domenica 30 novembre 2014

IL TEST DI ORWELL




«Il controllo economico non è il semplice controllo di un settore della vita umana che possa essere separato dal resto; è il controllo dei mezzi per tutti i nostri fini. E chiunque abbia il controllo dei mezzi deve anche determinare quali fini debbano essere alimentati, quali valori vadano stimati […] in breve, ciò che gli uomini debbano credere e ciò per cui debbano affannarsi».
(F. von Hayek da "Verso la schiavitù", 1944).


1. Molti di voi, con acute osservazioni, hanno già sottolineato il parallelismo tra la situazione, culturale e politico-economica, determinata dal dilagare della non-sovranità €uropea-UEM e la distopia illustrata da Orwell in "1984"(Il Grande Fratello).
Di questa riassumiamo i caratteri essenziali, traendoli da questa sintesi dell'opera. (Non ci sorprenda la fonte: la finalità è quella di condannare il solito "collettivismo" e, - associandolo implicitamente ad esso-, lo Stato di diritto: questo viene definito, secondo la vulgata internazionalista, in base attributi immaginari che sintetizzano, a loro volta,un'idea denigratoria oggetto di una propaganda martellante).
 Nel mondo-Stato orwelliano gli slogan politici ricorrenti sono: "La pace è guerra", "La libertà è schiavitù", "L'ignoranza è forza".

Altro meccanismo fondamentale, che consente di rendere accettabili tali paradossi illogici, - caratterizzati dal ribaltamento del senso comune, per fare di tale ribaltamento una "cultura di massa" irreversibile-, è "la pratica del bis-pensiero...artificio che limita, mediante la sottrazione di termini atti a esprimerli, i concetti a disposizione dei cittadini.

2. Il meccanismo di potere, straordinariamente attuale nella progressione che ha contraddistinto (sicuramente in Italia), il consolidamento dell'€uropa come fonte suprema di legittimazione di ogni possibile decisione di pubblico interesse, è così descritto:
"L'elemento più inquietante del libro è proprio il "salto di qualità" che il Grande Fratello aveva fatto compiere alla dittatura. Egli non solo pretende obbedienza assoluta, ma anche la spontanea condivisione del sogno...
Se l'uomo non ha la capacita' di identificare in maniera razionale il motivo della sua sofferenza, poiché non ha parole per esprimerlo e per rifletterci, allora  non può neanche definire la causa della propria sofferenza e l'oggetto del proprio odio.
Tutto quel che rimane è soltanto un rancore indefinito, che può essere
spazzato via attraverso le sedute di "odio collettivo".
La relazione tra linguaggio e capacità critica e' estremamente interessante. Come impostare un ragionamento logico-deduttivo se nella propria lingua non esiste il periodo ipotetico? Le capacità di astrazione sono influenzate dal linguaggio utilizzato se l'uomo non è in grado o non può, nel caso prospettato in 1984,  modificare la propria lingua?"

In epoca di "macchina del livore", si assiste al sofisticato artificio politico-comunicazionale di forze politiche che, sviluppandosi (forze inconsapevolmente) sulle origini di tale "macchina", direttamente inoculate dal sistema dominante, nascono come apparente "opposizione", caratterizzandosi però per l'applicazione del bis-linguaggio come strumento di esercizio dell'odio collettivo (Basta-casta, corruzione, evasione, spesa pubblica improduttiva, estesa ad libitum con l'etichetta di "privilegio" intollerabile, che disarticola e neutralizza il concetto di interesse pubblico, cioè comunitario, che costituisce il programma costituzionale democratico).

3. Ciò non può soprendere.  
In perfetta coerenza con l'enunciato Hayekiano sopra citato, i paradossi illogici si fanno senso comune e il bis-linguaggio disarma ogni preservazione della capacità critica individuale e collettiva, attraverso il paradigma - più sottile e accettabile della cupezza stalinista evocata da Orwell- del linguaggio pop, sostanza incarnata del moderno bis-linguaggio.
Lo abbiamo già visto qui:
"non "l'economia", ma "i controllori" dell'economia, come fenomeno di potere, prima ancora che come disciplina accademica (anch'essa utilizzata strumentalmente), hanno, attraverso i media, creato un discorso globale con il linguaggio pop. 
Di cui la pubblicità è parte (ad es; "abbiamo l'escusiva", e da lì in poi), fornendo ma anche facendosi rifornire, da accademia, cinema, gossip e, ovviamente, sintassi e contenuti giornalistici: tutti quanti insieme creano una sorta di ghost institution che predetermina e fertilizza a livello di massa, il pensiero acritico su cui attecchisce la trasformazione politico-istituzionale.
E questo, in modo tale che la trasformazione non incontri resistenze, dato che chi la conduce appare condividere tale linguaggio (prima gli affaticati negoziatori della costruzione europea, offerti, incredibilmente, come costruttori di "pace", poi i neo-liberisti "alla mano", impunemente ritenuti credibili nel voler tutelare l'occupazione).

Si è creata così una sostanza apparente, un discorso-involucro indistinguibile dai fini dissimulati, che ha tramutato i vecchi valori in slogan che li svuotano in modo rassicurante, offrendo la continuità una illusoria identificazione comune: perchè tutto è pop, cioè sintetizzabile in gingles equiordinati nella loro rilevanza ("lo vuole l'Europa", "combattiamo il razzismo", "ridurre il debito assicura la stabilità finanziaria", "occorre pensare alle fasce più deboli", "il femminicidio", "l'emergenza mal tempo")
.
"

4. La "sottigliezza" del sistema spiega perchè la ghost institution che presiede ad ogni forma di opinione di massa, sia in grado di generare un'apparente opposizione tutta confinata all'interno della "macchina del livore", da essa stessa creata per rendere, non solo inoffensiva, ma persino "sinergica", la forma ammessa di opposizione:
"Il sistema, è ormai cosa nota, gestisce l’informazione ma anche, in modi indiretti e spesso occultati, la stessa contro-informazione: per cui, il prodotto che giunge al cittadino medio è la disinformazione, cioè la famosa “verità ufficiale”, più efficacemente divulgata se contenente, al suo interno, un'apparente dialettica di versioni "opposte", provenienti però dalla stessa indistinta "fonte di divulgazione"..."

Dato questo quadro, vi sottopongo una metodologia di decodificazione di pensieri e slogan dominanti che consente di pervenire con immediatezza all'identificazione della verità effettuale, cioè dei dati descrittivi della realtà correttamente identificati secondo una verosimile relazione di causa-effetto.
L'emersione del rapporto causale "reale" talvolta non è immediata, perchè gli slogan del bis-linguaggio, ordoliberista-pop, sono spesso formulati in forma di paralogismo emotivo, cioè persino privo dell'apparenza di voler fornire un meccanismo di causa/effetto.

5. Questa metodologia mi è sovvenuta facendo lezione agli studenti universitari, che si mostravano in grande difficoltà nel comprendere alcune nozioni elementari, dato che erano "precondizionati" proprio dall'acquisizione automatica di slogan-pop: essi, cioè, non riuscivano ad eliminare queste premesse implicite del ragionamento, che ricadeva perciò in un inevitabile paralogismo bloccante la riemersione dei veri meccanismi causa/effetto.
L'esempio più eclatante è stato quando, di fronte alla spiegazione economica e storica delle origini e degli effetti della costruzione europea, parevano disorientati nel conciliarla con la implicita premessa incontestabile "va bene, sarà pure così, ma in che altro modo si sarebbe potuta garantire la pace in Europa?"
La risposta più ovvia è che lo slogan ordoliberista-pop per cui la costruzione europea abbia avuto qualcosa a che fare con la pace, risulta del tutto falso
Non a caso, i ragazzi, non erano a conoscenza dell'equilibrio di Yalta e quindi non riuscivano a collegare la fine degli effetti di quest'ultimo proprio con l'irrompere dei nuovi conflitti in Europa, tutti posteriori -evidenza che non erano in grado di scorgere- alla stessa istituzione della UE! 
Riguardo a questo plateale processo di distorsione ed appiattimento della Storia recente europea rinviamo a quanto detto qui

6. Di fronte a questa difficoltà, ho suggerito allora di effettuare, rispetto alla descrizione della realtà politica ed economica che veniva loro offerta come incontestabile, il "test di Orwell".
Questo consiste:
a) nel mettere insieme - anche attraverso un confronto tra di loro per determinare gli enunciati "fondamentali" più frequenti e condivisi dai media- le principali proposizioni descrittive e valutative costituenti il blocco centrale della versione mainstream della realtà;
b) semplicemente, ribaltarne il senso logico (apparente);
c) nel ricostituire di conseguenza un quadro descrittivo dei fenomeni che facesse emergere gli effettivi meccanismi di causa effetto.
Se la selezione delle "proposizioni significative" è fatta con sufficiente accuratezza, oltretutto, ciò può arrivare a dipingere l'intero quadro dell'ideologia e degli scopi "occultati" del sistema neo-orwelliano insito nella costruzione europea.
Ciò, poi, vi agevolerà nella ricerca delle fonti che ne costituiscono l'origine storica e nella identificazione dei dati corrispondenti alla realtà che tale sistema ha assoluto interesse ad oscurare. 

Facciamo qualche esempio.
Il più facile, e comunque già in sè rilevante, è partire dal clou del bis-linguaggio del libro di Orwell:
a) "La pace è guerra". Il suo ribaltamento logico più immediato utilizza la funzione "not": cioè "la pace NON è guerra".
b) Avremo quindi, anche, "La libertà NON è schiavitù", "L'ignoranza  NON è forza". In questi ultimi casi, il processo è meglio specificabile attraverso la de-relativizzazione del concetto ottenuto mediante il "not". Cioè "La libertà non è mai schiavitù...per nessuno" ovvero, in forma di sviluppo transitivo della locuzione "non-forza", "L'ignoranza è debolezza".

7. Applichiamo il sistema a proposizioni tra le più significative tra quelle affermate come "senso comune" dominante dai media ordoliberisti.
Es; "Abbiamo vissuto al di sopra delle nostre possibilità"=> "NON abbiamo vissuto al di sopra delle nostre possibilità"=> "L'Italia, finchè è stata libera da vincoli monetari e fiscali €uropei, è stato il più grande paese di risparmiatori tra i paesi europei".
Cosa che possiamo vedere essere totalmente rispondente alla realtà in base ai dati oggettivi comunemente riscontrabili:
 
Avanzo primario e tasso di risparmio 

Sarebbe agevole proseguire identificando struttura "paralogica" e plateale contrarietà ai dati reali della maggior parte delle proposizioni che alimentano la grancassa mediatica, funzionale alla perpetuazione del regime ordoliberista. 
Questo sistema, -e vi invito a farlo sulle proposizioni dominanti che più colpiscono il vostro personale criterio di rilevanza prioritaria- è applicabile praticamente a tutti i temi di economia e di "riforma" ossessivamente proposti dall'azione di governo e dalla spinta degli stessi media (l'efficienza causale sulla crisi della "corruzione" o dei "costi della politica", l'esigenza di riforme strutturali inevitabilmente portate alla deflazione del lavoro come unica via di ritorno alla crescita, la stessa enfasi sugli investimenti di fronte all'occultamento sistematico di una crisi da domanda, la indispensabilità delle riforme costituzionali, ecc.).

8. Il "test di Orwell" può avere un'altrettanto utile funzione di autodifesa concreta ed empirica su singoli enunciati di singole "voci", espressione insidiosa del tecnicismo pop. In questo blog, ne abbiamo dato una numerosa serie di esempi.
Quello che vi suggerisco, per la sua immediatezza, è che quando identificate una voce manistream, inevitabilmente assertiva e "violenta" (in genere nel colpevolizzarvi e nel praticare l'autorazzismo), passiate subito ad individuare le proposizioni chiave che reggono il paralogismo apparentemente dimostrativo e ne ribaltiate il significato apparente per poi de-relativizzarle. 
Ciò, ci rende immediatamente il meccanismo causa/effetto che si intende oscurare e fa cadere il resto delle proposizioni corollario chiamate a manipolare la descrizione della realtà.

Prendiamo questa recentissima intervista rilasciata da Padoan al Corsera ed applichiamo il "test di Orwell":
"Ha ragione quindi Mario Draghi secondo il quale serve una cessione di sovranità da parte degli Stati membri e una maggiore Unione politica?
«Condivido pienamente il pensiero del presidente della Bce che sin da questa estate a Jackson Hole ha detto che servono tutti gli strumenti di bilancio, strutturali, monetari e finanziari peruscire da questa fase difficile».
Ma allora perché non fare come la Francia che non rispetta il tetto del deficit al 3%, favorendo gli investimenti?
«Sfondare il 3% sarebbe un errore gravissimo,implicherebbe una inversione di 180 gradi della politica del governo, una totale perdita di credibilità. Avere un bilancio solido, invece, permette di reagire a situazioni difficili e di essere più flessibili nell’uso delle risorse. Un sentiero credibile di aggiustamento dei conti garantisce la fiducia dei mercati finanziari che per un Paese con un alto debito come il nostro è fondamentale, pena l’innalzamento della spesa per interessi»
".

Vediamo come emergerebbe l'insieme di queste affermazioni in base al criterio del ribaltamento logico:
Ha ragione quindi Mario Draghi secondo il quale serve una cessione di sovranità da parte degli Stati membri e una maggiore Unione politica?
«DISSENTO DAL pensiero del presidente della Bce che, sin da questa estate a Jackson Hole, ha PUR detto che servono tutti gli strumenti di bilancio, strutturali, monetari e finanziari per uscire da questa fase difficile. TUTTAVIA LA ESPRESSA E FONDAMENTALE VOLONTA' DEI TRATTATI VIETA QUESTI STRUMENTI E DUNQUE LA CESSIONE DI SOVRANITA,' IN QUESTO CHIARO QUADRO DI VINCOLI GIURIDICI, IMMUTABILI PER LA PARTE DOMINANTE DEI PAESI UEM, NON AVREBBE NESSUNA CONCRETA UTLITA' NEL RISOLVERE LA CRISI
».
Ma allora perché non fare come la Francia che non rispetta il tetto del deficit al 3%, favorendo gli investimenti?
«Sfondare il 3% NON sarebbe un errore gravissimo, ANCHE SE implicherebbe una inversione di 180 gradi della politica del governo; IN QUESTA SITUAZIONE NON HA SENSO PARLARE DI EFFETTI SIGNIFICATIVI DI una PRESUNTA totale perdita di credibilità. 
Avere un bilancio solido, invece, NON permette di reagire a situazioni difficili e di essere più flessibili nell’uso delle risorse. Un sentiero credibile di aggiustamento dei conti NON garantisce la fiducia dei mercati finanziari DATO che per un Paese con un alto debito come il nostro è fondamentale NON INNALZARE ULTERIORMENTE IL RAPPORTO DEBITO/PIL CON ULTERIORE RECESSIONE INDOTTA DAL RISPETTO DEI PARAMETRI FISCALI, pena l’innalzamento della spesa per interessi».
Lascio a voi, credo senza particolari difficoltà, l'automatica individuazione delle fonti che fanno riemergere la verità nascosta dalla prima "versione".
Mi limito a darvene un esempio eloquente, DA FONTE FMI. 
Ecco come il rapporto debito/PIL è aumentato a seguito del consolidamento di bilancio "credibile". Notare l'andamento a partire dal governo Monti post 2011 (ma già dalle manovre Tremonti dell'estate 2010...):

italia rapporto debito pil





venerdì 28 novembre 2014

2° COMPLEANNO DEL BLOG. IL LUNGO 25 LUGLIO...(Non sempre dire cose "vere" significa dire la "verità")


In questi giorni abbiamo appena registrato il 2° compleanno di questo blog
Ringrazio, per avermelo ricordato, Sergio Govoni e Riccardo Seremedi (in un certo senso cointeressati, dato che il blog è comunque anche "loro").
Tutto è partito da questo post del 25 novembre 2012.
Rileggendolo una cosa mi pare possa essere affermata a consuntivo di questi due anni: che abbiamo tenuto fede alla promessa di fornire una "fonte di conoscenza e di contributi scientifici, intrinsecamente democratica nel senso qui precisato" e di aver poi effettivamente parlato "di problemi e questioni che sono all'attenzione di tutti i cittadini, nella loro vita molto concreta e molto angosciante, per definire analisi, proposte e strumenti che possano portare a REGOLE E SOLUZIONI di rivitalizzazione della democrazia e del benessere generale." (Vi prego di vedere dove porta il link su "regole e soluzioni"...)

Non mi sento al momento di riproporre, rispetto alla "ipotesi frattalica", un ulteriore aggiornamento: nel grande sommovimento, semisotterraneo, che si preannuncia negli equilibri istituzionali e politici italiani, l'aggiornamento si sta, in un senso piuttosto evidente, manifestando da solo.
Almeno per chi volesse guardare alla realtà sociale italiana odierna avendo come punto di riferimento proprio i "canoni" dell'ipotesi frattalica.
Qualcuno di voi, ne sono certo, saprebbe svilupparli in termini previsionali utilizzando i fatti che sono attualmente in svolgimento sotto i nostri occhi...
Per parte mia mi limito a riaffermare che stavolta il 25 luglio si stia manifestando "sgranato" su un periodo più lungo, come in una sorta di magnificazione al rallentatore, anzicchè "uno actu": ma l'inizio di tale evento "prolungato" rimane ugualmente collocabile all'interno del 2014.

Per non tediarvi con considerazioni di circostanza, vi dico in estrema sintesi una cosa che mi sgorga dal cuore, ripensando a tutto il percorso fatto insieme:
GRAZIE


Infine, come piccolo "regalo" vi sottopongo un lungo articolo di Reuters sulla situazione italiana. 
Vi invito caldamente a leggervelo, sapendo che, com'è accaduto a me, un senso di "divertimento", un pò ironico e tragico (quello che ci sovviene quando assistiamo a qualcosa di pomposo che si copre di ridicolo), è inevitabile provarlo nel vederne i contenuti.
Per i lettori più attenti ed affezionati di questo blog, ciò che è detto nell'articolo non costituisce assolutamente una novità e non fornisce delle informazioni "aggiuntive": quello che mi pare più importante è che un articolo del genere ci sia, e che ci sia in questo momento e con questi toni
Cosa che ci conferma quanto detto qui ai paragrafi VII e VIII e anche in questo più recente post.
Poi ci fornisce anche un'ulteriore di conferma: dire cose "vere", se non si dispone di un modello di riferimento radicato profondamente nella Costituzione democratica, non significa necessariamente dire la "verità.
Eccovi il link all'articolo e...buon divertimento:

SPECIAL REPORT / Perché i supermercati italiani vuoti terrorizzano l'Eurozona


giovedì 27 novembre 2014

LA "SORPRESINA" (di Angela): TTIP E ACCORDI DI CAMBIO VINCOLANTI. DALLA GRECIA ALL'ARGENTINA.


1. Avrei dovuto parlarne in chiusura del mio intervento alla London School of economics, ma non c'è stato il tempo. Mi riferisco al prevedibile destino della nostra c.d. "sovranità monetaria", ANCHE in caso di euro-break, ma nella futura e, sempre più probabile, prospettiva del TTIP, cioè del trattato free-trade tra Unione Europea e Stati Uniti (presumibilmente allargato a tutta l'area NAFTA, inclusiva di Messico e Canada).
Come abbiamo già visto in questo post, il "rilancio liberoscambista" può portarci fuori dall'euro ma, nella sostanza, farci naturalmente permanere nello stesso quadro di vincoli escludenti le politiche economiche sovrane previste dalla Costituzione, in vista della "stabilità dei prezzi" indispensabile nel quadro di competizione tra Stati connesso al free-trade, e dell'adozione di  un modello di mercato del lavoro strettamente funzionale a tale stabilità dei prezzi.

2. Il motivo per cui mi pare di scottante attualità parlare di questo argomento, sta in una recentissima dichiarazione della Merkel, che risulta altamente significativa circa le "intenzioni" dell'establishment UE relativo alla accelerazione nella direzione del TTIP. Cosa ha detto la Merkel, ieri 26 novembre 2014?
In sintesi (dalla altrettanto significativa fonte "Diario Las Americas):
"La cancelliera tedesca Angela Merkel, ha chiesto oggi all'Europa di sostenere le proprie economie, appoggiando i negoziati dell'UE per sottoscrivere un trattato di libero commercio transatlantico (noto come TTIP) per non ritrovarsi indietro a livello internazionale nella competitività."

3. Per farvi comprendere la cornice in cui i trattati inseriscono il TTIP e quello che ne conseguirà- e di cui parleremo in aggiunta a quanto detto a Londra-, mi dovrete perdonare ma dovrò riportarvi le norme del trattato
Queste risultano, come poche altre, piuttosto complicate (secondo la logica intrinseca del "non far capire", rammentataci da Amato), ma lo sforzo di lettura "guidata" è, in questo caso, più che mai utile (e se lo farete potrete anche scorgervi ulteriori aspetti che mi siano eventualmente sfuggiti).
La prima norma in rilievo è l'art.216 del trattato sul funzionamento dell'Unione (TFUE).
Ve lo riproduco ponendo in neretto le parti "autoesplicative".
"1. L'Unione può concludere un accordo con uno o più paesi terzi o organizzazioni internazionali qualora i trattati lo prevedano o qualora la conclusione di un accordo sia necessaria per realizzare, nell'ambito delle politiche dell'Unione, uno degli obiettivi fissati dai trattati, o sia prevista in un atto giuridico vincolante dell'Unione, oppure possa incidere su norme comuni o alterarne la portata.
2. Gli accordi conclusi dall'Unione vincolano le istituzioni dell'Unione e gli Stati membri."

4. Vediamo quale norma del trattato possa prevedere il TTIP e quindi la conclusione "autonoma" di un trattato da parte degli organi UE, direttamente vincolante per gli Stati (senza ulteriore intervento di ratifica ed esecuzione dei singoli parlamenti statali). 
Questa è l'art.207 TFUE, il cui tenore risulta direttamente applicabile al caso. 
Le parti in neretto ve lo faranno comprendere con immediatezza (ho pure sottolineato quello che, a mio parere, è l'oggetto probabilmente più incisivo in termini di modifica dei modelli costituzionali):
"1. La politica commerciale comune è fondata su principi uniformi‚ in particolare per quanto concerne le modificazioni tariffarie‚ la conclusione di accordi tariffari e commerciali relativi agli scambi di merci e servizi, e gli aspetti commerciali della proprietà intellettuale‚ gli investimenti esteri diretti, l'uniformazione delle misure di liberalizzazione‚ la politica di esportazione e le misure di protezione commerciale‚ tra cui quelle da adottarsi nei casi di dumping e di sovvenzioni. La politica commerciale comune è condotta nel quadro dei principi e obiettivi dell'azione esterna dell'Unione.
2. Il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando mediante regolamenti secondo la procedura legislativa ordinaria, adottano le misure che definiscono il quadro di attuazione della politica commerciale comune.
3. Qualora si debbano negoziare e concludere accordi con uno o più paesi terzi o organizzazioni internazionali, si applica l'articolo 218, fatte salve le disposizioni particolari del presente articolo.
La Commissione presenta raccomandazioni al Consiglio, che l'autorizza ad avviare i negoziati necessari. Spetta al Consiglio e alla Commissione adoperarsi affinché gli accordi negoziati siano compatibili con le politiche e norme interne dell'Unione.
Tali negoziati sono condotti dalla Commissione, in consultazione con un comitato speciale designato dal Consiglio per assisterla in questo compito e nel quadro delle direttive che il Consiglio può impartirle. La Commissione riferisce periodicamente al comitato speciale e al Parlamento europeo sui progressi dei negoziati.
4. Per la negoziazione e la conclusione degli accordi di cui al paragrafo 3, il Consiglio delibera a maggioranza qualificata.
Per la negoziazione e la conclusione di accordi nei settori degli scambi di servizi, degli aspetti commerciali della proprietà intellettuale e degli investimenti esteri diretti, il Consiglio delibera all'unanimità qualora tali accordi contengano disposizioni per le quali è richiesta l'unanimità per l'adozione di norme interne.
Il Consiglio delibera all'unanimità anche per la negoziazione e la conclusione di accordi:
a) nel settore degli scambi di servizi culturali e audiovisivi, qualora tali accordi rischino di arrecare pregiudizio alla diversità culturale e linguistica dell'Unione;
b) nel settore degli scambi di servizi nell'ambito sociale, dell'istruzione e della sanità, qualora tali accordi rischino di perturbare seriamente l'organizzazione nazionale di tali servizi e di arrecare pregiudizio alla competenza degli Stati membri riguardo alla loro prestazione.
5. La negoziazione e la conclusione di accordi internazionali nel settore dei trasporti sono soggette al titolo VI della parte terza e all'articolo 218.
6. L'esercizio delle competenze attribuite dal presente articolo nel settore della politica commerciale comune non pregiudica la ripartizione delle competenze tra l'Unione e gli Stati membri e non comporta un'armonizzazione delle disposizioni legislative o regolamentari degli Stati membri, se i trattati escludono tale armonizzazione."

5. L'art.218, a sua volta, delinea una procedura che l'art.207 consente, come abbiamo visto di derogare, ma che in ultima analisi:
a)  include una "approvazione" del Parlamento europeo (che in effetti risulterebbe già nel caso  coinvolto, ancorchè l'art.207 parrebbe derogare a tale onere procedurale) (art.218, par.6);
b) consente al singolo Stato di opporsi alla conclusione del trattato (e della sua diretta vincolatività per gli Stati) facendo mancare l'unanimità e sottoponendo alla Corte di giustizia UE la questione della compatibilità del nuovo trattato commerciale con il quadro degli stessi trattati europei (art.218, parr.8 e 11). Esclusa dunque ogni eccezione relativa alla incompatibilità del nuovo trattato "commerciale" con le norme fondamentali delle rispettive Costituzioni.

Diciamo che il TTIP, con la sua importanza in termini di "quadro istituzionale specifico" che verrebbe a creare e per le sue "ripercussioni finanziarie", in specie legate alla "uniformazione delle misure di liberalizzazione" dovrebbe essere soggetto ad approvazione, e non mera consultazione, del Parlamento europeo e, presumibilmente - non è possibile dirlo a priori se non si conoscono gli esatti contenuti negoziati- ad una deliberazione all'unanimità.
Ma entrambe queste modalità approvative non paiono essere ostacoli "politicamente" insuperabili, data la confluenza di preventivo gradimento al TTIP, praticamente "a scatola chiusa", che già mostrano i nostri esponenti governativi e, come abbiamo visto, la stessa Merkel (il che non è poco...).

6. E' a questo punto che si colloca l'altro potere di conclusione di accordo "connesso" e, in un certo quadro, attuativo del TTIP stesso. Cioè la "sorpresina" di un assetto, questa volta monetario, già prevista dal Trattato e che, come vedremo, si può instaurare, con vincolo diretto a carico dei singoli Stati, indipendentemente dalla sopravvivenza dell'euro
Il punto è dunque importantissimo.
E lo troviamo regolato all'art.219 del TFUE:
"1. In deroga all'articolo 218 il Consiglio, su raccomandazione della Banca centrale europea o su raccomandazione della Commissione e previa consultazione della Banca centrale europea, nell'intento di pervenire a un consenso compatibile con l'obiettivo della stabilità dei prezzi, può concludere accordi formali su un sistema di tassi di cambio dell'euro nei confronti delle valute di Stati terzi. Il Consiglio delibera all'unanimità previa consultazione del Parlamento europeo e secondo la procedura di cui al paragrafo 3.
Il Consiglio, su raccomandazione della Banca centrale europea o su raccomandazione della Commissione e previa consultazione della Banca centrale europea, nell'intento di pervenire ad un consenso coerente con l'obiettivo della stabilità dei prezzi, può adottare, adeguare o abbandonare i tassi centrali dell'euro all'interno del sistema dei tassi di cambio. Il presidente del Consiglio informa il Parlamento europeo dell'adozione, dell'adeguamento o dell'abbandono dei tassi centrali dell'euro.
2. In mancanza di un sistema di tassi di cambio rispetto ad una o più valute di Stati terzi, come indicato al paragrafo 1, il Consiglio, su raccomandazione della Commissione e previa consultazione della Banca centrale europea, o su raccomandazione della Banca centrale europea, può formulare gli orientamenti generali di politica del cambio nei confronti di dette valute. Questi orientamenti generali non pregiudicano l'obiettivo prioritario del SEBC di mantenere la stabilità dei prezzi.
3. In deroga all'articolo 218, qualora accordi in materia di regime monetario o valutario debbano essere negoziati dall'Unione con uno o più Stati terzi o organizzazioni internazionali, il Consiglio, su raccomandazione della Commissione e previa consultazione della Banca centrale europea, decide le modalità per la negoziazione e la conclusione di detti accordi. Tali modalità devono assicurare che l'Unione esprima una posizione unica. La Commissione è associata a pieno titolo ai negoziati.
4. Senza pregiudizio della competenza dell'Unione e degli accordi dell'Unione relativi all'Unione economica e monetaria, gli Stati membri possono condurre negoziati nelle istanze internazionali e concludere accordi internazionali."

7. Allora, sempre "in deroga all'art.218, cioè con procedura semplificata (nei termini di cui al par.3), il Consiglio dei ministri UE:
a) può concludere accordi di cambio relativi all'euro - evidentemente, nel caso ciò sia necessario, ad es; per attuare un trattato commerciale con "terzi" che coinvolga solo l'area UEM; ovvero, -in base all'estensione che la norma implica per suo contenuto naturale-, anche nel caso che l'euro non sia più esistente come valuta comune (!), ma permanga una regolazione dell'area ex-UEM sostitutiva della moneta unica, in "successione" alla stessa
b) ovvero comunque può concludere "accordi in materia di regime monetario o valutario" con "uno o più Stati terzi o organizzazioni internazionali", anche al di fuori dell'area UEM e, in assunto, estesa a tutta l'UE.

Insomma, il TTIP ha già il suo complemento di (potere dell'UE di concludere un) accordo, DIRETTAMENTE VINCOLANTE PER I SINGOLI STATI UE (O UEM), avente ad oggetto i cambi con Stati terzi o organizzazioni internazionali (quale potrebbe configurarsi il TTIP). 
E ciò, va ribadito, sia che tale regime, monetario o valutario, risulti comune a più monete diverse che fossero riemettibili dai singoli Stati-membri UE dopo un'euro-break, sia che ciò riguardi una UE in cui, nel trattato TTIP, risultassero coinvolti sia paesi UEM e sia l'area UE non-UEM.

8. La cornice di tutto questo sta evidentemente nel mantenimento della "stabilità dei prezzi", priorità comunque assoluta e giustificante i contenuti di tale accordo di cambio con Stati terzi o organizzazioni; ne derivano tutti i ben noti corollari che ormai la vicenda dell'euro e del suo target inflattivo al 2%, ci hanno tangibilmente mostrato.
Ed infatti, il target inflattivo al 2%, è stato chiaramente voluto come asimmetrico, e quindi dotando la BCE di poteri per ridurre l'inflazione - mediante politiche monetarie restrittive di alti tassi, ma non anche di poteri per poterla riportare in su, in caso di deflazione (o inflazione sotto target), poteri che non possono consistere nella mera fissazione dei tassi. 
E ciò abbiamo imparato a capirlo negli ultimi anni, essendosi posto lo stesso problema che evidenziava Keynes riguardo alla crisi del '29, quando usava la metafora per cui di un sacchetto si può restringere l'apertura tirandone il filo, ma non si può ri-allargare la stessa spingendo tale filo...per un fatto fisico elementare.

In estrema sintesi, una volta che l'euro, - coi suoi enormi effetti di deindustrializzazione e di correzione di tipo "gold standard", cioè tesa a parificare i tassi di inflazione e gli squilibri commerciali agendo sul solo costo del lavoro-, ci ha posto nella condizione di "paese periferico" e strutturalmente indebolito, producendo gran parte dell'effetto Grecia di nostra rispettiva spettanza (a ognuno il suo, ma sempre con uno spettacolare rimodellamento verso il basso della forza economica e della coesione sociale), ci attende un quadro TTIP che, attuato in via di connesso accordo sui cambi, ci porrà in un peg col dollaro, ma sempre senza prevedere i famosi trasferimenti fiscali "federali" a correzione degli squilibri commerciali. 
Il tutto, evidentemente, e dovremmo averlo ormai imparato, significa prosecuzione del mercato del lavoro deflazionista interno e precarizzato o, in alternativa...l'Argentina.

martedì 25 novembre 2014

L'ASTENSIONISMO? PER CAPIRE BASTA STUDIARE IN ALBANIA

Libero 14 nov 2014
In continuità col post di ieri, in cui la questione "astensionismo elettorale" era proiettata sulla incomprensione, da parte della politica, degli effetti del modello economico e sociale che l'acritico "più Europa" sta imponendo al nostro Paese, vi riporto questa significativa conversazione nata da un commento di Flavio.
Quest'ultimo rispondeva a sua volta a questa mia notazione:
"...ad essere pratici, entro poco, il problema sarà "essere rieletti o andare a lavorare". In Italia. Fattore da non trascurare...
Tanto più che Confindustria vaga nel buio, non pervenuta neppure a se stessa, visto che l'unica cosa che sanno ripetersi è che con l'euro pagano meno le importazioni e il costo del lavoro può essere illimitatamente compresso.
Peccato che, mentre si estinguono (i fatturati e la proprietà italiana), gli altri europei hanno praticamente già mollato l'UEM".

Così, dunque, Flavio:
"Collegandomi a importazioni e costo del lavoro, segnalo l'interessante studio di Klodian Muco dell'Università di Argirocastro, Albania.
Fa specie leggere (soprattutto dopo dati snocciolati da Poggio): 
 "...nell’ultimo decennio oltre ventisettemila aziende italiane hanno delocalizzato la produzione all’estero, creando oltre 1.5 milioni di posti di lavoro esteri e lasciando allo stato una fattura da 15 miliardi di euro per gli ammortizzatori sociali... soltanto il 10% di queste aziende sono andate oltre i confini europei (soprattutto in Asia) mentre la restante parte sono rimaste in Europa, in Austria, Svizzera, Germania, e soprattutto nei paesi balcanici... 
Secondo un studio condotto dalla Confindustria Balcani nel 2012, il salario medio in Romania è di 350 euro mentre in Albania è ancora più basso, 250 euro. Il salario medio nell’area balcanica è di 411 euro, circa tre volte in meno rispetto al salario medio in Italia. 
Ma il livello dei salari non è l’unico vantaggio per spostare la produzione nell’area balcanica. Anche le condizioni fiscali sono molto attraenti per gli imprenditori stranieri. Per queste ragioni un grande numero di imprese italiane si è spostato nell’area in questione: 17.700 imprese di cui 15700 solo in Romania. 
Nelle imprese italiane con sede nell’area balcanica lavorano oltre 900.000 persone, di cui 800.000 soltanto in Romania (Confindustria Balcani, 2012). 
Questo trend negli ultimi anni sta cambiando: secondo stime non ufficiali, l’entrata della Romania nell’UE ha determinato la “fuga” delle imprese italiane in altri paesi non aderenti all’UE, come per esempio l’Albania... le aziende che spostano la produzione all’Est non chiedono solo una manodopera a bassissimo costo e relativamente specializzata ma vogliono anche una manodopera poco tutelata..."

"E poi dicono che l'UE non è "solo" un trattato free-trade, con tutti i suoi effetti di specializzazione irreversibile e di depauperamento strutturale dei paesi industrialmente meno attrezzati (e parliamo di cultura, a partire dall'alto, cioè da chi riveste il ruolo di imprenditore).

Sottolineo che "l'eccesso di tutela" del lavoro che ora viene ritenuta esistere persino in Romania, null'altro è che l'indice di una "cultura di impresa" ormai divenuta religione unica per gli operatori economici italiani. Una vocazione che altro non è che l'abbandono, - per motivi in definitiva valutari e di staticità nel concepire prodotti e processi-, delle filiere capital intensive a caratterizzazione IRS.

Che è poi l'altra faccia della medaglia della fuga dei cervelli, o quantomeno del personale qualificato, - con sostanziale trasferimento, a favore di paesi terzi più dotati di imprenditori desiderosi di mantenere tali filiere strategiche-, della spesa pubblica investita nel creare queste competenze.
Il che spiega anche perchè, in fondo, nell'investimento in istruzione, ricerca e formazione, i nostri governi, condotti con mano salda da questa cultura "imprenditoriale", non credano ormai più.
E non si rendono conto che attrarre i famosi IDE, cioè imprese multinazionali che trovino conveniente produrre in Italia avendo, nelle illusioni del mainstream, competenze e know-how "di punta", non è questione che sia risolvibile allineandosi al ribasso, per retribuzioni e prima ancora per qualificazione della manodopera, ai paesi dell'Est europeo."

Aggiungeremmo un ulteriore chiosa: l'imponente aumento del carico fiscale sulle imprese e sul lavoro, nasce in Italia dal concomitante effetto di:
a) contrazione della base imponibile dovuta all'adozione di una moneta unica imperniata sulla sostanziale (ed immutabile) parità col marco ed ai suoi effetti di perdita della domanda estera (o di aumento delle importazioni, che produce lo stesso effetto di squilibrio), riduttiva del PIL;
b) imposizione immediata, a partire dall'applicazione dei criteri di convergenza di Maastricht, di limiti imperativi (derivanti da un trattato internazionale e contrari all'art.11 Cost. per i loro obiettivi effetti "in partenza) alla riduzione del deficit e dello stesso debito pubblico, con conseguente contrazione della domanda interna, e quindi del PIL (sotto la voce consumi e investimenti, pubblici e privati), determinata dalle misure che hanno attuato, lungo oltre 20 anni, tali limiti fiscali;
c) interazione e induzione reciproca di questi due fattori nel determinare il calo della base imponibile e quindi la crescente impossibilità di raggiungere i target fiscali medesimi, se non a costo di una continua escalation di nuove tasse e tagli alla spesa pubblica.
Va poi considerato che quest'ultima tende a riespandersi per via della disoccupazione crescente così indotta in via strutturale, che obbliga qualsiasi Stato ad effettuare interventi, in ogni forma, di sostegno ai disoccupati così creati. E ciò a prescindere dalla specifica legislazione che sia prevista in un singolo ordinamento per questi stabilizzatori "automatici" attivati in caso di diffusa e crescente disoccupazione.

 Cassa integrazione

INUTILE DIRE CHE LA CORRUZIONE NON C'ENTRA NULLA. E CHE L'EVASIONE, IN UNA SITUAZIONE DEL GENERE, DIVIENE L'ALTERNATIVA QUASI NECESSITATA DI CHI, NON VOLENDO RICORRERE ALLA DELOCALIZZAZIONE E ALLA ELUSIONE FISCALE (che implicano perdita di ricchezza e di gettito ben più imponenti), tenta disperatamente di sopravvivere producendo in Italia.
Alla disperazione di imprese sopravvissute (ma per quanto ancora?) e di disoccupati non vengono fornite risposte, se non acuendo tale schema distruttivo per via delle pretese €uropee, ribadite in occasione di ogni manovra fiscale italiana.
Questo spiega l'astensionismo.
MA NON SPIEGA PERCHE' L'INFORMAZIONE ITALIANA NON SIA IN GRADO DI PARLARE DI QUESTA MACROSCOPICA REALTA' PATOLOGICA...

lunedì 24 novembre 2014

L'EVOLUZIONE DEL CONSENSO. SOGNI LOGORI E UTOPIE IMPROVVISATE CHE SI DISSOLVONO

 Salvador Dalí: Sogno causato dal volo di un'ape intorno a una melagrana un attimo prima del risveglio, di Salvador Dalí (1944)



1. Allora, la prima cosa che deve essere chiara è che per capire i risultati del "test" regionale di ieri occorre far riferimento al numero assoluto di voti riportati rispetto alle precedenti elezioni post 2011: cioè alle politiche del 2013 ed alle europee 2014.
Esiste infatti lo spartiacque del 2011: "dopo", nulla è come prima. Perchè? 
Perchè è l'anno in cui inizia ufficialmente e visibilmente l'era della politica italiana come sub-holding dell'UEM
Non che prima le cose stessero molto diversamente nella sostanza, ma è la percezione di ciò che muta, essendosi tale realtà palesata come inequivocabile anche all'elettore meno accorto e più condizionato dalla grancassa mediatica.

2. Posto questo criterio, possiamo formulare un'ipotesi dinamica, e non statica, dell'evoluzione del voto: la dinamica permette di individuare come vincitore chi abbia mantenuto il numero dei voti rispetto alle tornate elettorali del 2013 e del 2014, nonostante il crescente astensionismo. In termini di flussi di consenso, infatti, ciò equivale ad una mobilitazione attrattiva rispetto ad un elettorato che definire "in fuga", sarebbe eufemistico.
Ovviamente vale anche il viceversa: chi abbia, al di là delle percentuali, perso in numero assoluto di voti rispetto a tali occasioni, ha perduto capacità di mobilitazione e attrattiva. E, va sottolineato, all'interno di un processo che è solo agli inizi.
E più oltre vedremo perchè.
Ed infatti, di fronte alla fuga degli elettori, - che certo non è un fatto positivo ma l'indizio della diffusa percezione della "inutilità del voto"  di fronte all'immutabilità delle politiche che comunque ne scaturirerebbero-, l'unica domanda sensata è capire perchè qualcuno sia riuscito ad evitare la fuga stessa.

3. Ognuno, usando questo criterio, - ovviamente con le dovute approssimazioni dovute alla mera "indicatività" dei dati relativi a specifiche realtà regionali-, si può non solo comprendere chi siano "vincitori e vinti", ma anche intuire l'evoluzione possibile della situazione del consenso dei prossimi mesi.
Oggi si deve solo dare atto ad una forza politica di aver superato la prova sotto questo standard; praticamente unica e sapete quale sia.
Il messaggio centrale, che ho appena rivisto su Twitter, è "la gente ci chiede più lavoro e meno tasse". And that's it: certo poi ci sono prese di posizione su problemi correlati, come l'indubbia strumentalizzazione dell'immigrazione no-limits come spallata alla tenuta di un mercato del lavoro in caduta libera verso la deflazione salariale.
La saldezza di questo trend rinvia poi a ragioni ancora più profonde: il "ridisegno" della società italiana, inarrestabilmente perseguito in nome dell'€uropa, che sappiamo essere ad uno stadio molto avanzato.

4. Due cose, fin da ora, caratterizzeranno nel prossimo futuro (e nella sostanza) l'acuirsi inevitabile del trend attuale di disaffezione elettorale, cioè di scontento impossibilitato a trovare una qualsiasi forma di rappresentanza istituzionale.
Il "rimodellamento", infatti, sta giungendo ad una fase cruciale: finora, la c.d. coesione sociale si è retta su una scommessa, cinicamente operata nelle dark rooms che danno vita agli slogan su cui sono imperniate le ramanzine colpevolizzatrici dei media e le "battute" ad effetto dei decisori politici (meramente "formali": e sempre più percepiti come tali, che se ne rendano conto o meno).
La scommessa è che gli italiani siano stati, nei decenni precedenti, talmente "garantiti" dal sistema costituzionale democratico - che la strategia partita da Maastricht intende svuotare- che, tra pensioni, residue posizioni lavorative "stabili" (il sovrastimato dualismo del mercato del lavoro), e patrimonializzazione in immobili, siano in grado di operare un welfare endo-familiare de facto; cioè gli italiani sono stati, in forza della spietata austerità cui li ha sottoposti il "lo vuole l'Europa", chiamati a supplire - in luogo dello Stato, che semmai, ha creato gli "esodati"- agli effetti della gigantesca disoccupazione giovanile di massa, nonchè a resistere in presenza di quella generale disoccupazione incrementata in ogni fascia di età. 
Alle risorse residue del risparmio delle famiglie è stato implicitamente affidato il compito di provvedere alla sedazione di una situazione altrimenti esplosiva, apprestando il "minimo vitale di tolleranza", naturalmente al costo della distruzione dei residui risparmi accumulati in passato (e ora centellinati in una logica precauzionale che, sul piano degli investimenti, segna il destino di una catastrofe senza precedenti).

5. Ma entro breve, anche questa scommessa rischia di rivelarsi come l'ennesimo calcolo sbagliato (cioè regolarmente sovrastimato, come la promessa della ripresa annualmente errata).
Ed infatti abbiamo due misure che difficilmente, nel quadro delle implacabili ed occhiute "revisioni" €uropee delle politiche (formalmente) italiane, non spiegheranno un effetto combinato già nel corso del 2015:
a) la messa a regime del nuovo mercato del lavoro;
b) l'inasprimento della imposizione immobiliare.

Su questi punti, al di là dei tempi dichiarati di attuazione, difficilmente non si arriverà, appunto, ad un effetto combinato.
Il nuovo mercato del lavoro, al di là della polemica ormai sterile sull'art.18, è disegnato per determinare un effetto il più rapido possibile: l'espulsione, programmaticamente concentrata ed intensa, dei baby-boomers dall'occupazione e la loro pronta sostituzione, incentivata con tutte le leve legislative disponibili, con assunzioni di giovani in situazione di prevalente irreversibile precarizzazione e conseguente minor retribuzione, mantenuta, mediante le misure legislative adottate, per tutta la vita lavorativa.
Il simultaneo sacrificio delle "competenze" che ciò produce, è ignorato come un male del tutto trascurabile, anticipandosi una visione di Italia come "grande" (per modo di dire in rapporto al passato) fabbrica-cacciavite e come hub di erogazione di servizi ad alta intensità di manodopera e bassa intensità di investimenti, il tutto preferibilmente in mano alla proprietà di investitori esteri, invocati ad ogni pie' sospinto.

Sulla tassazione immobiliare, poi, si dice che la riforma del catasto, con l'adeguamento delle rendite a presunti valori attuali "realistici" di scambio, richiederà 5 anni
Ma tutto questo non appare credibile, in termini di stretta sul gettito, nel momento in cui si moltiplicano aliquote e titoli di imposizione immobiliare - e l'accorpamento altro non è che "illusione finanziaria" per cristallizzare tutto questo.  Ed infatti, il Consiglio UE, come pure la Commissione, insistono sullo "spostamento dell'imposizione verso i consumi e i beni immobili".

E' infatti ufficiale questo schemino: la legge di stabilità è fatta passare in attesa del monitoraggio di fine marzo, quando si potranno "scorporare gli effetti della recessione sui conti fiscali". L'ennesimo ribaltamento contorsionistico!
In realtà è proprio il contrario: è la politica di aggiustamento selvaggio dei conti pubblici che provoca dal 2011 la recessione e, perciò, inevitabilmente, registrandosi un prossimo primo trimestre 2015 di ulteriore recessione, si chiederanno nuovi aggiustamenti fiscali recessivi, secondo la consueta logica della "estorsione".

Questi aggiustamenti, stando alle già chiarite richieste dell'€uropa, passeranno o per un'anticipazione degli aumenti dell'IVA, o per un inasprimento, già nel corso del 2015, delle aliquote o, meglio ancora, delle basi imponibili della imposizione immobiliare, ovvero, in una combinazione delle due cose: esito tra i più probabili, quanto più le partite correnti non registreranno un incremento, o anche solo una tenuta, dell'attivo, in concomitanza con l'aggiustamento valutario e delle rispettive partite correnti intrapreso praticamente da tutte le aree economiche principali del mondo. Ovviamente all'interno dell'UEM, ma anche da Cina, BRICS e non ultimi, gli USA.

A seconda del livello di tenuta "mediatica" della situazione politica e sociale, questa combinazione potrà assumere anche una sua versione "emergenziale": cioè con l'adozione di un prelievo patrimoniale straordinario appuntato sia sul patrimonio reale che su quello finanziario-monetario.

6. Se quindi si calcola che simultaneamente inizieranno ad agire il jobs act e la decontribuzione per i nuovi assunti, l'effetto di distruzione del "welfare endofamiliare" de facto prima menzionato, è praticamente sicuro. 
Crescente disoccupazione tra ex risparmiatori e crescente imposizione immobiliare sui medesimi, - in quanto contraenti di mutui e, comunque, contribuenti a titolo patrimomiale deprivati sempre più del livello di reddito per potervi far fronte-, determinerà il "taglio" a cascata del welfare endofamiliare: emergerà allora non solo la disperazione delle fasce giovani più deboli, - la cui possibile minor disoccupazione sarà accompagnata da redditi inidonei a sostenerne il livello di vita in perenni condizioni "non di povertà"-, ma anche la insostenibilità della situazione di vita dei babyboomers, travolti dal nuovo e finale rimodellamento sociale imposto dall'€uropa.

7. E allora torniamo alla questione del consenso elettorale "in fuga" e a come reagirà il corpo sociale a questa ulteriore "spallata" imminente e che occorre non sottovalutare nel suo effetto "aggiuntivo" sulla società italiana: se viene meno l'ultima ridotta in cui sono barricati i babyboomers, disorientati e tendenzialmente conservatori (nell'illusione di poter ancora mantenere qualcosa di un modus vivendi strenuamente difensivo), ogni forza politica che si trovi o si sia trovata ad eseguire il disegno di rimodellamento €uropeo perderà il "core" della sua base elettorale, per così dire, "inerziale". 
Quella base che gli consente (più o meno) di sopravvivere nonostante il default delle percentuali di votanti.
In quel momento, però, l'inerziale diviene soggetto alla modificabilità del suo moto (uniformemente decelerato) per l'operare di una qualsiasi forza esterna che sia capace di attualizzare il seguente messaggio
"In questo stato di cose non hai un futuro, nè come padre/madre nè come figlio/figlia. L'€uropa non te lo consente. La Costituzione democratica, invece, questo tuo futuro lo prevede come un obbligo inderogabile a carico delle Istituzioni rappresentative di indirizzo politico".
Posta in questi termini non pare una scelta difficile.

8. Ovviamente, questo discorso, - relativo alla "capacità" di inviare un messaggio di questo tipo-, vale ancor più per quelle forze che, pur presentandosi come "nuove", sono totalmente tetragone a far proprio il modello socio-economico contenuto nella nostra Costituzione, cercando di importare soluzioni improvvisate che alludono ad una facile popolarità e che quel modello tendono invece a distruggere.
Chi non saprà cogliere PROPRIO NELLA SOSTANZA, e quindi anche al di là delle etichette sorrette da una più o meno corretta analisi culturale, la centralità della salvezza "costituzionale" è destinato a perdere la partita del consenso
Troppi fatti stanno dissolvendo, davanti agli occhi sgomenti dei cittadini comuni, sogni antichi e utopie improvvisate...

ADDENDUM: da qui traggo i numeri che riflettono il criterio di stima del flusso del consenso indicato all'inizio: