giovedì 21 agosto 2014

CONTO FINANZIARIO E PNE TRA VALUATION EFFECT E SALDI DELLE PARTITE CORRENTI ("ci facciamo buttare fuori?")


Personalmente vi consiglio di rileggerlo 3 volte. Così, per attività cognitiva "numerologica" (e, più seriamente, data l'importanza e delicatezza del tema). Francesco Lenzi ci dà un altro saggio della sua bravura divulgativa, pur affrontando uno dei temi economici più tecnici e sdrucciolevoli che ci sia.
Anzi, direi, attualmente, il più "scottante".
A lui va il nostro ringraziamento collettivo. 
Al netto del percorso di comprensione dello sviluppo delle premesse, magistrale nella sua invidiabile chiarezza, rimane quell'interrogativo finale.
Ho il "sentore" che una delle migliori risposte-soluzioni (e chiedo in proposito il conforto dello stesso Francesco) sia la formula che Cesare Pozzi indica nel "facciamoci buttare fuori": finanziare investimenti diretti esteri dei residenti (essenzialmente "pubblici") con spesa pubblica programmata per rafforzare il controllo nazionale di filiere "internazionalizzate", ma rigorosamente strategiche. (A cui accoppiare investimenti industriali pubblici, legati al territorio, in settori altrettanto strategici ad alta tecnologia, ovviamente non aperti all'investimento di controllo estero, quanto semmai in più dignitose e paritarie joint venture di scambio delle utilità raggiungibili nella R&S congiunta). 
E ciò sia per il valuation effect legato (potenzialmente e...pericolosamente) al recupero della flessibilità del cambio, che per stimolare l'effetto "sostituzione" (dei prodotti italiani rispetto a quelli esteri ora importati) sul flusso delle partite correnti.
Ma su questo, lascio volentieri il campo alle ipotesi ed ai commenti di chi è ben più "ferrato" del sottoscritto...

Questo post nasce come integrazione di quanto descritto prima nell’incontro di Viareggio e poi nello spazio (http://orizzonte48.blogspot.it/2014/07/viareggio-e-la-traiettoria-culturale-lo.html ) gentilmente offertomi da Orizzonte48. 
Avrei voluto chiudere la trattazione della evoluzione della posizione patrimoniale sull’estero in un unico post, cercando di dare un visione organica di come essa si sia formata, o almeno di come partendo da poco più di 50 miliardi, sia passata nel giro di 16 anni ad oltre 465 (per la verità, con i recenti dati diffusi siamo già oltre 500 miliardi). Però, sia gli interessanti commenti al post, sia alcune discussioni intraprese su twitter mi hanno stimolato verso altri elementi di analisi che prendono in considerazione l’altro lato della bilancia dei pagamenti, il conto finanziario.
Credo sia però importante innanzitutto indicare brevemente cosa si intenda per conto corrente, conto capitale e conto finanziario della bilancia dei pagamenti.
La bilancia dei pagamenti viene definita nel manuale della Banca d’Italia (https://www.bancaditalia.it/statistiche/quadro_norma_metodo/metodoc/manuale_bilpag.pdf ) come schema statistico che registra le transazioni economiche realizzatesi, in un determinato periodo di tempo, tra residenti e non residenti in un’economia
Nella bilancia dei pagamenti trovano quindi registrazione tutte quelle attività che determinano il cambiamento di proprietà di un bene o di un’attività finanziaria
Le transazioni di beni, servizi, redditi e trasferimenti unilaterali si registrano nel conto corrente, il cui saldo è chiamato saldo di partite correnti
Le transazioni che riguardano la parte residua dei trasferimenti unilaterali e le cessioni di attività non prodotte e/o non finanziarie (brevetti, marchi, licenze) si registrano nel conto capitale
Le transazioni aventi per oggetto attività e passività finanziarie sono registrate nel conto finanziario
Volendo semplificare se per esempio un soggetto residente compra un’auto straniera, l’acquisto viene registrato con segno negativo nella sezione commercio di beni del conto corrente. Quest’auto dovrà essere però anche pagata (o almeno di regola dovrebbe esserlo) e fino al momento del pagamento sarà indicato nel conto finanziario (col segno positivo) il debito del soggetto residente che l’ha acquistata con il soggetto estero che gliel’ha venduta. Al momento del pagamento poi, se il soggetto residente si è procurato (attraverso un’esportazione o attraverso un altro prestito) la valuta stabilita per onorare il proprio debito, pagherà come convenuto estinguendolo, altrimenti chiederà una nuova dilazione, oppure avrà sempre l'alternativa di lasciare il chiodo.  Questo che vale come esempio per il singolo soggetto residente, vale allo stesso modo per una categoria di soggetti, o per la Nazione intera. Se un Paese nel suo complesso ha acquistato dall’estero, in un determinato periodo, più beni di quanti ne ha invece esportati avrà un conto corrente negativo, e corrispondentemente un conto finanziario positivo (espressione del debito che il Paese ha verso l’estero). A meno di errori ed omissioni quindi, al termine di ciascun periodo, la somma del saldo di partite correnti e del conto capitale corrisponde al saldo del conto finanziario cambiato di segno.

Il conto finanziario viene presentato attraverso la stessa classificazione utilizzata per la posizione patrimoniale sull’estero. In esso, infatti, sono distinti i flussi in base alle macro-categorie dei soggetti residenti (Governo, Banca d’Italia, Istituti finanziari, altri – privati) e alla tipologia di attività/passività (investimenti diretti esteri, investimenti di portafoglio, altri investimenti, derivati, riserve). 
La posizione patrimoniale sull’estero è quindi, sia per soggetti che per tipologia finanziaria, facilmente raccordabile con il conto finanziario. Nell’esempio di prima il debito commerciale sorto nel periodo a carico del settore privato a seguito dell’acquisto dell’auto, viene rilevato nel conto finanziario nella voce altri investimenti e quindi posto in aumento del corrispondente stock della posizione patrimoniale sull’estero. 
Nel conto finanziario però non sono registrati solo i corrispondenti debiti/crediti sorti a seguito di operazioni di conto corrente, ma vengono registrati tutti i movimenti di capitali in entrata/uscita dal Paese. I capitali possono certamente affluire per finanziare un deficit di partite correnti, ma possono anche affluire per sfruttare maggiori rendimenti offerti all’interno del Paese piuttosto che in altre aree, oppure per sfruttare particolari opportunità di investimenti, o per altri svariati motivi. 
In generale, comunque, nelle passività vi saranno indicati tutti i movimenti che i soggetti non residenti hanno effettuato su attività domestiche. Nelle attività tutti i movimenti che i soggetti residenti hanno eseguito su attività estere. La differenza tra le attività e le passività determina il saldo del conto finanziario. Si può avere lo stesso saldo di conto finanziario (e quindi di conto corrente cambiato di segno) con afflussi di capitali per 100 e deflussi per 90, oppure con afflussi 100.000.000 e deflussi per 99.999.990.  Sembra una banalità, ma è importante capire che mentre dal punto di vista contabile la posizione è esattamente la stessa, dal punto di vista di solidità finanziaria, resistenza agli shock e rischio  sistemico, maggiori sono gli importi assoluti e maggiore è la fragilità, la cosiddetta sistematicità, dell’economia domestica.
Sperando che a questo punto la gran parte di voi abbia sopportato questa breve infarinatura di contabilità internazionale, vorrei proseguire l’analisi svolta nel post precedente, completandola con l’esame di come si è evoluto il conto finanziario dell’Italia. 
Questo ci servirà innanzitutto per verificare ed analizzare l’entità dei flussi finanziari in ingresso e in uscita dall’Italia. Poi, comparandoli con le voci della posizione patrimoniale sull’estero sarà possibile ricavare le variazioni di valore subite sia dalle attività estere degli italiani che dalle attività italiane dei soggetti esteri. Verificare cioè il valuation effect non solo in termini quantitativi, come si può fare partendo dal saldo di partite correnti, ma anche qualitativi (quali settori e su quali strumenti si sono avute variazioni di valore). I dati, analogamente a quanto fatto nel post precedente, sono ricavati esclusivamente dal database Banca d’Italia.
Partiamo cominciando ad analizzare l’evoluzione della sezione passività (quindi relativa agli investimenti che i soggetti esteri hanno fatto in Italia, i cosiddetti capitali in ingresso) del conto finanziario, che ho preferito raggruppare per movimenti semestrali in modo da eliminare la volatilità presente nei dati mensili.


Si possono distinguere cinque periodi principali. Innanzitutto quello che dal 1988 arriva fino alla metà del 1992, quello dello SME credibile, quello dei primi grandi flussi finanziari in ingresso in Italia
Con la crisi della lira del 1992 termina questo periodo e passati pochi mesi ne avvia uno nuovo e breve nel quale gli afflussi sono quasi esclusivamente sottoforma di investimenti di portafogli che dureranno per circa due anni. Nel 1994 gli afflussi, probabilmente a causa delle tensioni sui mercati internazionali (http://en.wikipedia.org/wiki/Mexican_peso_crisis ), si arrestano ed, in misura contenuta, cambiano anche di segno trasformandosi in rimpatri di capitali (reversal). 
Dopo un periodo di circa un anno di volatilità, da agosto 1995 si assiste ad un periodo di importanti flussi di capitali esteri in entrata che fino al 2000 continuano in modo ininterrotto. 
In questo periodo arrivano complessivamente dall’estero verso attività italiane circa 640 miliardi di euro. Le turbolenze internazionali di inizi 2000 provocano l’arresto dei flussi ed un parziale reversal. Il periodo di pausa però, come avvenuto a metà anni novanta, è durato solo alcuni mesi e, intorno alla metà del 2002, inizia il quarto ed ultimo periodo di afflussi, quello che termina con la crisi Lehman Brothers. Durante questo periodo gli afflussi sono stati molto i più importanti in termini di valori nominali, circa 960 miliardi di euro, ed hanno riguardato non solo i classici investimenti di portafoglio (azioni ed obbligazioni), ma anche investimenti diretti ed altre forme finanziarie (presumibilmente crediti commerciali e pronti contro termine). 
Con la crisi del 2008 si assiste al primo degli importanti deflussi di capitali che la nostra economia ha recentemente sperimentato. Nei sei mesi a cavallo del fallimento Lehman Brothers, dal luglio 2008 a dicembre 2008 i soggetti non residenti ritirano dall’Italia circa 100 miliardi di euro.  Da quel momento inizia l’ultimo periodo, fatto di alta volatilità dei flussi sia in ingresso che in uscita, con rimpatri di capitali che erano totalmente sconosciuti nei 20 anni precedenti
Di particolare evidenza è la crisi del 2011, gli enormi rimpatri di capitali (i disinvestimenti di attività di portafoglio sono stati pari a circa 180 miliardi da luglio 2011 a luglio 2012, oltre il 10% del Pil) ed il contestuale ampliarsi dei debiti con l’Eurosistema TARGET2 (evidenziato tra gli “altri investimenti”). Poi, dalla metà del 2012, grazie alle ormai famose parole di Draghi,  il ritorno dei capitali e la diminuzione dell’esposizione con l’Eurosistema. Da allora, nonostante gli investimenti di portafoglio siano ritornati abbondanti per circa 155 miliardi, il flusso cumulato è però ancora negativo, con un deflusso netto di capitali per  circa 24 miliardi, segno della più che proporzionale riduzione della esposizione verso gli “altri investimenti” (basti notare che soltanto i debiti TARGET2 sono diminuiti di 110 miliardi).
Quanto invece alla evoluzione delle attività del conto finanziario (gli investimenti che i soggetti italiani hanno fatto all’estero) questo è quello che si ottiene, raggruppando i flussi su base semestrale come fatto in precedenza.

Analogamente a quanto visto in precedenza si possono individuare anche per i capitali investiti dagli italiani all’estero i cinque periodi visti in precedenza. Infatti, proprio per una semplice identità contabile, se un flusso finanziario in ingresso non è destinato a finanziare un movimento di parte corrente, verrà a finanziare l’acquisto di attività all’estero. In qualche modo, o sotto una qualunque forma, se i capitali in ingresso eccedono la differenza tra i consumi ed il risparmio domestico, essi dovranno esser riciclati all’estero
Da notare poi come la parte di investimenti diretti verso l’estero, soprattutto nel periodo 2002-2008 sia molto più rilevante rispetto a quanto osservato fino agli anni 2000, ad ulteriore conferma di quanto visto nel post precedente, riguardo la strategia di internazionalizzazione del sistema economico italiano. Dicevamo infatti che: “A differenza dei Paesi emergenti ed in via di sviluppo (i quali investono all’estero prevalentemente in titoli di debito e valute), il modello di espansione internazionale dei Paesi sviluppati è quello di aumentare le passività nella forma di capitale di debito (investimenti di portafoglio_Bonds & notes) per impiegare all’estero, in capitale di rischio, le risorse così ottenute, che tendenzialmente dovrebbero offrire dei rendimenti superiori a quelli pagati sul capitale di debito. Questa dinamica si evidenzia chiaramente per l’Italia e giustifica anche il miglioramento dei saldi nella voce redditi delle partite correnti”.
Il carattere internazionale della nostra economia è evidente da questi due primi grafici. Inseriti in un contesto di liberalizzazione dei flussi finanziari, la dinamica degli investimenti italiani verso l’estero dipende dai capitali esteri che arrivano. Maggiore è la stabilità dei flussi in entrata, più lunga la loro scadenza temporale, maggiore è la possibilità di “programmare” progetti di investimento sia in Italia sia all’estero. 
Purtroppo negli ultimi anni questa stabilità è stata ben lontana. Sono ormai sei anni che la nostra economia è bastonata da ingenti deflussi di capitali che portano spesso i soggetti che li hanno ricevuti a liquidare le proprie attività, seguiti poi da altrettanto ingenti flussi in entrata che, nel giro di qualche mese, cambiano nuovamente di segno. E l’euro in tutto questo, pur essendo stato pensato come elemento in grado di favorire la circolazione di capitali a medio/lungo termine grazie all’eliminazione del rischio di cambio, non sembra aver risolto il problema. Anzi, non solo i flussi si sono dimostrati altamente volatili, ma con la sciagurata gestione della cosiddetta crisi dell’eurozona, fatta di valutazioni moralistiche, annunci (http://www.businessweek.com/news/2012-05-11/schaeuble-dares-greece-exit-as-contingency-plans-begin ) e ritrattazioni (http://www.spiegel.de/international/europe/german-finance-minister-schaeuble-rules-out-athens-euro-exit-a-861335.html), lettere (http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2011-09-29/testo-lettera-governo-italiano-091227.shtml?uuid=Aad8ZT8D) e documenti secretati (http://online.wsj.com/public/resources/documents/Greece-IMF-2010-Bailout-Minutes.pdf ), si è data ulteriore incertezza ad un mercato dei capitali che dal 2008 non sembra più in grado di svolgere quella funzione (se mai abbia potuto svolgerla) di stabilizzazione dei percorsi di crescita dei Paesi e che debba essere in qualche modo gestito, anche attraverso l’importante leva del tasso di cambio.
Una volta descritta l’evoluzione dei flussi in entrata ed in uscita, da parte di soggetti residenti e non, è possibile analizzare le variazioni di valore che hanno avuto le varie attività. Avendo, infatti, ricavato i flussi periodici è possibile raccordarli con le variazioni delle corrispondenti voci della posizione patrimoniale sull’estero per verificare se tale variazione sia dovuta al valuation effect (differenza di valore delle attività/passività in essere) oppure ai nuovi flussi finanziari. Si può in sostanza andare oltre la rilevazione del valuation effect vista nel precedente post e verificare chi ha avuto le maggiori perdite/guadagni, su quali strumenti si sono avute queste variazioni di valore e se esse coincidano con quelle rilevabili dal saldo di partite correnti.
Per prima cosa analizziamo il valuation effect sulle attività detenute da soggetti italiani.


Come logico attendersi, nei momenti di crescita internazionale le attività estere aumentano di valore (salvo che non si siano fatti investimenti in regioniparticolarmente sfortunate dal punto di vista della congiuntura internazionale ). Così, a periodi di crescita dei valori corrispondono, negli anni 2001-2002 e 2006-2008, periodi di forte correzione delle valutazioni. Nel complesso le attività detenute sotto forma di IDE, investimenti di portafoglio e altri investimenti, da soggetti italiani, hanno tutte perso valore. Gli IDE hanno avuto una diminuzione di valore di circa 50 miliardi di €, gli investimenti di portafoglio di circa 19, e gli altri investimenti 34 miliardi. Più di 100 miliardi di euro la perdita di valore complessiva nel periodo 1998-2013.   
A parziale compensazione di tale variazione negativa le riserve sono aumentate di valore per circa 46 miliardi. Quanto infine all’esposizione in derivati, essa ha subito una variazione negativa di valore di circa 66 miliardi. Non è però possibile ricavare se essa sia dovuta ad una diminuzione del valore dei derivati esteri detenuti da soggetti italiani oppure a un incremento del valore delle attività italiane derivate detenute da soggetti esteri (perché a differenza delle altre voci del conto finanziario, la voce derivatives non viene distinta in attività/passività).
Riguardo alle attività italiane detenute da soggetti esteri si ha la seguente situazione


In maniera opposta rispetto a quanto visto per le attività estere degli italiani, le variazioni positive della posizione patrimoniale sull’estero italiana si hanno quando le attività detenute dai soggetti esteri perdono valore, e a causa delle recenti crisi hanno perso molto valore.  Dal 2008 al 2011 infatti, le rettifiche in diminuzione di valore su attività finanziarie di soggetti non residenti sono state ben 320 miliardi di euro. Poi, con la stabilizzazione dei mercati finanziari, i valori si sono ripresi ed il valuation effect è diminuito. Chi avesse fatto investimentiin Italia tra il 2012 ed il 2013 avrebbe così realizzato rilevanti profitti intermini di capital gain. Considerando l’intero periodo 1998-2013, le attività italiane dei non residenti si sono deprezzate per complessivi 83 miliardi di euro, 15 negli investimenti diretti, 32 negli investimenti di portafoglio, 36 negli altri investimenti.
Andando ancora avanti e raggruppando per tipologia di attività/passività, senza distinzione tra soggetti detentori, si nota come fino al 2008 siano state le variazioni di valore degli investimenti di portafoglio ad avere avuto il principale effetto negativo sulla PNE. In seguito, a causa della crisi dei valori italiani e il recupero delle valutazioni nel resto del mondo, l’effetto si è rovesciato. Nel 2011 la PNE era migliore di quanto ci si sarebbe dovuto aspettare sulla base dei flussi cumulati di conto finanziario, il valuation effect era quindi positivo.



Ricapitolando, le attività estere degli italiani (incluse le riserve) hanno perso di valore per circa 58 miliardi. La variazione di valore delle attività derivate è stata negativa per circa 65 miliardi, mentre le attività italiane di soggetti estere si sono deprezzate di circa 83 miliardi. Il valuation effect complessivo, rilevato sulla base dei saldi del conto finanziario, è stato quindi pari a 41 miliardi, un valore notevolmente diverso rispetto a quello, pari a 211 miliardi di euro, rilevato dall’analisi del saldo di partite correnti. La differenza, a meno del saldo di conto capitale (che rimane comunque di importi marginali), è relativa all’effetto degli errori ed omissioni.
La voce errori ed omissioni è una voce residuale della bilancia dei pagamenti, risultato della differenza tra il saldo di partite correnti (sommato al saldo di conto capitale) e il saldo del conto finanziario. Tale differenza è normalmente considerata trascurabile, ma, come appare evidente, non lo è. Per chi avesse voglia, si potrebbe approfondire le cause di queste importanti differenze. Posso ipotizzare che gran parte delle differenze sia da imputarsi a transazioni che sfuggono alla rilevazione delle partite correnti. Le rilevazioni di conto finanziario, essendo maggiormente tracciabili, dovrebbero essere molto più affidabili.
Confrontando il saldo di conto finanziario e di partite correnti, pare che ci siano molte transazioni in diminuzione (maggiori importazioni  o minori esportazioni di beni e servizi, maggiori trasferimenti in uscita, minori trasferimenti in entrata, e così via) che sfuggono alla rilevazione e che hanno fatto rilevare un saldo di partite correnti migliore - meno negativo - di quello che effettivamente è stato. Inserendo nel grafico relativo alla differenza tra PNE e PNE da saldo cumulato di partite correnti, presentato nel post precedente, l’andamento della PNE da saldo cumulato di conto finanziario, le differenze da valuation effect, benché nell’ordine di decine di miliardi di euro, sono molto più limitate rispetto a quelle descritte in precedenza e il valore della PNE alla fine 2013 è quasi interamente spiegato dai flussi cumulati di conto finanziario.

 
 In conclusione, è da notare come il valuation effect, essendo l’Italia un Paese debitore netto nei confronti dell’estero, agisca in controtendenza rispetto alla dinamica dei valori sul mercato domestico
Ricordiamo che i valori nella posizione patrimoniale sull’estero sono inseriti, ove sia possibile secondo il prezzo di mercato (mark-to-market). Pertanto, se il mercato domestico migliora (tassi d’interesse più bassi, quotazioni azionarie più elevate),  seguendo o meno l’andamento dei mercati esteri, la PNE peggiorerà,  anche con equilibrio del saldo di partite correnti. Effetto opposto si ottiene quando le valutazioni delle attività italiane si deprezzano. Effetto che è ancora più rilevante se, come nel 2011, avviene in controtendenza con la dinamica internazionale.
In questo modo si spiega il forte peggioramento della PNE avvenuto negli ultimi mesi. A fronte di valutazioni di attività estere che sono aumentate, si è avuto un più che proporzionale aumento dei valori delle attività italiane detenute da soggetti esteri. Questo peggioramento è quindi “normale” per la nostra economia, fortemente integrata con l’estero e con PNE negativa. 
Il problema non sarà quanto nei prossimi mesi peggiorerà la PNE (che fino a quando continuerà, se continuerà, la bonaccia sui mercati sarà presumibile aspettarsi), ma sarà quello di verificare se dal 2012 i capitali che sono arrivati possano essere maggiormente stabili, più a lungo termine rispetto a quelli che erano presenti all’inizio della crisi del 2011. Interessante sarà analizzare la scadenza delle nuove passività emesse e chi sia maggiormente esposto su passività di breve termine. 

Con un saldo positivo di partite correnti non abbiamo più bisogno di finanziare all’estero i nostri (ormai pochi) consumi e importazioni, ma nel caso si verificasse un nuovo deflusso di capitali siamo sicuri di aver le risorse (in termini di attività estere) necessarie per fronteggiarlo autonomamente?

8 commenti:

  1. Siete stati carini a farmi usare l'ultima ora a rimettere insieme i pezzi.

    Male non fa, anche se forse non ce n'era bisogno. La domanda finale ha parecchie modalità di lettura.
    Dal punto di vista tecnico e a botta calda direi che la soluzione UEM per Cipro è sdoganata e chiunque la può legittimamente (!?) usare, se del caso.
    Vedo meglio la faccia politica della questione: gestirla con la Costituzione della Repubblica Italiana in una mano e l'altra sul bottone di congelamento dei conti (ricordandosi di chiudere anche i pertugi dislocati all'estero).

    RispondiElimina
  2. La situazione non è certamente florida ( eufemismo ).
    È stato più volte detto che riacquistare la flessibilità del cambio è condizione necessaria ma non sufficiente, per uscire dall'eurodeclino certo in cui stiamo stati messi, ma occorre che il governo che gestirà l'uscita, sappia dosare con saggezza gli strumenti di politica economica, sennò i movimenti finanziari ( sapientemente illustrati sopra da Francesco ) ci faranno parecchio male, vista la nostra posizione debitoria netta nei confronti con l'estero.
    Quindi, chi governerà la futura transizione in uscita, dovrà avere anche la giusta lungimiranza, nel far pesare nel modo giusto il nostro paese ( che ricordo essere anche 60kxk di consumatori ).
    Ammetto di essere piuttosto preoccupato ......

    RispondiElimina
    Risposte
    1. "Piuttosto" preoccupato?
      La classe dirigente italiana - politica e grande industria- pensa che la situazione sia gestibile e con margini di tempo di medio-lungo periodo (diciamo una decina di anni di aggiustamenti, basati sul ricatto "fatte le riforme strutturali - =FLESSIBILIZZAZIONE TOTALE DEL LAVORO IN USCITA- ci saranno allentamenti fiscali...gestiti dall'UEM).
      Ciò non equivale solo alla fine dell'indipendenza formale, oltre che della sovranità sostanziale, ma ad un processo distruttivo industriale che andrà certissimamente fuori controllo.

      E Renzi ripete seraficamente la teoria hayekiana della benefica selettività, salvifica, delle fasi di recessione.
      Il problema è che tutta l'industria che rimarrà in piedi sarà di proprietà estera.
      E in più faranno l'ERF, per rendere economicamente improponibile una riduzione del debito con svalutazione della moneta ri-nazionalizzata.

      Comincio a temere che non siamo solo fritti, ma belli che masticati e di prossima "digestione"

      Elimina
    2. beh gia' ora il 40% delle soc. quotate in borsa e' in mano straniera....ormai sono 3 anni dal colpo di stato, questi sono i risultati (Napy puo' essere fiero) ...sul blog economy 2050 un articolo, che non riesco a linkare, dal titolo "l'italia versa alla bce interessi miliardari, grazie a regole poco note ( e molto penalizzanti)" ,,,sembra siano almeno (altri) 8 miliardi, ed il blog crede(va) nell'euro...mi sto' pero' convincendo che per pagare questi interessi, che si sommano alle rate del fondo salva banche tedesche, che si aggiungono agli interessi sul debito pubblico della moneta debito farlocca basata sulla carta straccia cotonota senza nessun retrostante in mano ad entita' mai elette dal popolo, e stampata (e pure poco) solo a loro insindacabile piacimento, nonche' imu tarsi ecc. basterebbe , e mi riallaccio al facciomoci buttare fuori: non rompere piu' le scatole agli artigiani della banconota di Giugliano, eccellenza del made in italy, dalle cui stamperie escono banconote di fattezza migliore(prese per buone dalle macchinette) di quelle (non meno fake) della bce...e sono senza costi di emissione! le emettono gratis, loro, a Giugliano...invece, dannazione, ci sono retate continue, nel 2009 furono arrestati in un colpo solo 109 di questi eccelsi professionisti e 165 segnalati all'autorita' giudiziaria....un vero caso di masochismo nazionale...io gli farei stampare le 50 euro con la X; cosi', per accelerare gli eventi...insomma, rivolgiamoci ai falsari indigeni invece che a quelli stranieri...
      ps pleonastico ripetere i complimenti a Francesco Lenzi ..

      Elimina
    3. Non riesco a essere ottimista (quel che vedo non mi piace), non riesco a essere pessimista (non riesco a vedere tutto il quadro).
      Dal 1980 si è formato un ciclone economico continuamente alimentato attraverso la leva finanziaria. Il ciclone è una singolare manifestazione atmosferica. All'interno del vortice viene stabilito, attraverso l'energia proveniente dall'esterno, un buon grado di vuoto (pressione più bassa dell'ambiente circostante) che mantiene la rotazione delle particelle e la rende stabile proiettando contemporaneamente il materiale verso l'alto.
      Dal 1980 il tempo trascorso è assai. Tutti gli strumenti utilizzati per mantenere la rotazione sono insostenibili, le macerie si accatastano una sull'altra.
      Cosa farà collassare la gigantesca bolla?
      Lehman Bros. sembrava adeguato alla bisogna (il più grande fallimento del mercato). Si sono riversate nuove risorse provenienti non dai privati ma dagli stati, intermediate dai privati (banche centrali indipendenti). Tra il PIL mondiale reale (circa 60 T$) e quello finanziario (circa 600 T$) la bolla attualmente dove va situata?
      Non ne faccio una questione morale, mi fanno un pochino ridere i creditori che pretendono il rientro dei loro capitali prestati sfidando il moral hazard (definizione non mia): l'economia reale non ha risorse sufficienti per far diventare denaro sonante la carta straccia. Si
      ricorrerà alla ricchezza. In Italia il rapporto tra ricchezza e PIL vale circa 2,3. Se manteniamo fisso questo parametro prendendolo (in primissima approssimazione) come media mondiale si ottiene una ricchezza mondiale di 138 T$. Quindi: se la bolla vale di più è priva di senso. Amenoché si incominci a scambiare il suolo nazionale come rimborso dei debiti contratti sotto moral hazard.
      Tutto ciò per dire che l'ipotesi frattalica vale. Perché non è la storia che si ripete secondo un genere letterario piuttosto che un altro. Semplicemente gli attori sono sempre gli stessi: descritti dal teatro greco con una integrazione secentesca (il vecchio Scuotilancia). E,
      sotto la pressione esterna ne dovranno succedere cose dentro al vortice. Che lo faranno collassare. Anche all'esterno succederà di tutto.
      Forse anche che arrivi la troika. E chi lo dice che il rignanese se ne starà a guardare. Berlusconi "teneva famiglia" ma lui no. Potrebbe diventare improvvisamente patriotanazionalistaantieuroglobalizzato e i parlamentari così come hanno votato i trattati UE con maggioranza bulgara possono ripristinare per decreto lo stato precedente (e li voglio proprio vedere quelli della troika protestare "al colpo di stato"). Il sedicente garante dell'unità nazionale deve ratificare fino a conversione in legge e se gli viene un infarto faremo funerali di stato adeguati alla statura del dipartito. Al rignanese basta restare nella NATO per essere a posto. Se i tempi sono rapidi e ben scelti il colpo può riuscire.

      ps ho inglobato nel valore di 600 T$ tutto ciò che si basa su leva considerando ignoto tutto l'OTC. Ci ho messo dentro anche i capitali prestati fuori dai confini nazionali al 4-5% e più (vedi Grecia) quando all'interno dei confini nazionali avrebbero potuto fruttare 0.5-1 %

      pps se sbaglio mi correggerete e scusate la follia. Quarantotto, se cestini non me la piglio.

      Elimina
  3. (Chiedo scusa per il ritardo nel commento, ma non ero a portata di computer). Intanto ringrazio Francesco per questa sua utilissima panoramica.
    Se ho capito un elemento importante della fragilità finanziaria italiana è costituito da IDE italiani che hanno dato cattiva prova di sé (sarebbe anche interessante far chiarezza sulla questione derivati, ma a quanto pare non è possibile...). Mi verrebbe da chiedere se è possibile sapere qualcosa del perché e se è un fenomeno che riguarda anche gli altri paesi debitori dell'eurozona (per esempio i dati di partite correnti francesi non mi sembrano incompatibili con uno scenario analogo).
    Quanto all'ultima domanda, mi pare, nel caso la risposta sia no, che si aprano poche possibilità: controllo di capitali e/o prestito tampone e/o liquidazione di asset. Mi sbaglio? Credo sia anche corretto sostenere che si tratterebbe di una situazione che la permanenza nell'euro non fa altro che rendere difficilmente evitabile e poco gestibile.
    Di recente ho letto L'austerità è di destra di Brancaccio e Passarella. Contiene una riflessione che mi pare di qualche interesse: "[...] uno degli autori di questo libro ha sostenuto, in tal senso, che invece di immolarsi al nefando obiettivo di austerità insito nel pareggio di bilancio pubblico, le autorità nazionali dovrebbero puntare al tendenziale pareggio della bilancia commerciale verso l’estero. In passato questo obiettivo è stato perseguito soprattutto attraverso politiche di austerità che riducevano i redditi e le importazioni, e politiche di contenimento dei salari che puntavano a sostenere il surplus commerciale manifatturiero. Simili interventi hanno finito per assecondare alcune fragilità strutturali del sistema produttivo nazionale, come lo scarso grado di centralizzazione e di organizzazione dei capitali.

    Oggi bisognerebbe agire in direzione opposta. La disciplina fiscale e del lavoro, il governo del credito e la politica di investimento pubblico dovrebbero essere orientati a forzare i processi di centralizzazione dei capitali e la riorganizzazione delle reti. È questa la via maestra per rilanciare una produttività del lavoro che da troppo tempo risulta stagnante, soprattutto a causa dell’estrema frammentazione del sistema nazionale di produzione e distribuzione. Inoltre, bisognerebbe puntare al tendenziale assorbimento delle principali voci di disavanzo verso l’estero, tra le quali spiccano la bilancia energetica e quella agroalimentare. Nuove misure di pianificazione nazionale finalizzate alla massimizzazione del risparmio energetico, e di riorganizzazione del settore agricolo, potrebbero contribuire allo scopo.

    Il pareggio tendenziale della bilancia commerciale verso l’estero dovrebbe insomma rappresentare un obiettivo strategico. Per le incoerenze interne dell’assetto dell’Unione, infatti, la crisi economica e finanziaria europea è destinata a durare. I paesi in grado di controllare i conti con l’estero riusciranno ad affrontare le future fasi di instabilità in condizioni di maggiore autonomia decisionale. Inoltre, anche laddove l’eurozona implodesse, un paese o un gruppo di paesi già capaci di assorbire i deficit verso l’estero riuscirebbero ad affrontare la tempesta in condizioni di minor svantaggio."

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Non sarei molto sicuro che una politica del genere darebbe risultati utili all'obiettivo. MI pare la solita tirata contro le PMI...
      La distribuzione si sta concentrando eccome e per di più in mano ai grandi controllori esteri. La produttività, come l'intendenza, segue la ripresa della domanda; quella estera non si può, quella interna nemmeno tanto per via della incombenza dell'elasticità alle importazioni. La centralizzazione dei capitali richiederebbe un sistema bancario non al collasso, sempre per via delle sofferenze determinate dalla compressione duplice della domanda (estera, per via del cambio e delle politiche di cambio extraue e di austerità intraue, e, di conseguenza, interna). Altrimenti si centralizza solo...il controllo estero...Per l'agroalimentare, rivolgersi alla stessa UEM, e mettiamoci ora pure le sanzioni alla Russia. And so on...
      A a prima lettura l'ipotesi non pare molto persuasiva

      Elimina
    2. E come fai per le importazioni dentro la UE (art.34 TFUE)? Sarebbe ancora più radicale dell'euroexit.
      Certo per i capitali ci sarebbe l'art.65 TFUE, in specie il par.2; ma si possono "adottare misure giustificate da motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza" (altrimenti solo per prevenire violazioni fiscali e delle disposizioni sulla vigilanza "prudenziale" delle istituzioni finanziarie, ipotesi non legabile direttamente al saldo CAB, come attestano Grecia e Cipro).
      Insomma, restando nell'UE persino dopo euroexit ci sarebbero dei problemi: salvo che si accetti l'idea, antitetica all'ordoliberismo, che deflazionale all'infinito il lavoro conduca alla rivolta sociale (da "impedire" nel senso di prevenire, come giustificazione di "ordine pubblico").
      Alla fine le "clausole generali" dei trattati, assumono un senso o un altro (come la piena occupazione dell'art.3, par.3) a seconda del paradigma culturale che si riesce a imporre dall'interno di un popolo e anche come "sentire comune".
      Il che rimane il problema di fondo, fuori o dentro i trattati.
      Grazie per aver stimolato questa riflessione....

      Elimina