sabato 26 ottobre 2013

REPETITA JUVANT-2. PER LA SALVEZZA DELLA COSTITUZIONE KEYNESIANA (da Pescara e oltre...)

Ho sentito l'esigenza di rimaneggiare, approfondendolo, il post "COSTITUZIONE, LAVORO E MODELLI N€OLIBERISTI INTERNAZIONALISTI", in quanto lo stesso riproduceva un canovaccio di un discorso più ampio e che esigeva l'espansione dell'analisi rispetto ai principi e punti di partenza originariamente "appuntati".
Di conseguenza, servendomi della struttura di tale canovaccio (che ho aggiornato anche nel post del 14 ottobre), ho ampliato taluni passaggi. E ho aggiunto dei links per coloro che vorranno riportarsi a parti presupposte dell'esposizione già svolta in passato.
In particolare sia nella parte iniziale, sulle premesse di rilievo costituzionale, che in quella finale, riguardante l'orientamento impresso da Maastricht alla funzionalità e finalità ultima dell'apparato amministrativo (e, se vogliamo, anche giurisdizionale, quantomeno sotto il profilo organizzativo e delle condizioni fiscali di accesso alla giustizia stessa).
Nel complesso, ciò consente di precisare e dare un'impostazione più complessiva a problemi di sostenibilità del debito quali quelli sollevati di recente dal prof. Ugo Arrigo.
Spero che ora il discorso risulti più comprensibile, anche, e specialmente, per gli eventuali "giuristi" che rimangono all'oscuro delle linee macroeconomiche disfunzionali che l'UEM ci costringe a subire.
Il principio REPETITA JUVANT, vale anche per acquisire la padronanza del libro, nella sua finalità di offrire strumenti di difesa democratica e costituzionale per resistere alla insostenibile deriva attuale.
Ci tornerà utile, dato che il discorso qui ampliato si connette direttamente all'impostazione del libro "Euro e(o?) democrazia costituzionale" e, quindi, ai "dibattiti" che si potranno svolgere in sede di sua presentazione. Non solo a Pescara, ma in proiezione sulle ulteriori presentazioni che auspichiamo di poterne fare nelle varie sedi...future (dipende anche dalla organizzazione che i volenterosi interessati riusciranno a compiere).


1. La Costituzione si fonda sul lavoro. Ma che cosa intendevano con ciò i costituenti?
E’ un modo per descrivere:
a) la natura del potere costituente primigenio e il fondamento della sovranità democratica;
b) e, dunque, una legittimazione ai diritti politici, del cittadino-lavoratore come soggetto di riferimento principale delle politiche pubbliche; una legittimazione, quindi, inerente a qualunque cittadino che eserciti un’attività che esprima la sua personalità e dignità sociali, non riducibile neppure al solo lavoro dipendente (negandosi, nelle intenzioni dei Costituenti, quali emergenti dagli stessi lavori preparatori della Carta, una pari legittimazione ai titolari di "rendite");
c) il contenuto e la funzione stessa di questa sovranità è quindi quello di tutelare i diritti fondamentali, imperniati sul diritto sociale del “lavoro” e sul principio redistributivo della eguaglianza sostanziale;
d) ciò spiega la seguenza logica degli artt. 1, 3 e 4 della Costituzione (il senso dell'art.2 Cost, sui diritti fondamentali della "persona", viene da sé, in questa cornice che, simultaneamente, consente di capire il legame con la Costituzione economica, come corollario inscindibile dei principi fondamentali: artt. 36, 38, 41, 43 e 47 Cost.). L'insieme di queste norme fondamentali delinea una Repubblica che è fondata su politiche pubbliche a sostegno della domanda aggregata (e non su politiche supply side, cioè esclusivamente a sostegno dell'offerta, nell'illusione neo-classica che, abbassando i costi di produzione, l'offerta, divenuta potenzialmente più conveniente, crei da sola la propria domanda; c.d. Legge di Say).
2. A seguito di Maastricht e, nel perseguire e mantenere i parametri fiscali che ciò impone, si verifica però un fatto scardinante di questa sequenza fondamentale del programma di democrazia insito nella Costituzione.
Da quando, cioè, siamo in saldo primario del bilancio pubblico (740 miliardi totalizzati in 20 anni), e in situazione di banca centrale indipendente “pura”, lo Stato non immette più un differenziale positivo di moneta che promuova il circuito economico produttivo. Cioè non immette più un “valore” aggiuntivo e non riesce a contribuire alla crescita del prodotto interno (riducendo anzi il livello di realizzazione dei compiti-obiettivi imposti dalla Costituzione nel campo economico e sociale e, di fatto, abolendo politiche fiscali autonome e il concetto stesso di politica industriale).
Semmai, dato che tale avanzo è insufficiente a coprire l’onere dilagante degli interessi passivi sul debito, dovuto appunto al regime di banca centrale indipendente (dal governo democratico), la tensione (creata dai privati mercati finanziari) ad accrescere tale saldo primario, fa sì che lo Stato, le politiche fiscali, frenino costantemente la crescita, e questo a prescindere dall’andamento del ciclo economico.

3. Gli interessi passivi, di un debito lasciato ai prezzi del mercato (ed espresso in una moneta non nazionale):
a- o vanno all’estero, cioè tramutano in redditi esteri il prelievo fiscale;
b- o si rivelano meri trasferimenti al sistema finanziario, che vanno ad accumularsi come risparmio bancario o di grandi soggetti economico-finanziari: che, in situazione di grave e perdurante debolezza della domanda, non si tramuta in credito erogato alle imprese ed ai cittadini e certamente non in investimenti (trappola della liquidità, per grandi imprese finanziarizzate, sempre che non siano, a loro volta, pesantemente indebitate).

Quindi, questi interessi, o diminuiscono il valore del PIL o comunque non vi si aggiungono, finendo nel “limbo” del risparmio che non alimenta gli investimenti.

4. Risultato; rispettare il tetto del deficit, imposto da Maastricht, e ancor più drasticamente, il pareggio di bilancio imposto dal fiscal compact, impedisce, da circa 20 anni, allo Stato di perseguire i suoi compiti costituzionalmente sanciti.
Le aree valutarie ottimali (o, peggio ancora, intenzionalmente imperfette, cioè prive di trasferimenti fiscali e di sostegno della banca centrale come prestatore di ultima istanza) non stimolano la progressiva “convergenza”, ma al contrario tendono ad accentuare o quantomeno a cristallizzare le differenze strutturali tra i paesi coinvolti (il loro presupposto, cioè la indispensabile condizione di partenza, è semmai una altissima convergenza di partenza, che, in pratica, ne rende inutile l’istituzione).

5. Ciò provoca output gap (cioè una continuativa minore crescita) o (come ora) recessione; questi fenomeni riduttivi del PIL, a loro volta, determinano contrazione della base imponibile, minori entrate fiscali rispetto a quelle necessarie al realizzare il dovuto saldo primario, difficoltà nel rispettare lo stesso tetto del deficit (per non parlare del pareggio di bilancio) e, come ulteriore conseguenza, AUMENTO DELLA PRESSIONE FISCALE unito a taglio della spesa pubblica corrente. DA QUI LA MORSA “EUROPEA” CHE STA STRITOLANDO IL SISTEMA PRODUTTIVO ITALIANO, astretto tra mancato sostegno della domanda pubblica e vincolo di cambio eccessivamente alto per la nostra struttura economica. E DA QUI, ANCHE L'INEVITABILE CONSEGUENZA DI UN'INARRESTABILE CRESCITA DELLA DISOCCUPAZIONE (e della sottocupazione).

6. L’unico modo di accrescere il valore-ricchezza nazionale, data la struttura rigida delle politiche fiscali, imposta dalla logica delirante della riduzione del debito e del deficit, sarebbe la domanda estera. Però, com’è noto, l’adozione della moneta unica, in sé, implica un livello di cambio nominale troppo alto per essere conciliato con questa stessa leva, mentre all’interno dell’area monetaria troppo alto è il livello cumulato dei differenziali di inflazione (tassi di cambio reale), non correggibile con trasferimenti federali di una fiscalità centrale (europea).

7. Risultato: la domanda interna è da un ventennio compressa per via del saldo primario; quella estera dal vincolo monetario e, per giunta, l’€uropa stringe ulteriormente i vincoli all’indebitamento e alla riduzione del debito.

8. E’ chiaro che la soluzione sarebbe fare tutto l’opposto di ciò che, in un crescendo demenziale, si fa da almeno 20 anni. Oltretutto perchè lo prevede la Costituzione, con il suo intero sistema dei principi fondamentali.

9. Ma il punto, in fondo, risiede in una idea mercantilista, a modello unidirezionale, che pervade incontrastata l’UEM (su "suggerimento" tedesco. Eufemisticamente parlando).
Si ipotizza cioè, attenendosi a questa verità accuratamente sottovalutata nelle pubbliche dichiarazioni, che l’Italia passi da un deficit CAB in riduzione, addirittura a una posizione (prolungata) di saldo positivo dei conti con l'estero.
Ovviamente ciò mediante contenimento dei costi dell’offerta (formalmente,con misure di dimensioni risibili, di altri aspetti dei costi fiscali) e, molto più, con il sacrificio della domanda interna via deflazione salariale. Che poi implica l'altrettanto prolungato mantenimento di un alto tasso di disoccupazione (o "piena occupazione naturale" neo-classica), essendo inevitabile che la riduzione di tale costo -legato alle dinamiche inflattive- sia realizzata mediante la relazione inversa tra occupazione e livello dei prezzi indicato dalla curva di Phillips.
Pare qualcosa di fin troppo detto, ma da Draghi a Schauble l’affermazione è ripetuta ossessivamente anche in tempi recentissimi.
L’ipotesi è pura utopia neo-classica; una lunghissima correzione tipo gold standard (cioè agente sulla quantità di moneta-valore circolante, mantenuta costante nell'ambito dei conti con l'estero, riducendo cioè l'indebitamento estero ormai accumulato), avrebbe tempi superiori al 2017 e, nel frattempo, il limitato vantaggio competitivo extra-UEM determinato dalla svalutazione dell’euro 2012, viene abbondantemente riassorbito (tranne che per la perdurante convenienza tedesca), mentre si innesca una crisi che coinvolge i BRICS (che dovranno correggere i loro saldi con l’estero e stanno già svalutando), il dollaro (e “sevedeva”), per non parlare del Giappone.

Ma il punto più controverso, se non apertamente irrealistico, è che:
a) si ignora che la domanda interna, nel medio-lungo periodo, è alla base del meccanismo risparmio-investimenti che giocoforza alimenta la vera e stabile competitività, – e certamente non può ipotizzarsi altro che un peggioramento, dato che le nostre imprese esportatrici dipendono pur sempre nella gran parte del fatturato dai consumi interni (in pratica è illusorio pensare che il "credit crunch" sia la causa della crisi e non, invece, uno dei suoi effetti, derivanti dal cambio fisso e dalle politiche fiscali);
b) se il paradigma export-led è generalizzato a tutta l’UEM, come pretende la Germania nel proporsi come modello euro-istituzionalizzato, la gara al ribasso salariale significa prolungato crollo (o stagnazione come si stanno con virulenza accorgendo i francesi, ricchi di “eccettuazioni” fiscali), della reciproca domanda estera intra-UEM.
Ma queste (apparenti) ovvietà, non paiono minimamente turbare i nostri governanti…

10. Su questo si innesta il problema della pubblica amministrazione, del sistema fiscale punitivo, della lentezza della giustizia. A ben considerare i fattori "strutturali" della costruzione socio-economica dei trattati, questi sono solo dei corollari di "questa" Europa.
La banca centrale pura, col costo del servizio del debito pubblico che diviene proibitivo, e la domanda estera che viene meno, comprimendo, appunto, il PIL e la base imponibile, (come s'è visto prima rispetto all'economia reale), determinano il sistematico ridursi degli investimenti nella stessa organizzazione pubblica ed anzi tagli progressivi e mai sufficienti a placare le esigenze dei mercati..."esteri" (in primis gli stessi paesi creditori UEM, come evidenziò a suo tempo De Grauwe). I quali "mercati", negli assunti delle teorie economiche dominanti in UE, sarebbero garantiti solo da una proporzionale crescita del rapporto pressione fiscale/PIL, con buona pace della formali dichiarazioni sull'allentamento dell'austerità, che viene ammessa solo in corrispondenza del taglio, più che depressivo, della spesa pubblica, cioè del sostegno statale all'economia.
Un circolo vizioso che fa ora dichiarare che si allenta la pressione fiscale (ma solo nascondendo le misure di allargamento della base imponibile per gli anni futuri, contenute nell'attuale legge di stabilità), quando in realtà essa deve necessariamente aumentare, e di fatto lo farà, dato che il gettito verrà forzato a rimanere (almeno) costante, ma il PIL oscillerà tra stagnazione e, più probabilmente, recessione (con picchi in occasione delle manovre che tenteranno, senza riuscirvi, di raggiungere il pareggio di bilancio)

L'apparato pubblico diviene così, invece che un erogatore di servizi-utilità conformi agli impegni costituzionali della Repubblica, solo uno strumento di politica fiscale restrittiva della domanda aggregata; e ciò sia sul fronte organizzativo interno (tagliandosi inesorabilmente il "perimento dello Stato") che su quello esterno, nell'economia reale, orientandosi a un crescente prelievo, in varie forme.
Ciò che significa una p.a. che sfrutta praticamente ogni occasione di contatto col settore privato per imporre una qualche forma di tributo o per arrivare a una qualche forma di riduzione dell'erogazione di risorse pubbliche, previste solo sulla carta di leggi ingannevoli.
Una tendenza inesorabile e "occultata" (come "illusione finanziaria" ed anche mediaticamente), magari occasionata da una normativa - rigorosamente voluta dall'€uropa- che, formalmente, ha un'altra e cosmetica, "giustificazione" (ambientale, anti-corruttiva, servente la logica della ossessiva lotta all'evasione fiscale e contributiva, nascente da una pressione ormai demenziale), ma che, di fatto, "deve" assiomaticamente creare un ostacolo agli effetti ampliativi verso il settore privato, con regole sempre più astruse, disseminate di poteri autoritativi di decadenza, revoca, rallentamento istruttorio, termini decadenziali ed eccettuazioni riduttive dell'erogazione dei benefici pubblici.

Uscendo dall’euro un risultato sarebbe agevolmente perseguibile su questo fronte. Quasi un riflesso "culturale" automatico. Per il solo fatto di ridare respiro al modello costituzionale (forzatamente sterilizzato).
Nell'immediato, non avremmo le competenze di governance e di capacità industriale, in effetti (le abbiamo "smontate" in 20 anni di smantellamento del sistema della formazione, istruzione e ricerca, pubbliche, nonchè di precarizzazione del lavoro, in sè "anti-innovativa" dei processi industriali).
Ma, pur essendo ciò un grave problema, si era riproposto anche nel 1943-45 (anche se, sul piano produttivo, al tempo la questione era più semplice).
Tuttavia, rispetto all'orientamento generale della pubblica amministrazione, il problema sarebbe minore: la complicazione normativa, procedurale e gestionale, lo stato di "eccezione" (e di "eccettuazione"), deriva essenzialmente dal caotico sovrapporsi di standards e forme di gestione UE, nonchè dall'ossessione fiscal-finanziaria, sempre €uro-trainata.

Insomma, senza l'€uropa, (e purché non si faccia come Cameron), e la sua filosofia applicata italian way, (che raggiunge il suo acme nelle politiche tremontiane-montiane del 2011-2012, fino al revival apparentemente "soft" di oggi), la tendenza a rendere la p.a. un interlocutore che freni, punisca, metta in stallo, pur di non dover erogare un pubblico beneficio - in modo da rispettare i parametri di Maastricht!-, dovrebbe venir meno.
E con esso pure le pletoriche strutture e sprechi legati alla cosmesi politically correct UE ed alla privatizzazione societaria delle forme di gestione degli interessi pubblici, tornando alla più economica e trasparente gestione in forma pubblica...

2 commenti:

  1. "L'apparato pubblico diviene così, invece che un erogatore di servizi-utilità conformi agli impegni costituzionali della Repubblica, solo uno strumento di politica fiscale restrittiva della domanda aggregata"

    Non solo, direi che l'apparato pubblico diventa il primo e più implacabile persecutore della fascia sociale che ha già ridotto in condizioni di indigenza, per mezzo della disoccupazione e dell'impoverimento generalizzato conseguenti all'austerità che esso stesso ha deciso.
    Non volendo intervenire sulle classi privilegiate per evidenti motivi di consenso elettorale, decide di allargare la base imponibile proprio a danno delle fasce subalterne, mediante un sempre più marcato spostamento del gettito erariale sul fronte della tassazione indiretta, abbinato a un'altrettanto feroce negazione del welfare, costringendo proprio chi non dovrebbe pagare un centesimo a farsi carico di tutto il costo di una politica scriteriata che si insiste a porre in atto da almeno due decenni.

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  2. MITIGHE.AZIONI

    Un’altra volta ancora, per mitigarne il rischio, a deliberare contro la nostra Costituzione.
    Ancora una volta, il ilenzio silente di quei 4 male/benedetti
    Ancora una volta, la conferma, mioiddio, che il Bene Nostro è d’altra parte
    Ancora una volta, e una volta ancora, a parlar di memoria e conoscenza
    E non ci stancherete né ci stancheremo mai .. :-)

    Ps: un abbraccio ai pescaresi tutti, siamo tutti Noi 

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