mercoledì 30 dicembre 2015

SOMMARIO €MERGENZIALE DI FINE ANNO (cronaca di una morte annunciata)


http://vavadixit.blog.kataweb.it/files/photos/uncategorized/cronaca.jpg



Come riflessione di "fine anno" (in attesa della ispirazione frattalica per aggiornare quanto detto lo scorso anno), vi propongo un rapido sommario di quanto abbiamo detto con l'ultima serie di post dedicati alla €uro-costruzione, virata, con apparente sorpresa dei nostri decidenti e propugnatori, in emergenza sistemica bancaria. Nazionale
Penso che a leggerselo (o meglio, a rileggerselo) "a volo d'uccello", sia venuto piuttosto eloquente. Una specie di immagine satellitare diacronica. Il bilancio (per molti versi incredibile) della "cronaca di una morte annunciata".

1. "Basta saper attendere, lavorando sempre contro lo Stato nazionale, così brutto e corrotto e invasivo:

-..il fine dichiarato dell'unione bancaria è quello di spezzare (definitivamente) anche il legame fra sistema bancario nazionale e sovrano nel vicendevole scambio finanziamento del debito pubblico vs. copertura dal rischio di fallimento”;
-...il numero degli intermediari, seguendo la destrutturazione/ristrutturazione dei sistemi produttivi nelle macro regioni europee, si ridurrà di molto, come prevede il vice presidente della BCE
Estremizzando (è questa l'ipotesi forte del ragionamento) i maggiori potrebbero ridursi a 5-7 (in pratica saranno favoriti nella transizione quelli “sostenuti” da stati forti, il bail-out non è vietato (ma deve essere sempre nel rispetto del pareggio di bilancio, cioè, in pratica consentito solo a chi abbia un costante e consistente attivo delle partite correnti della bilancia dei pagamenti, riversatasi una posizione netta sull’estero di segno positivo);
i pochi “player” rimasti (in oligopolio) potranno decidere di finanziare privati o entità pubbliche o intermediari minori (o di nicchia) assumendo i relativi rischi di credito e di essere “percepiti” più o meno affidabili nell'emissione di moneta-credito (potrebbero anche stabilirsi dei "cambi" fra monete in base al rischio percepito dagli utilizzatori).
- La situazione sarebbe del tutto simile a quella immaginata da F. von Hayek.
La banca centrale che non fa da tesoriere a un sovrano perde anche la sua essenza di governo della politica monetaria e resta solo una entità amministrativa (più o meno estesa) dello stato minimo hayekkiano."

2. Non importa, ormai, spiegare come ci siano arrivati (la strategia e le tattiche applicative sono spiegate in tutto questo blog e una ricostruzione complessiva la trovate ne "La Costituzione nella palude").
Il fatto è che ci sono arrivati.

E non che non se ne fossero accorti, all'avvio della fase aggressiva di questa strategia e di queste tattiche, gli osservatori più acuti.
Nessuno li ha voluti veramente ascoltare:

"Federico Caffè poteva esprimersi, inascoltato, in questi termini sull'edizione de Il Manifesto del 7 dicembre 1978:
Ma che il fastidio del tutto esplicito per le soluzioni non elitarie e l’artificiosa attribuzione della qualifica di “populismo” a ogni aspirazione di avanzamento sociale avvengano con la tacita acquiescenza delle forze politicamente progressiste è ciò che rende particolarmente amaro il periodo che viviamo.
Se realmente si è ancora disposti a seguire “programmaticamente” il ricatto dell’appello allo straniero; se realmente ci si propongono come modelli di efficienza paesi che scaricano le difficoltà cicliche sui lavoratori stranieri, o associano le virtù tecnocratiche alla più elevata maldistribuzione del reddito; allora non resta che una soluzione alla Guicciardini. 
Intesa però, correttamente, non come egoistico rifugio nell’interesse individuale; bensì “come disperata dedizione al proprio dovere personale, familiare, professionale, quando non ci sia possibilità di azione e impegno civile

3. "E non sai, credo (si tratta di un testo non reperibile on line e tutt'altro che famoso: "La spontaneità del mercato: nuovi teorici per vecchie tesi", seminario tenuto alla Flm a Roma l’11-12 maggio 1979, ora in "La dignità del lavoro", Roma, Lit, 2014, .s.p.), come Caffè parlò (stava a sua volta citando qualcuno di ambiente "molto qualificato": chissà chi) dell'ingresso nello Sme
"La soddisfazione manifestata per l’adesione governativa allo Sme potrà essere una benemerenza padronale. Ma, se è consentito utilizzare la trasmissione orale per lasciar traccia in futuro di una frase memorabile detta in tale occasione in sede molto qualificata, può anche obiettarsi – come qualcuno ha affermato – che siamo entrati nello Sme con la stessa incoscienza con la quale a suo tempo dichiarammo guerra agli Stati Uniti d’America. E sarebbe bene, a questo riguardo, non confondere le temporanee illusioni con la dura realtà che questo vincolo comporta.
(Arturo

4. E infatti, oggi, organizzano il bail-in, come sistema di ripulitura del "marcio", dimenticando come e perchè il "motore" di tale meccanismo finale stia nelle condizioni dell'economia reale innescata da questa stessa strategia, descritta così bene da Caffè, a da queste stesse tattiche. Ben al di là del singolo "antipasto" che ci viene servito in questo drammatico fine-anno:

"I soldi del bail-in sono andati alle famiglie che non hanno potuto ripagare il mutuo perché il capofamiglia ha perso il lavoro.
Sono andati alle imprese che sono fallite con il magazzino pieno.

ESSI hanno deciso che ad ogni imprenditore impiccato deve corrispondere un risparmiatore suicidato.
Si chiama Open Society.

L'istituto di credito non facilita più la trasformazione del risparmio in investimento: ha per missione il controllo demografico.

Quindi le sofferenze bancarie vengono ripagate con quelle dei famigliari delle vittime.

A livello micro.

A livello "macro" i soldi del bail-in sono il colossale traferimento di patrimonio dalla comunità sociale italiana verso quella tedesca, insieme ai redditi futuri degli asset che sono stati svenduti o distrutti.

In pratica, i frutti di generazioni di ciò su cui si basa la nostra Repubblica - il lavoro - vengono saccheggiati e depredati dal capitale internazionale con il collaborazionismo di tutta la classe politica e della grande industria, mentre le classi subalterne imprenditoriali e salariate non hanno le risorse culturali per capire come mai la speranza di vita crollerà.

Stiamo assistendo ad un genocidio al rallentatore.

Volevamo un mondo in qualche modo migliore? Ci sarà, ma senza di noi.

Almeno che non si trovi lo spillo con cui accoppare l'elefante.

E conviene ragionarci in fretta."
(Bazaar)
  
5. ...Insomma, per i tedeschi, va bene, fra 8 anni, compartecipare al sistema assicurativo dei correntisti-depositanti bancari: ma purchè, nel frattempo, POSSA INNESCARSI UN COLOSSALE TRASFERIMENTO FINANZIARIO - via interessi sul debito pubblico italiano a sottoscrizione "riservata" alle banche tedesche e "core"- DA PARTE DEI CONTRIBUENTI DEI PAESI DEBITORI VERSO LE BANCHE E I RISPARMIATORI DEI  PAESI CREDITORI. 
Cioè gli stessi tedeschi, in primis: che dovendo conservare la loro bella deflazione salariale competitiva e selvaggia, si trovano a dover proseguire a collocare il loro debito a rendimenti negativi o pressocchè pari a zero. Mentre la popolazione tedesca invecchia, gli immigrati lavoreranno "umanitariamente" a 1 euro all'ora (p.3), e, si sa, l'elettorato merkelian-schaubeliano, poi, "mormora".

 Quindi, nel complesso di questa "trasparente" manovra "condizionale" tedesca, pensioni e prestazioni previdenziali assicurative tedesche, per la più parte possibile, dobbiamo contribuire a pagarle noi.
NATURALMENTE, VIGENDO IL PAREGGIO DI BILANCIO, ATTRAVERSO LA RINUNCIA AL NOSTRO WELFARE E QUINDI, INNANZITUTTO, AL NOSTRO SISTEMA PENSIONISTICO. 
Capite?
Questa è l'unica €uropa dei trasferimenti che vi stanno preparando e che presto vi ritroverete a vivere, senza aver potuto mai avere una qualche forma di protezione e di tutela dell'interesse nazionale. 
6. "Mi permetto un appunto: non è proprio che i diritti liberali siano a costo zero, mentre i diritti sociali sono un costo.

Innanzitutto un costo per chi?

Semplice: per l'élite parassitaria, ovvero per i rentier che vedono nell'implicita progressività sociale l'erosione di un privilegio non ammesso in Costituzione: quello di non lavorare.

La progressività sociale porta a quella cosa sconosciuta agli imbecilli che è l'uguaglianza sostanziale: uguaglianza che nessuna porcheria eugenetica potrà mai modificare.

I diritti sociali, come ricordava il dimenticato Lord Beveridge, intesi come sicurezze garantite dallo Stato sociale, sono componente positiva del PIL.

Sono un cacchio di reddito indiretto che si accompagna a quella necessità di perseguire la piena occupazione. Condizione scientificamente dimostrata come necessaria per la stabilità economica da quei due altri sconosciuti come Keynes e Kalecki.

I diritti civili e tutte le altre porcherie liberali, non sono semplicemente "a costo zero": senza i diritti sociali a renderli universalizzabili, questi hanno ben altro scopo che "distrarre". Hanno uno scopo malthusiano, hanno ineluttabili conseguenze nel controllo demografico.

Dopo la shock doctrine degli anni '90 che ha visto il collasso demografico dell'ex-URSS, perché si pensa che la Russia abbia proibito la propaganda relativa alla "promozione" dell'omosessualità?

Radio Radicale dovrebbero chiamarla radio Malthus.

Ma la crescita demografica non era proprio quella componente che Keynes riteneva necessaria per riuscire a portare l'ecumene globale fuori dall'indigenza? E solo successivamente dedicarsi alla stabilità e all'equilibrio con l'ecosistema?

E comunque la Dichiarazione universale dei diritti umani sancisce i diritti sociali come universali negli artt. 22-27. "
(Bazaar)

7. "...se gli italiani, invece di aggirarsi sulle spoglie del latte versato in Etruria, non fossero distratti dal treno che sta arrivando sullo stesso binario a velocità accelerata (dalle stesse pensate dei nostri "responsabili"), forse si sveglierebbero dal torpore €uropeista (e autorazzista). In un disperato istinto di sopravvivenza, probabilmente farebbero capire ai propri governanti (ove mai debbano eleggerli), e finché sono in tempo, di non essere d'accordo.
Ma non c'è modo che si sveglino, con questa grancassa mediatica, a disposizione dei creditori e rentiers esteri...
Dombrovskis

8. A questo proposito (seguire “programmaticamente” il ricatto dell’appello allo straniero), una "chicca" di settembre:
"In una lettera inviata alla presidenza lussemburghese della Ue e all'Eurogruppo, di cui Il Sole 24 Ore-Radiocor puo' riportare i contenuti, il vicepresidente dell'esecutivo comunitario Valdis Dombrovskis ha indicato che:

"e' della massima importanza trattare la questione con carattere di urgenza '. Senza trasposizione della direttiva sulla gestione ordinata dei fallimenti bancari e la ratifica dell'accordo sul fondo unico di risoluzione ' il meccanismo unico di risoluzione non puo' assicurare il quadro necessario di riferimento per salvaguardare la stabilita' finanziaria e proteggere i contibuenti (!!!!!!) dal costo dei fallimenti delle banche '".
E dunque non c'è modo che la nostra classe politica si ponga lontanamente il problema di quanto sia urgente, dal 1° gennaio 2016, più che mai, uscire dall'eurofollia: ormai non più depressiva, ma giunta sulle soglie di un'incalcolabile e irreversibile distruzione della società italiana.

lunedì 28 dicembre 2015

HAYEK, ISSING, VISCO, PATUELLI: PREVEGGENZA INSPIEGABILE SULLA MONETA UNICA (BANCARIA)?


http://img.theepochtimes.com/n3/eet-content/uploads/2015/06/11/Stick-river-iStock_000035769018-diagram-480x527.jpg



ANTEFATTO 1 - 
Prendiamo le mosse da questa interessante dichiarazione di Visco in un'intervista alla Repubblica:
"...La mera possibilità del "bail in" renderà più onerosa la raccolta bancaria, rischiando di essere, se non ben gestito, controproducente. Se un supermercato fallisce, magari se ne apre uno vicino in grado di vendere le stesse merci al pubblico di quello fallito. Se fallisce una banca, non ne riapre un'altra uguale vicina. Il rischio è che ne fallisca un'altra. Lentamente l'Europa sta cominciando a capire quali possono essere le reali conseguenze delle nuove norme".
Ma Visco dovrebbe magari dialogare, ad esempio, con Otmar Issing, che pare un interlocutore €uropeo, piuttosto attendibile e autorevole, visto che quest'ultimo, come vedremo, queste "reali conseguenze" pareva averle comprese molto bene fin dall'inizio, come vedremo in dettaglio. Il che pone allo stesso governatore delle esigenze di chiarimento con gli interlocutori europeisti, per appianare quella che, indubbiamente, risulta oggi come una fondamentale divergenza di vedute e di visioni strategiche.

ANTEFATTO 2- 
A ciò aggiungiamo queste dichiarazioni del presidente dell'ABI, Patuelli che, come vedremo in una più attenta analisi del complessivo funzionamento "VOLUTO" della moneta unica (almeno a sentire Otmar Issing in qualità di esponente BCE e in tempi non "sospetti"), risultano obiettivamente contraddittorie.
Contraddizione che intercorre, obiettivamente - tra le risposte a) e quelle b)-, alla luce non solo di quanto aveva chiarito sempre Issing, richiamando precise e fondamentali clausole del trattato europeo, ma del comportamento, perfettamente consequenziale, dei risparmiatori, che ne sta derivando (ndr; abbiamo aggiunto neretto e links con precedenti post, di due o tre anni fa che trattano esattamente dei problemi sollevati da Patuelli):
 a) «Prima mi consenta una premessa. Noto con piacere che il dibattito, a tratti violento, sull’euro degli ultimi anni della crisi economica si è esaurito».
Cosa significa?
«Significa che il bilancio della moneta unica è positivo: la politica monetaria di Draghi ha consentito a molti italiani di acquistare casa con mutui a tassi irrisori, alle imprese di ristrutturarsi ed esportare, alla Repubblica italiana di tenere basso il costo degli interessi sul debito consentendo di conseguenza maggiore spesa sociale».
Tutto vero, ma non per questo le polemica sono svanite...
«Certo, perché la crisi dell’Europa precede la crisi economica e coincide con fallimento del Trattato che avrebbe dovuto dare al Continente una sua Costituzione».
Occorre ripartire da lì?
«Occorre ripartire dal rafforzamento delle regole e delle istituzioni comuni. È stata varata l’Unione bancaria, se sarà fatta funzionare potremo sperare in un’unione istituzionale più forte. In caso contrario, i neonazionalismi prevarranno».

Par di capire: il trattato è fallito perchè non è una vera Costituzione (come avevamo cercato di spiegare in "Euro e(0?) democrazia costituzionale", ribadendo, in "La Costituzione nella palude" come ciò non abbia alternative negoziali praticabili, in nessun modo, nel senso di una modifica dei trattati, che esige quantomeno una improbabile cooperazione politica tedesca e, se vogliamo, francese). 
E, par sempre di capire, se lo fosse stata (una vera Costituzione), il trattato avrebbe avuto non solo un governo federale dotato di potere di spesa (per effettuare eventuali bail-out, che non rimanessero  solo sulla carta delle direttive europee, troncati sul nascere dal pareggio di bilancio!), ma anche una clausola riconducibile all'art.47 Cost, sulla tutela prioritaria del risparmio. 
Se così non intendesse, non si spiegherebbe la susseguente affermazione di Patuelli di cui al punto b):
 
b) Che fare?
«Per uscire dal guado in cui ci troviamo, occorre fare tre cose. La prima: varare un Testo unico bancario che fissi regole chiare e non retroattive, nonché delle norme transitorie».
La seconda?
«Varare un Testo unico della finanza europea che regolamenti l’accesso ai mercati finanziari».
La terza?
«Varare un Testo unico del diritto penale dell’economia, per evitare che operazioni vietate in Italia siano invece consentite altrove».
Basteranno regole più chiare a salvare l’Europa?
Ad esempio?
«Beh, l’Italia ha recepito le nuove norme europee sui salvataggi bancari, ma quelle norme mal si conciliano con l’articolo 47 della nostra Costituzione (ma vedi qui, par.1), quello secondo cui ‘la Repubblica tutela il risparmio in tutte le sue forme’».
 
ANTEFATTO CONSEQUENZIALE 3- 
Qui ci limitiamo a riportare la linea di autotutela prescelta dai "consumatori" (non più "risparmiatori", a quanto pare), che, come vedremo, risulta praticamente obbligata dalla realizzazione dell'Unione bancaria, una volta che questa, come sostiene Issing in quanto esponente della BCE, realizzi appieno il disegno hayekiano insito ab origine nella moneta unica:

"..le quattro “good banks” hanno fatto sapere che non potranno essere oggetto di richieste di risarcimento da parte degli azionisti e dei titolari di obbligazioni subordinate delle quattro “vecchie” banche, che dovranno quindi rivalersi, come prevede la legge di Stabilità, solo sul Fondo di solidarietà, attraverso gli arbitrati.
Oppure, nel caso in cui decidano di far valere in tribunale il diritto al risarcimento, si potranno rivalere sui vecchi istituti in liquidazione. Ma i risparmiatori non ci stanno: in una lettera aperta pubblicata ieri sul sito del Comitato e indirizzata a Roberto Nicastro, presidente delle quattro banche salvate, precisano di non preoccuparsi minimamente delle dichiarazioni «sulla presunta inattaccabilità delle good banks».

Ma tutto questo preannunzia una tempesta di contenziosi che sarebbe stata impensabile sotto la vigenza della legge bancaria del 1936, dei poteri del tesoro antecedenti al divorzio tesoro-bankitalia e all'adozione della moneta unica con una banca centrale "adespota", cioè del tutto avulsa dalla tutela dei risparmiatori in generale e di un singolo Stato:
«Saranno i giudici a stabilirlo, vi inonderemo di cause», annunciano. 
Senza trascurare questa azione di "pressione", molto pesante, sulla stessa sopravvivenza del sistema bancario italiano, che, appare perfettamente in linea con gli effetti programmatici della moneta unica, unita ad una Unione bancaria ove i depositi e i creditori-risparmiatori garantiscono le insolvenze bancarie:
"E nel volantino che oggi viene distribuito dai manifestanti in Corso Italia 179, sede aretina di Banca Etruria, c’è un altro annuncio: «Noi stiamo trasferendo quello che rimane dei nostri risparmi nelle filiali italiane di banche estere o in Poste italiane», è l’attuazione di quanto comunicato a Nicastro, «Contribuiremo con tutte le nostre forze a minare la già precaria stabilità delle quattro nuove banche e del sistema bancario italiano».

4. Insomma, alla fine è veramente difficile negare che Hayek avesse proprio ragione.
La disseminazione lungimirante di schemi teorici, fortemente ammantati di alti  ideali filosofici (il liberalismo come culto della "libertà" dell'individuo, la "grande bellezza" al servizio dei pochi che incarnano la metafisica del "mercato"...), se compiuta a vantaggio delle forze dominanti, appunto, del mercato, dà grandi frutti. 
Basta saper attendere, lavorando sempre contro lo Stato nazionale, così brutto e corrotto e invasivo:
"lo stesso Hayek è perfettamente cosciente della distinzione tra modelli teorici e strategie di loro realizzazione, di cui si disintessa per personale visione della sua funzione intellettuale:
“Penso fermamente che lo scopo principale del teorico dell’economia o del filosofo politico sia di agire sull’opinione pubblica per rendere politicamente possibile quello che forse oggi è politicamente impossibile, e quindi l’obiezione che le mie proposte sono attualmente impraticabili, non mi scoraggia assolutamente a svilupparle.”

5. Quindi, le forme di realizzazione devono percorrere l'evoluzione del politicamente possibile
E l'€uropa, come dice Otmar Issing (non uno a caso, come sa chi ha letto "Euro e(o?) democrazia costituzionale), è veramente un grande sogno divenuto realtà per i neo-liberisti di ogni età: 
"Otmar Issing (già Deutsche Bank, BCE e pure Goldman Sachs, che non fa mai male) dice, e l'articolo è riprodotto sul sito della BCE, più o meno le stesse cose che dici tu, cioè che la via può non essere quella indicata da Hayek ma i fini sì. 
Per esempio in materia di denazionalizzazione delle monete, la posizione di Hayek nasceva dalla constatazione che "un'efficace politica monetaria può ("purtroppo", implica Hayek, ndr.), essere condotta solo in coordinazione con le politiche fiscali del governo. Coordinazione, in tal senso, significa inevitabilmente che, qualsiasi autorità monetaria nominalmente indipendente sia ancora esistente, dovrà in pratica aggiustare la sua politica su quella del governo..." (see Hayek 1960, page 327)." 
E Issing così chiosa: "Penso che sia ora chiaro che sono state idee affermatesi lungo queste linee che sono state l'ispirazione delle regole e delle procedure del Trattato UE e mi riferisco in particolare agli articoli 104 e 104a (ora rinumerati nel TFUE nelle norme sopra indicate, ndr.)...Sebbene la via intrapresa per OTTENERE LA DENAZIONALIZZAZIONE DELLA MONETA sia stata differente da quella sostenuta da Hayek, l'obiettivo più essenziale predicato da Hayek, cioè l'indipendenza monetaria da ogni influenza politica e la stabilità dei prezzi,  sono stati ottenuti a tutti i fini e secondo la più completa intenzionalità"  
6. Ma d'altra parte, va aggiunto per i libbberisti spaghettari, è lo stesso Hayek a chiarici che un'unione monetaria "sovra" e "trans-nazionale", porta come suo obbligato effetto "naturalistico" all'inesistenza, o quantomeno all'inefficacia pratica, del presupposto da lui deprecato. Sempre qui, addendum iniziale
"Con logica stringente, Hayek dimostra che una federazione fra Stati realmente diversi porta necessariamente all'impossibilità di un intervento statale nell'economia".
E cioè ben si può - e sottolineo- si può, proprio attraverso il federalismo sovranazionale, eliminare il presupposto dell'esistenza di un governo, (quand'anche, in qualche forma, sovranazionale), che in persona di un super-ministro del tesoro, possa esercitare, anche solo di fatto, la deprecata influenza sull'autorità indipendente che gestisce la moneta. 
Se tale governo non esiste, perchè, come nel trattato €uropeo, è fin dalla sua nascita, vietata la stessa FUNZIONE di trasferimento e gestione comune e orientata (ai bisogni di liquidità territorialmente differenziati) della spesa pubblica su tutto il territorio dell'Unione monetaria (artt.123-124-125 TFUE), l'indipendenza dell'autorità monetaria è molto reale e lo schema di von Hayek si realizza in modo molto più concreto.

7. Perciò, il buon Otmar, data la sede in cui il discorso viene espresso, allude alla concreta volontà e prassi regolatoria per realizzare il modello hayekiano (anche) con la moneta unica, retta dall'unica istituzione di una BCE politicamente del tutto irresponsabile (verso le democrazie sovrane dei singoli Stati aderenti).
E infatti, questo preciso sviluppo lo avevamo anticipato nel post dedicato, esattamente due anni fa, alla Unione Bancaria
Che, infatti, a giovamento delle riflessioni che possono compiere Visco e altri interessati come Patuelli, riproduciamo nella sua parte saliente e, oggi, tanto attuale, MA NON SORPRENDENTE, perché PROGRAMMATICA (ringraziando Balduin).
Ci sono in quel post, (chissà come...), anticipate tutte le risposte a tutti i problemi che Visco e Patuelli ADESSO indicano come criticità, e insostenibilità sistemiche, dell'unione bancaria; come pure è anticipata la prevedibilità del comportamento ritorsivo dei "consumatori", che in realtà sono...risparmiatori: cioè, un tempo, erano, nell'ambito della tutela apprestata dall'art.47 Cost., dei lavoratori tutelati nella parte del loro reddito dedicata al "risparmio diffuso".
E questo in forza di una norma che è ora invocata esplicitamente, dato che ci si accorge che racchiude un principio fondamentale della democrazia costituzionale, ma che, nondimeno, è stata a lungo "dimenticata".

8. E dunque, ecco come era risultato possibile prevedere gli accadimenti attuali, senza essere profeti (ma solo avendo compiuto un'interpretazione sistematica del quadro economico-ideologico e normativo alla base della moneta unica):
"GLI EFFETTI DI SISTEMA DELLA “APPARENTE” UNIONE BANCARIA SULLA STESSA TITOLARITA’ DEL POTERE DI CREAZIONE DELLA MONETA.
8.1 ...Ma oltre alla conferma di un modello bancario e di vigilanza finora rivelatosi non solo inadeguato, ma anche completamente contrapposto alle esigenze di tutela predicate dal principio fondamentale costituzionale dell’art.47 Cost. (con tutte le accennate ricadute su altri principi fondamentali), l’Accordo attualmente in “dirittura d’arrivo”, ha, in prospettiva, degli esiti ben più ampi.
Essi tendono addirittura al superamento del residuo carattere accentrato della creazione di moneta nell’area UEM, che, pur attualmente “adespota”, cioè non imputabile a nessuna entità sovrana, in esito al suo affidamento alla BCE, rimaneva pur sempre attribuita ad un’entità latamente ascrivibile alla sfera soggettiva del “diritto pubblico” (pur potendosi dubitare dell’ascrivibilità alla sua sfera “oggettiva”, data la mancanza, nel mandato BCE, di ogni àncoraggio a politiche di piena occupazione in senso effettivo, nonché di tutela del risparmio diffuso, che rispondono al concetto democratico di “interesse generale”, e non settoriale-concorrenziale di una specifica attività economica come quella bancaria).
Sempre tenendo ben presenti le premesse svolte nei paragrafi precedenti, per comprendere questo potenziale preannunzio di “rivoluzione” (monetarista e liberista), occorrono alcune altre “informazioni”.

8.2. In proposito, nell’individuare la radice ideologica del liberismo e della stessa teoria generale politica recepiti e sviluppati (ormai a grandi passi) dalla “costruzione europea”, si deve far riferimento a quanto elaborato da von Hayek. Che propose questo approccio alla questione monetaria, finalizzato alla sua “denazionalizzazione”; specificamente, per pervenire alla sua “privatizzazione” in regime concorrenziale:
“- una moneta di cui si pensa che conserverà un potere di acquisto più o meno costante, sarà oggetto di domanda permanente fintanto che le persone saranno libere di utilizzarla;
- se tale domanda dipende dall’effettivo mantenimento a un livello costante del valore di questa moneta, si potrà dare confidenza alle banche emettitrici di fare tutti gli sforzi necessari per giungervi meglio di un monopolista, che non corre alcun rischio deprezzando la propria moneta;
- gli emettitori possono giungere a questo risultato regolando la quantità di moneta che emettono;
- un tale regolazione della quantità di ciascuna moneta è il migliore di tutti i metodi praticabili per regolare la quantità dei mezzi di scambio
.”
Il substrato comune "ideale" tra il "nostro" e il metodo euro-BCE, quale istituzione "unica" di gestione della moneta, risulta certo parzialmente compromissorio
Ma rimane, nei "fini" enunciati normativamente nei trattati, a partire da Maastricht, quello della stabilità del valore monetario, cioè pratica assenza di (variazione della) inflazione - solo in aumento, a quanto pare dall’applicazione scaturitane-, e della visione monetaristica "quantitativa". 
8.3. I riflessi a cui conducono entrambe le soluzioni, con diversa gradualità…si misurano sulla curva di Phillips. La disoccupazione "naturale" (cioè l'abbandono della piena occupazione) e il conseguente calo dei salari reali sono indispensabili caratteristiche del modello sociale da attuare.
Certo, per v.H. il gold standard rimane una soluzione ideale, ma egli ammette che poiché ad esso si contrappone "l'assurda" pretesa che, nell'economia internazionale aperta, i paesi in surplus debbano sopportare (con la rivalutazione) il peso degli aggiustamenti, il valore della stabilità (assenza di inflazione) possa essere "almeno" garantito da quanto egli propone.

Questo passaggio di Hayek è direttamente indicativo:
Resterebbero nel mondo libero più monete largamente utilizzate e molto simili. In vaste regioni una o due fra queste sarebbero dominanti, ma queste regioni non avrebbero confini né precisi né fissi, e l’uso delle monete dominanti in ognuna si sovrapporrebbe in zone frontaliere larghe e fluttuanti. La maggior parte di queste monete farebbe affidamento a un paniere di beni simili e fluttuerebbero molto poco le une in rapporto alle altre, probabilmente molto meno delle monete dei paesi oggi più stabili, ma un po’ di più delle monete che riposano su un gold standard.”

8.4. Sulla manifesta correlazione tra pensiero di von Hayek e “costruzione europea” in campo monetario, abbiamo la conferma, piuttosto autorevole e altamente attendibile, di Otmar Issing, ex membro tedesco del board BCE, pervenutaci in “atti ufficiali” della stessa banca europea (ndr.: lo abbiamo visto in premessa, ma qui ribadiamo, ampliando...)
Sebbene il sentiero prescelto per ottenere la denazionalizzazione della moneta sia stato molto differente rispetto a quanto reclamato da Hayek, l’obiettivo finale da egli ricercato, cioè la indipendenza monetaria dall’interferenza politica e la stabilità dei prezzi, sono state, a tutti i fini e intenti, già ottenute
Naturalmente, devo aggiungere…che la stabilità dei prezzi non è mai pienamente ottenuta, nel senso che è un concetto previsionale, e la BCE deve essere “eternamente” vigilante in modo preventivo per evitare che la pressione inflazionistica non si traduca in inflazione effettiva. Detto questo, temo che Hayek potesse non essere in favore di una nuova autorità centralizzata con poteri monopolistici sulla base monetaria”.

8.5. Ma, conformemente alla stessa esigenza di realizzazione “strategica” degli “obiettivi finali”, espressamente teorizzata da Hayek, recepita dai suoi seguaci “euro-costruttori” nella formula dell’ “ordoliberismo”, nonché condensata nella formulazione dell’art.3, par. 3, del Trattato fondamentale sull’Unione, l’affermazione a tappe, rese “digeribili” alle grandi platee dei cittadini delle democrazia (ex) coinvolte nell’UEM, potrebbe giungere al suo coronamento finale proprio grazie all’attuale progetto di Unione bancaria.

Cercando di concludere il ragionamento e di pervenire ad un’attendibile stima della “strategia” attualmente sottostante alla c.d. “unione bancaria”, quale illustrata nelle sue linee fondamentali, e nelle sostanziali premesse di disciplina bancaria e monetaria “europea”, (ormai consolidata), ecco dunque quello che si può ragionevolmente dedurre:
8.6. “La progressione, o meglio “regressione”, verso la moneta denazionalizzata è il possibile esito del distacco degli intermediari bancari dal sistema produttivo nazionale originario e dal “sovrano”, senza la realizzazione dell'unità politica (gli Stati Uniti d'Europa).
Schematizzando al massimo:
1) la BCE nasce come banca centrale anomala perché non fa da “tesoriere” ad un sovrano. Compito della politica monetaria di una BC tradizionale è infatti proprio quello di conciliare le esigenze di finanziamento del sistema produttivo (tramite il rifinanziamento/controllo del sistema bancario) e dello Stato, tendendo ad obiettivi di livello dei prezzi e di crescita/occupazione in naturale conflitto (trade-off);
2) il fine dichiarato dell'unione bancaria è quello di spezzare (definitivamente) anche il legame fra sistema bancario nazionale e sovrano nel vicendevole scambio “finanziamento del debito pubblico vs. copertura dal rischio di fallimento”;
3) l'essenza e la novità del nuovo sistema di vigilanza europeo è il cd. “meccanismo unico di risoluzione” (in via di definizione a giorni), cioè di liquidazione accentrata degli attivi degli intermediari dichiarati in crisi (non si sa ancora da chi, forse Ecofin da proposta tedesca). 
Il costo della liquidazione è previsto principalmente a carico dei creditori (il famigerato bail-in), sdoganando la possibilità di fallimento delle banche. 
8.7. In teoria è sempre possibile per gli Stati intervenire con risorse di capitale per salvare gli intermediari dal fallimento, se compatibile con i limiti di finanza pubblica (in fase di avvio della vigilanza accentrata sono espressamente richieste agli stati risorse pubbliche, cd. backstop);
4) con queste regole e il mantenimento della mobilità dei capitali si attiveranno rapidi flussi finanziari verso gli intermediari ritenuti più sicuri (anche grazie a qualche sostegno pubblico), con grave nocumento per la stabilità di quelli radicati in territori con sistemi produttivi in recessione (es. per effetto della compressione della domanda interna) e, per la ridotta dimensione, senza la concreta possibilità di ricostituire il capitale;
5) il numero degli intermediari, seguendo la destrutturazione/ristrutturazione dei sistemi produttivi nelle macro regioni europee, si ridurrà di molto, come prevede il vice presidente della BCE
Estremizzando (è questa l'ipotesi forte del ragionamento) i maggiori potrebbero ridursi a 5-7 (in pratica saranno favoriti nella transizione quelli “sostenuti” da stati forti, il bail-out non è vietato (ma deve essere sempre nel rispetto del pareggio di bilancio, cioè, in pratica consentito solo a chi abbia un costante e consistente attivo delle partite correnti della bilancia dei pagamenti, riversatasi una posizione netta sull’estero di segno positivo);
6) i pochi “player” rimasti (in oligopolio) potranno decidere di finanziare privati o entità pubbliche o intermediari minori (o di nicchia) assumendo i relativi rischi di credito e di essere “percepiti” più o meno affidabili nell'emissione di moneta-credito (potrebbero anche stabilirsi dei "cambi" fra monete in base al rischio percepito dagli utilizzatori).
7) La situazione sarebbe del tutto simile a quella immaginata da F. von Hayek.
La banca centrale che non fa da tesoriere a un sovrano perde anche la sua essenza di governo della politica monetaria e resta solo una entità amministrativa (più o meno estesa) dello stato minimo hayekkiano. 
In questo senso, il sistema BCE/SEBC potrebbe rivelarsi solo un passaggio intermedio (come ha espressamente sostenuto Otmar Issing, sopra cit.).”

8.8. Naturalmente il futuro non è scritto. L'esito dello scontro fra le istanze politiche determinerà se prevarrà il magico mondo “von Hayek” o gli Stati Uniti d'Europa o il ritorno agli stati (democratici) con proprio “tesoriere”.”

E questo a tacere d’altro, con riguardo alle implicazioni ulteriori della Unione bancaria.

E cioè sia quanto alle incongruenze del sistema di assicurazione dei depositi (fino a 100.000 euro) proiettato nella segnalata realtà monetaria e bancaria ormai priva del riferimento dell’interesse generale (cioè indifferente al moral hazard ed all’effettivo rischio degli impieghi finanziari illimitatamente consentiti). 
Sia quanto alla stessa saggezza di farsi coinvolgere in un sistema simile, a fronte di un sistema bancario tedesco che non pare proprio aver risolto le sue problematiche di trasparenza dei bilanci e di capitalizzazione (e né avrebbe potuto o dovuto, data la disciplina “europea”) alla luce delle “scorie” della crisi c.d. dei sub-prime . Almeno a constatare la posizione che assumono attualmente le autorità monetarie USA."
   

sabato 26 dicembre 2015

"LE PENSIONI PIU' GENEROSE DEL MONDO" E L'ADEGUAMENTO DELLA COSTITUZIONE PRO-€UROPA (BAIL-IN&BANK-RUN)

https://pbs.twimg.com/media/CXKUVb6WAAETYLo.jpg:large




1. Alcuni assunti utilizzati come premessa per sviluppare il ragionamento sopra riportato, esigono un confronto coi dati macroeconomici reali offertici da Eurostat, OCSE o Ameco (banca dati della Commissione UE). 
E questo anche in ordine alle "pensioni più generose al mondo" ed alla già avvenuta attenuazione dei trattamenti a un livello che non consenta di risparmiare ma solo di consumare (se va bene: v. infra, in rosso), una convinzione che presuppone la conoscenza del dato comparato sui trattamenti pro-capite, almeno all'interno della UE.
Per compiere tale verifica di coerenza tra asserzioni e realtà economica e fiscale, riportiamo qui e più sotto alcuni dati generali che paiono sfuggire al prof. Prosperetti, insieme a quelli più specifici del settore previdenziale: 
http://www.genitoritosti.it/wp-content/uploads/2015/02/perri-realfonzo.jpg 

https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgHkRZyjXLCFWfhQXNX8KDNYiqtFS9o9-1qiDyFIJYYJfN1rP4ST5-M6f29PDGHpwAJTTwZtMRUklAEK6Sh8F5YY-ExDiuXGq7tZv_Jwp_cVpLWzAD6ExEEO69PgMJuhXHYV1AyBl0RaF2-/s1600/sp-reale.png

2. Quindi rammentiamo i dati tratti da "...l'intervento del prof. Felice Roberto Pizzuti, docente La Sapienza Roma, colui che cura annualmente il cosiddetto Rapporto sullo Stato Sociale.
...
Specifica attenzione poi è stata data al fatto che nella maggior parte delle volte, in Italia (sui media), si diano numeri a caso, agglomerando assieme dati previdenziali uniti a quelli per le prestazioni sociali (che sono ben altra cosa)
Il dato che più mi ha colpito è stato un numero: 21 (o 24, v.infra), come i miliardi che lo Stato ogni anno incassa, dalla differenza (in attivo) fra entrate contributive (da leone fa il fondo dei precari, anche da me/noi finanziato) e prestazioni previdenziali (pensioni da lavoro, se non ho capito male). Quante manovre sono 21 miliardi? Vogliamo sommarle ai circa 100 di interessi sul debito pubblico? Quanto fa'? 
Ecco, allora, a chi (stra)parla dicendo: "Abbiamo vissuto al di sopra delle nostre possibilità", d'ora in avanti abbiamo anche un numero, +21mld, con cui rispondere prontamente. 
Per chi volesse approfondire, qui anche un articolo relativo, e qui un excursus del professore su Sbilanciamoci...
"...ecco qui (tratto da uno degli articoli di Pizzuti appena linkati, ndr.) il passaggio:
"Anche in Italia si è verificata la stessa illusione statistica; attualmente la spesa sociale è pari al 28,4% del Pil, in linea con i valori medi europei
Tuttavia, se confrontiamo il valore pro capite, il nostro paese registra un forte e crescente divario negativo: fatto pari a 100 il valore medio dell’Unione a 15 nel 1995, quell’anno il dato italiano era 84,1, ma da allora è calato fino a 75,8 del 2011
In tutti i paesi europei, tranne l’Irlanda, la voce di spesa più importante è la previdenza (15,1% nell’EU-16); questa voce in Italia è pari al 18,8%, in Francia al 16,5% e in Germania al 13,6%. 
La superiorità del nostro dato previdenziale di 3,7 punti rispetto alla media europea è tuttavia viziata da diverse disomogeneità presenti nelle statistiche.
I. Ad esempio, l’Eurostat include nella spesa pensionistica italiana i trattamenti di fine rapporto (pari all’1,7% del Pil) che non sono prestazioni pensionistiche
II. C’è poi che le spese pensionistiche sono confrontate al lordo delle ritenute d’imposta, ma le uscite pubbliche sono quelle al netto
Tuttavia, mentre in Italia le aliquote fiscali (sulle pensioni) sono le stesse che si applicano ai redditi da lavoro, per un ammontare trattenuto pari a circa il 2,5% del Pil, in altri paesi spesso sono inferiori e in Germania sono addirittura nulle, cosicché i confronti operati al lordo sovrastimano i nostri trasferimenti pensionistici che, in realtà, non sono affatto anomali. 
In ogni caso, dopo le riforme del 1992 e 1995, fin dal 1998 il saldo tra le entrate contributive e le prestazioni previdenziali nette è sempre stato attivo; l’ultimo dato, del 2011, è di ben 24 miliardi di euro. Dunque, il nostro sistema pensionistico pubblico non grava sul bilancio pubblico, anzi lo migliora in misura consistente (pari a sei volte le entrate Imu sulla prima casa!)".

3. Sulla necessità che "gli istituti giuridici debbano adeguarsi ai mutamenti della realtà sociale" (quasi che fossero mutamenti naturalistici, come il verificarsi dei terremoti e delle alluvioni, la cui causazione, tra l'altro, ha effetti antropici tutt'altro che naturalistici e non prevenibili. Proprio come una crisi fiscale e demografica determinata dall'adozione di politiche deflazioniste del lavoro), rammentiamo:
"...il nodo che la Corte deve inevitabilmente sciogliere è un altro: si deve infatti, logicamente e giuridicamente, ritenere inaccettabile una continua riduzione dei diritti costituzionali, ancorati a norme inderogabili (in teoria, fino ad oggi), a mere pretese a tutela eventuale (se non "casuale"); vale a dire, la loro riduzione a posizioni soggettive organicamente affievolite dall'adesione all'Unione monetaria europea, in quanto aventi una tutela non più effettiva ma che sia soggetta;
a) nel suo complesso alla prevalenza del pareggio di bilancio stabilito dal "nuovo" art.81 Cost. (che equivale a dire alla prevalenza del c.d. fiscal compact), secondo un automatismo che svuota praticamente di contenuto tutelabile (cioè reintegrabile) l'intera gamma dei diritti costituzionali;

b) in alternativa, ad una discrezionalità della Corte, non prevista dalla Costituzione (intesa in senso sistematico), nel riscontrare i presupposti di questa prevalenza: una discrezionalità giuridicamente "imprevidibile", perchè operante su una molto opinabile gerachia fra i diritti costituzionali non più interpretati, appunto, sistematicamente, ma isolatamente considerati, e  perciò ben difficilmente motivabile con coerenza.  Altrettanto sistematica, infatti, dovrebbe essere la considerazione, da parte della Corte, dell'effetto complessivo, e reiterato costantemente nel tempo, delle manovre finanziarie che includono le singole norme devolute al suo sindacato: queste manovre, infatti, rientrano complessivamente nel tipo di correzione del sistema e del ciclo economico che, imposta dai vincoli europei, tende univocamente a stabilizzare un elevato livello di disoccupazione strutturale (cioè di "equilibrio", perseguito come riflesso della priorità inderogabile del tetto del 2% dell'inflazione), - pari al 10,5%- in funzione dell'inflazione considerata nell'UEM come di equilibrio "di pieno impiego" .
Si tratta, con evidenza, di un obiettivo strutturale che non ha altra spiegazione "razionale" che quella del mantenimento della moneta unica in sé, e che rende ingiustificabili le stesse manovre alla luce del principio lavoristico a cui è informata l'intera Costituzione. "

4. Ed infatti, bisogna almeno sapere questo: quale che sia la percentuale su PIL della spesa previdenziale, questa è per definizione una quota del prodotto stesso, cioè, con buona approssimazione, del reddito
Se il reddito pro-capite, a cui vanno rapportate le prestazioni previdenziali, decresce, tale quota decrescerà anch'essa in termini assoluti. 
Il che, in base a elementari calcoli aritmetici, significa che le prestazioni pro-capite saranno anch'esse inevitabilmente diminuite, sia perchè ricalcolate in base a regimi legali più sfavorevoli, sia perchè la diffusione della disoccupazione abbatte le basi retributive ai fini previdenziali (o anche, - nel caso di chi non entra mai nell'alveo degli occupati, o vi entra solo in costante precarizzazione-, proprio non vi sarà una base retributiva da cui raccogliere i contributi in misura tale da garantire una prestazione pensionistica "di sopravvivenza").
E non solo: anche se può sorprendere (non tutti), l'abbattimento delle prestazioni previdenziali, per più vie perseguita, determina, a sua volta, una riduzione del PIL (mediante contrazione dei consumi) che induce a sua volta disoccupazione (strutturale) e, quindi, induce un'ulteriore contrazione delle prestazioni erogate.
Quindi, se un paese non cresce, anzi decresce e ristagna in modo comparativamente rilevante rispetto al resto del mondo, le pensioni non possono matematicamente risultare tra le "più generose del mondo":


Collegamento permanente dell'immagine integrata
 Il PIL procapite italiano è calato in termini relativi dal 119% della media dell’UE 28 nel 2001 fino al 98% nel 2013. Tale calo ha caratterizzato anche Francia e Gran Bretagna e in misura minore la Spagna, che era invece cresciuta fino al 2007. La Germania invece, che aveva mantenuto un reddito procapite relativo sostanzialmente stabile dal 2000 al 2009, ha conseguito nel 2010-13 un consistente miglioramento.  
La produzione industriale italiana aveva mostrato una tendenza a un moderato calo nel 2000-2005, seguito da una fase di crescita nel 2005-2008, con trend di crescita più limitato rispetto alla media della zona euro. Dalla metà del 2008 fino ad aprile 2009 la produzione industriale è crollata da un massimo di 106 ad un minimo di 78, analogamente a quanto accaduto in tutto il mondo con la crisi finanziaria internazionale. Dalla seconda metà del 2009 alla metà del 2011 la produzione industriale ha recuperato circa il 40% di quanto aveva perso, tornando successivamente a calare.
5. Quindi, questo "adeguamento alla realtà sociale" degli istituti giuridici PREVISTI DALLA COSTITUZIONE, ben lungi dall'essere una necessità naturalistica, è il frutto di una scelta politica, imposta dalle politiche economiche e fiscali dettate dall'adesione alla moneta unica.
Non comprenderlo, non consente di impostare, nelle sue reali radici sostanziali (economiche e giuridiche, tra loro necessariamente intrecciate), il problema di legittimità costituzionale delle norme finanziarie, - di taglio della spesa o di inasprimento dell'imposizione fiscale-, assunte, come nel caso dell'adeguamento pensionistico, in nome dell'€uropa e della riduzione dell'indebitamento pubblico e, ancor più del pareggio di bilancio:
 "Ci riferiamo all’art.97 Cost., “nuovo” comma 1, che, nel testo introdotto, (sempre dall’esercizio finanziario 2014), dall’art.2 della l.costituzionale 20 aprile 2012, n.1, recita: “Le pubbliche amministrazioni, in coerenza con l’ordinamento dell’Unione europea, assicurano l’equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico”.
La disposizione pone una serie pressocchè infinita di problemi di ordine costituzionale. Si pensi solo che “l’equilibrio dei bilanci”, se assunto come pareggio, o anche solo riduzione dell’indebitamento al livello -0,5 punti di PIL, stabilito dall’ordinamento dell’Unione europea, in base alla dottrina economica di gran lunga prevalente (che verrà più oltre esaminata più in dettaglio), non ha alcuna univoca correlazione con la “sostenibilità del debito pubblico”, che dipende piuttosto dal livello di crescita del PIL in relazione alla dinamica dello stesso indebitamento annuale.[4]

Questa chiara relazione tra crescita e sostenibilità del debito (che modifica nel lungo periodo il rapporto deficit/PIL e rende scientificamente irrilevante considerare staticamente l’ammontare assoluto del debito stesso), non solo proietta l’ombra della incostituzionalità sulle leggi che, in precedenza, in situazione di stagnazione o diminuzione del PIL, abbiano perseguito la riduzione dell’indebitamento, ma fa emergere un’aporia all’interno dello stesso art.97 nuovo testo.

Si prospetta, cioè, un conflitto tra simultanei enunciati costituzionali risolvibile solo accedendo a una “peculiare” teoria economica, i cui effetti, però, come vedremo, non solo stanno producendo dati macroeconomici contrari alla finalità di raggiungere la sostenibilità del debito o, quantomeno, alla sua stabile riduzione, ma che, com’è comprovabile dai rilievi effettuati dalla pressoché unanime platea degli economisti più prestigiosi, non ha mai sortito effetti utili ai fini della “stabilità finanziaria”, (di cui la sostenibilità del debito sarebbe, in assunto, frettolosamente costituzionalizzato, uno strumento “prioritario”).
https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgzHrD5jpq-Ud30OvYOSjMqGLCl2CnrfblLOJuC4AtMXcGeFicbnrW6MhGJC_BRgDfzErW0w-qQNLoQofcdGSpufaEBBHBdChQdHWvioi6ntIkmhidbYKsG9AflvfaQbHI2Sw860JZyX0U/s1600/italia+grafico+percentuale+debito+pil+1861+2015.jpg
Notare: nella storia economica italiana, innalzamenti del debito pubblico comparabili a quello derivante PROPRIO dalle politiche €uro-imposte di raggiungimento del pareggio strutturale di bilancio (cioè a partire dalla seconda metà del 2011), si sono avute in concomitanza con: 
a) la prima guerra mondiale; 
b) la crisi del '29 (ma per recuperare la crescita non per precipitare nella recessione-stagnazione); 
c) la seconda guerra mondiale; 
d) come ben si "evince" dal grafico, il divorzio tesoro-bankitalia, cioè per un fenomeno di drastico aumento degli interessi sul debito pubblico, successivo al 1981 e, comunque, si diceva, necessitato dall'adesione allo SME, prima manifestazione di vincolo esterno monetaria europeo (tant'è che il picco cessa proprio con l'uscita italiana da tale "sistema"). 
Anche se, poi, la prosecuzione dell'aggiustamento verso il basso del rapporto debito/PIL è stata ottenuta a costo di privatizzazioni e manovre finanziarie che hanno pesantemente limitato la crescita e la capacità industriale italiane, in virtù del perseguimento del c.d. avanzo primario di pubblico bilancio.
6. Questi i dati e gli effetti del saldo primario così virtuoso e "generoso":
Avanzo primario e tasso di risparmio 
 All’inizio degli anni duemila il tasso di risparmio e di investimento pubblico e privato erano sostanzialmente allineati in Italia, la crescita della quota di investimenti fino al 2007 non è stata accompagnata da una crescita proporzionale dei risparmi, rimasti sostanzialmente costanti. Con la prima recessione (2008-2009) i risparmi sono calati più fortemente degli investimenti, che hanno resistito meglio. Durante la seconda recessione invece si è registrato un nuovo calo degli investimenti, mentre aumentava il risparmio precauzionale. Dal 2013 i risparmi sono tornati maggiori rispetto agli investimenti ma ad un livello radicalmente più basso per entrambi rispetto a quello pre crisi (nel 2014 18,3% di propensione al risparmio contro il 16,5% di propensione all’investimento).
La limitazione del deficit - e quindi del risparmio, di cui le pensioni sono un fondamentale aspetto in conseguenza dei comportamenti di spesa mantenibili durante la vita lavorativa!- e il costante mantenimento di un saldo primario, infatti, non sono senza effetto, sulla produzione industriale, e sull'evidente stagnazione-riduzione strutturale degli investimenti.
La produzione stagna costantemente in conseguenza dell'adesione all'euro, divergendo da quella degli altri Stati aderenti all'area, proprio per effetto di più drastiche politiche di bilancio (inclusive di ben due riforme pensionistiche anteriori a quella "Fornero"); e questo indipendentemente dalla crisi del 2008;
La produzione industriale italiana aveva mostrato una tendenza a un moderato calo nel 2000-2005, seguito da una fase di crescita nel 2005-2008, con trend di crescita più limitato rispetto alla media della zona euro. Dalla metà del 2008 fino ad aprile 2009 la produzione industriale è crollata da un massimo di 106 ad un minimo di 78, analogamente a quanto accaduto in tutto il mondo con la crisi finanziaria internazionale. Dalla seconda metà del 2009 alla metà del 2011 la produzione industriale ha recuperato circa il 40% di quanto aveva perso, tornando successivamente a calare.


7. Spieghiamoci meglio: in linea logica, il debito si stabilizza in rapporto al PIL (cioè il rapporto non cresce più oltre una certa soglia), allorchè esista un certo livello di crescita del PIL “nominale” prossimo “allo”, (o ovviamente maggiore “dello”), stesso livello dell’indebitamento (c.d. deficit) in rapporto al PIL (crescente); e ciò, anche scontando un certo crescente onere degli interessi (che tenderà a scemare solo in caso di crescita), via via che ci si approssima alla “situazione di stabilizzazione” (matematica). Questa dinamica, in sé, rende il “debito pubblico” sostenibile.

E’ chiaro che non ha alcun senso porre un limite, “retroattivo” e “astratto”, alla stabilizzazione di tale rapporto debito/PIL, assumendolo, come il trattato di Maastricht, in una arbitraria misura del 60%, che in sé non è affatto collegata ad alcuna garanzia di sostenibilità del debito, né tantomeno ad una stabilità finanziaria univocamente prevedibile, trascurando del tutto l’aspetto della compatibilità di ciò con la concomitante crescita."  

8. Quanto, infatti, la stabilità finanziaria sia raggiungibile attraverso politiche fiscali che, - tagliando la spesa pubblica, inclusa (anzi, principalmente) quella previdenziale, strutturando un'alta disoccupazione, e quindi distruggendo la domanda interna-, portino al fenomeno di insolvenze diffuse (delle famiglie, per crediti al consumo e immobiliari non più restituibili, e delle imprese, per calo dei fatturati e degli incassi da parte dei propri debitori), lo stiamo constatando in questi giorni.
Dal 2000 al 2007 il tasso di disoccupazione italiano si è quasi dimezzato (dal 10,6% al 5,8%) scendendo sotto la media della zona euro. Successivamente, l’impatto della prima recessione ha portato a un aumento della disoccupazione in Italia, aumento tuttavia meno consistente rispetto alla media della zona euro. La seconda recessione invece ha avuto un impatto molto più forte in Italia che non in Europa (il tasso di disoccupazione in Italia è aumentato di 5,4 punti, passando dal 7,8% di aprile 2011 al 13% di novembre 2014, per poi iniziare a calare fino al 12,4% di aprile 2015 mentre la media della zona euro è aumentata nello stesso periodo solo di 1,7 punti, dal 9,8% all’11,5%). Nel 2014 l’aumento del tasso di disoccupazione è avvenuto in parallelo all’aumento del numero di occupati, perché numerose persone classificate come “inattive” hanno deciso di entrare nel mercato del lavoro.
schermata

9. Ma quelli che non restituiscono ("incagliano"), non coincidono, in origine, con quelli che successivamente divengono vittime del credit crunch e IN CONSEGUENZA DI CIO', POI, NON POSSONO PIU' PAGARE:

"Perchè, a dirla tutta, la gran parte delle sofferenze, (secondo i calcoli della CGIA di Mestre), è attribuibile alle grandi imprese, cioè al primo 10%, per dimensioni, dei debitori bancari:
"...quasi l’80% dei prestiti bancari va alle grandi imprese che, nonostante siano ridotte numericamente al lumicino, possono contare su un rapporto privilegiato nei confronti degli istituti di credito del Paese."

Dice Bortolussi, segretario della stessa CGIA:


Appare evidente, salvo forse qualche rara eccezione  – prosegue Giuseppe Bortolussi della CGIA di Mestre – che questo 10% di maggiori affidati non sono certo piccoli imprenditori o famiglie o lavoratori autonomi, ma quasi esclusivamente grandi società o gruppi industriali. E visto che il trend delle sofferenze a carico dei maggiori affidati degli ultimi anni è passato dal 72,8% del 2000 al 78,8% del primo trimestre di quest’anno, possiamo dire che le banche italiane ormai sono molto condizionate dalle grandi imprese. Queste ultime sono quelle che ricevono i maggiori finanziamenti  e per contro presentano i tassi di insolvenza più elevati. Non vorremmo che questa anomalia fosse dovuta al fatto che nella grande maggioranza dei casi nei Consigli di Amministrazione dei più importanti istituti di credito italiani sono presenti proprio questi grandi imprenditori o manager a loro molto vicini”".

  "...rimane il fatto che EBA&co., e certamente la BCE, e tutti i paesi "promotori" entusiasti dell'Unione bancaria, ben sapevano che il problemino non poteva non risiedere nella esigenza di ricapitalizzazione, determinata dalla "distruzione della domanda interna" che serviva SOLO  a conservare l'euro contro ogni evidenza e contro ogni logica economica di sviluppo, non solo del credito ma della stessa crescita, della occupazione, del livello dei redditi e quindi, della generale solvibilità di tutti i possibili debitori

E, infatti, le esigenze di ricapitalizzaione derivavano dalla ben nota, ai controllori e ai promotori dell'Unione bancaria, diffusione dei non performing loans crescentemente gravanti sui bilanci della banche dell'eurozona".

http://www.controcopertina.com/wp-content/uploads/2013/11/mario-monti-cnn.jpg

E, dunque, si può continuare a dire che, in Italia, il problema sono le pensioni più generose del mondo, (anche prescindendo dai dati che ci dicono chiaramente che ciò non è vero)?
E comunque, continuare a tagliare le pensioni, in godimento, come quelle ancora da percepire (forse), considerate le basi di retribuzione deflazionate della sempre più scarsa "popolazione attiva" (legalmente residente), non farà che aumentare i non performing loans e la prospettiva di bail-in, in contagio sistemico; e bail-in, parrà pure una parola inglese poco comprensibile, ma conduce ad un'altra che, chissà perché, gli italiani capiscono al volo:
BANK-RUN!

STAT: LA DISOCCUPAZIONE GIOVANILE DI OTTOBRE 2015Il tasso di disoccupazione nella fascia di età 15-24 anni, ovvero l'incidenza dei giovani disoccupati sul totale di quelli occupati o in cerca di lavoro, si attesta al 39,8% dal 39,4%.GRAFICO - Curva degli occupati ottobre 2014 - ottobre 2015 (fonte ...

Leggi tutto: http://www.soldionline.it/notizie/macroeconomia/occupati-italia-scende-il-tasso-di-disoccupazione-e-quello-di-occupazione-a-ottobre?cp=1
ISTAT: LA DISOCCUPAZIONE GIOVANILE DI OTTOBRE 2015Il tasso di disoccupazione nella fascia di età 15-24 anni, ovvero l'incidenza dei giovani disoccupati sul totale di quelli occupati o in cerca di lavoro, si attesta al 39,8% dal 39,4%.GRAFICO - Curva degli occupati ottobre 2014 - ottobre 2015 (fonte ...

Leggi tutto: http://www.soldionline.it/notizie/macroeconomia/occupati-italia-scende-il-tasso-di-disoccupazione-e-quello-di-occupazione-a-ottobre?cp=1

ISTAT: LA DISOCCUPAZIONE GIOVANILE DI OTTOBRE 2015Il tasso di disoccupazione nella fascia di età 15-24 anni, ovvero l'incidenza dei giovani disoccupati sul totale di quelli occupati o in cerca di lavoro, si attesta al 39,8% dal 39,4%.GRAFICO - Curva degli occupati ottobre 2014 - ottobre 2015 (fonte ...

Leggi tutto: http://www.soldionline.it/notizie/macroeconomia/occupati-italia-scende-il-tasso-di-disoccupazione-e-quello-di-occupazione-a-ottobre?cp=1

GRAFICO - Curva degli occupati ottobre 2014 - ottobre 2015 (fonte comunicato ISTAT): ...

Leggi tutto: http://www.soldionline.it/notizie/macroeconomia/occupati-italia-scende-il-tasso-di-disoccupazione-e-quello-di-occupazione-a-ottobre?cp=1

http://www.francomostacci.it/wp-content/uploads/2015/05/2015_badbank_fig5.png