi di sopravvivenza"-, e, come precisa, esclude appunto i fondi europei attualmente sorretti da contribuzione, corrisponde (per i soli paesi indicati e per il limitato range di intervento ipotizzato), a oltre 2,5 punti di PIL dell'eurozona, cioè ben oltre 12 volte quanto ipotizzato dalla Bonino nel suo libro, (in quanto operato con riferimento all'intero PIL UE, che si aggira sui 14.00 miliardi di euro).
Insomma, il federalismo "leggero" (per una gestione della crisi "più puntuale ed efficace") non solo non risolve nulla, ma, permanendo le asimmetrie (di sviluppo, di fattori socio-economici, quindi di crescita) nella enorme forbice attuale, li perpetuerebbe. Fino all'inevitabile collasso.

venerdì 26 aprile 2013

ALEGHER! SCHAUBLE CI DA' UNA MANO

Non che lui sia un allegrone: tutt'altro. Questo avvocato, laureato in "diritto ed economia" (la cosa non è chiarissima), comunque un politico di professione, è malauguratamente relegato su una sedia a rotelle a seguito di un attentato, ad opera di uno squilibrato, subito nel 1990. Ma ancor più soffre di insoddisfazione delle proprie aspirazioni leaderistiche anche per il mancato endorsement di Kohl, di cui, pure, era stato fedele collaboratore e "delfino"; fino ad essere invischiato in una storia di finanziamento illecito alla CDU (pare, e per 100.000 marchi) da parte di un noto trafficante di armi. A seguito di questa vicenda fu scavalcato dalla Merkel nelle sue aspirazioni al cancellierato.
Ma riprendiamo dall'intervista: essa contiene una sorta di risposta alla questione "allentamento dell'austerity" di cui abbiamo parlato nel post di ieri. Ed è quindi una risposta "preventiva" alla posizione possibilista di Letta sulla ricontrattazione dei vincoli fiscali imposti dall'Europa
E infatti, proprio a Letta risulta principalmente diretta questa replica (o preannuncio di rappresaglia?) di Wolfang. Il quale non gliela manda a dire "Molti paesi europei fanno grandi progressi, ma non si lamentano ogni giorno e soprattutto non pretendono dagli altri la soluzione ai loro problemi: li risolvono da soli". E aggiunge, tra l'altro, "E' importante che siano affrontate le sfide economiche dell'Italia, che non scompariranno da un momento all'altro".
Una "fonte diplomatica" dentro alla Commissione UE, chiosa (sempre allegramente: in fondo se la passano benone): "Nella Commissione c'è stata un'evoluzione sull'austerità, una disponibilità di cui l'Italia ha beneficiato sui pagamenti degli arretrati della pubblica amministrazione. Ma vista la posizione tedesca è presto per dire che c'è un nuovo pensiero unico dominante in Europa pro-crescita".
La replica, proprio nel merito, a tutte queste considerazioni, per chi ci segue e si informa sui siti che hanno ormai scomposto i problemi euro-economici nella loro esatta consistenza, sarebbe agevole. La lascerei persino a voi.
Di certo, mi limiterei ad assecondare tutte le dichiarazioni di Schauble: è vero che i nostri problemi ce li dobbiamo risolvere da soli.
E siccome i nostri problemi sono la recessione creata dalle manovre fiscali imposte dall'UEM (lettere BCE in testa), e una precedente stagnazione determinata dall'adesione alla moneta unica, automaticamente abbiamo identificato le "sfide economiche che non scompariranno da un momento all'altro", come dice Schauble.
Uscire dall'euro-mattanza e farla finita con la deflazione e la compressione della domanda interna, unita a un livello di cambio monetario, insostenibile e irragionevole, che ci impedisce di competere ad armi pari con la Krukkia, sulla base delle orrende teorie monetariste e neoclassiche che agitano le menti (turbate, per vari motivi, e anche comprensibilmente) di personaggi come Schauble.

Ma cosa c'è da stare allegri? Beh, la fine del PUD€ si delinea all'orizzonte sempre più chiara. Ora i nostri problemi sono quelli sopra sintetizzati, ma la colpa (Schuld), anzi il dolo, cioè l'intenzione di agire a detrimento degli altri membri dell'UEM, è della Germania.
Quindi di cosa ci obbliga a prendere atto Schauble?
A) Che qualsiasi trattativa di "revisione" dei vincoli fiscali in UEM è morta in partenza, per l'opposizione tedesca, come ci ribadisce, se ce ne fosse bisogno, la "fonte diplomatica" della Commissione UE; e questo a meno che non si dica ai tedeschi che non noi, ma loro stessi, sono la causa dei problemi dell'euro-zona e che il loro atteggiamento fa sì che la loro partecipazione all'eurozona è del tutto inutile e dannosa. Per cui o si accomodano e tolgono il disturbo, oppure noi e chi altro (praticamente la schiacciante maggioranza dei paesi UEM) abbia gli stessi interessi li lasciamo al loro destino, uscendo dalla ottusa e fallimentare moneta unica;
B) Che un Letta che non si rende conto di questi esatti termini del problema è anche lui "inutile o dannoso", perchè i tedeschi non si fanno mettere in minoranza e stanno dentro all'euro solo finchè ne possono controllare integralmente, in base a folli slogan monetaristi e von Hayek, le istituzioni: Commissione e BCE;
C) Che siccome Letta non "può" per definizione comprendere questi esatti termini del problema, e ci farà perdere tempo prezioso in inutili trattative col cappello in mano e la testa cosparsa di sale, pietendo qualcosa che non ci verrà mai concesso, (dato poi che la concessione, secondo i tedeschi e la Commissione, ci è stata già fatta), l'Italia proseguirà nella sua recessione, ben oltre il 2013; con ciò, la propaganda mediatica che sostiene la formazione del suo governo non potrà mentire ancora a lungo. E il banco del PUD€ salterà presto, molto presto.

Le imprese italiane continuano a morire per il più tremento credit crunch della storia italiana (solo quest'anno, 200 miliardi di impieghi in meno e 650.000 disoccupati in più!). 
E nessuno, dato anche l'inserimento del pareggio di bilancio in Costituzione e il two pack incombente, in sinergia implacabile -situazione che Letta non può ignorare-, potrà rifornirle di adeguato flusso di liquidità con l'urgenza assoluta che richiede la situazione.
La disoccupazione dilagherà ancor più, la cassa integrazione non potrà essere rifinanziata per i perdenti posto attuali e, meno che mai, futuri,  a meno di effettuare ulteriori tagli aggiuntivi o imporre nuove tasse (riampliando per altra via la recessione da caduta della domanda); e sempre che non sia sostituita dalla demenziale "resa" decrescista del reddito di cittadinanza, ridimensionabile senza ostacoli ai livelli che piacciono a "loro" (che non a caso, al di là del "nomen", piace a Boeri e Ichino).
Quindi, a Letta non riuscirà, dopo soltanto poche settimane, di "prendere tempo" per attuare il programma di privatizzazioni dei servizi pubblici essenziali e, udite udite!, delle reti, che costituisce il fulcro del programma economico con cui il suo partito ha semi-vinto (o perso) le elezioni.

Ma più di tutto bisognerebbe dire: l'Italia, se ha bisogno di qualcosa con assoluta urgenza e senza infingimenti, è di un governo che dica a Schauble: "NON TI PERMETTERE"! e gli rinfacci in modo inesorabile le "COLPE DELLA GERMANIA". Aggiungendo: "se non trattate, com'è del tutto evidente da molto tempo, NON VOGLIAMO STARE CON VOI", ripagandoli, è proprio il caso di dirlo, CON LA STESSA MONETA.

Ora, siccome, questo governo non può coincidere con quello di Letta e non può essere espresso dall'attuale Parlamento, nessuna forza in esso presente esclusa; e siccome il CONTROLLO MEDIATICO che impone che gli indirizzi delle forze politiche siano sempre e solo quelli attuali, non si attenua, ciò vuol dire che, sotto i colpi del disastro inarrestabile, E DEL PRINCIPIO DI REALTA',  il PUD€ E LA MELASSA MEDIATICA CHE LO SOSTENGONO SONO DESTINATI A CROLLARE.
Noi soffriremo, certo, com'è inevitabile ormai, ma "loro" (PUD€ e media complici) cadranno rovinosamente.

Ed allora, vi lascio con una domanda (certo, retorica), a cui rispondere dopo aver chiesto in giro, a tutti quelli con cui siete in contatto, consapevoli, o almeno disposti ad ascoltare i termini del problema nei presupposti implacabili e oggettivi che la realtà ci impone di considerare: VOI CHE VORRESTE CHE FACESSE UN GOVERNO ITALIANO? Così tanto per capirci tra di noi...  

giovedì 25 aprile 2013

OCSE, OLLI E LETTA: ARRETRANO PER PRENDERE LA RINCORSA. L'EURO VERSO LA "SOLUZIONE FINALE"

Fresco di giornata questo articolo di Reuters intestato all'OCSE che, in realtà, riporta le ultime dichiarazioni di Padoan sulla situazione economica italiana e le politiche del nuovo governo.
Il suo contenuto è importante per capire come il PUD€ intenda mantenere la sua presa facendo le concessioni minime indispensabili per lasciare intatto il suo disegno: cioè l'euro, lo smantellamento "emergenziale" dello Stato sociale, la deflazione salariale.
Le "concessioni" saranno chiaramente il fulcro dei "buoni risultati", nel senso di un ingannevole "cambiamento di rotta" che sarà sbandierato dai media in modo da concedere il tempo al nuovo governo per rimuovere l'ostacolo più grande: la Costituzione.
Questa con la sua impalcatura di diritti fondamentali incentrati sulla tutela del lavoro, vede il pareggio di bilancio al suo interno come un corpo spurio incompatibile, inoculato come un virus distruttivo dalla logica dei trattati e dei suoi corollari, cioè il fiscal compact. Per ora.
Quindi nei prossimi mesi assisteremo al massimo sforzo congiunto della grancassa mediatica PUD€ per raccontarci: a) che la crisi è superabile e che l'euro è in sè, sostenibile, utilizzando con ragionevolezza...le regole disfunzionali e ideologicamente connotate che lo caratterizzano; b) che nel frattempo, la Costituzione deve comunque essere cambiata, perchè il paese ha bisogno di "ammodernamento" e nuovi principi istituzionali devono essere introdotti come indispensabili.
Il risultato sarà quello di adeguare definitivamente la Costituzione all'ideologia von Hayek, modulando le istituzioni costituzionali sull'idea che l'intervento dello Stato nell'economia sia da limitare in nome dell'efficienza del settore privato.
La filosofia del mutamento costituzionale, per compiere il quale è appunto indispensabile prendere tempo, sarà quella di spostare, come sempre, l'attenzione sulla ingegneria istituzionale, in nome della riduzione del numero dei parlamentari, dei "costi della politica" e dell'adeguamento di fondamentali istituti che sarà proposto, come un'apparente coerente conseguenza; anzi come rafforzamento della "tutela" di posizioni sociali, ma in realtà volto alla mera cosmesi, che dissimula la sua disattivazione, autonomamente derivante dai meccanismi di Maastricht di per sè.
Ma - e come vedrete Padoan conferma clamorosamente questa invariabile posizione- a che serve ammettere che le tasse sul lavoro e le imprese sono "eccessive" se non si ammette che l'euro causa un problema strutturale e irrisolto di debito privato, determinato da squilibri commerciali e crescenti asimmetrie di liquidità-debito-credito, cioè di competitività da differenziali di inflazione consolidati e inaggirabili senza trasferimenti?
Se la causa della crisi era il debito pubblico, a che servirà, nella loro stessa testolina, allentare i vincoli di bilancio se non ad aumentare i deficit e quindi, sempre secondo "loro", la pressione dei mercati?
E se questa è venuta meno senza che gli obiettivi di deficit siano stati raggiunti da alcuno dei paesi UEM (tranne guarda un pò la Germania), perchè continuare a predicare la riduzione dei deficit solo rallentata, se, secondo "loro", il problema nasce, fin da Maastricht e non dalla crisi del 2008, dal mancato rispetto di tali vincoli e parametri (ricordandosi del problema del debito solo dopo che i saldi target2 erano arrivati a pericolo di insolvenza)?
Perchè dopo che l'euro ha creato outputgap e stagnazione nei paesi con inflazione più alta, rendendoli disprezzati debitori, il semplice attenuamento delle stesse identiche politiche dovrebbe funzionare?
Perchè se l'euro implica geneticamente una politica economica che, a regime, peggiora la sostenibilità dei conti pubblici per minor base imponibile e compressione della domanda interna a carico dei salari, - solo facendolo in modo diseguale nei vari paesi, per tempi non coordinati, come invece imponevano i trattati -, un pò di spesa pubblica o di minor tassazione, in misura assolutamente insufficiente, dovrebbe attenuare questi effetti originari e strutturali di interdipendenza inevitabile delle economie nell'area UEM?

Padoan, senza alcun timore di smentire le sue precedenti prese di posizione (formalmente perchè nella sostanza le linee ideologiche di politica economica rimangono nel stesse), ci dice infatti:
L'Italia è adesso nella posizione di chiedere all'UE di allentare il target di deficit del paese. Con i tagli al bilancio accusati della recessione registrata per il secondo anno consecutivo nell'eurozona, anche il responsabile massimo dell'economia UE ha indicato che occorra più flessibilità sugli impervi obiettivi economici stabiliti.
Il nostro paese è vicino ad ottenere l'importante obiettivo della fine della procedura per deficiti eccessivo attivata al picco della crisi (quella in relazione al deficit 2011! ndr.). L'Italia è ora nella posizione di aggiungersi a quei paesi che possono ottenere un margine (di ritardo) riguardo ai limiti deficit/PIL.
Riferendosi alle politiche di Monti, come avvertite di essere responsabili di un rigore eccessivo che "avrebbe, secondo alcuni economisti" (!), acuito la recessione", Padoan ha detto, prosegue Reuters, che l'OCSE, da molto tempo un tifoso delle politiche economiche che hanno dettato la risposta di forte austerità dell'UE alla crisi del debito (!), sta chiedendo a Bruxelles di consentire all'eurozona un periodo di rinvio agli obiettivi di deficit per tenere conto della prolungata crisi...i targets devono essere rivisti al netto degli effetti della recessione e calcolati in termini strutturali. Ciò significa che l'Italia è attesa avere un deficit strutturale vicino all'equilibrio nel 2013".
A queste dichiarazioni di Padoan, Reuters fa seguire la chiosa: (il primo ministro incaricato) "Letta ha detto mercoledì che l'UE è stata troppo focalizzata sull'austerità e ha fatto appello al parlamento italiano affinchè sostenga i suoi sforzi di riforma, incluso lo sforzo di convincere l'UE a cambiare la direzione della policy attuale."
Decisamente, c'è da aggiungere, la nouvelle vague in procinto di governo è in ottimi e tradizionali rapporti con l'OCSE.

La dichiarazioni e i ragionamenti su Reuters ve li ho ampiamente riassunti, ma rimangono, anche in questa versione, un'ossessiva serie di parafrasi incentrate sullo stesso evidente concetto: prendere tempo senza rinunciare a una virgola dell'impostazione economica dei trattati.
Il fiscal compact, infarcito di regole contraddittorie e draconiane al tempo stesso, finisce in soffitta, rimosso per la sua evidente impraticabilità ma senza l'ammissione della incompetenza mostrata per averlo solo concepito.
Colpito da "desuetudo de facto", ovvero da "eccessiva onerosità sopravvenuta", ammessa ma non dichiarata formalmente, secondo la clausola di risoluzione dei trattati internazionali che si adegua al principio "rebus sic stantibus" (cfr; link citato paragrafo 4, sull'art.61 Convenzione di Vienna).

Si cambia strategia: prendere tempo, per adeguare le Costituzioni, in Italia, big player della situazione (anche se non piace ammetterlo, agli autodenigratori dal livore auto-diretto), ma non solo, mostrare che si fa una gigantesca ammujna riformistica, completamente irrilevante rispetto alla disfunzionalità della moneta unica, e infine assestare lo "stato delle cose", completando il disegno dell'Italia ridotta a "fabbrica cacciavite", a proprietà estera.


La inversione di marcia significa null'altro che il creditore deve essere più paziente e che si può ricominciare a seguire, come se niente fosse, il trend precedente alla crisi: i paesi debitori potranno solo avere più tempo per restituire il debito accumulato, ma ne accumuleranno presto dell'altro, inevitabilmente, per via del fatto che  i paesi "creditori" conservano il vantaggio dei tassi di cambio reale. Perchè non è pensabile che con una tale mera attenuazione degli obiettivi fiscali i "debitori" potranno perseguire una correzione della mancata crescita tutta a carico, via esportazioni, del "resto del mondo": che non è rimasto inerte a guardare e rilancia la crescita reflazionando e svalutando.
Insomma si torna alle politiche di "stillicidio" anteriori al 2011.
Solo che, accumulatosi il debito privato commerciale, sarà così più facile procedere alla svendita degli assets nazionali, in un clima più favorevole.
Il messaggio dei prossimi mesi sarà: vi stiamo risanando con la crescita (cioè la mera fine della recessione...nel 2014)  e l'occupazione (cioè la mera attenuazione dell'enorme numero dei disoccupati, "forse" nel 2014). E dunque, se questa è la logica - che verrà amplificata dai media come "ripresa"-, in essa risulterà "riforma" indispensabile, nel "vostro" interesse, procedere alle dismissioni e alle ulteriori privatizzazioni, magari in favore di "investitori esteri" che, bontà loro, fermeranno la deindustrializzaizione del paese.
Insomma il creditore, rinuncia realisticamente a ritenere che attraverso la leva fiscale, il debitore possa rimborsare mediante il suo flusso di reddito, e agisce smoothly per attaccare il suo patrimonio. Molto più semplice e pragmatico. E sempre senza incontrare resistenza.

Per compiere la colonizzazione talvolta bisogna arretrare: ma per prendere la rincorsa e fare un balzo in avanti ancora più grande.

PS. IN QUESTO SCENARIO, DI PREORDINATO E PROLUNGATO ASSERVIMENTO DEL PAESE A INTERESSI STRANIERI, PER COME SI STA PUNTUALMENTE  SVELANDO, MI PARE PERSINO SUPERFLUO DOLERSI DELLO SVUOTAMENTO DI OGNI SENSO DELLA CELEBRAZIONE DEL 25 APRILE.