mercoledì 24 aprile 2013

RIFLESSIONE FRATTALICA: IL RISCHIO INCOMBENTE DELLO SPAGHETTI-TOTALITARISMO SULLE CENERI DELL'UEM?

Il "tramonto" del nuovo nazifascimo (vestito stavolta di darwinismo sociale anti-statalista), affacciatosi sul palcoscenico della Storia in forma di trattati "Von Hayek" e culminante nella moneta unica, ci porta ad una riflessione frattalica sulla dialettica delle forze nella Storia. 
Le ultime vicende sui vertici istituzionali ci danno la misura di un'accelerazione che conduce a ipotizzare una forma di rigetto popolare talmente forte e generalizzata - per quanto tardiva e solo in parte "consapevole"-, da segnare l'epilogo della stagione autoritaria, dell'anti-Stato costituzionale e democratico, perpetrata in nome dell' "€uropa". La situazione è meglio decifrabile sulla scorta di alcune premesse sviluppate in questo blog:
1. Come abbiamo più volte ipotizzato, saremmo oggi, nel 2013, con qualche possibile sfasatura di mesi, in una situazione analoga a quella del 1943. E più volte abbiamo detto che questa volta la Storia, prima manifestatasi come tragedia, si ripeterà in farsa.
2. In un altro post, sul "filone" del controllo dell'informazione, si è detto:
Il sistema, è ormai cosa nota, gestisce l’informazione ma anche, in modi indiretti e spesso occultati, la stessa contro-informazione:  per cui, il prodotto che giunge al cittadino medio è la disinformazione, cioè la famosa “verità ufficiale”, più efficacemente divulgata se contenente, al suo interno, un'apparente dialettica di versioni "opposte", provenienti però dalla stessa indistinta "fonte di divulgazione"

Alla luce di queste premesse, possiamo valutare una tendenza ricorrente nella Storia.
Ogni volta che una forma autoritaria nega la democrazia fino al punto da suscitare un deterioramento del livello di vita che conduce a un dilagante dissenso popolare, ciò può determinare la concomitante spinta all'affermarsi di una reazione simmetrica (nella Rivoluzione francese la parabola dell'Assemblea nazionale dalla Costituzione al Terrore e poi al...Termidoro, ne è stato il primo esempio moderno).
Cioè di una spinta altrettanto autoritaria ma guidata dall'idea che ad una certa classe dirigente "autoritaria", che si era impadronita dello Stato fino a coincidere con esso (dando luogo a un "totalitarismo"), debba sostituirsi una nuova classe dirigente autorizzata a perseguire valori sociali generali opposti e con altrettanta autorità.
Questo contrapposto autoritarismo sarebbe cioè una "necessità" conseguente al tipo di nemico da combattere, radicato dentro la struttura del potere, e quindi profondamente istituzionalizzato, che impone una eradicazione che non tollera compromessi. Cioè non tollera neppure il riconoscimento della precedente "effettività", intesa come adesione diffusa dei governati, del "regime" combattuto.
A rigore, questa visione politica potrebbe condurre alla integrale eliminazione di intere classi sociali che hanno prestato di fatto appoggio alla forma di governo del precedente autoritarismo, fornendogli appunto quella effettività senza cui nessun regime neppure dittatoriale, può realmente affermarsi (secondo pensatori come Kelsen, Mortati, Bobbio): e nella Storia lo stalinismo, l'esperienza dei Khmer e la stessa Rivoluzione culturale di Mao, forniscono eloquenti quanto tragici esempi di questa prassi, apparentemente assistita da una logica ferrea.
La precedente "effettività" (adesione diffusa al precedente regime), in questa visione rende intere "masse", in qualche modo, passibili di essere accusate di complicità, e quindi, in una misura che a un certo punto non si intende più distinguere -astretti dalla "necessità" del nuovo ordine- tutti colpevoli e sottoponibili a giudizio e punizione.
E nel non distinguere si ha facile gioco nell'eliminare ogni possibile concorrenza anche nell'opposizione al precedente regime, creando il mito dell'altrui "compromesso" come forma di complicità attribuita, in base a meri pretesti o comunque ad una visione "alterata", a coloro che pure combatterono il precedente regime abbattuto.

Come passaggio verso questa degenerazione, va ricordato che il tratto comune dello stalinismo nella sua proiezione "internazionalista", cioè fuori dai confini del paese in cui si realizzò nella sua forma più pura e integrale - con l'uso massiccio della polizia segreta "politica" e delle "purghe" di massa-, fu dunque quello della fissazione di un paradigma dogmatico di "ortodossia".
Un'ortodossia, cioè, che non si arrestava a fissare vincolativamente dei principi esplicativi del modello di società da instaurare, ma che ne impediva anche l'adattamento e l'interpretazione alle diverse circostanze che, nel tempo e nello spazio delle diverse realtà politiche di applicazione, si potevano ragionevolmente rendere necessari.
Dunque un sistema che esigeva una forte unificazione del pensiero e del connesso potere decisionale, come solo può consentire l'attribuzione della legittimazione a esprimerli a un leader assoluto (cioè che non tollera istanze di mediazione e discussione).

Ciò però presuppone tre condizioni concomitanti:
1) la forza politico-militare che assiste l'affermarsi delle nuova ideologia;
2) la preordinazione anticipata del sistema ideologico stesso, in modo da poterlo imporre senza discussioni anche a coloro che non hanno partecipato alla sua fase elaborativa;
3) la possibilità di accusare di "oggettiva" complicità col precedente sistema coloro che non solo non abbiano partecipato a tale fase fondativa ma che comunque non abbiano condiviso in pieno la sua visione organizzata e prevalente: e ciò anche se si siano opposti al precedente autoritarismo in base a diverse interpretazioni della società, e in particolare in base alla diversa idea di democrazia "pluralista".

Questo porta alla congiunzione inscindibile, da un lato del principio "chi non è con noi è contro di noi", dall'altro, per l'esigenza di intransigente unificazione della prassi (politico-economica), all'autenticazione di una figura di leader incontestabile, la cui parola coincide col bene supremo della società (o, attenzione, in un fenomeno più ristretto, anche solo del gruppo politico fin dalla sua fase di marcia verso il potere).
Il principio può infine riassumersi in quello "chi non è totalmente aderente alla parola del leader e alle sue decisioni è contro il bene supremo della società".

I riflessi di ciò si sono visti dapprima nella guerra civile in Spagna e poi nei conflitti interni alla stessa Resistenza italiana.
Il sintomo per eccellenza che preannunzia una tale deriva sta nel culto della personalità, riferibile a figure autoaffermatesi come carismatiche fin dalla fase di "marcia verso il potere".
Questo non significa che "ogni" figura di leader che sia capace di coagulare intorno a sè le forze di reazione contro un sistema antidemocratico sia di per sè il fondatore di un culto della personalità.
In effetti esistono, come nell'esperienza della Costituente italiana e dei presupposti CLN, dei casi di rinascita democratica posteriori a esperienze totalitaristiche, che passano - per nostra fortuna- per una coesistenza pluralista di diverse forme di opposizione al regime precedente. Cioè esperienze di "liberazione"  che implicano, nel linguaggio e nella prassi, un leale riconoscimento reciproco e non l'oltranzista ricerca delle permanente delegittimazione dell'oppositore "concorrente" (acuendo le divisioni del fronte resistenziale in base alla ricerca delle presunte corresponsabilità altrui, analizzate a posteriori in base alla irrinunciabile ostentazione del paradigma di prassi unica e purificatrice).

Persino, poi,  l'esperienza primigenia del comunismo sovietico ci mostra che il carisma di Lenin era improntato al rigore dell'analisi marxista nella sua fase applicativa, cioè era ancora volto a offrire una intepretazione politica più persuasiva di quella dei suoi avversari, per affermarla non solo con la forza militare ma anche mediante lo smascheramento delle contraddizioni, teoriche e pratiche, delle offerte politiche concorrenti nell'essere avversarie del nemico comune.
Dopo Lenin però venne Stalin, e qui si avverte la prevalenza dell'elemento leaderistico-narcisistico su quello della persuasività logico-politica: una personalità psicotica, come indubbiamente era Stalin, risultò irresistibilmente utile al consolidamento di un gruppo di potere, in modo da evitare che questo potesse di nuovo essere rimesso in contestazione.
L'ambiguo interesse di chi gli sta intorno si trasforma poi da complicità (idea di poter usare il leader per conquistare o stabilizzare il potere), in sudditanza: cioè il mezzo (l'accentramento dogmatico della decisione politica), che già tradisce il fine affermato nella fase fondativa -un paradigma unico di bene supremo della società-, arriva ad assorbire quest'ultimo nel nuovo fine della conservazione del potere. E chi era destinato a farsi "rappresentare" dal leader ne finisce vittima o servo ossequiente.
E come naturale conseguenza si instaura il regime della PAURA (come abbiamo visto, oggi ricorrente in forma farsesca). Non mi soffermo a lungo su questo aspetto.
Quello che preme di far capire- nelle dinamiche sociali come pure in quelle di gruppi più ristretti- è che il totalitarismo ha una spia rossa di allarme:
- il leader che si cura solo della sua affermazione personale senza più avere di vista coerentemente gli scopi iniziali dell'azione giustificante il suo ruolo, tutti assorbiti nelle sue decisioni incontestabili e di cui non deve più dare spiegazione logica;
- la paura degli aderenti al gruppo di esprimere una qualsiasi forma di dubbio o dissenso, anche solo determinati da esigenze logiche e pratiche di razionale adattamento dei principi alla realtà storico-sociale che si manifesta nei fatti.

Nella situazione attuale, ciò non è tanto importante per l'efficacia autonomamente scardinante dell'azione di "liberazione", che come abbiamo più volte evidenziato, sarà dovuta a forze superiori derivanti dallo scenario internazionale.
E' importante però per la fase "Costituente" che seguirà alla liberazione, quella dove sarà necessaria la saldezza e l'unità d'intenti di tutte le forze autenticamente democratiche e desiderose di riaffermare la sovranità costituzionale e nazionale. Riuscendo di nuovo a far prevalere la "ragionevolezza" del popolo nel perseguire i propri stessi interessi, fuori da ogni ulteriore "oscura" manipolazione: recuperare quindi lo Stato-nazione, in forma di democrazia costituzionale, come dimensione ottimale "possibile" di ripristino della stessa democrazia effettiva. E per giungere a questo risultato auspicabile, occorre fin da ora una forte unità di tutte le forze consapevoli presenti in Italia.
Perciò... 
Quando avvertirete un crescente disagio o timore di esprimere un dubbio o di esporre dei fatti di fronte a qualcuno che rivendichi la sua unicità e incontestabilità carismatica; quando vi accorgete che il vostro entusiasmo per le idee di abbattimento di una oppressione si sta trasformando nella preoccupazione di non interrompere il legame con la fonte, identificata come unica e incontestabile, delle decisioni da assumere, preoccupatevi.
Anche se questa volta sarà una "farsa". 
Il "terrore" avrà prevalso sullo spirito resistenziale e state correndo tangibilmente il rischio di cadere dal nobile perseguimento delle libertà democratiche al comodo ma raggelante terrore del "caro leader". Farsesco: il leader e il terrore
Interrogatevi su questa sensazione di sudditanza e rinuncia al pensiero criticamente autonomo: non è mai troppo presto per prevenirla e rimanere uomini liberi.   

3 commenti:

  1. Da stampare e inserire nel "kit del piccolo ortottero".

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  2. L'ultimo discorso bacchettone di Napolitano ai "partiti", cui si replicava con un applauso, che ha suscitato tanto stupore, a veder bene potrebbe far parte proprio in questo processo che porta verso l'8 settembre ed il celebre "tutti a casa".
    Posto che l'eurobaracca si regge ormai su stecchini marci, come dimostrato dall'ultima, impietosa, analisi di Sapir riportata da voci dall'estero, il problema sembra sia "non rimanere col cerino in mano", e quel "cerino", si chiama "responsabilità politica".
    Vero che il Parlamento è stato sminuito dalla nuova "costituzione materiale" che si sta affermando, vero anche che ha accettato di farlo. Ritengo personalmente che la fiducia data a suo tempo a Monti fosse "ricognitiva", scaricando tutta la responsabilità politica sul Capo dello Stato e la lettera BCE. In parte ha funzionato: è stato premiato con la non dissoluzione chi poi ha rifiutato quella responsabilità (PdL, Lega...), punito chi la ha sposata (PD. Visto come sono "politicamente acuti"???).
    Ora si replica il gioco. Vero che abbiamo tre poli che non vogliono parlarsi. Ma perché? Forse anche perché se due su tre si parlano si può formare un governo che riceva la fiducia. E fiducia vuol dire responsabilità politica! In un momento come questo? Giammai. Ecco quindi l'ipotesi del "Governo del Presidente", con il solito Parlamento sminuito, mortificato, ma politicamente irresponsabile, e quindi con i partiti in grado di presentarsi "candidi" al dopo-catastrofe (o almeno di tentarlo).
    Che il discorso di Napolitano non fosse anche dettato da uno sfogo (mi avete ridato il cerino in mano!!!)? Di sicuro, gli applausi meccanici erano il muro di gomma su cui lo sfogo si infrangeva (si, hai il cerino in mano: sei tu il Badoglio, affaracci tuoi.....).

    Oggi è stato dato l'incarico a Letta. Letta ha detto "governo di servizio, ma non a tutti i costi" (il cerino, io??? Io devo andare a firmare a Cassibile e dal fuhrer a dire che "la guerra continua"??? Oddiomio!!!).

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    1. Primo: notato che Sapir utilizza per il calcolo della recessione esattamente il criterio qui adoperato? Quello (auto)definito da praticoni :-)
      Per il resto.
      Il badoglismo si deve ancora manifestare. Qui siamo al disperato "serrate le righe" del PUDE. Il PDL inserirà dei suoi ministri e, conoscendone il "tratto gentile" e la "alta preparazione", saranno ai ferri corti in breve tempo. I vincoli ormai ineludibili di bilancio e di cassa porteranno alla crisi badogliesca proprio da parte loro, con la stessa continua polemica che esercitavano contro Tremonti.
      Ma in questo post, guardiamo un pò oltre. Queste dinamiche, malamente corrette dai media che preannunziano improbabili ravvedimenti UE sull'asuterity, saranno inevitabili; quanto lo smascheramento dell'idea di "riforma" per la crescita che affligge la governance europea, irrecuperabilmente.
      Il 25 luglio sarà una spaccatura clamorosa all'interno del PUDE, mai vista prima, con la dichiarazione di condanna di un'intera stagione.
      E l'8 settembre, ci scommetto, non sarà il "lettino" a doverlo gestire: semplicemente perchè non sarà lui badoglio. E' solo l'ultimo liquidatore.
      E allora assume seso dover prevedere come gestire il post 8 settembre; quando solo l'unità delle forze anti-PUDE, senza complicità coi badogliani potrà ridarci una speranza di democrazia.
      Ma l'unità implica l'assenza di "ortodossie" urlate e senza senso (anzi abilmente manipolate da sottili potenze) e dei "culti della personalità". Speriamo bene

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