domenica 7 aprile 2013

INFORMAZIONE, TECNOLOGIA E MONOPOLI

Da Sofia riceviamo e volentieri pubblichiamo questa post che, nelle intenzioni, serve da introduzione ad una trattazione ulteriore del tema dell'informazione, delle sue finalità ultime e delle posizioni di potere che esso comunque implica.

Nei settori che operano in situazioni monopolistiche/oligopolistiche gli operatori hanno tutto l’interesse a sostenersi l’un l’altro e a mantenere la propria situazione di supremazia; se questo non avviene attraverso la forza di mercato acquisita, avviene attraverso delle norme che impongono l’utilizzo dei prodotti da questi commercializzati oppure attraverso operazioni mediatiche che servono a condizionare l’operato degli utenti; senza considerare che anche il processo di accettazione delle norme richiede da parte degli utenti/cittadini un opera di convincimento sulla giustezza o sulla necessità delle stesse che viene portata avanti sempre attraversi i mezzi di comunicazione con informazioni (distorte o sbagliate) che mettono in evidenza un particolare stato di necessità, o di emergenza, o di pericolo.
In un precedente post, 48 ha già anticipato i termini del problema: Solo che qui "l'unico soggetto" accumula un potere talmente immenso da non avere alcun limite pratico: può persino pianificare a tavolino l'orientamento mediatico e quindi del consenso in qualsiasi parte del mondo e, più ancora, condizionare i governi, specie se esposti ai mercati nella - "stranamente spontanea", da parte degli stessi governi- collocazione sul mercato dei titoli del debito sovrano. Quello che invece è più  inquietante è che questa forza economica soverchiante possa impadronirsi del web e, in generale, di ogni nuova forma di "communication technology", attraverso la creazione di potentissime società ramificate in tutto il mondo, programmando e scansionando lo stesso paradigma culturale di un'epoca".
Su questo potere di pianificare "a tavolino" l'orientamento mediatico, e quindi dei comportamenti di massa e del conseguente "consenso", vi sono diversi scritti.
Gian Maria Fara in un saggio intitolato “INFORMAZIONE, OPINIONE PUBBLICA E DEMOCRAZIA” aveva messo in luce gli aspetti accennati da 48 in maniera molto chiara. Il saggio è piuttosto lungo e per semplificare ne riporto un breve riassunto.

"A rigor di logica, l'opinione dovrebbe essere strettamente ancorata alla conoscenza dei fatti, così come la conoscenza dovrebbe ispirare il formarsi di opinioni informate. I due termini sembrerebbero non aver nessuna vocazione alternativa, anzi appaiono l'uno il complemento naturale dell'altro. L'idea di proporli come dicotomia nasce dalla consapevolezza che nella fase storica che attraversiamo essi si presentino ormai con forti caratteristiche di autonomia. Sempre più spesso ci accorgiamo di trovarci di fronte ad opinioni nate al di fuori di ogni possibile base di conoscenza, così come è evidente che la conoscenza trova sempre maggiori difficoltà a tradursi in opinione. Anzi, si potrebbe parlare di un'opinione che rifiuta ogni ipotesi di conoscenza che possa metterla in discussione.
In nessun altro momento storico si è avuta una tale produzione di sapere, ma il mondo non sembra aver tratto alcun particolare vantaggio dalla nuova possibilità offerta dall' evoluzione della conoscenza. L'avere a disposizione una quantità sempre maggiore di conoscenza e vederla circolare tanto rapidamente per effetto dei processi informativi e comunicativi lasciava sperare in un mondo qualitativamente migliore. Ma a quanto pare non basta essere quotidianamente sommersi dalle informazioni per avere la possibilità di definire meglio l'orientamento della nostra esistenza.
Secondo alcuni autorevoli studiosi, "lo svilupparsi dell'industria della conoscenza si accompagnerà necessariamente al controllo dei suoi prodotti e questo al loro possesso e uso. Agli individui non resterà che partecipare a questo processo in veste di semplici consumatori con scelte limitate se non obbligate" (Capecchi-Livolsi 1989).
A questo punto appaiono evidenti almeno due grandi problemi con i quali il soggetto e la collettività sono chiamati a misurarsi: la enorme disponibilità di conoscenza e le evidenti difficoltà di fruirne in tutto o in parte; i limiti e i vincoli imposti dai detentori di una conoscenza intesa come merce da vendere o nel migliore dei casi da scambiare.
E' per questo che sempre più spesso quando si parla di conoscenza si è costretti a parlare di élites culturali o politiche e di potere. Se conoscenza è potere, potere di decidere e potere di fare, ricorrendo anche in questo caso al paradosso potremmo dire che il potere in una società aperta è alla portata di tutti in considerazione del fatto che la conoscenza,almeno nella accezione generale, si presenta come res nullius, bene a disposizione di tutti .
Ma vi è un altro elemento da non sottovalutare: la diffidenza per una conoscenza che arriva dall'alto, prodotta da élites culturali sospettate, talvolta a torto ma molto spesso a ragione, di voler esercitare una egemonia sulle classi meno colte.
Questione questa ampiamente affrontata dagli studiosi sociali e strettamente legata al tema più ampio del controllo sociale e dei mezzi e dei meccanismi attraverso i quali gli individui vengono "obbligati" ad attenersi alle norme sulle quali il sistema sociale complessivamente si regge.
In una società complessa dove è impensabile poter esercitare il controllo sociale attraverso la coercizione o la forza, i risultati desiderati possono essere ottenuti con la definizione dei bisogni, dei modelli di comportamento, ma soprattutto di comunicazione. Insomma chi ordina il sapere o i saperi, chi gestisce la conoscenza e chi la diffonde esercita sulla società una influenza profonda, una egemonia culturale che lascia spazi minimi alla elaborazione personale e alla produzione personale di senso e di orientamento.
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Così che, in quella che spesso in modo improprio viene definita "società trasparente", tutto pare congiurare in favore della opacità e del silenzio o di un clamore che sempre più spesso sembra voler nascondere la realtà. L' Occidente ha capito da tempo come in una società che respira grazie alla circolazione dell' informazione, il regolare questa informazione costituisce un elemento determinante del potere.
Ma cosa vuoi dire potere? Secondo alcuni è la capacità di influire sul comportamento altrui e di controllare i mezzi per esercitare tale influenza non soltanto oggi ma anche domani e dopodomani. Naturalmente dobbiamo evitare di attribuire ai mezzi di comunicazione di massa più potere di quanto in effetti non ne abbiano, ma resta il fatto che il settore dell'informazione è uno dei più delicati nella moderna società e che riveste un' importanza eccezionale soprattutto se si tiene conto delle sue capacità di condizionamento.
E come ricorda V. Rovigatti, appare chiaro che " i mezzi tesi ad informare (a dare cioè notizie di interesse generale rivolte al pubblico e pertanto destinate ad una larga diffusione) hanno un grande ruolo nella formazione dell'opinione pubblica. Tanto più quando le notizie in sé e il modo con cui vengono presentate, sono capaci di sollecitare nel pubblico reazioni rapide e virtualmente contemporanee a carattere prevalentemente emotivo".
Uscire dal condizionamento significa avere la precisa consapevolezza che l'immenso potere dell'informazione non può non essere, a sua volta, condizionato da i giochi e dalle manovre di altri poteri come quello economico e quello politico. Il più condizionante dei poteri non sfugge esso stesso alla logica del condizionamento poiché spesso deve sottostare a regole che sono decise altrove e in funzione di interessi che non sempre hanno a che vedere con l'informazione stessa.
Tuttavia non è possibile dimenticare che il cosiddetto "quarto potere" in moltissime occasioni si rivela il "primo potere", la cui capacità di orientamento o, come è più realistico dire, di condizionamento è senza dubbio eccezionale e, in molti casi, decisiva. I mass media tendono a rafforzare più che a modificare i gusti, le opinioni e gli atteggiamenti del pubblico. Si rafforzano quindi gli atteggiamenti preesistenti, e i mutamenti che avvengono piuttosto raramente hanno bisogno di una lunga opera di convincimento.
Quando si affrontano, per esempio, argomenti ad alto valore conflittuale è molto probabile che non si producano cambiamenti ma piuttosto una radicalizzazione, un rafforzamento delle convinzioni di ciascuno. Questo rafforzamento è favorito da alcuni elementi e principalmente da una situazione sociale di maturità, una situazione stabile senza grandi problemi o, al contrario,da condizioni di crisi e di instabilità.
Secondo Klapper(1970). in una società stabile i mezzi di comunicazione di massa hanno in genere l' effetto di rafforzare le opinioni e gli atteggiamenti già esistenti, mentre in una società in crisi, visibile o latente,  essi tendono a promuovere il cambiamento, imprimendo una spinta all'azione, alle aspirazioni profonde e a quelle tendenze già presenti ma inespresse.
 
Tuttavia, è sempre più evidente l'intreccio tra il possesso di informazioni e la gestione del potere. La conoscenza e i sistemi di comunicazione non sono asettici o neutrali dal punto di vista del potere. Ogni "fatto" utilizzato negli affari,  nella vita politica e nei rapporti umani di tutti i giorni deriva da altri "fatti" o assunti chesono stati foggiati,  deliberatamente o no, dalla struttura di potere preesistente. Ogni fatto affonda quindi le sue radici nel potere passato e influisce su quello futuro: ha un impatto , grande o piccolo, sulla futura distribuzione del potere (Toffler 1991).
Per questa ragione il campo dell'informazione è in perenne stato di guerra, per ridefinire continuamente la mappa dei poteri a favore di questo o quel gruppo politico e/o economico, a seconda degli equilibri che via via si manifestano. Il risultato che con tale guerra si intende raggiungere è l' affermazione di un gruppo di potere e, conseguentemente, il dominio delle coscienze.
Il rapporto tra opinione pubblica e democrazia è strettissimo e di solare evidenza poiché la prima è il fondamento, la sostanza, della seconda.
Fino alla comparsa sulla scena dei mezzi di comunicazione di massa, l'esistenza di una pubblica opinione era garantita dai giornali e la qualità dell'informazione veniva assicurata da una stampa sostanzialmente libera e pluralistica. "In confronto alla stampa dell'epoca liberale, i mass media da un lato hanno raggiunto una forza di penetrazione e un'efficacia incomparabilmente maggiori: con essi si è estesa la sfera stessa della dimensione pubblica; dall'altro, si sono allontanati sempre più da questa sfera per penetrare in quella, un tempo privata, dello scambio di merci.
Quanto maggiore diventava la loro efficienza pubblicistica, tanto più essi diventavano accessibili alla pressione di interessi privati ben determinati, sia individuali che collettivi. Mentre prima la stampa poteva soltanto mediare e rafforzare il dibattito dei privati raccolti nel pubblico,  adesso, viceversa,  esso è plasmato dai mass media" (Habermas 1988).
Ma c'è anche la possibilità che l'opinione nel pubblico non sia per niente un'opinione del pubblico. Non sta scritto da nessuna parte che una opinione pubblica debba essere autonoma: può essere o essere resa eteronoma.
In entrambi i casi è un'opinione che si colloca materialmente nel pubblico ma la prima sta alla seconda come un originale sta ad un falso. Anzi, ancora di più, un'opinione pubblica prefabbricata eteronoma è non solo la contraffazione ma anche la negazione di un'opinione pubblica autonoma.
La distinzione tra opinione nel pubblico e del pubblico è una distinzione cruciale, essenziale se vogliamo osservare lo stato della società e della democrazia.
Va da sé che un'opinione pubblica pienamente autonoma o pienamente eteronoma costituiscono " idealtipi" che non possono esistere come tali nel mondo reale" (Sartori 1979).
Bisogna cercare di capire in quale modo e attraverso quali strumenti vengono a formarsi o vengono formate l’opinione pubblica.
K.W. Deutsch (1970) descrive un modello che individua una serie di processi discendenti,  a cascata, i cui salti sono intervallati da "vasche" nelle quali le acque si rimescolano continuamente. In questo modello i livelli, i serbatoi o le vasche della cascata sono cinque.
Nel primo livello,  secondo Deutsch, circolano e si confrontano le idee delle élite economiche, sociali e culturali.
Nel secondo livello si incontrano e si scontrano le idee e le visioni delle élite politiche e di governo.
Il terzo livello è costituito invece dalla rete delle comunicazioni di massa e quindi dal personale che trasmette e diffonde i messaggi,  ovvero gli operatori dell' informazione.
Al quarto livello troviamo invece i leader d'opinione a livello locale, e cioè quel 5-10 per cento della popolazione che ha un interesse diretto per la politica che partecipa attivamente allo svolgersi dei fatti sociali, che è attento ai messaggi dei media ed è in grado di decifrarne i contenuti evidenti e sottintesi, e che di conseguenza è punto di riferimento per importanti segmenti della popolazione. Questi opinion leader riconosciuti dal pubblico a livello locale, hanno la possibilità di orientare e di plasmare le opinioni dei gruppi sociali attraverso la propria lettura e interpretazione della complessità.
Il quinto livello,  infine, nel quale tutto confluisce è costituito dal demos, cioè dal serbatoio complessivo dei pubblici di massa...
A tutto ciò occorre aggiungere che nello stesso tempo, assistiamo alla nascita e alla crescita di una "opinione pubblica reticolare" che trova la propria ragion d'essere nella interpretazione dei fatti e dei problemi del vissuto quotidiano. Un'opinione pubblica che si forma dal basso e che guarda con sempre più evidente sospetto ai messaggi, alle idee, alle indicazioni che, attraverso il sistema dei mezzi di comunicazione di massa, giungono dall'alto.
Ecco perché è cresciuta nei soggetti della rappresentanza politica e istituzionale l'ansia di cogliere, di capire, di interpretare ogni sia pur lieve movimento o spostamento di opinioni odi interesse all'interno del corpo sociale.
Un'ansia dimostrata dalla proliferazione incredibile degli istituti e delle società di rilevazione demoscopica, dalla promozione a scienza esatta della doxometria e dalla proposizione ormai quasi ossessiva dei risultati di sondaggi sui qua li sempre più spesso sembra gravare il sospetto di un uso scorretto e strumentale. Tutto ciò "mette in luce le gravi responsabilità di quanti, sia pure con responsabilità diversa, hanno in mano il potere di "comunicare": editori e giornalisti, produttori e registi , emittente e programmisti e più in generale, operatori dei mass media" (Maccari1989).
“La comunicazione di massa e, più in generale, la cultura di massa, alimentano oggi quell'euforia dell' infelicità", come l'ha definita Marcuse, che riesce a incanalare le attese dell'uomo verso una ricerca della felicità racchiusa unicamente nel consumo, nel benessere materiale fine a se stesso, nell'evasione dai problemi reali, nella dimissione da ogni impegno comunitario" (Zanacchi1990).
...A tutto questo vi è da aggiungere il comportamento degli opinion leader, i quali, dimentichi delle loro responsabilità, non hanno alcuna vocazione pedagogica. Preferiscono mostrarsi e mostrare a tutti la loro sapienza per farsi riconoscere come portatori di una conoscenza che peraltro non sono disposti a condividere con nessuno."

Da questo saggio si possono trarre importanti spunti di riflessione.
Il sistema, è ormai cosa nota, gestisce l’informazione ma anche, in modi indiretti e spesso occultati, la stessa contro-informazione:  per cui, il prodotto che giunge al cittadino medio è la disinformazione, cioè la famosa “verità ufficiale”, più efficacemente divulgata se contenente, al suo interno, un'apparente dialettica di versioni "opposte", provenienti però dalla stessa indistinta "fonte di divulgazione"
Alla lunga, questo perverso meccanismo, produce anemia intellettuale, passività e pigrizia inconscia.
La maggioranza dei cittadini finisce per perdere così quella capacità di analisi critica nel leggere le notizie e, quindi, farsi un’opinione personale dei fatti e degli eventi di cui viene a conoscenza. 
Lo scopo del sistema al potere è quello di impedire l’accesso dei cittadini alle notizie oggettive e, al loro posto, offrire un complesso sistema informativo apparentemente pluralista ma sostanzialmente monolitico. L’informazione per il consumo di massa dirige tutto il sistema e le fonti di notizie “ufficiali” sono vitali all’interno di questo processo informativo globale.
In questo contesto, la stessa libertà di informazione è in serio pericolo anche perché i media a larga a diffusione appartengono a pochi grandi gruppi di imprese, che tentano di mantenere ed estendere il controllo su gran parte delle fonti ufficiali di informazione.
La posizione politico-economica di questi stessi gruppi dipende, a sua volta, sempre più, da contenuti prestabiliti e notizie preconfezionate (conflitto di interesse)
Si crea così un rapporto simbiotico tra chi diffonde le notizie e chi le fornisce. Gli oligarchi al potere ricercano a tutti i costi il consenso e lo fanno anche attraverso l’eliminazione delle voci libere e il consolidamento della proprietà dell’informazione nelle mani di pochi gruppi dominanti.

Il luogo comune che ha sempre accompagnato la nascita e la diffusione di Internet come canale di diffusione e propagazione dell’informazione è la sua intrinseca capacità di garantire una maggiore libertà di espressione. Web, blog, twitter, i contenuti viaggiano senza che nessuno possa realmente impedire che le voci vengano censurate.
Ma la verità è che Internet diventa un grande normalizzatore di stili di vita ed è il più grande strumento per colonizzare il pensiero di una moltitudine di persone che risiedono nei luoghi più diversi del pianeta.
Internet diviene infatti il "luogo" di legittimazione di una nuova "ufficialità", solo in apparenza estranea ai sistemi di formazione del dato-notizia propri dei media tradizionali 
In ogni momento di discontinuità tecnologica che ha accompagnato l’evoluzione dei media si è sempre determinato un ordine di potere economico più ampio del precedente.
I padroni dell’industria mediatica sono oggi dei colossi che un tempo nessuno immaginava potessero esistere. Se da una parte i costi di accesso a internet rendono possibile a singoli e piccoli gruppi di portare la propria voce sulla rete è altresì vero che i capitali che possono garantire l’esercizio di un vero impero mediatico sono alla portata di pochissimi gruppi i quali tendono ad avere interessi plurimi in quella che è oggi diventata la comunicazione convergente video-dati-voce, declinata attraverso il controllo di più media, Internet-TV-Giornali.

In buona sostanza significa essere nella possibilità di immettere sul mercato risorse di un ordine di grandezza tale da mettere a rischio l’esercizio di una libera informazione in quanto condiziona le dinamiche degli investimenti pubblicitari, fonte primaria di sostenibilità del giornalismo.
E nell’era dell’informazione su internet, il fattore egemonico diventa la tecnologia.
Di fatto lo è sempre stata, ma oggi, rispettando la logica che ha finora ha mosso l’industria dell’informazione, lo diventa in modo ancor più evidente.
Piattaforme di distribuzione, infrastrutture di comunicazione sono gli elementi attraverso cui si esercita il nuovo oligopolio dell’industria mediatica. La disponibilità di capitali diventa prioritaria. Murdoch, attraverso le risorse finanziarie che ruotano attorno a News Corporation, è oggi impegnato nel tentativo di estendere il proprio impero sino a mettere in pericolo l’equilibrio che determina libera concorrenza e libero mercato. Google, elemento centrale e trasversale di intermediazione delle notizie, investe nei canali di comunicazione emergente che tendono a divenire essenziali in termini di distribuzione di contenuti e pubblicità, come il mobile e la TV.
A ulteriore testimonianza dell’iperattivismo che mobilita ingenti risorse finanziarie e crea il nuovo oligopolio dell”industria dei media, è anche l’ipotesi di fusione tra AOL e Yahoo!
E il rischio, o l’inevitabile conseguenza con cui dovremmo convivere e misurarci, è quello di una omologazione sempre più forte dei messaggi, in una cornice di novità e di contrapposizione al passato- abilmente ostentata, che, in realtà, sono esclusivamente tese a evolvere, con maggior efficacia, il sistemo di potere teso all'orientamento dei comportamenti della massa dei fruitori-consumatori della notizia e, in definitiva, del tipo di "prodotto" che essa inevitabilmente sottende.

22 commenti:

  1. Accidenti, complimenti per il post, Sofia.

    "Ma cosa vuol dire potere? Secondo alcuni è la capacità di influire sul comportamento altrui"

    Be' , 48, io penso che sia impossibile sottrarsi al potere, sia ridicolo vedere la liberta' come valore assoluto , da qui la mia frase , a commento di un tuo grande post di qualche tempo fa (quello su Kant e Marx), in cui commentavo che cedere la mia liberta' al potere condizionante di un '48 e' il miglior modo di limitare la propria liberta'.
    Devo anche dire, che in questo blog, molti altri commentatori esercitano grande "potere" ; il poggiopoggiolini , poi, e' un vero "maestro venerabile".
    Ovviamente sto un po' scherzando.......ma anche no....

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    1. In attesa che Sofia ti ringrazi, lo faccio per quanto mi riguarda.
      Ma poi la vera utilità della riflessione sul sistema dell'informazione e il potere (come già in tema di "corruzione") non è tanto eliminare il problema (cosa che è sempre utopica ma finisce per essere poi distopica), quanto rendersi almeno conto di come funziona. Almeno così si può capire da che parte si vuole stare e scegliere sul serio :-)

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    2. Non son "maestro" e tanto meno "venerabile": mi è stato insegnasto da "cattivi maestri" il valore del "sum, ergo cogito" e che quel "cogito" ha un "senso" se condiviso, solo per "restare umani".

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  2. Grazie, anche se non merito i complimenti perché l’articolo è tratto da un studio, che però è interessante quanto agli aspetti generali e, come anticipato da 48, come introduzione ad aspetti più specifici che 48 saprà illustrare egregiamente e con tutta la sua originalità. Vero è che il tema dell’informazione è un tema articolato e sul quale si potrebbe scrivere all’infinito. Qui è stato toccato il rapporto tra informazione e potere ed in altri precedenti post l’argomento è stato toccato sotto molteplici aspetti, molto interessanti.
    48 ha scritto un post incredibile, sulla precomprensione e sui meccanismi che indirizzano il nostro modo di acquisire informazioni
    Si potrebbe discutere del fatto che il diritto di informazione è oggetto di una specifica garanzia costituzionale, l'art. 21 e comunque come è tutelato il diritto ad essere informati?
    Si potrebbe parlare ancora dell’informazione a mezzo stampa (ma sappiamo già molto, sappiamo chi c’è dietro le maggiori testate e su come queste finiscano per appoggiare, anche attraverso un uso distorto dell’informazione, un gruppo politico piuttosto che un altro, sul potere di orientare i consumi, le aspettative, le adesioni).

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  3. E poi c’è il mondo di internet, dove la regolamentazione è ancora embrionale e le informazioni viaggiano a velocità sorprendente. E c’è chi se ne appropria per fare propaganda, di ogni tipo: politica (il successo elettorale di grillo ne è un esempio anche se , sempre su internet, si trovano articoli che dimostrano che il blog non è utilizzato in maniera così chiara e democratica come si vuole far credere), economica, anche religiosa (perfino la Chiesa si è adeguata). E chi questo strumento lo vuole controllare (la Cina e la Russia, ad esempio). O dominare (il che è possibile là dove maggiori sono le concentrazioni – in forma di monopoli e oligopoli - di coloro che detengono questo strumento).
    Ed è in particolare a questo aspetto che questo post vuole condurre, oltre a ribadire con forza che bisogna riappropriarsi della propria capacità di acquisire informazioni, della propria capacità critica, del proprio libero pensiero come quello che non accetta di essere controllato da nessuna autorità o forma di potere, sia esso politico, religioso, spirituale, economico o di qualsivoglia altra specie, ciò che in fondo ha sintetizzato Kant nel sostenere che la libertà di pensiero è la "capacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro".

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    1. Grazie Sofia. Ma mi attendo che la prosecuzione del discorso passi proprio per gli spunti che tu stessa stai approfondendo. :-)
      Ovviamente metteremo a punto un modello che, scartando le criticità più clamorose, consenta di conciliare le varie libertà in gioco.

      Ma la libertà più importante è quella dell'art.21 Cost. Cioè l'espressione del pensiero sulla base del più largo accesso democratico all'informazione, affinchè sia base per il diritto-fine più importante: la partecipazione di "tutti" alla vita democratica rimuovendone gli ostacoli (art.3, comma 2, Cost.)

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    2. Cara Sofia, come avrai intuito dalla mia risposta a 48, io non sono molto d'accordo con Kant.
      Certo, mantengo sempre un mio spirito critico, ma esso stesso e' influenzato dal contesto culturale.
      L'importante e' farsi influenzare dal giusto contesto culturale , come questo blog, per essmpio.

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    3. Beh, in fondo il problema della precomprensione evidenzia che l'autonomia sta nel rendere coscienti i propri antecedenti momenti (formativi e anche inconsci) di influenzamento.
      Insomma, come ho in precedenza espresso, l'approccio di Husserl e Gadamer è quello più produttivo in termini di consapevolezza :-)
      Il che vale anche per gli interessanti spunti di Sandrina...

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    4. caro bargazzino, e io sono assolutamente d'accordo con te. Mantenere uno spirito critico ed essere influenzati dal contesto culturale, sembra già un passo avanti. Ma, almeno per quella che è stata la mia esperienza, a volte potrebbe non bastare.La mia capacità critica non era sufficiente fino a qualche mese fa, eppure il giornale lo leggevo e frequentavo persone non proprio cretine (l'influenza culturale pure, quindi, non mancava).Riuscivo a capire abbastanza bene se alcune notizie erano di parte o meno, ma difficilmente se erano vero o no, se erano complete o meno. Il problema vero nasce quando le notizie non te le danno. Oppure quando te le danno in maniera mirata e studiata, al fine di nascondere trappole e inganni.Ed nche laddove l'informazione non manca, ci vogliamo mettere anche il mix tra l'influenza di grandi trascinatori che in realtà non vogliono insegnare nulla se non utilizzare l'informazione come strumento di detenzione del potere ed egocentrica autoaffermazione e masse di persone confuse, passive, deboli che si affidano solo per il piacere di appartenere a un gruppo o a una corrente (come se fosse una squadra di calcio)? insomma, il tema apparentemente semplice, nasconde delle insidie complesse, perchè al di là del dato oggettivo e materiale (la qantità e qualità dell'informazione)vi sono altri fattori che giocano un ruolo determinante (l'intelligenza, la capacità di critica, l'emotività, la psiche, la cultura, lo stato di necessità e tanto ancora). Questo blog è illuminante, eppure contribuire alla sua diffusione non è semplice: perchè smuovere le persone dalle proprie automatiche convinzioni, dalle tifoserie radicate, dalla cecità ostinata, ma anche dal costante lavaggio del cervello che queste subiscono è ardua impresa.

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  4. Bello Sofia:) la citazione di Marcuse mi ricorda quanto in ambito filosofico questo dibattito sia sempre stato centrale, mi viene in mente la scuola di Francoforte , Popper ((che si muove su posizioni ideologiche totalmente diverse)e per l'Italia Pasolini (che non è propriamente un filosofo, però i suoi testi vengono studiati nelle facoltà di filosofia).

    Marcuse e la scuola di Francoforte pongono l'accento proprio sulla stretta connessione fra tecnologia e informazione, fra libertà e capacità critica (capacità soppressa sapientemente alla radice, attraverso la diffusione del pensiero egemone).

    Del resto Popper sulla Tv dice qualcosa di simile, si sofferma sull'indiscutibile ruolo pedagogico della stessa, informa ma al contempo forma , ma che riflettere contenuti "dati" in modo tutt'altro che neutrale ( da liberista parte dal concetto di censura e arriva ad auspicare l'autoregolamentazione : ma questa è un'altra storia).
    Pasolini ne evidenzia il ruolo di mezzi di omologazione in cui il
    "fruitore" riceve i contenuti dall'alto in un processo chiaramente non democratico, anche lui, e non casualmente, insiste sul tema della tecnologia.
    Tecnologia che mi riporta alla conclusione del Post in merito al ruolo svolto da Internet. Internet come giustamente sottolineato, da Sofia, non sfugge a tale analisi , non perché implicito nel mezzo ( la scuola di Francoforte potrebbe non essere d'accordo sulla neutralità, ma qui ci inoltriamo, in ben più ampio dibattito filosofico, quindi sorvoliamo ) bensì in chi lo gestisce, ovvero centri di potere che per ovvi motivi non possono essere disgiunti dalle informazioni che veicolano( e su questo possiamo convenire tutti marxiani e non).

    http://www.mediamente.rai.it/home/bibliote/intervis/p/popper.htm
    http://risveglioglobale.blogspot.it/2011/11/pasolini-la-tv-i-mass-media-e.html
    http://www.ecn.org/hackerart/visionatotale.php?ID=655&argomento=mass%20media&autore=---

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    1. Anche il discorso sulla tecnologia a cui hai accennato, Sandra, è un altro aspetto peculiare dell’informazione. Perché le nuove tecnologie, quale riflesso della globalizzazione, hanno trasformato il mondo dell’informazione, hanno abbattuto le distanze e i costi della comunicazione. Né le merci né l’informazione sono più legati a un territorio. La rete contribuisce a formare spazi di trasparenza e partecipazione democratica, di valorizzazione di diversità culturali. Ma fino a che punto la globalizzazione e la tecnologia comporta il superamento degli squilibri economici? Le stesse Ict se è vero che da una parte contribuiscono alla diffusione di conoscenza, dall’altra riaffermano la distanza tra privilegiati “connessi” e la grande maggioranza della popolazione mondiale che non può ancora accedere alle infrastrutture di comunicazione basilari. E comunque la tecnologia a un costo altissimo e questo ci riporta al discorso sui monopoli, perché solo in pochi potranno permettersi il costo della tecnologia e il quarto potere (o il primo secondo alcuni – ossia l’informazione) in mano ai pochi detentori della tecnologia non potrà che essere strumentalizzato per mantenere quanto più a lungo possibile il potere stesso

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    2. Mi scuso, ma restando in tema , la mia "costosissima" :) connessione sparisce e al ritorno ignora le modifiche, la frase corretta era questa:
      Del resto Popper sulla Tv dice qualcosa di simile, si sofferma sull'indiscutibile ruolo pedagogico della stessa ( informa ma al contempo forma) che riflette contenuti "dati" in modo tutt'altro che neutrale ( da liberista parte dal concetto di censura e arriva ad auspicare l'autoregolamentazione : ma questa è un'altra storia).

      Sofia mi rallegra che sia tu che Poggiolini siate
      ispirati dalle riflessioni filosofiche, al punto che tu non resisti e diventi poetessa:)
      Sono poi piacevolmente sorpresa che PoggioPoggiolini stia dando a Nietzsche quel che è di Nietzsche, perché sono anni che mi devo sorbire la retorica, Nietzsche = ispiratore del nazismo. Sarebbe ora che si iniziasse a capire Nietzsche, invece di giudicarlo (e chi lo giudica o non lo ha letto o non lo ha capito).
      Ad esempio si potrebbe scoprire che è stato un precursore della psicoanalisi, il suo
      elogiare lo spirito dionisiaco, altro non è che un appello alla riappropriazione degli istinti vitali, c'è già in lui quello che Freud (con le debite differenze) definirà istinto di vita (Eros).

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    3. Nietzsche ispiratore del nazismo era una sciocchezzuola che già negli anni '80 era considerata luogocomunismo di bassa lega. Si vede che la deculturizzazione ha fatto, da allora, passi da gigante :-)
      Su Nietzsche e psicanalisi, credo che tutti abbiano almeno sentito parlare del libro "Le lacrime di Nietzsche"!

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    4. Ti assicuro che qualcosa nell'immaginario collettivo è rimasto...e questo se vogliamo è un esempio di come vengano distorte le informazioni e pilotata la cultura. Sei ottimista , traduci il tutti in alcuni:)

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  5. Dopo i giudizi dati da Pasolini sulla ferocia della televisione sterminatrice di cultura, come diceva magistralmente lui, chissa' che direbbe e che giudizio darebbe oggi su internet.

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    1. Ma lo sai che me lo sono chiesto anch'io? Ma non sarebbe una risposta così scontata. Internet in realtà ha due possibili approcci: fagocitante ("creo" la mia visione servendomi geneticamente del mezzo), o strumentale (utilizzo il mezzo al servizio di una formazione creata attraverso la ricerca individuale e l'atteggiamento critico derivante dallo studio convenzionale delle fonti).
      In altri termini: Pasolini avrebbe saputo come usare Internet; ma non avrebbe potuto impedire che fosse usata male dalla maggior parte del pubblico.
      Il che, senza che sia un paradosso, ci riposta al ruolo dllo Stato: solo col suo intervento sistematico e sostenuto in spesa pubblica per l'istruzione un sistema complementare di accesso alle fonti come Internet può divenire uno strumento al servizio dell'art.21 Cost.
      Il che ci porta a dover verificare se le forze che dominano Internet ammettano o esludano il ruolo dello Stato e della Costituzioni.
      Saremmo alle "solite": ma è proprio qui che vogliamo arrivare

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  6. Contributo importante. Anche a me non pare il caso di fasciarsi la testa prima di rompersela. Noi siamo qui a guardarsi negli occhi (metafora ..) e a darci di gomito : "Guarda, il re è nudo". Ma non siamo mai stati maggioranza.

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  7. POTERE MICROFISICO

    Una magica e intensa Sofia, con gratitudine verso coloro che hanno il desiderio di condividere, a introdurre riflessioni sul “potere” e sulle seguenti “sovranità”.

    Fondamentali le interconnesioni, bene proposte da Sofia, tra “potere e “sapere” con evidenza sulle modalità della loro “trasmissione”.

    Permangono, per certo coi “maestri del sospetto”, le analisi delle coniugazioni possibili tra “libertà” e “potere” attorno alle quali M Focault traccia un sentiero di conoscenza che conduce a smontare la moderna concezione del “potere”, istituzionale e giuridico instaurato con Hobbes, per mostrarne il carattere ideologico e la necessità di prender distanza per una “filosofia politica che non sia costruita intorno al problema della sovranità, dunque della legge e dell’interdizione. Bisogna tagliare la testa al re” (La volontà di Sapere, 1976).
    Il solco tracciato da F Nietzsche tra il “potere” di Dioniso e l’equilibrio di Apollineo fino al “dio è morto” nell’ uber-mensch.
    Un sentiero da percorrere con la “prospettiva della rana” che osserva il “potere” dal basso, considerando quello che si esercita sotto la superficie della “sovranità” e che genera gli effetti di “rapporti di forza” quotidiani presenti in ogni relazione sociale, in ogni espressione della cultura e del sapere fino a mostrare che ogni “verità” non è solo “strumento” ma anche “effetto” di una volontà del “potere”, del dominio del Panopticon di Bentham.
    Servono gli “scavi” archeologici di G Agamben nei territori del biopotere, il suo homo sacer, le riflessioni sul “vero valore dell’uomo che si determina in quale misura e in che senso egli giunge a liberarsi dell’io” (A Einstein) e anche l’inconscio colletivo di Jung per “restare umani”.

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  8. caro poggiopoggiolini, il tuo splendido concentrato filosofico è quasi un invito a scrivere una poesia (a cui mi è difficile resistere).
    Parlerebbe delle parole del potere, e del potere delle parole
    di potere e sovranità
    di libertà e potere
    del potere delle parole e della forza del silenzio
    Ma no, in fondo cosa potrei scrivere che milioni di poeti non abbiano scritto già.
    E invece mi è tornata in mente una frase di W. H. Auden che si addice particolarmente a questo momento storico: “quando le parole perdono significato, la forza fisica prende sopravvento”.

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  9. Importante e bel contributo, quello di Sofia, che mi fa rivenire alla mente uno tra i più importanti dibattiti sull'informazione mai tenutisi in un parlamento democratico. Quello che ebbe luogo nell'allora parlamento piemontese nel 1852.

    In quel dibattito, si confrontarono le menti politiche più acute dell'epoca: da Cavour a D'Azeglio, da Bon Compagni a Rattazzi. Già allora d'Azeglio ammoniva che la libertà di stampa ben poteva perire (non per repressione dall'alto ma anche) per mani proprie, se non praticata con giustizia e prudenza, e straordinariamente attuale era l'avvertimento del canonico Pernigotti: "se la menzogna entra per mezzo della stampa nel pubblico e nel privato, allora la Nazione applaudirebbe a una legge che venisse al riparo di tanti danni".
    La difficoltà, ben intuita dal Cavour, stava (e sta) nell'inconciliabilità dell'esercizio del diritto all'informazione con la repressione degli abusi che ne possono nascere. Ogni legge sul tema, per definizione, non poteva che essere imperfetta.

    Ma, ed i tempi odierni lo dimostrano, gli abusi possono essere pericolosi per la democrazia quanto una repressione, ed addirittura in essa trasformarsi, quando l'informazione stessa, soggiogata all'interesse di potentati economici, finisce per perdere i connotati del pluralismo, dell'indipendenza e della buona fede. Mai come oggi, per dirla con D'Azeglio, l'informazione sta "morendo per mani proprie"!!!

    Mi riprometto di leggere quelle pagine, quando avrò tempo. Chi verrà chiamato a risollevare il Paese dalle macerie dell'esperienza dell'Euro, non potrà non porsi anche il problema dell'informazione, sia in relazione alla prevezione degli abusi, sia in relazione all'indipendenza non solo dal potere politico tradizionalmente inteso ma anche dai potentati economici (che, per loro natura, diventano anche potentati politici). Chissà che in quel lontano dibattito, non si trovi qualche spunto interessante.

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    1. "...ma anche dai potentati economici (che, per loro natura, diventano anche potentati politici)."
      Se rammenti il punto di partenza di questo blog sulla questione, in realtà l'ipotesi ottocentesca (progressione da potentato economico che diviene poi politico) è assunta, in partenza, come stabilmente invertita (e da almeno 30 anni, cioè da SME-divorzio).
      Cioè il potentato economico è ormai per definizione il mandatario di una politica che ne è solo "prestanome".
      E ciò vive allo stato più puro nel campo dell'informazione, compreso Internet:
      http://orizzonte48.blogspot.it/2013/03/oltre-il-pud-2-oil-and-finance-thats-all.html
      http://orizzonte48.blogspot.it/2013/03/oltre-il-pud-1-la-cosa-20-la-casa-xyz.html

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  10. "a cosa vuoi dire potere? Secondo alcuni è la capacità di influire sul comportamento altrui e di controllare i mezzi per esercitare tale influenza non soltanto oggi ma anche domani e dopodomani."

    O anche ieri|

    L' IDEOLOGIA TEDESCA
    Karl Marx
    “Le idee della classe dominante sono in ogni epoca le idee dominanti; cioè, la classe che è la potenza materiale dominante è in pari tempo la sua potenza spirituale dominante. La classe che dispone dei mezzi della produzione materiale dispone con ciò, in pari tempo, dei mezzi della produzione intellettuale, cosicché ad essa in complesso sono assoggettate le idee di coloro ai quali mancano i mezzi della produzione intellettuale. Le idee dominanti non sono altro che l’espressione ideale dei rapporti materiali dominanti, sono i rapporti materiali dominanti presi come idee: sono dunque l’espressione dei rapporti che appunto fanno di una classe la classe dominante, e dunque sono le idee del suo dominio. Gli individui che compongono la classe dominante posseggono fra l’altro anche la coscienza, e quindi pensano; in quanto dominano come classe e determinano l’intero ambito di un’epoca storica, è evidente che essi lo fanno in tutta la loro estensione, e quindi fra l’altro dominano anche come pensanti, come produttori di idee che regolano la produzione e la distribuzione delle idee del loro tempo; è dunque evidente che le loro idee sono le idee dominanti dell’epoca.”

    Ed è vero fino al punto che; persone che non hanno patrimoni (ne mobili, ne immobili), che non hanno lavoro, o hanno un lavoro precario, o hanno un lavoro stabile mal pagato, e che sono già (“ già oggi”) retribuiti con salari dal potere d’acquisto che a stento gli permettono la “sopravvivenza”, e che altri, (sempre “nullatenenti”) con salari appena, appena più dignitosi, nonostante la vistosa retrocessione salariale e occupazionale che stanno subendo, hanno paura del ritorno alla lira e alla sovranità monetaria e fiscale, a causa della “svalutazione”? “Dell’inflazione”? Ne conosco “parecchi” di persona. E non solo operai, ma anche giovani universitari, che potrei tranquillamente definire figli di “proletari”. Cioè persone che da un ritorno dello “Stato” con capacità decisionali autonome, di tassazione, di spesa, di investimenti, di controllo del debito, di emissione di moneta, ecc.... avrebbero tutto da guadagnare (ovviamente dipende anche da come viene gestito, e quali scopi, quali fini si prefigge) Ma possibile che sono stati così condizionati? Gli hanno fatto il lavaggio del cervello? Mah!
    Potrei anche capire la paura chi ha qualche discreto “risparmio”, o patrimoni immobili, o un impiego ben remunerato, o almeno, dignitosamente remunerato, ma “questi” proprio non li capisco.

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