giovedì 30 gennaio 2014

COORDINAMENTO DELLE POLITICHE ECONOMICHE, FISCALI E DEL LAVORO? NO GRAZIE: LA "CURIOSA" LEGALITA' SETTORIALE "EUROPEAN STYLE"





Questo post propone una interessante ricostruzione, compiuta da Sofia, circa il vero quadro della legalità €uropean style. Una legalità che, intrecciata con la fumosità dei trattati e l'inattuazione di un vero e "proporzionato" coordinamento delle politiche economiche e fiscali, costituisce un fenomeno "curioso" di contraddittorietà in termini.
Il problema è che un autentico coordinamento delle politiche economiche, fiscali e del lavoro, è il presupposto in assenza del quale, quantomeno all'interno dell'area euro, non sarebbe ragionevole imporre standards e direttive su settori determinati, cioè imposizioni che prescindono completamente dalla considerazione delle diverse condizioni economiche e sociali che si vanno instaurando nei diversi paesi (o che comunque preesistevano in ragione già dell'applicazione dello SME). 
La draconiana applicazione di competenze europee settoriali e simultaneamente "avulse" (dagli effetti della moneta unica), finisce per premiare chi è in situazione di vantaggio niente affatto meritevole, quanto semmai imputabile ai difetti strutturali della moneta unica ed al loro astuto sfruttamento
Insomma, in nome di tante belle enunciazioni (sull'ambiente e sulla concorrenza, sicuramente), si finisce, per intenzionale omissione delle Istituzioni europee, per avallare pratiche di ingiustificata alterazione dei tassi di cambio reale mediante politiche sociali non coordinate, alterazioni della concorrenza commerciale tra paesi membri, e lo stesso dumping fiscale.

Il risultato è che non solo il dumping fiscale di un paese viene doppiamente premiato, cioè diviene vantaggioso anche sul piano della diversa convenienza a violare le norme antitrust comunitarie, ma che lo stesso dumping fiscale, causa di generali distorsioni nella competizione tra paesi, viene ulteriormente ignorato in sede di coordinamento delle politiche economiche e fiscali (artt. 5. 119 -121 TFUE). 
Queste inattuate politiche (come ammesso dalla stessa Commissione in più occasioni) sono  volte teoricamente ad instaurare condizioni omogenee di concorrenza in ogni parte del mercato unico proprio in quanto "enfaticamente" (ancora una volta) finalizzate ai comuni obiettivi dell'Unione
Un mercato unico presuppone che lo stesso trattamento fiscale dei diversi operatori nazionali non sia tale da determinare condizioni territoriali ingiustificate e generalizzate di vantaggio: tra l'altro, consentendosi implicitamente obiettivi del tutto "nazionali" e distorsivi della concorrenza che possono in pratica essere perseguiti soltanto da parte dei paesi che abbiano in partenza (Olanda, Germania, Austria, Lussemburgo) o desiderino (Irlanda), nell'ambito degli effetti asimmetrici della moneta unica (che si esclude di voler effettivamente correggere), quella situazione di vantaggio commerciale che porta ad una crescente divaricazione di condizioni fiscali...e sociali: base imponibile nel tempo, diverso onere degli interessi sul debito pubblico, livello conseguente della spesa legittimamente sostenibile nel rispetto dei limiti di bilancio imposti dai trattati. 
Ovviamente, il tutto sarebbe "pareggiabile" solo in via di fatto: cioè procedendo a radicali forme di deflazione salariale e a drastici tagli della spesa pubblica non correlata con le politiche imposte dall'Europa - in definitiva volte a consentire una spesa pubblica concentrata su alcune tipologie di attività corrispondenti a gruppi economici che impongono gli standards-  e che, perciò siano direttamente incidenti sul welfare
Il "lassez faire" sul coordinamento delle politiche economiche, fiscali e del lavoro, e l'assenza intenzionale di un sistema di "trasferimenti" fiscali europei, implica un'unica ed occulta politica sociale: la distruzione del welfare come unica via d'uscita

E in questo quadro, va inclusa la spesa pubblica e gli investimenti privati imposti dagli stessi standards europei, scoordinati dalla considerazione degli effetti asimmetrici della moneta unica, il cui mancato recepimento - quand'anche per motivi di bilancio che li rendono praticamente inattuabili- è soggetto a procedura di infrazione e conseguenti sanzioni.  
E queste ultime aggravano perciò la stessa situazione fiscale che aveva condotto al mancato recepimento: insomma c'è solo da scegliere quale tipo di sanzione debba pagarsi per gli inevitabili inadempimenti connessi alle distorsioni della moneta unica. 
E, aggravandosi inevitabilmente queste distorsioni, alla fine, un paese come l'Italia finisce per pagare sotto tutti i profili sanzionatori, cumulati tra loro: 
1- sanzioni per deficit eccessivo;
2- compressione inevitabile della domanda e degli investimenti pubblici e privati per evitarle;
3- instaurazione di crescenti condizioni fiscali di consolidamento che rendono impraticabile "pareggiare" l'altrui dumping fiscale;
4- più costose infrazioni antitrust per le imprese nazionali;
5- più frequenti, per gli stessi motivi, "infrazioni"  e più costose sanzioni per mancato recepimento di direttive e standards, che implicherebbero oneri di bilancio - e condizioni di liquidità delle stesse imprese nazionali-  che si rivelano insostenibili per via dei parametri fiscali stessi e, a monte, per via del carattere asimmetrico della moneta unica. 
E poi, senza ben riflettere su questo drammatico quadro complessivo ci lamentiamo della rivalutazione delle quote di Bankitalia volta a premiare inesistenti apporti di capitale di un sistema bancario (stremato da ciò che esso stesso vuole difendere a oltranza: l'euro) che si era ritrovato in casa le quote dell'Istituto senza aver mai tirato fuori una "lira"! Ma potendo poi fruire di profitti, economicamente e finanziariamente del tutto ingiustificati e a danno del bilancio pubblico, il cui livello sarà esso stesso (sistema bancario) a concorrere a determinare in base allo Statuto bankitalia!
Un "sogno" non c'è che dire!.


In questo post si è evidenziato come i Trattati siano intenzionalmente composti da una miriade di enunciazioni e di termini "enfatici" e non sorretti da una vera volontà normativa, ma tesi a dissimulare gli autentici concetti operativi. 
Una verbosità che, quando si viene al "dunque", evidenzia l’intenzione di incentivare la "forte competizione" in un'economia "sociale" di mercato (unico) e la  "stabilità dei prezzi”, mentre ogni altro aspetto è subordinato e ridotto a "intenzioni programmatiche" da procedure complesse, i cui contenuti sono del tutto aleatori, se non addirittura inapplicabili e comunque praticamente svuotati. 
Quelle che vengono spacciate come  "riforme" non sono altro che una metonimia che dissimula l'accelerata esigenza di mutare irreversibilmente il modello socio-economico delle Costituzioni sociali per instaurare il modello Maastricht; quest'ultimo ab origine, programmaticamente e strategicamente, esclude ogni forma di solidarietà (tra le classi sociali, tra i paesi aderenti, e nella stessa più ampia comunità internazionale) a scapito della forte competizione.
Considerato, poi, come i Paesi dell’Eurozona si siano privati della propria sovranità per metterla nelle mani di una entità sovranazionale che si è prefissata lo scopo di incentivare e mantenere la forte competizione, non ci sono limiti a quanto questa entità possa fare, soprattutto se i Trattati – che dovrebbero essere lo strumento di questo potere ma anche lo strumento per poter controllare il corretto esercizio di tale potere ed i limiti dello stesso-  sono stati redatti per essere appositamente confusi ed indecifrabili.
Si è parlato in vari post di come l’Unione europea utilizzi diversi modi per modificare i modelli socio economici ed ottenere nel contempo il mantenimento di un sistema fortemente  competitivo.

 
Riassumiamone uno semplice, prendendo ad esempio il caso “ambiente”:
- attraverso il forte condizionamento e controllo dei media i cittadini vengono continuamente bombardati da notizie che attengono alla gravissima emergenza ambientale; dagli effetti dell’inquinamento sul riscaldamento globale a quelli sulla salute, senza che sia dato sapere, ovviamente, quali importanti studi e ricerche siano alla base di tali convincimenti (l'Europa promuove estenuanti istruttorie ed "elenchi" di pratiche o di sostanze che non pervengono mai ad una stabilizzazione che ne consenta una applicazione certa e prevedibile per gli operatori interessati; e la Corte di giustizia europea, chiamata ad interpretare tale indecifrabile serie di vaghi standard finisce per "chiarirli" con delle incomprensibili e altrettanto vaghe parafrasi);
- l’emergenza ambientale impone regole comuni che devono essere applicate da tutti i paesi della UE, perché non avrebbe senso se un paese adottasse stringenti misure di protezione ambientale ed il paese accanto fosse libero di inquinare a proprio piacimento;
- vengono emanati regolamenti e direttive comunitarie, spesso anch’essi di difficile comprensione, ma che comunque impongono determinati standard da rispettare;
- i paesi si adeguano attraverso norme di recepimento delle direttive che si riflettono su tutte le norme interne, imponendo una concatenazione di obblighi e doveri senza fine (pensiamo alle zone ZTL, ai blocchi del traffico, ma anche all’imposizione di specifiche tecniche  di trattamento dei fumi o di riciclo di materiali inquinanti che quindi si riversano sulle imprese) che inevitabilmente finiscono per condizionare il comportamento dei cittadini (pensiamo all’ansia di acquistare un’auto di ultima generazione, magari ibrida o elettrica). Se gli Stati non recepiscono le direttive comunitarie, ovviamente, o recepiscono in ritardo, oppure pur recependo violano le direttive comunitarie, scattano le procedure di infrazione della UE ai sensi degli artt. 258 e 259 TFUE e le conseguenti eventuali sanzioni (le sanzioni scattano anche a livello nazionale per le imprese che non si adeguano agli standard europei, perché generalmente, le norme nazionali di recepimento devono obbligatoriamente prevedere le sanzioni per gli operatori economici inadempienti). 
Così, alla fine, l’unica che ci guadagna sempre qualcosa è proprio l’Europa, dal momento che tra le fonti di finanziamento dell’UE vi sono anche le ammende inflitte agli Stati che non hanno recepito le direttive o le hanno recepite in ritardo e alle imprese che hanno violato la normativa europea.
Leggere, a titolo di esempio, questo articolo, è indicativo.

Si stima che lo smog in Europa abbia provocato 400mila morti premature solo nel 2010. Per questo motivo la Commissione europea ha presentato un pacchetto di nuove misure per tagliare le emissioni killer provenienti dai settori di industria, trasporti, energia e agricoltura, ma anche dagli impianti di riscaldamento domestico, riducendo il loro impatto sulla salute dei cittadini e sull’ambiente. A questo piano d’attacco vanno aggiunte poi nuove procedure d’infrazione in arrivo da Bruxelles nei confronti di 17 Paesi, fra cui l’Italia, ancora fuorilegge rispetto ai limiti delle concentrazioni degli inquinanti, come le polveri sottili (Pm10).
Secondo il commissario europeo all’Ambiente, Janez Potocnik, l’inquinamento dell’aria è un killer invisibile che impedisce a molte persone di avere una vita pienamente attiva. Le nuove regole intendono dimezzare il numero di morti premature legate alle emissioni nocive, con un beneficio per la salute di circa 40 miliardi di euro l’anno, oltre 12 volte il costo del taglio dell’inquinamento, stimato in 3,4 miliardi di euro l’anno nel 2030. Il pacchetto non modifica i limiti attuali delle concentrazioni di inquinanti, bensì rende più severi i tetti nazionali delle emissioni, con obiettivi per sei inquinanti chiave per il 2020, il 2025 e il 2030. Nel mirino polveri sottili (Pm), anidride solforosa (SO2), ossidi di azoto (NOx), composti organici volatili (COV), metano (CH4) e ammoniaca (NH3) di provenienza agricola.
Il pacchetto prevede inoltre una direttiva per gli impianti di combustione di medie dimensioni fra 1 e 50 MW, che riguarda soprattutto le centrali termiche di grandi complessi abitativi, case popolari, industria.Secondo la commissione Ue, l’adeguamento di questi impianti richiederà un investimento nell’ordine dei 300 milioni di euro, un decimo di quanto costa in termini sanitari e di altri costi: il solo impatto sanitario è stimato fra i 330 e i 940 milioni di euro.

Insomma l’Europa, dice e disdice, ma intanto per realizzare concretamente quanto essa impone ci vogliono investimenti, soldi pubblici, che però non ci sono, da un lato perché ci impongono politiche di austerità e tagli, dall’altro perché non  avendo soldi per gli investimenti e non potendo realizzare quanto l’UE ci chiede, paghiamo multe salatissime che anziché avere l’effetto disincentivante dichiarato dalla Commissione, ha soltanto l’ulteriore effetto di impoverire il paese e metterlo in condizione di non realizzare quanto previsto nelle direttive.
L’esempio fatto con riferimento all’ambiente, vale per qualunque altro settore (come vedremo tra poco esaminando le procedure di infrazione in corso per l’Italia).

Quindi, in un sistema che si prefigge di sollecitare e mantenere una forte competizione, le procedure di infrazione (oltre ai vincoli sul deficit, il pareggio di bilancio ecc., che già conosciamo) si rivelano essere un potente strumento che può distruggere ogni potenzialità competitiva di un Paese a scapito o beneficio di un altro (ma certamente a beneficio delle multinazionali che tengono le redini di Bruxelles).
Se poi affianchiamo a tutto questo anche il potere di incidere direttamente sulla capacità produttiva ed economica delle imprese di uno Stato, attraverso un altro tipo di procedura afflittiva (che coinvolge vari organi sia a livello Comunitario che Nazionale), ossia quella eseguita dall’Antitrust,  il quadro è completo.

In questo caso sono gli articoli 101 e 102 del Trattato sul funzionamento dell'Unione che vietano, rispettivamente, le intese restrittive della concorrenza e gli abusi di posizione dominante posti in essere da imprese e suscettibili di arrecare pregiudizio al commercio tra gli Stati membri.
Inoltre  l'articolo 106 del Trattato prevede che gli Stati membri non adottino, nei confronti delle imprese pubbliche e delle imprese titolari di diritti speciali o esclusivi, misure che restringano la concorrenza in contrasto con le norme comunitarie. Certo, l’Europa ci propina tutto questo con grandi paroloni, tutto per il nostro bene, per farci sentire in colpa: sui portali dell’Europa si leggeLe regole dell'UE in materia di concorrenza sono pensate per garantire condizioni eque e leali, lasciando nel contempo spazio all'innovazione e promuovendo standard uniformi accanto allo sviluppo delle piccole imprese”. Ma sembra più realistica quest’altra frase: L’effettiva applicazione del diritto dell’UE è essenziale per consentire all’Unione europea di realizzare i suoi obiettivi politici (adesso si che si ragiona!).
Ma vediamo nello specifico i due casi.
Con riferimento alle procedure di infrazione, la Commissione dispone di un’ampia gamma di strumenti per valutare l’adeguata attuazione delle politiche dell’UE ed esercitare il controllo del rispetto del diritto dell’Unione da parte degli Stati membri. Se questi non rispettano i loro obblighi nell’ambito del diritto dell’UE, la Commissione avvia procedure d’infrazione formali (ai sensi dell’articolo 258 del TFUE). Se la procedura di infrazione presso la Commissione non è sufficiente ad obbligare lo Stato ad adeguarsi, si ha il deferimento alla Corte di giustizia e se non viene rispettata una decisione di questa, la Commissione può proporre sanzioni che poi vengono comminate dalla Corte.

Dati aggiornati ci dicono che la Commissione europea ha deciso il 23 gennaio 2014 l'archiviazione di 2 procedure d'infrazione pendenti nei confronti dell'Italia e l'apertura di 3 nuove infrazioni.
Questo l’elenco delle procedure aperte. Come si vede c’è di tutto in questa black list: dalla gestione dei rifiuti, all’accoglienza dei richiedenti asilo, passando per le accise sul tabacco e la pallanuoto che limita la presenza di giocatori stranieri, e poi pensioni, comunicazioni, diritto d’autore, rimborso IVA, ambiente marino, gestione del combustibile nucleare, quote latte, rumore ambientale, imballaggi, stoccaggio del mercurio metallico, protezione degli animali utilizzati a fini scientifici, sviluppo delle ferrovie comunitarie, imposta di successione, accise sul tabacco, ascensori, discariche, sacchetti di plastica, servizi aerei, pesca, sicurezza sul lavoro, commercializzazione dei camini o dei condotti in plastica, ecc.
In base a questo grafico sembrerebbe che l’Italia abbia il maggior numero di procedure di infrazione. A seguire il Belgio, con 92, la Spagna (91), e poi Polonia (82) e Grecia (81).
Esiste anche una Relazione annuale dell’UE sul controllo dell’applicazione del diritto dell’unione europea (che quindi dovrebbe essere piuttosto attendibile). L’ultima relazione risale al 22.10.2013 ma fa riferimento ai dati sino alla fine dl 2012.
Dai grafici contenuti in questa relazione emerge che con riferimento al ritardo nel recepimento dei trattati, dalla somma tra il numero di procedure d’infrazione per ritardo di recepimento aperte nel 2011 (764) e di quelle nuove del 2012 (447) si hanno 1210 procedure che diventano 418 se si sottraggono quelle sinora archiviate. 
I quattro settori in cui è stato avviato il maggior numero di procedure d’infrazione per ritardo di recepimento, nel 2012, sono stati: trasporti (115 procedure), salute e consumatori (108), ambiente (63) e mercato interno e servizi (53). Invece, con riferimento alle denunce presentate in relazione all’applicazione delle norme dei trattati, se dalla somma tra il numero di denunce aperte nel 2011 (2234) e quello delle nuove denunce del 2012 (3141), si sottrae il numero di denunce trattate, si hanno 2516 procedure in corso.
Questi numeri non sono di poco conto se si pensa che per ogni Stato è già fissata la misura  di ammenda forfettaria minima che deve essere pagata, così come è già fissata anche la misura della penalità di mora in caso di condanna definitiva. 

La sanzione minima per l'Italia è stata determinata in 9.920.000 euro, mentre la relativa penalità di mora può oscillare tra 22.000 e 700.000 euro per ogni giorno di ritardo nel pagamento, a seconda della gravità dell'infrazione a monte. Da tenere presente che il calcolo viene effettuato applicando un fattore “n” pari, a una media geometrica basata, da un lato, sul prodotto interno lordo (PIL) dello Stato membro considerato e, dall’altro, sulla relativa ponderazione dei voti in seno al Consiglio. Inutile dire, quindi, che la misura forfettaria minima dell’Italia è tra le più alte d’Europa, nonostante gli imposti vincoli di bilancio ed i conseguenti più bassi investimenti.
Fortunatamente, nonostante il numero di violazioni, soltanto otto sono nella fase di contenzioso vero e proprio davanti alla Corte di giustizia (nel 2012 la Corte ha emesso 46 sentenze a norma dell’articolo 258 del TFUE, delle quali 42 –ossia il 91% - sono state a favore della Commissione. La Corte ha emesso il maggior numero di sentenze nei confronti di Belgio – 6- , Portogallo -5-, Paesi Bassi e Francia -4-).
In un paio di casi, tuttavia, il rischio di sanzioni pecuniarie è molto alto. A cominciare dall’emergenza rifiuti in Campania. La Ue ci ha contestato nel 2007 la mancanza di una rete integrata per il trattamento della spazzatura; vi è stata la condanna in primo grado e, non avendo l’Italia adempiuto, il deferimento davanti ai giudici del Lussemburgo. La Commissione ha chiesto una condanna di 25milioni più altri 256.819 euro per ogni giorno di ritardo nell’adeguamento dell’impiantistica per la gestione del ciclo dei rifiuti in Campania.
Altra spada di Damocle è la sentenza per l’assenza di controlli sulle discariche abusive. Anche in questo caso, dopo la notifica del ricorso contro l’Italia, con richiesta di una condanna di 56 milioni di ammenda forfettaria e 256 mila euro di ammenda giornaliera per ogni giorno successivo alla sentenza e fino alla risoluzione della questione (ovvero circa 90 milioni potenziali l’anno), l’Italia ha presentato controricorso e si attende la decisione.
Altra annosa vicenda risale al 1995. Attiene agli sgravi fiscali per le aziende che volevano assumere under 25, laureati fino a 29 anni e disoccupati da almeno 12 mesi mediante contratti di formazione e lavoro. Gli sgravi vennero giudicati dalla Commissione incompatibili con il mercato comune europeo. Pertanto l'Italia (o meglio l’INPS) deve chiedere la restituzione di tali aiuti. Non riuscendovi, viene  condannata a pagare 30 milioni forfettari da saldare subito, più una penalità giornaliera di mora da scalare man mano che procede il recupero (nel frattempo molte di quelle imprese sono fallite o comunque hanno chiuso o non pagano perché sono in difficoltà). 

Insomma il rischio è che si potrebbero aggiungere altre due sanzioni della Corte di giustizia europea, che potrebbero costarci più o meno 400 milioni di euro, più della mini IMU, e, in definitiva, a causa dell'austerità o del vano tentativo di arginare una disoccupazione che vede la sue cause nella stessa Europa...dell'euro.
Altre sanzioni pecuniarie, inoltre,  potrebbero scattare con sentenza definitiva dal 1° gennaio 2016 a causa della mancanza di sistemi di depurazione delle acque, che non possiede circa il 30 per cento della popolazione italiana e per sono 117 i comuni condannati. Comuni il cui sistema di società variamente costituite e partecipate è sicuramente costoso (ma pur sempre giustificato "in nome dell'Europa),  ma che nondimeno sono soggetti ad una riduzione "austera" dei fondi disponibili per investimenti in infrastrutture a causa del fiscal compact e, aggiuntivamente, del sistema di finanziamento in pareggio di bilancio dei pagamenti dei crediti arretrati alle imprese.

Quindi il discorso è semplice: se non ci si adegua a quanto prescritto dall’Europa si è costretti a pagare, anche laddove l'Europa ha prescelto una politica economica vincolante il cui effetto ultimo è la riduzione dello stesso intervento pubblico che impone con l'altra mano (ovviamente, quest'ultimo diretto alle imprese che dovrebbero aggiudicarsi le gare).
Ma con esattezza, quanto sinora ha pagato il nostro Paese per sanzioni UE non è dato saperlo.
Secondo qualcuno stiamo parlando di una cifra di circa 3,5 miliardi di euro. Il che è assolutamente possibile se consideriamo la multa minima stabilita per l’Italia, in caso di condanna. 

Ovviamente in questa sede ho tralasciato tutte le cause vinte da cittadini o imprese italiane in sede Europea per violazione di norme comunitarie e violazioni di diritti, nei confronti dello Stato, che hanno comportato a ingenti condanne di quest’ultimo
Si tratta di casi che meriterebbero una trattazione a parte dal momento che questi soldi, teoricamente, dovrebbero esser rimasti sul territorio (ma qualche dubbio ce l’ho). Qualche esempio? La confisca dell'ecomostro di Punta Perotti a Bari: risarcimento di 49 milioni di euro; l'espropriazione di un terreno alla società Immobiliare Podere Trieste: 48 milioni di euro; la mancata assegnazione delle frequenze televisive a Centro Europa 7: indennizzo di 10 milioni di euro. Per un totale (nel 2012) di 108 milioni di euro (a fronte di 72 milioni di euro pagata nel 2012 da tutti gli Stati membri del Consiglio d'Europa messi insieme. 
Altri parlano di 120 milioni di euro e 2.569 sentenze di condanna. Insomma, tutte condanne che, fermi rimanendo i legittimi diritti dei cittadini/imprese a fronte di gravi violazioni, evidenziano comunque la potenzialità dello strumento posto in mano all’Europa per  interferire sulla gestione politica, economica, del territorio, industriale, di un Paese.

Con riferimento alle sanzioni antitrust, pure, possono essere colpite le attività economiche più varie (divieto di cartelli, pratiche commerciali restrittive, abusi di posizione dominante…) ove ritenute incompatibili con il mercato comune e il regime di concorrenza.
Da notare, anche in questo campo, gli amplissimi poteri delle autorità Comunitarie. A cominciare dal calcolo della sanzione.
Sono state determinate specifiche  regole per il calcolo delle ammende (Orientamenti della Commissione per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell'articolo 23, paragrafo 2, lettera a), del regolamento (CE) n. 1/2003 pubblicato su G.U. 1.9.2006). 
È previsto un importo di base per aver semplicemente commesso l'infrazione calcolato come percentuale del valore delle vendite cui si riferisce l’infrazione, moltiplicato per il numero di anni dell'infrazione, con ammende più elevate in caso di reiterazione del reato (con un aumento del 100 % dell’ammenda per ogni infrazione successiva). 
E’ anche previsto  un trattamento favorevole con riguardo al calcolo delle ammende per imprese che collaborano. La politica di trattamento favorevole ricompensa le imprese che denunciano i cartelli  cui hanno partecipato, concedendo loro un'immunità totale o una riduzione dell'importo delle ammende che altrimenti sarebbero state loro inflitte
In ogni caso l'ammenda massima per ogni impresa non deve superare il 10 % del suo fatturato totale realizzato nel corso dell'esercizio sociale precedente (regolamento CE n. 1/2003), a cui si aggiunge la penalità di mora che può essere fino al 5% del fatturato medio giornaliero realizzato nell’esercizio sociale precedente, applicato per ogni giorno di ritardo a partire dalla data fissata nella decisione al fine di incentivare le imprese a porre fine all’infrazione.
Ma è interessante notare che la Corte di Giustizia nel leading case Pioneer24 ha statuito che "il potere di cui dispone la Commissione d'infliggere ammende (...) costituisce uno dei mezzi (...) per poter svolgere il compito di sorveglianza assegnatole…di indagare e reprimere le singole infrazioni, ma implica pure il dovere di seguire una politica generale mirante ad applicare, in fatto di concorrenza, i principi fissati dal Trattato e ad orientare in questo senso il comportamento delle imprese"
Nel ragionamento della Corte deriva, da tale assunto, un importante corollario: "l'esigenza di applicare le regole di concorrenza comunitarie impone che la Commissione possa, in ogni momento, adattare il livello delle sanzioni alle esigenze della politica (di concorrenza)" “e disporre di un margine di discrezionalità nel fissare i loro importi al fine di orientare il comportamento delle imprese verso il rispetto delle regole di concorrenza (Tribunale di primo grado, causa T-150/89, 6 aprile 1995). 
Ovviamente la Commissione ha affermato di volere utilizzare pienamente tali poteri. 
Nella XXI Relazione sulla Politica di Concorrenza essa, infatti, ha dichiarato che "intende utilizzare con maggiore frequenza la possibilità prevista dal Reg. n. 17 di infliggere ammende sino ad un massimo del 10% del volume di affari delle imprese interessate, onde rafforzare l'efficacia dissuasiva delle sanzioni irrogate in base al diritto comunitario della concorrenza. .. Ogniqualvolta la Commissione è in grado di accertare il livello di tale profitto accertato, anche se non è in grado di calcolare con precisione, può basare su tale elemento il calcolo dell'ammenda. Qualora appropriato, l'importo potrebbe poi venire aumentato o diminuito alla luce delle altre circostanze della fattispecie, compresa l'esigenza di introdurre un elemento dissuasivo o punitivo nella sanzione inflitta alle imprese che hanno partecipatoall'infrazione".
Per queste ragioni, la Commissione non può neppure rendere noti in via preventiva ed in termini generali gli importi delle sanzioni riferibili a ciascun tipo di violazione del diritto della concorrenza. Assume rilievo preminente la funzione deterrente del potere sanzionatorio che, evidentemente, sarebbe svuotata di ogni contenuto laddove le imprese, conoscendo in anticipo l'esatto importo delle sanzioni riferibile alle loro violazioni, avessero la possibilità di operare una valutazione costi-benefici tra l'ammontare dei profitti derivanti da questeultime e quelli della eventuale ammenda.
Ma vediamo qualche esempio pratico.
Con sentenza 26 novembre 2013 la Corte di Giustizia condanna la GascogneSackDeutschland e Kendrion (intesa sul mercato dei sacchi di plastica industriali) e la Commissione infligge un’ammenda superiore a EUR 290 milioni.
La Corte di giustizia respinge le impugnazioni di Siemens, Mitsubishi e Toshiba relative al cartello nel mercato delle apparecchiature di comando con isolamento in gas, e l’ammenda di 396,56 milioni di euro inflitta alla Siemens diventa definitiva.
Meno recente ma eclatante è stata la condanna della Microsoft (nel 2004), al pagamento di 497,2 milioni di euro (oltre ad una serie di obblighi di fare).

Ad colorandum vale la pena sottolineare che sin dalla Sentenza del Tribunale di primo grado dell'11 marzo 1999 nella causa T-148/94, è stato stabilito che:
1 Nella determinazione dell'importo delle ammende da infliggere …la Commissione può legittimamente tener conto della difficile situazione economica delle imprese medesime, mantenendo al tempo stesso le ammende ad un livello a suo giudizio adeguato. Tuttavia, riconoscere la sussistenza di un obbligo che imponga alla Commissione di tener conto della situazione finanziaria deficitaria di un'impresa finirebbe per procurare un vantaggio ingiustificato, sotto il profilo della concorrenza, alle imprese meno adeguate alle condizioni del mercato.
2 La normativa tributaria di uno Stato membro, in particolare una normativa che non consenta all'impresa interessata di dedurre dai propri redditi fiscalmente imponibili le ammende inflitte per violazione della disciplina comunitaria in materia di concorrenza, non può costituire un criterio rilevante ai fini della fissazione delle ammende medesime. 


In sostanza non solo la situazione economica dell’impresa non interessa ai fini del calcolo dell’ammenda, ma le sanzioni irrogate dalla Commissione Ce, non sono deducibili (come avviene in altri paesi, tra cui l’Olanda) dal reddito d'impresa (lo ha statuito anche la Cassazione con sentenza dell'11 aprile 2011, la 8531), poiché in tal modo si consentirebbe la neutralizzazione, anche parziale, dell'entità della sanzione stessa.  
Nello specifico, i Giudici di piazza Cavour, dopo aver sottolineato che un costo può considerarsi inerente all'attività d'impresa se e soltanto se lo stesso sia funzionale alla produzione di reddi­to, hanno affermato che le sanzioni antitrust, in ragione del loro prevalente carattere punitivo ed afflittivo, si configurano come costi che non na­scono nell'impresa, "ma in un atto o fatto, quello antigiuridico, che per sua natura si pone al di là della sfera aziendale". Inoltre,  la deducibilità delle sanzioni rappresenterebbe un fatto idoneo a ridurre in maniera significativa la valenza puni­tiva e repressiva delle sanzioni medesime, atteso che, mediante la loro deduzione, si potrebbe ot­tenere un risparmio d'imposta che finirebbe per compensare, sia pure parzialmente, il peso delle sanzioni irrogate.
Insomma la Cassazione ne fa una questione etico-morale, ed esclude che le sanzioni si configurino come oneri conseguenti ad atti incardinati nel programma economico dell'impresa, nel senso che derivano da eventi che hanno origine nell'attività econo­mica stessa dell'impresa, trascurando, però, che l’indeducibilità, conduce ad una mi­surazione sicuramente alterata del reddito, con probabile violazione del principio di capa­cità contributiva, per via della tassazione di un reddito parzialmente inesistente.

Insomma questo, più o meno è il quadro, che certamente non toglie nulla alle carenze del nostro paese in termini di organizzazione, burocrazia, violazioni della legalità.
Ma certamente mostra un altro risvolto della medaglia e non solo quello che, come al solito, ci impongono in veste di malfunzionamenti, negligenze, inciviltà, ruberie tutta colpa degli italiani, per tenere sempre basso il nostro profilo e farci sentire in colpa ed immeritevoli. I dati vengono sempre analizzati e mostrati con livore, “l’Italia è quella che ha più procedure d’infrazione in Europa! O forse è il Paese più tartassato d’Europa?
Fatto sta che niente appare più lontano di queste procedure dalle finalità che le procedure stesse vorrebbero realizzare. Ma neppure questo, ormai, sorprende più. Perché i fini ultimi dell’Unione Europea e dei Trattati, è risaputo, non è il benessere e la pace tra i popoli, ma una economia fortemente competitiva…una perenne guerra, insomma. E si sa che in guerra ogni strumento è lecito.




7 commenti:

  1. Ma no, magnanimamente ci faranno un bello sconto sulle multe..... abbiamo probabilmente appena regalato l'oro dell'Italia
    http://www.ilsussidiario.net/News/Economia-e-Finanza/2014/1/30/DL-IMU-BANKITALIA-Una-legge-contro-gli-italiani-ecco-i-nuovi-indizi/462598/
    naturalmente lo sconto da riportare come grande vittoria di Letta e Saccomanni... .
    In caso di futura non improbabile iperinflazione o default mondiale delle valute, voluto o inevitabile che sia, l'oro avrebbe avuto un valore immenso per farci ripartire, con i debiti che potrebbero anche ridursi a carta straccia o giu' di li da un giorno all'altro.....questo e' il valore(possibile, o probabile...) dell'oro, forse valeva piu' dell'ammontare del debito pubblico, a mio avviso....e noi l'abbiamo regalato!!!
    credo che alla prossima riunione bildelberg, i membri italiani saranno accolti con una ola....
    ps scusate se esprimo cosi' il mio sdegno, ma la cosa e' molto grossa!

    RispondiElimina
    Risposte
    1. A rigore non è proprio così: l'oro formalmente ne rimane fuori (come parte considerata nella stima patrimoniale). Ci rientra come base indiretta dei profitti che verrebbero di volta in volta deliberati, essendo questo commisurati a una serie indeterminata di operazioni "fruttifere" della BC.
      Il problema vera di questa soluzione è l'aver voluto segnare irreversibilmente - ma contra Constitutionem, ad averci una Corte coraggiosa- la natura privata degli interessi cui deve rispondere l'azione della banca centrale. Garantire non solo profitti ma farlo con l'esercizio di funzioni pubbliche che non tollererebbero alcuna interferenza, neppure indiretta (su gestione patrimoniale e specialmente nomine dei vertici) da parte dei soggetti vigilati!

      MA CIO' CHE SEGNALA QUESTO POST VA BEN OLTRE QUESTO ASPETTO, come non ti sarà sfuggito. L'adesione alla moneta unica non ha un solo aspetto di sostenibilità: proprio per la pretenziosa e ipocrita - guardando alle norme ben più carattrerizzanti l'economia UEM, per cui non viene rilevata alcuna infrazione- legalità che finisce per predicare. Quella delle lobbies grandindustriali che impongono le politiche di settore a scapito della stessa sopravvivenza dello Stato sociale.
      E questo è corroborato ogni giorno da un crescendo inarrestabile che viola la Costituzione in un modo che non si tenta neppure più di nascondere: semplicemente si è imposto che le cose devono stare così e la legalità costituzionale si limita a inosservate decisioni sulla...legge elettorale (a diversi livelli di elusione della residua facciata di decisione del popolo ex-sovrano)

      Elimina
    2. Certo 48, pleonastico dire che il tuo chiaro articolo e' stato prontamente assimilato...dopodiche' mi sono permesso l'ot sulla importante questione, grazie anche a nome di tutti per la tua continua disponibilita', il tuo autorevole parere credo che conforti tutti noi che ti leggiamo(e che soprattutto vogliamo capire)...., .




      Elimina
  2. Un post molto utile: il punto non sono le mende italiane ma il playing field su cui si manifestano, che non è né levelled né tantomeno compatibile coi fini e vincoli costituzionali; i "rimedi", impostati in un'ottica che è l'esatto rovescio della solidarità, non fanno altro che acuire il male. Tra l'altro credo che l'antitrust sia una di quelle vacche sacre che sarebbe proprio ora di profanare. Ricorderei, con l'aiuto di uno dei massimi studiosi italiani della materia, Roberto Pardolesi (pdf di 11 pagine), che le origini dell'antitrust comunitario risiedono nel nostro amato ordoliberismo, per poi sterzare negli anni '90 verso un coté più chicagoan (allegria!), laddove un approccio alla market governance di stampo post-keynesiano (pesco dalla relativa voce redatta da Tuna Baskoy sull'Elgar Companion to Post Keynesian Economics) guarda con estremo sfavore all'implementazione di regole fisse da parte di istituzioni "indipendenti" che si sostituiscono alla "collective and political decision" che dovrebbe regolare la materia. Purtroppo il moralismo autorazzista ed esterofilo continua a vendersi ancora benino (sempre meno, però).

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Ricostruzione delle fonti raffinata, come al tuo solito.
      Però, detto tra noi, non mi affiderei troppo a Pardolesi per la ricostruzione del sistema...:-)

      Elimina
    2. Potrei mai affidarmi a chi cita ossequiosamente Bork e (argh!) Scalia? ;-)

      Elimina
    3. Sì praticamente i suoi punti di riferimento inmmancabili. E senza avere la più pallida idea della sostenibilità macro delle loro penzate. Il deduttivismo paralogico all'ennesima potenza, applicativo degli equilibri micro in funzione walrasiana. L'incubo del contabile dentro il labirinto della mente collettiva...

      Elimina