lunedì 14 ottobre 2013

COSTITUZIONE, LAVORO E MODELLI N€OLIBERISTI "INTERNAZIONALISTI".

Al convegno di ieri "Uscita dalla crisi", mi hanno comunicato solo al momento in cui mi sono seduto che il tema di cui avrei dovuto parlare: era (pensate un pò), "Costituzione e lavoro". In più, mi hanno assegnato 10 minuti per parlare, ridotti a meno di 8', in conseguenza dei richiami preventivi ad attenermi ai tempi, (alquanto verbosi).
La prossima volta farò come Cesaratto che ha letto (rapidamente) il suo intervento. Ma credevo fossero interessati a capire come la sovranità nasce, nel suo concetto costituzionale contemporaneo, connettendosi a un'idea che non è affatto estranea allo "spirito" dei trattati di Westfalia, mentre l'internazionalismo oggi prevalente, dissimuli la resa a nuove forme di imperialismo intracontinentale (andandoci di mezzo proprio il lavoro: compreso quello dei piccoli e medi imprenditori). In fondo si trattava di una conferenza "sovranista" di un'associazione di piccole e medie imprese.

Avevo comunque preparato un canovaccio di intervento che si connetteva al tema; ma che era nato come RISPOSTA ALLA "PIEGA" CHE, senza sorpresa, per la verità, AVEVA PRESO LA MANIFESTAZIONE DI SABATO A "DIFESA DELLA COSTITUZIONE".
Quella che in pratica, per la sua assoluta vaghezza, (rivendicando la tutela del lavoro conforme a Costituzione, ma senza dire, in alcun modo esplicito, cosa effettivamente ne avesse intaccato il livello minimo), ha potuto dare la sensazione che ci sono dei "cattivi" che avrebbero potuto agire altrimenti, negli ultimi 20 anni, e dei "buoni" che...ora si risvegliano da un "sonno della Costituzione" che, a ben vedere, non si sono preoccupati di spiegare nelle sue (permanenti) ragioni
.
Beh, il canovaccio lo sottopongo a voi, che magari avete più voglia di ascoltarmi (leggermi). Almeno si spera :-)

1. La Costituzione si fonda sul lavoro. Ma che cosa intendevano con ciò i costituenti? E’ un modo per descrivere:
a) la natura del potere costituente primigenio e il fondamento della sovranità democratica;
b) e dunque una legittimazione ai diritti politici, alla appartenenza comunitaria come soggetto di riferimento principale delle politiche pubbliche, inerente a qualunque cittadino che eserciti un’attività che esprima la sua personalità e dignità sociali, non riducibile neppure al solo lavoro dipendente (negandosi, nelle intenzioni dei Costituenti, quali emergenti dagli stessi lavori preparatori della Carta, una pari legittimazione ai titolari di "rendite");
c) il contenuto e la funzione stessa di questa sovranità è quindi quello di tutelare i diritti fondamentali, imperniati sul diritto sociale del “lavoro” e sul principio redistributivo della eguaglianza sostanziale;
d) ciò spiega la seguenza logica degli artt. 1 3 e 4 della Costituzione (il senso dell'art.2 viene da sé, in questa cornice che, simultaneamente, consente di capire il legame con la Costituzione economica, come corollario inscindibile dei principi fondamentali: artt. 36, 38, 41, 43 e 47 Cost.). L'insieme di queste norme fondamentali delinea una Repubblica che è fondata su politiche pubbliche a sostegno della domanda aggregata (e non su politiche supply side, cioè esclusivamente a sostegno dell'offerta, nell'illusione neo-classica che, abbassando i costi di produzione, l'offerta, divenuta potenzialmente più conveniente, crei da sola la propria domanda; c.d. Legge di Say).

2. A seguito di Maastricht e, nel perseguire e mantenere i parametri fiscali che ciò impone, si verifica però un fatto scardinante di questa sequenza fondamentale del programma di democrazia insito nella Costituzione.
Da quando, cioè, siamo in saldo primario del bilancio pubblico (740 miliardi totalizzati in 20 anni), e in situazione di banca centrale indipendente “pura”, lo Stato non immette più un differenziale positivo di moneta che promuova il circuito economico produttivo. Cioè non immette più un “valore” aggiuntivo e non riesce a contribuire alla crescita del prodotto interno (riducendo anzi il livello di realizzazione dei compiti-obiettivi imposti dalla Costituzione nel campo economico e sociale e, di fatto, abolendo politiche fiscali autonome e il concetto stesso di politica industriale).
Semmai, dato che tale avanzo è insufficiente a coprire l’onere dilagante degli interessi passivi sul debito, dovuto appunto al regime di banca centrale indipendente (dal governo democratico), la tensione (creata dai privati mercati finanziari) ad accrescere tale saldo primario, fa sì che lo Stato, le politiche fiscali, frenino costantemente la crescita, e questo a prescindere dall’andamento del ciclo economico.

3. Gli interessi passivi, di un debito lasciato ai prezzi del mercato (ed espresso in una moneta non nazionale):
a- o vanno all’estero, cioè tramutano in redditi esteri il prelievo fiscale;
b- o si rivelano meri trasferimenti al sistema finanziario, che vanno ad accumularsi come risparmio bancario o di grandi soggetti economico-finanziari: che, in situazione di grave e perdurante debolezza della domanda, non si tramuta in credito erogato alle imprese ed ai cittadini e certamente non in investimenti (trappola della liquidità, per grandi imprese finanziarizzate, sempre che non siano, a loro volta, pesantemente indebitate).

Quindi, questi interessi, o diminuiscono il valore del PIL o comunque non vi si aggiungono, finendo nel “limbo” del risparmio che non alimenta gli investimenti.

4. Risultato; rispettare il tetto del deficit, imposto da Maastricht, e ancor più drasticamente, il pareggio di bilancio imposto dal fiscal compact, impedisce, da circa 20 anni, allo Stato di perseguire i suoi compiti costituzionalmente sanciti.
Le aree valutarie ottimali non stimolano la progressiva “convergenza”, ma al contrario tendono ad accentuare o quantomeno a cristallizzare le differenze strutturali tra i paesi coinvolti (il loro presupposto, cioè la indispensabile condizione di partenza, è semmai una altissima convergenza di partenza, che, in pratica, ne rende inutile l’istituzione).

5. Ciò provoca output gap o (come ora) recessione, che, a loro volta, determinano contrazione della base imponibile, minori entrate fiscali rispetto a quelle necessarie al realizzare il dovuto saldo primario, difficoltà nel rispettare lo stesso tetto del deficit (per non parlare del pareggio di bilancio) e, come ulteriore conseguenza, AUMENTO DELLA PRESSIONE FISCALE unito a taglio della spesa pubblica corrente. DA QUI LA MORSA “EUROPEA” CHE STA STRITOLANDO IL SISTEMA PRODUTTIVO ITALIANO, astretto tra mancato sostegno della domanda pubblica e vincolo di cambio eccessivamente alto per la nostra struttura economica. E DA QUI, L'INEVITABILE CONSEGUENZA DI UN'INARRESTABILE CRESCITA DELLA DISOCCUPAZIONE (e della sottocupazione).

6. L’unico modo di accrescere il valore-ricchezza nazionale, data la struttura rigida delle politiche fiscali, imposta dalla logica delirante della riduzione del debito e del deficit, sarebbe la domanda estera. Però, com’è noto, l’adozione della moneta unica, in sé, implica un livello di cambio nominale troppo alto per essere conciliato con questa stessa leva, mentre all’interno dell’area monetaria troppo alto è il livello cumulato dei differenziali di inflazione (tassi di cambio reale), non correggibile con trasferimenti federali di una fiscalità centrale (europea).

7. Risultato: la domanda interna è da un ventennio compressa per via del saldo primario; quella estera dal vincolo monetario e, per giunta, l’€uropa stringe ulteriormente i vincoli all’indebitamento e alla riduzione del debito.

8. E’ chiaro che la soluzione sarebbe fare tutto l’opposto di ciò che, in un crescendo demenziale, si fa da almeno 20 anni. Oltretutto perchè lo prevede la Costituzione, con il suo intero sistema dei principi fondamentali.

9. Il problema, in fondo, risiede in una idea mercantilista, a modello unidirezionale, che pervade incontrastata l’UEM (su suggerimento tedesco. eufemisticamente parlando).
Lo spread è in relazione negativa con la posizione netta sull’estero.
(Gustavo Rinaldi
).
Si ipotizza cioè, attenendosi a questa verità accuratamente sottovalutata nelle pubbliche dichiarazioni, che l’Italia passi da un deficit CAB in riduzione, addirittura a una posizione (prolungata) di saldo positivo.
Ovviamente ciò mediante contenimento dei costi dell’offerta e sacrificio della domanda interna via deflazione salariale. Che poi implica l'altrettanto prolungato mantenimento di un alto tasso di disoccupazione (o "piena occupazione naturale" neo-classica).
Pare qualcosa di fin troppo detto, ma da Draghi a Schauble l’affermazione è ripetuta ossessivamente anche in tempi recentissimi.
L’ipotesi è pura utopia neo-classica; una lunghissima correzione tipo gold standard, avrebbe tempi superiori al 2017 e, nel frattempo, la svalutazione dell’euro 2012 viene abbondantemente riassorbita (tranne che per la convenienza tedesca), mentre si innesca una crisi che coinvolge i BRICS (che dovranno correggere i loro saldi con l’estero e stanno già svalutando), il dollaro (e “sevedeva”), per non parlare del Giappone.
Ma il punto più controverso, se non apertamente irrealistico, è che:
a) si ignora che la domanda interna, nel medio-lungo periodo, è alla base del meccanismo risparmio-investimenti che giocoforza alimenta la vera e stabile competitività, – e certamente non può ipotizzarsi altro che un peggioramento, dato che le nostre imprese esportatrici dipendono pur sempre nella gran parte del fatturato dai consumi interni (in pratica è illusorio pensare che il "credit crunch" sia la causa della crisi e non, invece, uno dei suoi effetti, derivanti dal cambio fisso e dalle politiche fiscali);
b) se il paradigma export-led è generalizzato a tutta l’UEM, come pretende la Germania nel proporsi come modello euro-istituzionalizzato, la gara al ribasso salariale significa prolungato crollo (o stagnazione come si stanno con virulenza accorgendo i francesi, ricchi di “eccettuazioni” fiscali), della reciproca domanda estera intra-UEM.
Ma queste (apparenti) ovvietà, non paiono minimamente turbare i nostri governanti…

10. Su questo si innesta il problema della pubblica amministrazione, del sistema fiscale punitivo, della lentezza della giustizia. A ben considerare i fattori "strutturali" della costruzione socio-economica dei trattati, questi sono solo dei corollari di "questa" Europa.
La banca centrale pura, col costo del servizio del debito pubblico che diviene proibitivo, e la domanda estera che viene meno, comprimendo, appunto, il PIL e la base imponibile, com'è s'è visto prima rispetto all'economia reale, determinano il sistematico ridursi degli investimenti nella stessa organizzazione pubblica ed anzi tagli progressivi e mai sufficienti a placare le esigenze dei mercati..."esteri" (in primis gli stessi paesi creditori UEM, come evidenziò a suo tempo De Grauwe). I quali "mercati", negli assunti delle teorie economiche dominanti in UE, sarebbero garantiti solo da una proporzionale crescita del rapporto pressione fiscale/PIL, con buona pace della formali dichiarazioni sull'allentamento dell'austerità, che viene ammessa solo in corrispondenza del taglio, più che depressivo, della spesa pubblica, cioè del sostegno statale all'economia.

L'apparato pubblico diviene così solo uno strumento di politica fiscale restrittiva della domanda aggregata, sul fronte organizzativo interno (tagliando inesorabilmente il "perimento dello Stato") e all'esterno, nell'economia reale, orientandosi a un crescente prelievo, in varie forme; ciò che significa una p.a. che sfrutta praticamente ogni occasione di contatto col settore privato per imporre una qualche forma di tributo o per arrivare a una qualche forma di riduzione dell'erogazione di risorse pubbliche. Magari occasionata da una normativa (rigorosamente voluta dall'€uropa) che, formalmente, ha un'altra e cosmetica, "giustificazione" (ambientale, anti-corruttiva, servente la logica della ossessiva lotta all'evasione fiscale e contributiva, nascente da una pressione ormai demenziale), ma che, di fatto, "deve" assiomaticamente creare un ostacolo agli effetti ampliativi, con regole sempre più astruse, disseminate di poteri autoritativi di decadenza, revoca, rallentamento istruttorio, termini decadenziali ed eccettuazioni riduttive dell'erogazione dei benefici pubblici.

Uscendo dall’euro un risultato sarebbe agevolmente perseguibile su questo fronte. Quasi un riflesso "culturale" automatico. Per il solo fatto di ridare respiro al modello costituzionale (forzatamente sterilizzato).
Nell'immediato, non avremmo le competenze di governance e di capacità industriale, in effetti (le abbiamo "smontate" in 20 anni di smantellamento del sistema della formazione, istruzione e ricerca, pubbliche, nonchè di precarizzazione del lavoro, in sè "anti-innovativa" dei processi industriali).
Ma, pur essendo ciò un grave problema, si era riproposto anche nel 1943-45 (anche se, sul piano produttivo, al tempo la questione era più semplice).
Tuttavia, rispetto all'orientamento generale della pubblica amministrazione, il problema sarebbe minore: la complicazione normativa, procedurale e gestionale, lo stato di "eccezione" (e di "eccettuazione"), deriva essenzialmente dal caotico sovrapporsi di standard UE e dall'ossessione fiscal-finanziaria.

Insomma, senza l'€uropa, (e purché non si faccia come Cameron), con la sua filosofia (italian way, che raggiunge il suo acme nelle politiche tremontiane-montiane del 2011-2012) di rendere la p.a. un interlocutore che freni, punisca, metta in stallo, pur di non dover erogare un pubblico beneficio - in modo da rispettare i parametri di Maastricht!-, dovrebbe venir meno.
E con esso pure le pletoriche strutture e sprechi legati alla cosmesi politically correct UE ed alla privatizzazione societaria delle forme di gestione degli interessi pubblici, tornando alla più economica e trasparente gestione in forma pubblica...

15 commenti:

  1. Al di là delle "intemperanze" della moderazione rispetto al convegno citato, sulle quali non posso che concordare, un primo spunto positivo (se vogliamo metterla così) è stato quello di poter presentare da una più accurata e congrua posizione giuridico-normativa le dinamiche e le ricadute delle scelte politiche nel quadro delle istituzioni e decisioni continentali. Affiancare la necessaria analisi giuridico-costituzionale alla più "scontata" (tra virgolette naturalmente) analisi economica rappresenta un doveroso passaggio critico per mettere in evidenza termini, cause ed effetti nell'assunzione di determinate "filosofie" e "teorie" pseudo-sociali votate ad affermazioni di principio "vuote" di contenuti ma nei fatti ricche di ricadute destabilizzati sul terreno delle libertà e dell'esistenza civile.
    L'effetto divulgativo-educativo in tal senso va pertanto solidamente sostenuto ed abbracciato affinché quelle nuove forze emergenti sul campo della disputa politica e che intendano sviluppare un'azione incisiva sul suolo della riaffermazione e riacquisizione dei diritti findamentali siano in grado concretamente di disporre dei mezzi "culturali" essenziali per affrontare la dura "lotta" per la rinascità sostanziale della democrazia.
    Un saluto,
    Elmoamf

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  2. Su questo post ci contavo (per il 13 ottobre): grazie.
    Solo una curiosità. Al convegno che altro avevano da dirsi di così importante da comprimere in 8 minuti un intervento di connessione tra Costituzione e lavoro?

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    1. Hanno parlato in molti. Forse questo era il vero intento. "Dare voce", magari senza dover distinguere fra la priorità dei temi e di un approfondimento scientifico...Il che potrebbe pure giustificarsi in una fase di "avvio" di un movimento di opinione. Bastava avvertirlo :-)

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    2. Concordo con la tua interpretazione 48.
      E come al solito reagisci da signore, laddove alcuni si stavano (anche giustamente) incazzando... Da quel che ho visto ieri credo che dare il beneficio del dubbio ad una buona iniziativa sia doveroso. I nostri interventi sono stati TUTTI taglieggiati (a me avevano promesso 15 min, ne ho avuti 3), ma in compenso tutti han parlato. E intendo proprio tutti.

      Il peccato secondo me é che molti intervenuti non abbiano ancora espresso una dichiarazione di intenti di aderenza al manifesto, e alcuni sono andati via subito dopo aver parlato. questo per me non é un bel segno, perché denota possibili intenti narcisisti dei soggetti in questione. chi voleva FARE é rimasto.

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  3. Ero presente. Nel pomeriggio, in sua assenza, c'è stato un rigurgito di ignoranza. "Non si può uscire dall'euro se non si esce dall'Europa". Una volta per tutte può, gentilmente, chiarire la cosa?

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    1. La questione dell'uscita disgiunta rimane confusa per la mancata espressa previsione di un meccanismo di euro exit. Ma in realtà sarebbe un argomento testuale molto debole.
      Paesi in deroga, cioè membri UE, non aderenti all'UEM, esistono e sono coloro che non hanno ottenuto il riconoscimento dei requisiti di ammissione, su istanza da loro stessi effettuata. O meglio che non hanno effettuato l'istanza che attiva la procedura, non essendoci alcun obbligo pattizio di effettuarla.
      Il solo fatto che si possa:
      a) non fare istanza di ammissione dell'area euro;
      b) si possa vedere tale istanza non accolta per mancato riscontro dei requisiti;
      c) che l'ammissione richieda l'unanimità di paesi già euro e paese richiedente,
      dimostra che siamo di fronte a uno status disgiunto da quello di mero aderente all'UE (come in effetti si verifica).

      Il punto c), imputando l'entrata dell'euro alla permanente (cioè originaria e costante/successiva) volontà decisiva del paese ammesso all'euro di voler appunto farne parte, dimostra che si tratta di un atto "ammissivo", proposto, dal trattato stesso, come "ampliativo" per il richiedente (un beneficio...).

      Ergo, un atto che dipende non solo dalla sua costante e libera volontà, ma che deve poter essere sempre rinunziabile.
      Altrimenti la volontà successiva (di rinunzia all'autonomo status), - specie in caso di sopravvenuta impossibilità di rispettare i requisiti di convergenza- si trasfomerebbe in una permanenza coattiva, non più+ volontaria come in origine. Una sorta di condanna ab aeterno a un vincolo liberamente assunto (qualcosa di simile al nexus del servaggio della gleba nell'alto medioevo).
      E SI AVREBBE UNA DISPARI E INEGUALE APPLICAZIONE DEI TRATTATI TRA STATO ADERENTE ALL'EURO (senza requisiti e senza più volontà di fruire del beneficio "ammissivo"), E STATO ADERENTE ALL'UE "IN DEROGA" (che è nella stessa presumibile identica situazione).
      Solo il primo vedrebbe sanzionato con una serie irreversibile di sanzioni e limitazioni della sovranità la stessa identica "base" (rebus sic stantibus sempre valevole nel diritto internazionale) della:
      a) mancanza di volontà attuale di adesione;
      b) eventuale mancato possesso dei requisiti di adesione.

      Il che in base ai principi di diritto internazionale generale dei trattati e dei principi generali della liberà negoziale dei paesi sovrani è inammissibile (contrario allo jus cogens imperativo)
      http://orizzonte48.blogspot.it/2013/09/non-si-puo-uscire-dalleuro-secondo-i.html

      Comunque grazie per la domanda :-)
      Magari la riprenderò in apposito post: ma il problema è che non mi interessa neanche un pò entrare in una inutile e disputa con fazioni varie (molto orgogliose e virulente) che si perdono, di fronte alla sostanza dei gravi problemi italiani, in queste questioni tutto sommato risolvibili in base ad intepretazioni ragionevoli di principi generali negoziali e internazionali che dovrebbero essere pacifici... :-)

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    1. We have the interest in greater social goods...Hai presente Singapore? :-)
      Questi qui sono alla frutta; e senza fare vaticini, che tanto in Italia è come parlare con un lampione (bisogna aver bevuto molto o appunto trovarsi di fronte il puddino medio anarcoide, che non sà più bene con chi prendersela, alla fine, e si guarda la Gabbanelli per indignarsi).
      Ti suggerirei di leggerti l'editoriale di oggi sull'International Herald Tribune di Ross Thouthat.
      Può applicarsi a tutto il PUDE conglomerato a Cameron...Da piegarsi in due (risate o mal di fegato, vedi un pò tu)

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  5. A proposito di Gabbbanelllli: ho visto un pezzo di Report: mai più! Una serie di balle tutte insieme così non le avevo mai sentite! E secondo la Gabanelli la Polonia è più competiva dell'Italia, non perché non è nell'eurozona, ma perché i dipendenti non hanno né la tredicesima, né il TFR! Capito? E poi hanno il coraggio di bollare chiunque non condivida la PUD€ philosophy come fascista, ma quali sono i veri fascisti? Quelli che giocano con i diritti dei lavoratori in un gioco perverso al ribasso continuo, oppure quelli che hanno introdotto tredicesima e TFR? A questo punto sono confusa...sulla natura dei veri fascisti. Mai più! E stupidamente ci sono cascata, pur sapendo cosa sarebbe venuto fuori dal magico pud€schermo, ho voluto lo stesso vederne un pezzo perché avevo sentito che avrebbe parlato di temi economici per sbugiardare le balle che circolano! Toh, magia: per sbugiardare le fole se ne immettono un'altra gran quantità in circolazione! Altra cosa: stasera ho seguito il TG3 delle 19, alla fine, spunta così, dal nulla, un comunicato del presidente della Repubblica per mettere in guardia i giovani sui pericoli della rete!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! Non si sa mai eh, con tutti questi pedofili in circolazione, pardon, volevo dire "lirofili"

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    1. Ragioniamo con calma.
      Non tanto "fascisti" ma reazionari nostalgici della società gerarchizzata del capitalismo sfrenato. Il liberismo economico, liberale e libertario per i produttori-proprietari: cioè von Hayek.

      Rimaniamo su questo punto senza farci prendere dallo sconforto e dalla disperazione (lo so: non è sempre facile).
      Report-Gabanelli assume allora, senza infingimenti, il suoi posto nello scenario: la guardia scelta del PUD€, l'arma più potente e avanzata, per convertire i "malcontenti" in livorosi "senza causa" (che non sia la distruzione dello Stato e dei diritti del lavoro), che abbiano finora escogitato.

      Un esempio clamoroso di macchina mimetica del potere oligarchico-bancario, in panni sontuosi di "cosmesi" falsamente antisistema che, invariabilmente, colpevolizza le vittima e deflette l'attenzione offrendo una falsa facciata di informazione "senza limiti".
      Ma sempre a tesi preconfezionate e senza alcuna minima parvenza di oggettività e trasparenza nella scelta delle fonti che danno luogo a tesi, analisi e fatti selettivamente montati a conferma.

      Quando la gente si accorgerà chi sono veramente, il PUD€ non avrà più modo di continuare a contraffare la realtà e a negare i fatti realmente rilevanti.
      Chissà, forse, presto anche questo giochino delle truppe di elites non funzionerà più. O forse no. Vedremo: di certo le menzogne sono vicine allo smascheramento in tutta Europa...

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    2. Concordo in pieno: "l'arma più potente e avanzata, per convertire i "malcontenti" in livorosi "senza causa"".
      Ma queste sono armi pericolose anche per chi le usa, è giocare con materiali infiammabili, sono le armi di chi ha veramente paura.
      Aspettiamoci attacchi sempre pù feroci e diretti, accogliamoli senza indignarci e sorprenderci: sono il segno più sicuro della debolezza del nemico.

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  6. Speriamo davvero, la situazione sta assumendo contorni inquietanti, anche se per alcuni aspetti tragicomici, da quando sono al mondo non ricordavo un clima menzognero di questo genere, per me esisteva soltanto nei libri di storia, oppure in altri Paesi vittime di regimi dittatoriali e/o oligarchici sanguinari. Il fatto poi che la rete dalla quale proviene certa informazione sia considerata "progressista" mi mette ancora più sconforto, "progressisti" reazionari alla Von Hayek! Spero che in settimana mi arrivi il libro.

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  7. SPARIAMO SULLA CROCE ROSSA

    Dal "poligono" della "Grande Società" finora era "scampata" dai bersagli della "Grossa Caccia": da oggi RED CROSS entra nel mirino.
    Ma la notizia più "curiosa" è di ieri in serata dagli spalti di un "consiglio" comunale di una città, ieri l'altro medaglia d'oro per la resistenza, ieri e oggi "teatrino della spartizione" degli archi-star, che chiedeva, 48 ore dopo il reimpasto di giunta ovviamente PUD€, approvazione frettolosa del bilancio di previsione 2013 entro il 15 novembre dello stesso anno per disquisire poi animosamente su "jus soli".
    Senza neppure più la "jus" del messo, lascio i "soli" a sparare ora anche sulla Croce Rossa.

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    1. Il bello è che la cultura tipica di queste giunte è nel senso che i cittadini si devono sentire così tanto in colpa (per non aver subito l'abrogazione totale dell'art.18 e per non pagare abbastanza tasse) che dovranno invocare come una razionale via di salvezza la privatizzazione della stessa sanità pubblica. D'altra parte sono giunte che non dubitano della parola salvifica di Boeri e Perotti (ieri scatenati a lodare il fiscal compact a Report)

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  8. Che dire?
    Come previsto "in queste pagine", sembra che avremo non una legge, ma una "manovra" di stabilità da circa 12 miliardi ed incidente, per buona parte, sulla sanità (la ricordate? Era quella che il sig. Monti diceva che andava "rivista" al ribasso perché non era sostenibile......).

    E..... per aggiungere un'altra buona notizia, ecco chi pagherà "l'esperimento fallimentare della moneta unica" (e se lo dicono WSG e FMI, c'è da credergli.....).

    http://it.finance.yahoo.com/notizie/fmi-decide-prelievo-forzoso-su-tutti-conti-correnti-europei-152202162.html

    P.S.
    Alle prime elezioni dopo lo scandalo di tangentopoli, c'era la gente che metteva le 1000 lire nella scheda elettorale, accompagnate dalla scritta "pijateve pure queste".
    Ebbene, confesso di essere fortemente tentato di ripetere lì'esperimento, con 5 euro, alle prossime elezioni europee.......

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