mercoledì 8 maggio 2013

CHI L'HA VISTO? BREVE STORIA DEL (presunto) SINDACATO CONFEDERATIVO EUROPEO E DELLA TRATTATIVA IMMAGINARIA PER "PROMUOVERE L'OCCUPAZIONE" IN UEM

In margine al 1° maggio e al ruolo dei sindacati che, se si ha una "grande moneta", avrebbero dovuto essere un grande sindacato "europeo" (no?), per una tutela dell'occupazione di "grande respiro", riceviamo e pubblichiamo questo bel post di Sofia.
Enunciata cosmeticamente, come vedrete, proprio dall'Europa, la tutela di "grande respiro" qualcuno l'ha vista? Il "grande respiro" manca all'appello (salvo intenderlo come la naturale preparazione a un "grande dolore", che non è mancato).

Il PRIMA, DURANTE E 1 MAGGIO 2013 DEI SINDACATI.

Un contributo non indifferente alla liberalizzazione degli scambi fu dato, a partire dagli anni Cinquanta, dalla Confederazione Italiana Sindacati Lavoratori (CISL) e comunque dai responsabili di quelle organizzazioni che proprio agli inizi del decennio si costituirono nelle forme proprie del sindacalismo democratico, secondo il modello occidentale. Tale è il caso della CISL che venne fondata il 30 aprile 1950, nel quadro del processo che aveva condotto, dopo la rottura della Federazione Sindacale Mondiale, ormai asservita alla Russia, alla costituzione nel dicembre del 1949 della Confederazione Internazionale dei Sindacati Liberi (International Confederation of Free Trade Unions – detta anche CISL Internazionale).
Sono in molti a pensare che i sindacati non abbiano avuto allora e non abbiano oggi come obiettivo la liberalizzazione degli scambi e l'unificazione dei mercati, ma anzi l'abbiano fortemente avversato (in passato soprattutto a causa della loro mentalità difensiva che li portava ad aver paura di ogni mutamento che potesse creare problemi per l'occupazione esistente). Ciò in parte è vero, ma solo per quanto attiene al sindacalismo a guida comunista di quegli anni che si oppose, pregiudizialmente, tra l'altro, sia al piano Marshall, che presupponeva tale liberalizzazione e la promuoveva, sia al piano Schumann.
Ma se pensiamo alla Confederazione Internazionale del Sindacati Liberi e alla CISL in Italia la conclusione è assolutamente diversa e per dimostrarlo basta fare riferimento a due avvenimenti.
Il primo è la decisione, da parte del Consiglio generale della CISL, che si riunisce in Roma il 24 giugno 1954, di includere nel documento programmatico della nuova confederazione una dichiarazione a favore della liberalizzazione degli scambi; il secondo è la discussione alla Camera (1uglio 1957) sulla ratifica del Trattato di Roma, istitutivo del Mercato Comune Europeo (MEC), nel corso della quale intervenne in rappresentanza della CISL, in quanto membro del Parlamento, Giulio Pastore.
La presa di posizione a favore della liberalizzazione degli scambi si realizza nella parte della mozione programmatica approvata dal Consiglio generale che si riferisce all'avvenire del sindacalismo, ove si dice che l'associazione sindacale deve riconsiderare la sua natura e la sua azione "alla luce dei nuovi rapporti, economici e politici, che sono maturati nel processo di trasformazione del sistema capitalistico".
Sostanzialmente si agisce sull’allargamento della sfera d'azione del movimento sindacale. Una delle direzioni di questo progressivo allargamento avviene nella società internazionale nella quale il movimento sindacale si sente chiamato ad agire "sviluppando un processo di unificazione mondiale attraverso la solidarietà operaia, che si manifesta nella lotta contro le strutture economiche e politiche che impediscono una migliore ripartizione della ricchezza e nell'azione di solidarietà attiva che deve essere la pietra angolare del movimento sindacale".
Segue, nel documento, la riflessione sui "nuovi problemi" che il sindacato è chiamato a risolvere, e sui nuovi compiti, quindi, che il sindacato è chiamato ad assolvere. Fra questi problemi vi sono, con grande evidenza, "l'unificazione economica dei mercati" e la "liberalizzazione del commercio mondiale".
Ed è per risolvere questi problemi che il Consiglio generale della CISL, da poco costituita, prende posizione sulla liberalizzazione degli scambi, dichiarando che "essa intende affermare il proprio convincimento che i processi di liberalizzazione e di unificazione dei mercati possono attuarsi con un minimo disagio per i lavoratori, ove siano accompagnati da tempestive provvidenze internazionali e che, in ogni caso, il mantenimento dell'attuale struttura dei mercati non rappresenta, per i lavoratori, un sacrificio meno grave di qualunque altro relativo al loro allargamento".
Comunque la CISL ritiene che "i movimenti sindacali dei vari paesi sono in grado, mediante un' azione solidale sul piano interno e sul piano internazionale, di controllare il processo di unificazione dei mercati, in modo da evitare i riflessi dannosi per il tenore di vita dei lavoratori".
Nel secondo avvenimento, la questione della liberalizzazione degli scambi e della unificazione dei mercati è inserita nel discorso che Pastore fa in Parlamento, nel dibattito sulla ratifica del Trattato di Roma, sui vantaggi che l'economia italiana trarrà dalla realizzazione di un mercato unico europeo.
Pastore risponde alle obiezioni di coloro che criticano il Trattato e non vorrebbero ratificarlo accusandolo di "trionfo dell'automatismo del mercato". Gli accordi di Roma, invece, - secondo Pastore- rappresentano un nuovo punto di partenza nel continuo sviluppo di quelle esperienze di economia mista che ormai da parecchi decenni caratterizzano il mondo libero. Naturalmente occorre che contemporaneamente "le attese della classe lavoratrice italiana siano tenute nel massimo conto". Pastore non minimizza le previsioni meno positive formulate in ordine all'attuazione del Trattato, ma riduce tutto alle possibili problematiche legate all’adeguamento della nostra politica generale.
E quindi se da un lato ritiene che i lavoratori sono i soggetti più disponibili ad assumere le nuove responsabilità che derivano dai processi di liberalizzazione e di privatizzazione in atto in Europa e in Italia, dall’altro avverte che i sindacati saranno molto attenti a considerare le responsabilità politiche del processo in corso[1].

Dopo Maastricht cosa succede a livello di politica sociale?
Già nel 1992, i governi che avevano approvato la Carta sociale (11 per l’esattezza) decisero di annettere al Trattato di Maastricht un "Protocollo sociale" al fine di consolidare nel Trattato le iniziative di politica sociale. Con il Trattato di Amsterdam (giugno 1997) i paesi aderenti si impegnano a rafforzare l'azione sociale dell'Unione individuando nell'occupazione un impegno prioritario.
Con il vertice straordinario di Lussemburgo, del 20 e 21 novembre 1997, per la prima volta il Consiglio europeo si dedica esplicitamente al problema dell'occupazione dando avvio ad una strategia europea coordinata a favore dell'occupazione, che poggia su tre elementi: una serie di linee direttrici per la creazione di posti di lavoro, un metodo ispirato a quello utilizzato per la convergenza economica e un rafforzamento della cooperazione con le parti sociali europee.
Viene ribadita, inoltre, l'importanza del dialogo sociale nel tentativo di far sedere intorno ad un tavolo, per condurre trattative a respiro europeo volte a raggiungere posizioni comuni, tutte le parti sociali e cioè la Confederazione europea dei sindacati (CES- o ETUC - European Trade Union Confederation nasce nel 1973 e attualmente ne fanno parte 85 Confederazioni sindacali nazionali provenienti da 36 Paesi europei, e 10 Federazioni industriali europee, per un totale di circa 60 milioni di tesserati), l'Unione delle confederazioni dell'industria europea (Unice - Organizzazione, fondata nel 1959, cui aderiscono le associazioni dei datori di lavoro degli Stati membri dell’Unione europea e dell’EFTA), il Centro europeo delle imprese a partecipazione statale (Ceep-  associazione a carattere multinazionale che riunisce le imprese pubbliche e a “partecipazione pubblica”, nonché le organizzazioni da esse create, dei Paesi della Comunità europea, si configura più come un punto di riferimento culturale di tali imprese che come una organizzazione rappresentativa degli interessi dei propri associati), e infine, a livello ultraeuropeo, CSI- Confederazione Internazionale dei Sindacati o ITUC- International Trade Union Confederation costituita nel 2006  rappresenta 175 milioni di lavoratori di 311 organizzazioni affiliate di 155 paesi del mondo.
Vi sono affiliati tutti e tre i principali sindacati confederali italiani CGIL CISL e UIL.).
Tanto che nel trattato di Amsterdam (art. 139) la consultazione dei partner sociali ha acquisito un carattere obbligatorio. Se si esaminano le varie materie o problematiche sulle quali il Consiglio deve esprimersi, emerge subito che il problema disoccupazione  è solo accennato. Si stabilisce infatti che il Consiglio decide all'unanimità (!) sui contributi finanziari che mirano alla promozione dell'occupazione e alla creazione di posti di lavoro: ovviamente si tratta di fondi al di fuori del (cosmetico) Fondo sociale.
E già solo questo è sufficiente a dimostrare come solo le politiche cosmetiche che ruotano intorno al lavoro sono e possono essere oggetto di attenzione da parte della UE, non certo le politiche dell’occupazione.
E d’altra parte come si concilierebbero politiche dell’occupazione con la drastica riduzione dei salari, le nuove tasse, la riduzione delle pensioni, l'ulteriore smantellamento dei sistemi di sicurezza sociale che sono state promosse con il pretesto della crisi ma che invece sono state decise sulla base dei trattati europei?

E come non vedere che a queste misure (c.d. di austerità), solo per (dis)onor di firma fingono di opporsi i movimenti sindacali, quando invece questi:
-hanno avviato un dialogo ufficiale con l'Unione Europea e le altre organizzazioni commercial-imperialiste da decenni;
- hanno collaborato e concordato con i monopoli le misure antipopolari da adottare in ciascun paese; 
- hanno siglato accordi, accuratamente separati in ciascuna realtà nazionale, accentuando la non cooperazione e la concorrenza tra lavoratori dei vari paesi UEM, per ridurre salari e pensioni, consentendo licenziamenti e agevolazioni fiscali per il capitale;
- hanno proposto rivendicazioni funzionali al profitto dei padroni, sposando la linea della redditività del capitale e della competitività, sposando la teoria delle "aspettative razionali", in luogo del legame tra disoccupazione crescente e deflazione che si sta tragicamente confermando;
- hanno smorzato le lotte dei lavoratori,  accentuato forme di collaborazione con cessioni negoziali unilaterali dell’autonomia collettiva ed hanno avuto quale scopo principale quello di controllare la reazione dei lavoratori e, ancor più, di manipolare i loro convincimenti.
Come siano andate le cose in Italia è sotto gli occhi di tutti. Nonostante le parole di Pastore, “i riflessi dannosi per il tenore di vita dei lavoratori" ci sono stati eccome (!),  e il grande impegno e la lotta dei sindacati per impedirli non lo ha visto nessuno. Solo parole di circostanza, slogan e manifesti, propaganda e lucidatura di diritti cosmetici. Ed il silenzio sulla natura della crisi: debito privato da squilibri commerciali e calo della domanda, outputgap e mancati investimenti dovuti al "vero" dividendo dell'euro.
Su tutto: dove è stato il controllo o l’azione dei sindacati associati a livello europeo sull’operato politico, affinchè fossero rispettate le aspettative dei lavoratori conseguenti al trattato di Maastricht (quale prospettato da Pastore)? E tanto per limitarsi al periodo più recente, dove sono stati i sindacati nel periodo del governo Monti, quando è stata emanata la riforma Fornero che adesso il neoministro del Welfare Enrico Giovannini annuncia di voler cambiare perché coerente per una economia in crescita, ma non adatta ad una economia in recessione?
E dove sono stati in tutto il periodo di stallo fino alle recenti elezioni e dopo, alla formazione del Governo Letta?
E adesso?
Ci voleva giusto la festa del 1 maggio per riesumarli. Una festa anch’essa piena di contraddizioni, una festa per i lavoratori, ma che, nell’ottica di favorire il consumismo anziché privilegiare il diritto al lavoro, non impedisce ai centri commerciali di chiudere.
E cosa sentiamo dire ai maggiori rappresentanti dei gruppi sindacali riuniti a Perugia il 1 maggio? I soliti slogan e le solite promesse (nonché mere critiche alle forze politiche, senza menzionare mai l'€uro-pa) contro la crisi economica, le politiche di austerità, la disoccupazione, senza alcuna connessione alle ragioni storico-economiche, per prima la mitologia dell’euro e della deflazione,  che hanno determinato la situazione in cui ci troviamo, nonchè alle responsabilità connesse all’ostinato silenzio su questi aspetti, di cui si sono accorti, fuori dall'Italia, tutti ma proprio tutti: e fin dall’inizio della vicenda .
E quindi sentiamo la Camusso ribadire che occorre aumentare la  lotta all'evasione fiscale e che le risorse disponibili recuperate devono essere utilizzate  per la creazione di lavoro. Così come le sentiamo dire anche che: “Gli anni che abbiamo alle spalle sono stati caratterizzati da una folle rincorsa alla svalorizzazione del lavoro. Una rincorsa miope che ha contribuito non poco ad aggravare la crisi in cui siamo precipitati. La preferenza a speculare in borsa piuttosto che a investire, una competizione basata sulla riduzione dei costi invece che sulla ricerca e l’innovazione, il ricorso costante e perverso alla precarietà e ai bassi salari, sono le facce di un’idea sbagliata di economia e di un’idea mercificata del lavoro, che hanno fatto sparire dal gergo comune parole come dignità, sicurezza, identità delle persone”: ma dove erano i sindacati quando avvenivano le politiche di deflazione salariale e l’abnorme ricorso al precariato? E soprattuto, perchè non ne hanno MAI INDIVIDUATO le vere cause, mentre agivano sotto i loro occhi?
E non poteva mancare Bonanni, il più capace a non dire niente: Occorre un impegno "straordinario" e da parte di tutti per difendere l'occupazione e frenare la disoccupazione. Sì, col "pareggio di bilancio" in Costituzione e il credit crunch, figli dell'euro, che attanagliano intervento pubblico e il minimo di ossigeno alle imprese.
Insiste sulla necessità di abbassare le tasse sui lavoratori dipendenti, i pensionati e le imprese che investono ed assumono. E chiama tutti i lavoratori a raccolta per affrontare con coraggio una situazione che non si affronta con scaricabarili (da che pulpito!). “Senza lavoro una persona non ha dignità, non ha libertà”. Ma si guarda bene dal menzionare Maastricht e la folle rincorsa al saldo primario pubblico, impostaci per ripagare gli interessi sul debito dilatatosi a seguito del divorzio tesoro-bankitalia.
Luigi Angeletti della Uil la dice ancora più grossa: "I tre milioni di disoccupati che oggi si contano in Italia sono frutto non di una generica crisi internazionale. Su questi pesa la responsabilità delle scelte di politica economica fatte in questo Paese". In questo paese? Perché non riescono a pronunziare la parola Maastricht  e la contrarietà alla Costituzione di tutta la sua impalcatura, aggravata dall’inadempienza della tutela sindacale, ove mai concertata compattamente a livello europeo?
E Giovanni Centrella, segretario generale dell'Ugl:  "Tutti dobbiamo fare la nostra parte, dal sindacato alle imprese, dalla politica alle istituzioni, ma lo dobbiamo fare avendo scelto e condiviso lo stesso obiettivo".
Appunto! L’ obiettivo, loro, ce l’hanno ed è pure condiviso………………



[1] Vincenzo Saba, presidente della Fondazione Pastore, “Il ruolo dei sindacati nella costruzione europea” in “un secolo difficile – riflessioni sul 900 – Avagliano editore 2000

26 commenti:

  1. Grazie Sofia.
    La più grande colpa dei sindacati (e della sinistra in generale)? Aver abbracciato l'idea del libero scambio. Tratto da Joan Robinson, "What Are The Questions? And Other Essays" 1977: "When Ricardo set out the case against protection, he was supporting British economic interests. Free trade ruined Portuguese industry. Free trade for others is in the interests of the strongest competitor in world markets, and a sufficiently strong competitor has no need for protection at home. Free trade doctrine, in practice, is a more subtle form of Mercantilism. When Britain was the workshop of the world, universal free trade suited her interests.". Ed ancora, Dani Rodrik: "The liberal model has become severely tarnished, owing to the rise in inequality and the plight of the middle class in the West, together with the financial crisis that deregulation spawned. Medium-term growth prospects for the American and European economies range from moderate to bleak. Unemployment will remain a major headache and preoccupation for policymakers. So mercantilist pressures will likely intensify in the advanced countries.
    As a result, the new economic environment will produce more tension than accommodation between countries pursuing liberal and mercantilist paths. It may also reignite long-dormant debates about the type of capitalism that produces the greatest prosperity.". Come dice Thirlwall quindi: “Gli squilibri globali… producono un bias deflazionistico sull’intera economia mondiale… L’economia mondiale non sarebbe necessariamente in questa situazione … se avesse istituito dei meccanismi istituzionali per penalizzare i paesi in surplus che sono riluttanti a, o per qualche ragione non sono in grado di, spendere più o ridurre i loro surplus in qualche maniera. L’economia è fatta per le persone, non le persone per l’economia.”. I rappresentanti dei lavoratori, avendo abbracciato il libero-scambio, hanno accettato senza lottare la deflazione salariale a danno dei loro rappresentati. Credo che non serva aggiungere altro.

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    1. Credo che in tutto questo giochi un ruolo fondamentale l'idea inconfessata che il mercantilismo provochi un paradiso dei lavoratori, come quello propagandato, degli operai tedeschi che operano nell'industria esportatrice. Quindi,per arrivare a questa menzognera utopia, che non a caso viene riversata dai media, specie di sinistra, sugli italiani, si sia disposti a ignorare l'altra faccia della medaglia dell'imperialismo mercantilista che è implicito in ogni "free trade global strategy": la forzata compressione di domanda e spesa pubblica, fatta pagare al lavoro nei servizi (che diventano la nuova frontiera del capitalismo sfrenato basato su esercito di riserva e sottooccupati) e...la questione dei saldi settoriali in economie aperte e interconnesse. Cioè qualcuno altro, in qualche altra parte del mondo, paga (come noi PIGS rispetto ai tedeschi) per la prevalenza mercantislistica in un'area economica determinata.
      E questo qualcun altro reagisce: perchè mica ha aderito a Maastricht e all'UEM.
      E allora, come evidenzia Martin Wolff, i paesi deboli (ma solo per differenziale di inflazione, non per potenziale esprimibile da un buona politica economica guidata da uno Stato democratico), per chi tenta di imitare la germania, la parte "buona" non arriverà mai: prima hano subito l'imposizione mercantilista tedesca, poi subiranno la ritorsione difensiva monetaria e commerciale del resto del mondo. E in fondo, neanche i tedeschi, come popolo, hanno mai visto la cuccagna.
      Una follia.
      Consiglio di vedere il canale 531 sky, France 24, in inglese (?), dove ormai apertamente dibattono di queste cose tra francesi e tedeschi, consci che le rispettive popolazioni potrebbero presto non poterne più. Figuriamoci in Italia, nonostante il "tramonto del PUDE"

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    2. Hai ragione: ma quando hai economisti così (o come Reinhardt e Rogoff) che ti devi aspettare...ma ti rendi conto di quello che dice Gros?!?!?!?! Questo qui è da gabbio...ti segnalo inoltre, visto il suo avvallo alle politiche di svalutazione interna (che ricordo, stanno causando suicidi e denutrizione ai bambini), cosa ne pensa "tecnicamente" la Corte dei Conti sul suo "esempio da seguire" Monti... che venduto cavolo... scusa ma veramente fa schifo, come uomo.

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    3. Ma Gros gioca, non è un vero economista.
      Implica che si possa utilizzare la recessione-caduta della domanda interna (ammissione che la recessione è causata dalla politica fiscale e non altro), per arrivare stabilmente in surplus bdp. Grande cazzata che dimentica gli step antecedenti e seguenti del processo: vincolo valutario-svalutazione salariale-tagli spesa pubblica-degli investimenti privati-austerità-recessione-disoccupazione-deindustrializzazione-depatrimonializzazione-IDE-colonizzazione.
      Altro che non avrano più bisogno di capitali esteri: sarà perchè si saranno presi tutto e non avranno biosgno altro che...di se stessi.
      Un pirla

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    4. http://www.scenarieconomici.it/la-bilancia-dei-pagamenti-italiana-torna-in-attivo-in-termini-destagionalizzati-a-dicembre-2012/
      Da notare: "Restano passive le componenti Redditi e Trasferimenti". E lo saranno sempre di più.
      E poi chi effettuerà investimenti se non a condizione di ulteriore deflazione salariale?
      E la distribuzione dei redditi sarà sempre più verso l'alto e verso l'estero. Peccato che Gros non arrivi a capire la vicenda Irlanda
      http://www.independent.ie/business/world/the-world-is-labouring-and-failing-under-the-load-of-unsustainable-debt-29236743.html
      Persino i conservatori irlandesi si scusano e non vedono la ripresa

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    5. Più che pirla direi che, mettendo a confronto le sue dichiarazioni con quelle di Wolf, non rimanga che l'unica soluzione possibile. Piegato agli interessi di chi da questa situazione ci guadagna e ci guadagnerà. In una parola: venduto. Ma pure traditore. A leggere il suo intervento, credimi, mi è venuto il voltastomaco. Apologia del sadismo.

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    6. France 24 ha tre canali: oltre a quello in inglese anche uno in arabo e in francese (canale 541 di Sky). Proprio su quest'ultimo ho assistito alla presentazione di questo libro di Michel Santi: la discussione era di livello un po' diverso da quelle che siamo abituati a vedere sui nostri schermi.

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  2. Bene. La loro ideologia si capisce davvero bene. Bisognerebbe farlo leggere a tutti quelli che si esaltano per Landini (l'unico di sinistra "vera"... come no!) che non spende una parola su euro e europa. Spiega anche la posizione di Cremaschi... prima e dopo.

    Poveracci i lavoratori che ancora si fidano di questi 2 volte traditori!
    L'ho già twittato diverse volte, anche ai 3 pseudosindacati maggiori...

    (non voglio consumare i tasti a commentare ulteriormente, ma un articolo sulla passione sfrenata della Camusso per gli IDE? Vorrei capire se c'è qualcosa di più sotto, o se è il solito miserabile ...)

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    1. Gli IDE. sono chiaramente l'ultima frontiera del rifelsso pavloviano dei comunisti a creare situazioni di collasso del sistema capitalista, ancorchè non siano compresi dai lavoratori. Meglio un padrone straniero, che decide con ancora maggior libertà il livello occupazionale e retributivo, che dover trattare coi capitalisti italiani, ormai alla frutta per tassi di cambio reali e credit crunch (in una parola l'euro). Cioè l'euro gli ha fatto sì vincere la partita, ma distruggendo con una bomba al napalm lo stadio: cioè il sistema industriale italiano.
      E il bello che, per il dopo, non hanno neanche un Internazionale bolscevica a cui appogiare la rivoluzione, che alla fine sarà contro di loro.
      Se ti rileggi il post su Popper, con serenità, questo gioco si capisce benissimo

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  3. vorrei segnalare questo intervento nel seminario di PRC dove vengono riprese in modo sintetico e chiaro alcune cose dette nel post e altre cose che avevo (molto modestamente) segnalate nel primo compleanno di goofynomics di Pescara e cioè dell'EU funzionale alla subordinazione dell'area euro agli interessi USA (attraverso la fissazione del cambio dollaro-euro) e che qui trovo condivise.

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    1. La "subordinazione dell'area euro agli interessi USA" può al più riguardare il periodo 1950-79, cioè fino allo SME. Dopo è tut'altra storia. In mezzo però ci sono Bretton Woods e il piano Marshall, e la crescita-sviluppo industriali italiana, culminata nello statuto dei lavoratori e nella scala mobile. Se l'ideologia deflazionista risale a Friedman e ai neo-classici, l'applicazione europea è del tutto autonoma (e squisitamente crucca e ipefinanziaria eurocentrica-core), e come qui evidenziato, semmai competitiva rispetto allo stesso sistema USA.
      Oggi, anzi, la germania, col suo intero metodo di assoggettamnto imperialista dell'UEM e la strategia verso est, è fortemente antitetica alle aspirazioni USA )come dimostrano le prolungate tensioni aperte in sede G20), del nuovo difficile corso 0bamiano di reinvenzione della industria localizzata e della spesa pubblica di welfare nonchè in investimenti pubblici in tecnologia.
      Esattamente l'opposto che una strategia di assoggettamento alla influenza USA, che peraltro, per noi sarebbe (in parte) e lo è sempre stata, meno punitiva del vincolo esterno europeo.
      E anzi l'equivoco di sinistra, tipico dei sindacati, che ogni internazionalismo sia anticapitalista, quando è ormai chiaro il contrario, (OCSE, UEM, WTO) è alla base del processo di colonizzazione accelerata cui è sottoposto il paese da parte dell'UEM-banche franco-tedesche (a dirla tutta e fin dall'origine dell'euro).

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    2. 48, non so se sia utile, ma quanto scrive sul suo blog Brancaccio in merito a Graziani credo sia molto utile...non sono cose nuove, ma aiutano, che dici? E la chicca finale? Arguto fu l'economista...

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    3. "La fragilità del sistema produttivo italiano"? Scissa dalla considerazione del "vincolo esterno" che farebbe cadere per palese contraddizione questo compiaciuto e insisitito enunciato?
      http://didattica.unibocconi.it/mypage/upload/48751_20120523_100529_ITALYTHEREALEFFECTSOFINFLATIONANDDISINFLATIONPDF.PDF (qui già citato varie volte, ma veramente interessante per capire questo atteggiamento revisionista e intrinsecamente internazionalista).
      Che dire? Alla fine accenna pure che l'alternativa all'uscita dall'euro è la continuativa deflazione fino al susplus delle partite correnti, esatamente come Daniel Gros, dimenticando il prezzo strutturale sulla offerta (e la sua proprietà) e la scontata reazione degli 2altri meercati" mondiali

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    4. Tasto dolente (più che dolente e mai curato poiché : "... equivoco di sinistra, tipico dei sindacati, che ogni internazionalismo sia anticapitalista ...") che procura dolori da inizio XIX secolo. Pur essendo morto nel 1919 e sepolto a Coyoacán nel 1940. Averlo detto apertamente e con chiarezza avrebbe, secondo me, evitato sciagure che ci siamo dovuti, invece, beccare. Come minimo non si sarebbero forniti alibi su piatti d'argento.

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    5. Il che preuspporebbe una certa conoscenza della storia contemporanea...un lusso, direi, in tempi in cui la riemersione dell'errore tende invariabilmente a trasformarsi in menzogna manipolatrice (Nietschze anticipando)

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    6. Mettere sullo stesso piano Graziani e Gros sinceramente non rende giustizia all'economista italiano. Non sono d'accordo. http://www.emsf.rai.it/grillo/trasmissioni.asp?d=134

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    7. Ma non mi riferivo, infatti, a frasi di Graziani, quanto alle interpretazioni-commenti chiaramente di Brancaccio, che paiono rispondere a un copione fisso, no matter what sia l'argomento sul tappeto: ignorare geneticamente l'influenza decisiva del vincolo esterno e concionare di conseguenza sulla critica alla nostra capacità produttiva, colpevolizzando il modello italiano (che senza il vincolo era vincente)

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    8. Ah scusami avevo inteso male. Su Brancaccio siamo d'accordo!

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  4. Vorrei spezzare una lancia a favore di Landini, che mi pare il meno peggio dei sindacalisti in circolazione. Lo so, ci accontentiamo, ma come si dice: meglio un uovo oggi che una gallina domani.
    Avendo frequentato qualche volta gli ambienti sindacali (sono iscritto CGIL da anni) quello che mi sconforta è il bassissimo livello di preparazione culturale del sindacalista medio, a confronto del quale Landini è un gigante. Purtroppo le modalità di selezione della dirigenza sindacale avviene, come nei partiti, più per cooptazione che per meriti acquisiti sul campo. Spesso i dirigenti sindacali ripetono pappagallescamente cose sentite quà e là, mai discusse in maniera approfondita. Se d'altra parte vi capitasse di assistere ad un direttivo vi "divertireste" ad ascoltare noiosi interminabili sconclusionati linguisticamente indecenti discorsi basati sul nulla. Landini è diverso, quando parla, parla chiaramente.

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    1. sulla fumosa ignoranza non stento a crederti. Sevedeveva fin troppo. E qui lo evidenziamo.
      Quanto a Landini, accontentarsi, purtroppo non può cambiare il nostro tragico destino. La sua chiarezza è sempre affetta dalla clamorosa rimozione della verità: sull'europa e sull'euro, continuando a insistere su presunte responsabilità di inesistenti possibilità di scelta della nostra politica, una volta che siamo entrati in Maastricht.

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  5. il fatto che Landini sia saltato di corsa sul carro dei grillini la dice lunga sulla sua diversità
    http://www.dagospia.com/rubrica-3/politica/metalmec-comici-la-strana-alleanza-fra-grillo-e-landini-camusso-addio-54842.htm

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    1. Il che, nella sostanza, può rivelarsi anche ironico :-)

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    2. Non direi saltato sul carro dei grillini. Non è che se mi trovo d'accordo con Grillo su uno o più aspetti io sono grillino. Io ho votato rivoluzione civile alla camera e 5stelle al senato. Se si rivotasse oggi, in mancanza di valide alternative, voterei solo 5stelle, ma non perchè, ribadisco, mi senta grillino. Solo per mancanza di alternative: non ho mai creduto a chi magnifica il non voto in quanto consente semplicemente a chi vota di decidere al posto mio

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  6. Comincio a pensare che la storia delle banche che non danno credito sia un po' come quella della svalutazione che genera un'inflazione che fa aumentare di 7 volte il costo della benzina (citazione di Platerotti, per non togliergli i meriti . . . ), ovvero che una cosa basta ripeterla un sacco di volte perché tutti la credano.
    Provo a spiegarmi.
    Lavoro in una BCC dove gli impieghi (i prestiti) sono calati di circa il 2% nel 2012.
    Non abbiamo mai smesso di fare i mutui casa.
    Con la collaborazione della ns. "banca" specializzata nel credito alle imprese, abbiamo cercato imprese del ns. territorio, con buoni bilanci, non ancora ns. clienti, a cui offrire credito: facciamo fatica a riuscirci perché le grandi banche, appena sentono la ns. offerta abbassano i loro tassi, per non perdere quote di lavoro.
    Purtroppo, anche per il credito, è sempre il problema della domanda e dell'offerta: in questo momento, sarebbe inutile agevolare le assunzioni, perché le imprese (a parte quelle che esportano) vedono diminuire i fatturati e non hanno bisogno di nuovi dipendenti e così è anche per il credito.
    A meno che non si pensi che occorrerebbe dare credito a imprese che non hanno più futuro e che, con nuovo credito, tirerebbero avanti qualche mese in più.

    Romano

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    1. D'accordo. Se non c'è la domanda, estera e ovviamente interna, non c'è "economia" e...la moneta è endogena. E poi ormai l'aspettativa è deflazionista, per comportamento diffuso, forzato, su cui l'idea che le tasse si abbassano tagliando la spesa pubblica, determina ulteriore aspettativa.
      Però ciò vale anche per il mercato della casa...i mutui risultano drasticamente diminuiti, a prescindere dai tassi e dalla loro sostenibilità e dal livello di garanzia: è una questione di attese dei valori patrimoniali

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