giovedì 29 agosto 2013

MONETA "COMUNE": PUNTI OSCURI, PRO-DOMO GALLIARUM...

Si diffonde sul web la discussione sulla posizione di Frédéric Lordon relativa alla "moneta comune" che dovrebbe sostituire la "moneta unica", chiaramente insostenibile e modellata su una prevalenza politica delle oligarchie finanziarie.
L'analisi compiuta, che include la considerazione del problema della sovranità e del suo legame con la realizzazione della democrazia in senso moderno, - problema che potremmo dire "centrale" nel discorso qui svolto- ha un interessante, quanto non del tutto convincente, punto critico in questo passaggio:
"L’equilibrio si ritrova se, invece di una moneta unica, si pensa a una moneta comune, ossia un euro dotato di rappresentanti nazionali: degli euro-franchi, delle euro-pesetas, ecc. Immaginiamo questo nuovo contesto in cui: le denominazioni nazionali dell’euro non sono direttamente convertibili verso l’esterno (in dollari, yuan, ecc.) né tra loro.
Tutte le convertibilità, esterne e interne, passano per una nuova Banca centrale europea che funge in qualche modo da ufficio cambi, ma e privata di ogni potere di politica monetaria. Quest’ultimo è restituito a delle banche centrali nazionali e saranno i governi a decidere se riprendere il controllo su di esse o meno.
La convertibilità esterna, riservata all’euro, si effettua classicamente sui mercati di cambio internazionali, quindi a tassi fluttuanti, attraverso la Banca centrale europea (Bce), che è il solo organismo delegato per conto degli agenti (pubblici e privati) europei
Di contro, la convertibilità interna, quella dei rappresentanti nazionali dell’euro tra loro, si effettua solo allo sportello della Bce, e a delle parità fisse, decise a livello politico. Ci sbarazziamo così dei mercati di cambio intraeuropei, che erano il focolaio di crisi monetarie ricorrenti ali e-poca del Sistema monetario europeo (5), e al tempo stesso siamo protetti dai mercati di cambio extraeuropei grazie al nuovo euro. È questa doppia caratteristica che fa la forza della moneta comune.
Allontanato così il fantasma della convergenza «automatica» delle economie europee, sappiamo che certe economie hanno bisogno di svalutare – a maggior ragione con l’attuale crisi! Ora, il dispositivo di convertibilità interna della moneta comune ha l’immensa virtù di rendere di nuovo possibili queste svalutazioni, ma in un clima di maggior tranquillità.
L’esperienza degli anni ’80 e ’90 ha ampiamente dimostrato l’impossibilità di operare aggiustamenti del cambio in piena bufera di mercati finanziari interamente liberalizzati. La tranquillità interna di una zona monetaria europea libera dal flagello dei suoi mercati di cambio rende allora le svalutazioni dei procedimenti interamente politici, dove spetta alla negoziazione tra stati il compito di accordarsi su una nuova griglia di parità.
E non solo le svalutazioni! Perché il tutto potrebbe essere configurato secondo l’International Clearing Union proposta da John Maynard Keynes nel 1944, che, oltre alla possibilità di svalutazione offerta ai paesi con forti squilibri esterni, prevedeva anche di obbligare alla rivalutazione i paesi con forti eccedenti
".

Ora, ciò che veramente appare critico è pensare che la mera pressione del mercato dei capitali "interamente liberalizzato", possa essere identificata come la causa delle bufere che possono investire, prima di tutto, le monete e i corsi dei titoli del debito pubblico dei paesi coinvolti, ritenendo che la negoziabilità politica di nuove parità (cioè di nuove svalutazioni e/o simmetriche rivalutazioni delle varie valute europee coinvolte in un sistema di cambi differenziati ma inizialmente "fissi"), senza incisivi complementi istituzionali negoziati con cristallina chiarezza, possa ovviare ai non piccoli problemi che rimarreberro aperti.

La necessità di accordi continui e reiterabili, implica che la non accettazione della proposta da parte degli interlocutori (ma quali e come? Tutti insieme o solo, secondo il caso, in rapporti bilaterali, alquanto improbabili, trovandosi sempre dei "controinteressati" vulnerati, esclusi dal "patto a due"?), possa rendere impraticabile sine die una eventuale svalutazione, quand'anche assolutamente vitale per l'economia dello Stato che la richieda.

Di fatto il sistema potrebbe essere così farraginoso e incerto da implicare la perpetuazione di politiche "vincolate" (rigorosamente "dall'esterno") e stabilmente volte al deflazionismo (salariale) e alla rigidità fiscale austera, incapace di aggiustamenti anticiclici.
E quindi inidonea a determinare l'uscita dell'Europa dalle demenziale stagnazione oligarchico-neo classica, antistatuale, attualmente dominante. (Leggersi qui come Sapelli, lamenti lo scriteriato abbandono europeo della "cultura di Westfalia", di cui abbiamo parlato qui).

A conferma delle forti perplessità che un meccanismo così genericamente descritto (nonostante la lunga e pur condivisibile premessa sui problemi del sistema attuale), si dice anche che saranno i governi a decidere se riprendere il controllo delle rispettive banche centrali, e, quindi, della "politica" (ma ormai dovrebbe essere chiaro che si dovrebbe dire "costituzional-democratica") relativa alla funzione monetaria.

Una banca centrale nazionale "indipendente pura", cioè svincolata da obblighi di intervento sistematico sull'emissione dei titoli del debito pubblico corrispondenti al livello del deficit, ritenuto coerente con le esigenze di politica economica di ciascun paese - deficit sulla cui predominante funzionalità anticiclica si è limpidamente espresso Minsky, con un'analisi difficilmente oppugnabile-, è altrettanto efficiente di una BCE per perpetuare il "meraviglioso mondo di von Hayek" nella sua versione strumentale e tattica attuale.
E ciò specialmente in un sistema di cambi fissi che si differenzierebbe dallo SME per la stanza di compensazione di modello "keynesiano", la quale, sul piano normativo-istituzionale, non funziona certo con la via di uscita di continui "consensi reciproci" cioè di accordi modificativi del cambio; essa si potrebbe esplicare, piuttosto, in base ad obblighi, sanciti da un trattato multilaterale, puntuali e indicizzati, tali da non consentire alcuna discrezionalità al paese che si avvantaggia (poniamo, "a caso", la Germania o, nei nostri confronti, la stessa Francia).
Cioè non concedendo al paese in vantaggio commerciale (legato, sia chiaro, al cambio fisso "pro-tempore" vigente) una discrezionalità che è quella stessa dell'attuale adesione ad una modifica delle condizioni dei trattati vigenti (discrezionalità che i paesi "creditori" non hanno mostrato alcuna convenienza ad esercitare).
E questo inconveniente permarrebbe anche se, proseguendo l'assenza di un'autorità capace di imporre "automatismi ed indicizzazioni", esistessero, nel nuovo trattato, degli "obblighi a contrarre"; in tal caso, infatti, il problema, praticamente inaggirabile, sul piano del diritto internazionale, governato da sempre dalla prevalenza "de facto" del più forte, sarebbe quello della "eseguibilità forzata" (si dice "in forma specifica") dell'obbligo di contrarre.

In pratica, il paese che, per auto-colpevolizzazione ideologica, (in questo l'Italia, dai tempi di Andreatta, eccelle), o per altri motivi contingenti (una classe politica impreparata, pavida e disabituata a tutelare gli interessi nazionali, ad es;?), si trovasse in posizione di debolezza negoziale "precostituita", raggiungerebbe, nel sistema suggerito da Lordon, solo una transitoria panacea, nell'iniziale rifissazione dei cambi differenziati della "moneta comune".
Ma l'ignoranza protratta sulle divergenti dinamiche strutturali (e non "colpose")dell'inflazione, dovuta a quella stessa "propaganda" essenziale, nella considerazione del Minsky sopra citato, per l'affermazione delle teorie economiche neo-classiche, porrebbe i sistemi divergenti dei vari Stati europei, di fronte a un rapido riprodursi delle stesse problematiche del 1989-92. Solo che, in più, risulterebbero acuite dalla distruzione strutturale indotta, nei sistemi industriali dei paesi debitori, dalla crisi 2007...ad oggi: la recessione innescata dalla logica del pareggio di bilancio, è infatti praticamente senza termine finale (ben potendosi verificare, in attuazione di two-packs e fiscal compact, continue ricadute nella recessione stessa, per tutto l'arco delle imposizioni pluridecennali ormai istituzionalmente consentite alla Commissione "sostitutiva" dei governi ex-sovrani; aspetto che viene, senza mezzi termini, ribadito da Sapelli nell'articolo sopra linkato)

Un sistema del genere, dunque, invece che sulla contrattazione relativa alla revisione dei "cambi fissi" potrebbe reggersi, come nell'originaria idea keynesiana, solo su meccanismi automatici e intensamente vincolanti che i paesi core, Germania e Francia ("ri-salvata" dall'iniziale ri-aggiustamento), risulterebbero naturalmente restii ad accettare.
Se fossero mai stati "disponibili", in realtà, non saremmo già in questa situazione.

Quello che infatti emerge è che tutta la "costruzione €uropea" attuale, si basa sulla dogmatizzazione super-costituzionale (pretesamente tale, in modo non giuridicamente accettabile), di meccanismi che consegnano alle elites finanziarie - ed a quelle dei grandi oligopoli industriali, praticamente coincidenti negli interessi delle prime, specialmente in Francia-, il controllo pressocché assoluto dell'azione governativa.

Insomma, nonostante la bella premessa, in assenza di precisazioni, di gran lunga più discernibili, sui dettagli di questo nuovo assetto pattizio (pur sempre internazionale), la proposta di Lordon, risulta, allo stato, molto pro-domo propria. Molto filo-francese (e, dal suo punto di vista, è comprensibile): da dove nascerebbero il "volemose bene" e la solidarietà intra-europea che un sistema di ricontrattazione flessibile, ma "negozialmente discrezionale", quale quello da lui proposto, implica necessariamente?
E solo perchè "parrebbe", ma molto in apparenza, un compromesso accettabile per le oligarchie tutte, come sottolinea Lordon, costrette, in caso di rifiuto ostinato ad accettare un tale rinnovato assetto, a perdere tutto a causa della probabile diffusa rivolta popolare?

Ci pare un pò poco, come dimostrazione di buona volontà e, prima ancora, di realismo: in essenza, poi, le elites tedesche, e satelliti in generale, sarebbero certamente ridefinite nel loro potere "egemone" attuale.
Tuttavia, i sistemi nazionali di banche centrali indipendenti all'europea, figlie di un monetarismo selvaggio stigmatizzato da Lordon che, però, non scorge questa caratteristica come suo perno essenziale, da un lato consentirebbero alla sterile ideologia delle opache elites locali dei PIGS (Italia soprattutto) di continuare a controllare la situazione, dall'altro, riproporrebbero una potenziale egemonia francese in tale atipicissima "area valutaria comune" (anzichè unica e dis-ottimale).
Tanto più se il mondo "crucco" se ne stesse fuori, come pure potrebbe risultare probabile (e forse sperato da Lordon stesso).

20 commenti:

  1. Quindi da un'egemonia tedesca ad una francese senza soluzione di continuità ? Actually, I would prefer not to.
    Un tertium datur tipo basta con monete comuni da qui all'eternità? Vogliamo uno scisma antiluterano ma Napoleone no, per favore.

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    1. Ma sai qual'è il problema? Che nel trattato di maastricht e di Lisbona non c'era direttamente scritto "siamo al servizio delle oligarchie finanziarie". Anzi venivano offerti come "rimedi europei-uniti-insieme-che-bello! alla globalizzazione".
      E dunque, la "allure" per un certo tipo di cittadino impegnato (nella lettura di "Repubblica" o Il Manifesto) era irresistibile.
      Anche qui, Lordon, gioca sulla proclamazione (preceduta da analisi...altruistica) di un rimedio essenziale contro la recessione che penalizza l'occupazione.
      Ed anche qui, è bastato questo affinchè molti abbiano iniziato, qui in Italia, a rimirare la scarna imago (che certo non brilla per concreta capacità di inquadrare TUTTI i veri problemi che affliggono le nazioni flagellate dal vincolo esterno).
      Insomma, se viene dall'estero, per taluni, come già in passato, automaticamente dovrà essere una grande idea...o no? :-)

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    2. ... purché sia vincolo esterno, un'ideona. Quelle tristesse, quel ennui.

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  2. Ciao 48, ho l'impressione che questa è l'ennesima difesa dell'euro, nel senso che la proposta di Lordon (che ho letto per intero), sia un pessimo tentativo di "rattoppare" la moneta unica e tirare avanti. Mi sembra quasi che dopo lo SME (in)credibile del 1988/1992, Lordon proponga lo SME impossibile del 2013. A questo punto poteva dire, facciamo uno SME a banda larga con oscillazioni del ±10% per le varie euro-valute nazionali e usiamo una moneta comune tipo ECU per i pagamenti intra ed extra UE.
    Ma alla fine l'unica soluzione è uscire dall'euro e tornare alle moneti nazionali fluttuanti.

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    1. Meade insegna (elobensai).
      Ma poi, per il substrato psicosociale che coinvolge tale "quid novi" (?) rinvio in tutto alla risposta data a Sandra...

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  3. Questo è un vero parlar chiaro...Dirk Freitag (Istituto monetario europeo):''Perno del nuovo sistema tedesco e' ovviamente la moneta europea che pero' , secondo Dirk Freitag (Istituto monetario europeo), dovra' essere inchiodata al marco, o meglio dovra' essere tanto simile al marco da risultare di fatto la stessa cosa.''

    Karl Lamers, responsabile per la politica estera della Cdu:"In Europa dobbiamo comandare noi, ma senza che nessuno se ne accorga!" ("Wir mussen fuhren, aber ohne dass es jemand merkt!", "Die Zeit", 12 maggio).

    Il nuovo sistema tedesco si sta formando grazie ad una progressiva convergenza tra la messa a punto degli obiettivi economici e la definizione degli spazi politici dentro i quali sembra possibile raggiungerli; sicche' i cavalieri della Finanza come Norbert Walter (Deutsche Bank) propongono, e gli strateghi della politica come Lamers e Schauble (Cdu) si preparano a disporre. http://lospaziodeglistati.blogspot.it/2013/08/nessun-complottoce-lo-dicevano.html

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    1. Approximately...poi, partendo da mimesi del potere e dalla teoria dei "mercati saturi", hanno trovato la bella chiave di volta del "decrescismo" (repressione della domanda interna e "von Hayek per fessi" per tutti gli altri), tant'è che, anche in Italia, si crogiolano con questo:
      http://orizzonte48.blogspot.it/2013/02/decrescismo-e-teoria-dei-mercati-saturi.html

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    2. Se notate, tutte queste proposte hanno un denominatore comune: non mettere mai in discussione la deregulation ed, di conseguenza, impedire ad ogni costo la repressione finanziaria. Ovvero si rimpinza il paziente in cancrena di vitamine rifiutando anche solo l'idea di procedere all'amputazione. E questo perché il dogma liberista, al pari di un fondamentalismo religioso indiscutibile, lo impedisce.
      Sono proposte che non intaccano minimamente il progetto reazionario di restaurazione, come dici tu.
      La disonestà di chi le propone risiede del nasconderne il vero scopo, per questo non possono essere prese in seria considerazione da chi vuole veramente cambiare le cose.

      Lo sanno che senza una ridiscussione dei limiti del potere finanziario e del principio neotolemaico dell'universo che ruota attorno ad un Mercato deiforme ed infallibile, le crisi saranno inevitabili. Ma in realtà non vogliono impedire le crisi, perché sono ormai indispensabili alla loro stessa sopravvivenza. Chi propone cure palliative invece che risolutive e radicali e votate al bene generale e non di una minoranza rivela solo la sua appartenenza alla casta, magari solo nel ruolo del cane che raccoglie gli ossi sotto il tavolo.

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    3. Parole sante Barbara... Ma chi è' che vuole veramente cambiare le cose?

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    4. Barbara Tampieri (Lameduck)30 agosto 2013 10:38

      «Ma in realtà non vogliono impedire le crisi, perché sono ormai indispensabili alla loro stessa sopravvivenza.»

      Credo che la questione sia in temini ancora più crudi : la crisi non è un sottoprodotto è l'obiettivo.
      In natura tutti i flussi dipendono da una qualche differenza di potenziale (elettrico, termico, chimico, ...).
      Su un piano inclinato del cinquepermille l'acqua corre veloce, ma se la parete è verticale (la crisi) puoi avere una cascata e si ottiene un flusso enormemente maggiore. L'unico problema è approvvigionare l'acqua a monte.
      Questa questione è risolta. L'approvvigionamento è garantito dal «non mettere mai in discussione la deregulation ed, di conseguenza, impedire ad ogni costo la repressione finanziaria» (ibidem)

      ps trovo assai seccante dovere sempre vedere che si pretende l'economia come scienza sociale (con tutto quel che segue). L'economia funziona esattamente come tutto il resto : tu instaura una differenza di potenziale e otterrai un flusso di energia (attraverso opportuni coefficienti che descrivono le caratteristiche del mezzo)

      pps l'interfaccia web è un po' dispettosa stamattina

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    5. Dei nostri politici nessuno, visto che sono attigui se non incistati nel sistema. A questo punto dobbiamo sperare solo nel moto dal basso. Magari seguendo il detto: la fame leva il lupo dal bosco.

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  4. se mi posso permettere un paragone tratto dal mondo dell'ingegneria, la proposta di Lordon suona piuttosto come un tentativo di introdurre un qualche tipo di cedimento strutturale controllato nell'attuale sistema facente capo all'euro, in modo però che la costruzione complessiva non si sbricioli completamente di fronte alle sollecitazioni esterne: è quindi solo un modo per continuare a far sopravvivere il sistema rendendolo in grado di allontanarsi dal proprio stato stazionario per poter assorbire dei temporanei periodi di instabilità, ma assicurandosi che il sistema converga sempre verso un nuovo punto di equilibrio nel quale però i rapporti di forza attuali rimangano invariati.

    Insomma, l'unica soluzione limpida e chiara rimane quella del ritorno alle proprie valute nazionali e alla perdita dell'indipendenza delle rispettive banche centrali. Tutte le altre proposte che non contemplino questo punto di arrivo sono da rifiutare.

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  5. c'è un signore commerciante dalle parti dove vivo io, oramai anziano, il quale ha passato la vita a "ciulé" (in piemontese, significa "fregare", tirar "sole", imbrogliare) i propri clienti per anni e a campar bene. Spesso è riuscito ad imbrogliare più volte gli stessi. La sua massima era "quando ho finito il giro dei clienti, riparto dai primi i quali non si ricordano più di quando gli ho fregati in passato". Ecco, dopo lo SME, l'euro, dopo l'euro, la moneta comune! Tanto i "clienti" tendono ad avere la memoria corta.

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    1. Similitudine calzante. L'importante e' avere un'emergenza che "fa" vendere. Prima la lotta contro l'inflazione, raccontando che impoverisce i poveri quando era vero il contrario, ora contro la disoccupazione, che hanno intenzionalmente provocato e poi vogliono risolvere stabilizzando il nuovo livello dei salari...con ogni mezzo

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  6. Anche Keen, uno degli economisti post-keynesiani che preferisco, ha avanzato un'ipotesi di euro moneta comune ma precisando un punto su cui mi pare Lordon sorvoli: in che valuta andranno ridenominati i debiti e crediti finanziari? Perché se ci si attiene al precetto keynesiano "let the finance be national" (Keynes, dice Keen, avrebbe considerato "sheer madness" usare il Bancor per le transazioni finanziarie), non c'è dubbio che i creditori dovrebbero soffrire pesanti perdite. Se a ciò si aggiunge un meccanismo di sanzione dei surplus, mi domando quali forze sociali, e poi politiche, Lordon si immagina possano far propria una simile proposta nei paesi core.
    E sulla regolamentazione finanziaria, mi è piaciuto questo grafico (pagina 9 di un pdf di 27) contenuto nella presentazione presso la banca centrale greca del paper di Bordo e James di cui si è parlato di recente che presenta il tasso di mobilità dei capitali e l'incidenza delle crisi bancarie dal 1800 a oggi: sicuramente una correlazione spuria...

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    1. Lordon fa riferimento, se ben ricordo, alla stima di sapir: l'85% dei titoli francesi e' in l'ex contractus, cioè lex monetae, cioè regolabile sull'euro-franco (nuovo corso). Il punto e' l'accettazione della sanzione dei surplus, e della loro conseguenza pattizia automatizzata. Probabilmente il punto che non fece accettare la soluzione keynesiana. Von Hayek stesso considerava ciò inaccettabile, dovendosi privilegiare correzioni basate su deflazione salariale e tassi di cambio reale. Un' idea ormai consolidata che, se non affrontata a fondo, lascia i problemi intatti e le politiche fiscali anticicliche al punto zero attuale.

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    2. Quello che non capisco del discorso di Lordon è come possa da un lato sostenere che qualunque tentativo di riformare l'euro che metta in pericolo il potere dei mercati finanziari li scatenerebbe in un'ondata speculativa che non lascerebbe alternativa a una soluzione rapida che potrebbe essere solo il ritorno alle monete nazionali; dall'altra avanzi una proposta che, se presa seriamente, non si vede perché non dovrebbe suscitare la medesima reazione. Pensa forse Lordon di approntare una clearing union in un finesettimana o poco più? Oppure si parla di un ritono alle monete nazionali e poi in un secondo momento la moneta comune?
      Sulla "questione austriaca", ho trovato divertente, per così dire, nel penultimo paper di Cesaratto (17 pagine in pdf) le ampie citazioni di un economista di provata fede misian-hayekiana, nonché membro dell'Opus Dei (!), che esalta con toni entusiastici l'euro proprio per le sue virtù disciplinanti, oltre che sul piano economico su quello morale. E con un velo di zucchero sopra e il Sol dell'Avvenire europeista questa roba ce l'han spacciata per sinistra.

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    3. Mi pare evidente che Lordon aspiri a salvare capre e cavoli francesi: in sostanza, approntare una clearing union, de facto affidata alla negoziazione politica (quella vera di K. nessuno sa come avrebbe potuto realmente funzionare...ma ci torneremo), è un modo "mild" (formalmente) di rispristinare lo SME "credibile" di fine anni '80, dando alla Francia un nuovo livello di cambio iniziale (e rigiocarsi la grandeur coi crucchi).

      Il paper di Cesaratto me lo guardo senz'altro (mi spiace al più che un ragazzo in gamba come Istwine, accorciando il periodo della prospettiva considerata, non abbia scorto la verità genetica dell'influenza austriaca su tutta la faccenda)

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