mercoledì 6 maggio 2015

FLAGS OF OUR FATHER 6- MEDIA, "PUBBLICHE RELAZIONI" E GULAG PRIVATIZZATO


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Di fronte a questa 6a puntata del report di Riccardo Seremedi, come al solito accuratamente documentata nelle fonti, si è portati a dire: "non avrei mai POTUTO pensare che...".
Il "crescendo" cui assistiamo in questa stessa puntata, ci fa capire come, nella massa in aumento dei nuovi e vecchi diseredati, un lavoro tipo "Walmart" sia tutto sommato una prospettiva accettabile: l'alternativa, infatti, è il concreto pericolo di incorrere in un sistema di repressione penale e poliziesca che trasformerebbe l'eventuale "recalcitrante" alla normalizzazione nel nuovo, evoluto, mercato del lavoro adeguatamente flessibile, in un homeless o peggio in un gangster (che vuol dire "appartenente alle gang dei ghetti", non un appartenente alla criminalità organizzata, detto, in american english "mobster"). 
Cioè, il pericolo, per il "recalcitrante", è di essere trasformato in "materia prima" da immettere in un ben oliato ingranaggio militar-poliziesco-giudiziario, che metabolizza il disagio sociale attraverso la sua fisica eliminazione o segregazione. 
Ma poichè, come abbiamo visto nella 5a puntata, il sistema stesso del lavoro-consumo low-cost è generatore della povertà, allargata strutturalmente agli "occupati", ne risulta una colossale deriva verso status diversificati di cittadinanza, de facto istituzionalizzati: tale deriva è tale da far ipotizzare (ed è in effetti, come leggerete, implicitamente "programmato") che, al prossimo crollo di Wall Street, ben si potrebbero verificare scenari apocalittici.

A questo punto, non c'è da aspettarsi che gli USA possano essere culturalmente predisposti ad una qualche forma di pietà "umanitaria", o scrupolo etico, di fronte alla situazione greca, intesa come paradigma estremizzato della realizzazione del vincolo €urocratico e della conseguente condizionalità: al contrario, lo "spettacolo" sociologico offerto dagli Stati Uniti, fa presumere che solo concreti motivi di convenienza economica delle elites finanziarie "regnanti" possano (lontanamente?) far ritenere che la prosecuzione del modello UEM divenga un costo troppo alto per questa stessa convenienza. 
Come abbiamo già detto, la sostanza dell'utilità "strategica" dell'euro è quella della omogeneizzazione dei rispettivi sistemi socio-economici dalle due parti dell'Atlantico: ergo, mercati del lavoro e sistemi di welfare (se così possono essere chiamati) che tendano a coincidere. 
Al raggiungimento di questo obiettivo gli USA avrebbero, appunto, l'attualizzazione dell'interesse al TTIP (e connesso peg col dollaro), con aree, specialmente mediterranee, ormai abbastanza deindustrializzate sul manifatturiero da essere spazi coloniali, e non concorrenziali, nonchè di espansione del mercato dei servizi finanziari corrispondenti agli ex settori "core" dell'abrogato welfare pubblico.

Insomma: questo 6° capitolo, ancora una volta, ci riguarda. 
E se in passato, infatti, ci aveva riguardato il paradigma deflazionista e finanziario del "vincolo esterno", sospinto in avanti dagli stessi USA, a partire dalla seconda metà degli anni '70,  oggi non è ragionevole pensare che le oligarchie finanziarie possano attendere un' ulteriore trasformazione ultradecennale, prima di passare alla fase realizzativa di ciò che si aspettano accada in UEM.
Non a caso, le vicende di questi giorni, imperniate significativamente sulla spesa pensionistica (pubblica), nascono "da", e ci riportano a, quel clima di "fate presto!" caldeggiato dai sostenitori del vincolo esterno. Che, - inutile ripeterlo ancora?- non è altro che la proiezione mediatica-pop, in sede €uropea, della via scelta dall'ordine internazionale dei mercati per giungere alla "condizionalità";  un tempo riservata ai paesi del c.d. terzo mondo ma oggi, più che mai, in arrivo (a valanga) sugli "entusiasti" Stati-comunità (denazionalizzati e desovranizzati) sostenitori della "costruzione €uropea".
Dalla "scarsità di risorse" (naturalmente "dello Stato", possibilmente minimo e con 'sto "perimetro da ridurre", affichè sia "come una famiglia"), vista ciecamente come assioma incontestabile, laddove occorrerebbe tutto il contrario, si scende in un attimo nell'inferno della Grande Società. Solo che l'equilibrio della "sotto-occupazione" non regge: semplicemente non può reggere.
Altro che soluzione cilena: qui si prospetta, in pochi anni, una soluzione "The Jungle", con annesso Gulag privatizzato, che renderebbe il Cile di Pinochet quasi un esperimento rudimentale.
E' proprio vero che, economicamente (non nella sempre più diffusa e consolidata "dottrina politica") Hayek è superato, un residuo dialettico degli anni '70 (sebbene sia pur sempre l'anima del "profetico" rapporto Werner, già in sè contenente tutto, ma proprio tutto, l'attuale disegno €uropeo): neanche lui avrebbe probabilmente osato sperare che la Grande Società arrivasse a questa intrinseca perfezione...orwelliana.  

1. Bidonville Valley
Nella Silicon Valley - poco lontano dal quartier generale di Apple – nel dicembre scorso è iniziato lo smantellamento di The Jungle , la più grande baraccopoli degli Stati Uniti - 68 acri lungo le rive fangose del Coyote Creek - abitata da oltre 300 persone e situata nei pressi di San José; la bidonville ha causato grande imbarazzo alle amministrazioni pubbliche divenendo il simbolo dell'esplosione degli “homeless” nella Silicon Valley,  con San José e la circostante contea di Santa Clara che hanno stimato – nel 2013 - circa 7.600 persone senza fissa dimora (più di San Francisco), il 75% delle quali dormiva all'addiaccio sui marciapiedi, nei parchi e sotto le scarpate autostradali, una percentuale maggiore rispetto a qualsiasi altra grande area metropolitana degli Stati Uniti; “The Jungle” era diventata negli ultimi anni il rifugio per centinaia di persone troppo povere per rimanere nella zona, se pensiamo che a San José l'affitto medio per un appartamento con una camera da letto arriva a 2.154 dollari al mese.
La chiusura di “The Jungle” si inserisce in una situazione già molto difficile tra i dipendenti della Silicon Valley e gli altri abitanti della California occidentale, dove il costo della vita è salito a causa della bolla immobiliare generata dai soldi affluiti alle imprese hi-tech; a San Francisco, i residenti - con la rabbia montante per i numerosissimi sfratti - stanno organizzando la resistenza e attaccano gli autobus che portano gli ingegneri di Google, Facebook e Apple ai loro posti di lavoro, diventando il simbolo inaspettato di una crescente lotta sociale :"E 'una 'tempesta perfetta'  di ricchezza estrema, una comunità di tecnologia in forte espansione e persone escluse da prezzi fuori  mercato”, ha commentato Jennifer Loving, direttore esecutivo dell' associazione “Destination Home”, nell'intervista al “Los Angeles Times”.
Le problematiche della Bay Area in California sono speculari a quelle che stanno attanagliando il resto degli Stati Uniti, dove gentrificazione e bassi salari sono i fattori principali dell'esplosione demografica avutasi nelle periferie, dove oggi si concentrano molti dei “nuovi poveri” post recessione ; tuttavia, la diffusione della povertà non è avvenuta in modo uniforme ma si è raggruppata e concentrata in quartieri difficili e ad alto tasso di indigenza, vanificando i piccoli miglioramenti ottenuti alla fine degli anni '90.

2. Come si muove la povertà: uno studio del “Brookings Institution”
Lo studio più accreditato e citato negli Stati Uniti, riguardo ai flussi migratori verso le periferie urbano-rurali, è quello di Elizabeth Kneebone e Alan Berube - Confronting Suburban Poverty in America- ricercatori del “Brookings Institution”; nel  primo decennio del Duemila - a causa delle due recessioni ravvicinate e con il successivo aumento e sviluppo della povertà - il numero dei quartieri degradati negli Stati Uniti, quelli censiti con tassi di povertà del 40% o più,  è salito di quasi ¾  e la popolazione che vive in tali quartieri è cresciuta in proporzioni simili (il 76%, ovvero 5 milioni di persone) per raggiungere 11,6 milioni nel periodo 2008-2012 : di quei residenti, 5,4 milioni erano poveri.
Il tasso di “povertà concentrata” rimane più alto nelle grandi città dove, nel periodo 2008-2012, quasi ¼  dei cittadini nullatenenti (23%) risiedeva in un quartiere degradato rispetto al 6,3% in periferia ; tuttavia, in questo periodo di tempo le comunità suburbane hanno sperimentato un ritmo di crescita più veloce nel numero degli abitanti poveri che vivono in “povertà concentrata” : tra il 2000 e il 2008-2012, il numero dei diseredati che abitano nei quartieri fatiscenti di periferia è aumentato del 139%, quasi tre volte il ritmo di crescita nelle città.
                                                                                                                                                 
3- Il profilo razziale ed etnico- la vuota sceneggiata del politically correct: eguaglianza nella miseria, redenzione…per nessuno.
Il profilo razziale ed etnico dei quartieri periferici -  sia a bassa che ad alta povertà  - è cambiato: i quartieri a minore indigenza hanno assunto una maggiore eterogeneità , anche se i residenti di questi agglomerati rimangono in gran parte bianchi ; al contrario, i  quartieri a livelli più elevati di indigenza – una volta “feudi” incontrastati di afro-americani e ispanici – hanno visto un incremento nella presenza dei bianchi, ora al 23% : tuttavia, le minoranze continuano a costituire lo zoccolo duro dei residenti, con punte del 53% tra i “colored” e del 54% tra i “latinos”.
Quasi tutte le maggiori aree metropolitane del Paese hanno visto la crescita della povertà nelle loro periferie, ma quelle meridionali della “Sunbelt”  hanno registrato alcuni dei maggiori aumenti (almeno il 20%) nella quota degli abitanti poveri suburbani, come ad esempio Winston-Salem, Augusta-Richmond County, Greenville, e soprattutto Atlanta; la capitale della Georgia è una delle città degli Stati Uniti dove la maggior parte degli indigenti vive nei suburbi (88%) e quella dove, nel periodo 2000-2011, l'incremento della popolazione povera della periferia si è ampliato del 159%, laddove l'analoga popolazione urbana è invece rimasta sostanzialmente piatta.
Il fatto che le persone più umili siano costrette a trasferirsi in periferia potrebbe anche  essere visto come un'occasione per uscire dalla miseria, a patto che questa “scelta” di vita sia bilanciata dalla possibilità di avere buone alternative di lavoro, alloggi a prezzi onesti e  scuole di livello accettabile; purtroppo, la povertà è aumentata così rapidamente che molte di queste aree non sono in condizione di far fronte alle esigenze di una popolazione in crescita, mancando di infrastrutture e servizi all'altezza della situazione.                           

4. Vite ai margini
Discorso ancor più penoso è quello relativo alle sorti degli homeless , le persone che non dispongono di un tetto sotto cui vivere : il “Department of Housing and Urban Devolpment (HUD) ha presentato recentemente al Congresso l'”Annual Homeless Assessment Report (AHAR)  che presenta le cifre ufficiali del fenomeno.
Secondo questi dati, nel gennaio 2014 i senzatetto negli Stati Uniti ammontavano a 578.424 persone ; quasi 2/3 (il 63% - 362.163 persone) erano individui singoli e, di questi, 209.148 erano ospitati presso strutture d'emergenza o in programmi abitativi transitori, mentre 153.015 persone vivevano in luoghi non riparati ; il rimanente 37% (216.261 persone) era composto da persone di famiglie senza dimora, con la maggior parte di esse  (191.903 persone) ospitate in rifugi appropriati, al contrario dei 24.358 individui più sfortunati, censiti in ripari improvvisati come sotto viadotti, macchine o edifici abbandonati;  particolare di non poco conto, quasi ¼ di tutti gli “homeless”  (23% - 135.701) sono bambini/ragazzi sotto i 18 anni.
L'amena e soleggiata California è lo Stato con la maggior percentuale di senzatetto - il 20% (113.952 persone) - di tutti gli Stati Uniti, seguita da New York (14% - 80.590), Florida (7% - 41.452), Texas (5% - 28.495) e Massachusetts (4% - 21.237), le 5 realtà dove si concentrano la metà di tutti gli “homeless” americani : per inciso, la California è anche il luogo dove chi si trova ai margini della società deve sopravvivere in condizioni peggiori che altrove, poiché il 62,7% dei clochards californiani non beneficia di strutture riparate.
Non si pensi di liquidare il problema dei senzatetto, o anche di coloro che si arrabattano nei sobborghi metropolitani, ricorrendo - in maniera semplicistica - alla sterile “equazione del benpensante” homeless=accattone ; chiunque abbia anche solo una sufficiente dimestichezza con la lingua inglese potrà trovare centinaia e centinaia di storie, famiglie e persone comuni – come potrebbe essere ognuno di noi - che dopo intere vite di onesto e duro lavoro sono state travolte da terribili avversità - la perdita dell'occupazione o una grave malattia o tutt'e due - e si sono ritrovate dall'oggi al domani in mezzo ad una strada: le loro sono testimonianze tristi che ci ricordano come, nelle vertiginose mutazioni dell'epoca moderna, il confine tra un'esistenza dignitosa e l'indigenza sia molto più sfumato di quel che si creda, dove il “fantasma di Tom Joad” è una presenza costante che può manifestarsi di repente anche nei nuclei familiari in apparenza solidi.                           

5. “Non è un paese per poveri”
“Non è un paese per poveri” - parafrasando un celebre film dei fratelli Coen – potrebbe essere il titolo didascalico più acconcio per descrivere il clima di “dagli all'untore” che aleggia intorno ai senzatetto americani; infatti, le leggi anti-homeless - che vanno dal divieto di dormire in auto alle restrizioni sui comportamenti da tenere in pubblico - sono in aumento secondo quanto riportato da un nuovo studio pubblicato dal “National Law Center on Homelessness & Poverty”( NLCHP), e il numero di città che proibiscono di sedersi o sdraiarsi in spazi pubblici è aumentato da 70 nel 2011 a 100 nel 2014 - un balzo del 43%: anche dormire in macchina viene considerato un reato da reprimere - nel 2011 le città che lo proibivano erano 37, ora salite a 81 (+ 119%) - come, ad esempio, a Palo Alto in California dove i “trasgressori” vengono sanzionati con 1000 dollari di multa o 6 mesi di carcere.
 
Proprio la California si è mostrata particolarmente zelante nell'applicazione delle nuove misure ; infatti, 58 città californiane hanno approvato almeno una legge che limita l'attività dei senzatetto (tutte assieme, queste città hanno superato un totale di 500 leggi “ad personam”) e solo San Francisco emette 3.000 citazioni all'anno per reati come dormire, sostare in piedi o elemosinare in pubblico : gli arresti di persone senza fissa dimora sono  in aumento, e in tutto lo Stato il tasso di arresto per reati riferiti a "vagabondaggio" è aumentato del 77% dal2000.
Non si vuole certo negare che un minimo grado di decoro urbano vada garantito, ma il fatto che le misure repressive verso i clochards stiano aumentando proporzionalmente ai livelli di indigenza e alla radicalizzazione del fenomeno, lascia piuttosto pensare che sia l'ostensione della crescente povertà a fare paura alle élites, come scrive lo stesso Zygmunt Bauman, questo acuto “reporter” della nostra contemporaneità : “[...] Oggi il difendere la purezza della soddisfazione consumistica si esprime sempre più chiaramente nella tendenza a criminalizzare i problemi sociali creati appunto dalla ricerca di tale soddisfazione. Dire che ogni ordine tende a criminalizzare chiunque si opponga ai suoi princìpi e a mettere fuori legge gli avversari reali o immaginari, è fare un'osservazione ovvia e banale. Meno ovvio – ma non per questo meno vero – è il fatto che ci si accanisce a estirpare proprio quei fenomeni che, a un esame più approfondito, si rivelano espressioni radicalizzate (talvolta portate all'assurdo) dei princìpi stessi su cui si fonda l'ordine costituito [...]”.  (Z. Bauman – Il Disagio della Postmodernità ; pagg.17-18)
E così mentre a New York City – dove gli homeless superano la soglia record delle 60.000 unità e rendono la “Grande Mela” prima metropoli della nazione in questa poco invidiabile classifica - l'amministrazione municipale incentiva con spregiudicati abbattimenti fiscali un lussuoso ed elitario mercato immobiliare, con interi isolati chiusi per la maggior parte dell'anno, a Fort Lauderdale (Florida)  Arnold Abbott - signore 90enne della no-profit “Love Thy Neighbour” - e due pastori della Sanctuary Church” , sono condannati a 60 giorni di carcere e sanzionati con una multa pari a 400 euro per aver dato da mangiare ad alcuni senzatetto: Lee Feldman, city manager di Fort Lauderdale, ha affermato che l'attuazione di tali misure si è resa necessaria per rispondere alle preoccupazioni di quei cittadini che vedono nei senzatetto “una minaccia alla sicurezza e alla redditività degli affari”.
      
Una società che “dimentica” e mortifica i sentimenti più elementari di compassione e di pietà, dove impera il disconoscimento di tutte le ragioni di tipo non economico, è una società destinata ad un progressivo “imbarbarimento di ritorno” e avviata verso la propria inevitabile autodistruzione.


6. La crisi razziale negli Stati Uniti del XXI secolo
L'uccisione dell'adolescente nero disarmato Michael Brown a Ferguson – un sobborgo di St. Louis – e l'ondata di disordini che ne sono seguìti mostrano che la crisi razziale nella società americana è ancora ben lungi dall'essere risolta; ciò che ha scioccato la nazione non è stata tanto la notizia della morte di un adolescente afro-americano per mano di un poliziotto bianco (nelle citta americane, le persone di colore vengono uccise da poliziotti bianchi quasi ogni giorno di ogni settimana), quanto la ferocia nella risposta della polizia verso coloro che protestavano contro l'uccisione: per diverse notti, le immagini televisive provenienti dal Missouri erano tali che chiunque le avrebbe potute confondere con filmati realizzati durante le rivolte del 2005 nelle banlieues francesi.                                                               
La crisi di Ferguson ha dato la stura alle polemiche sul notorio “doppiopesismo” delle
amministrazioni americane in tema di “diritti umani”, sempre pronte ad ingerirsi nelle crisi interne di altri Paesi (molto spesso provocate ad arte, proprio dagli stessi USA) quando ciò rechi loro vantaggi di varia natura e, viceversa, assai reticenti nel fornire spiegazioni all'opinione pubblica internazionale se fatti analoghi – o ben più gravi – accadono "a Washington"; è da rilevare, peraltro, il silenzio assordante dell'Unione Europea e dei suoi azzimati “quaquaraquà”, forse turbati all'idea di contrariare, con improvvide dichiarazioni, l'ingombrante alleato: non una parola, non un moto di sdegno; e dire che il putsch di Kiev – in cui i neonazisti erano assurti al rango di “pacifici manifestanti” - aveva consegnato agli annali della Storia una pleiade di “statisti” così preoccupati per il rispetto dei “diritti umani”, che anche solo un briciolo della loro “sospetta” e parossistica loquacità dell'epoca sarebbe bastato alla causa delle persone oppresse negli Stati Uniti (di qualunque “colore”), e avrebbe avuto un altro e ben più valido banco di prova per testare la sincerità di quelle convinzioni.                                                                                                                            
A rendere ancor più stridente l'inazione del politburo azzurro-stellato ha contribuito il rapporto, a dir poco clamoroso, rilasciato dal Committee on the Elimination of Racial Discrimination” (CERD) , una commissione delle Nazioni Unite che ha analizzato lo stato attuale della giustizia razziale negli Stati Uniti; nel rapporto, oltre all'esplicito biasimo verso l'incredibile brutalità della polizia, si legge: “[...] questo non è un evento isolato e illustra un problema più grande negli Stati Uniti, come ad esempio i pregiudizi razziali tra i funzionari delle forze dell'ordine, la mancanza di una corretta applicazione delle norme e dei regolamenti che disciplinano l'uso della forza, e l'inadeguatezza della formazione dei funzionari delle forze dell'ordine (…) la discriminazione razziale ed etnica rimane un problema grave e persistente in tutti i settori della vita dalla segregazione scolastica 'de facto', l'accesso all'assistenza sanitaria e all'alloggio […]”.    
L'assassiniodi Brown ha riaperto – ammesso e non concesso che si fosse mai chiuso – il dibattito sulla “cultura” della polizia americana nei confronti della comunità nera, così come la crescente militarizzazione delle forze dell'ordine, dovuta ad un programma federale del Pentagono – il “1033 Program”  - che prevede la fornitura di attrezzature militari alle forze di polizia metropolitane: il tenente colonnello Jon Belmar – l'ufficiale di polizia più alto in grado nella Contea di St. Louis – ha giustificato l'ampio impiego di attrezzature militari e di blindati affermando che : “[…] se non avessimo avuto la capacità di proteggere gli agenti con quei veicoli, temo che avremmo dovuto affrontare le persone con le nostre armi da fuoco. Credo davvero che l'uso dei blindati ci abbia consentitodi non aver dovuto premere il grilletto [...]”.                                                                                       

7. “To protect and serve”
Gli eventi luttuosi in Missouri sono stati il seguito di un altro episodio, parimenti tragico, accaduto qualche settimana prima a New York City, dove il 43enne (padre di 6 figli) Eric Garnersospettato di vendita illegale di sigarette e disarmato – veniva immobilizzato da un agente di polizia con una  reiterata presa alla gola (vietata dalle disposizioni del NYPD) con l'interno dell'avambraccio, scaraventato a terra e successivamente paralizzato da altri poliziotti in una posizione di forte costrizione respiratoria, con il primo agente che, lasciato il collo, premeva ora violentemente il volto di Garner contro il marciapiede; a questo punto, Garner ha ripetuto più volte I can't breathe”  prima di perdere conoscenza e rimanere lì, esanime per diversi minuti, fino all'inutile arrivo dell'ambulanza: Garner è giunto al “Richmond University Medical Center” già deceduto.
L'autopsia ha confermato che quello di Garner è stato “un omicidio”, causato da compressioni al collo provocate dallo strangolamento e per " la compressione del petto e la posizione prona durante l'immobilizzazione fisica da parte della polizia";  nonostante questi risultati, il Gran Jury ha deciso incomprensibilmente – come a Ferguson – di non procedere penalmente nei confronti del responsabile, provocando un'ondata diveementi proteste.

8. “Se non state attenti, i media vi faranno odiare le persone che vengono oppresse e amare quelle che opprimono”
L'elenco delle brutalità della polizia americana è sterminato e non ci interessa fare una cronistoria; sono viceversa da biasimare gli esempi di pessimo giornalismo, che non aiutano a rasserenare gli animi e danno letture fuorvianti della realtà: è il caso di due “giornalisti” dell'”Huffington Post” , che in un articolo ossequioso verso il NYPD  arrivano a scrivere : “Eric Garner era sovrappeso e in cattive condizioni di salute. Era un fastidio per i proprietari del negozio che si lamentavano del suo vendere sigarette non tassate per la strada. Quando la polizia è venuta ad arrestarlo, ha resistito. E se poteva dire ripetutamente, "non posso respirare" vuol dire che riusciva a respirare [...]” ; dobbiamo quindi pensare, come lasciano intendere questi “Bonnie & Clyde” della carta stampata, che chiunque si macchi del “terribile” reato di vendere sigarette illegali (che non sono state trovate) all'angolo di una strada – probabilmente per mettere insieme il pranzo con la cena – debba come contrappasso venire strangolato con una presa di wrestling da un esaltato supercop newyorchese; ma dove spietatezza e viltà d'animo strabordano è  giungere a negare la veridicità delle richieste di aiuto di una persona in stato di soffocamento, solo per il semplice fatto che egli fosse in grado di pronunciarle: secondo questa “ferrea logica”, un bagnante in difficoltà che si agita, annaspa e grida non sta realmente annegando perché … si agita, annaspa e grida.

9. Potere assoluto: la militarizzazione dei Dipartimenti di polizia
Come ci ha mostrato Edward Snowden, gli Stati Uniti sono a tutti gli effetti uno Stato di Polizia, dove i cittadini “sono tutti in libertà provvisoria”; il quotidiano “The Guardian” ha scoperto che il dipartimento di polizia di Chicago gestisce un centro interrogatori anonimo e non registrato, nel quale i sospettati sono arrestati senza figurare nei database ufficiali, percossi ed ammanettati per periodi prolungati, negando anche l'accesso degli avvocati alla struttura "protetta": l'edificio – definito dagli stessi avvocati come l'equivalente nazionale di un “black site” della CIA - è uno scialbo magazzino sul lato ovest di Chicago conosciuto come “Homan Square”, all'interno del quale sono presenti celle per gli interrogatori e altre strutture all'uopo specializzate.
A detta di molti sociologi e analisti politici, sono proprio le precedenti analisi delle odierne dinamiche socio-economiche americane a rendere Ferguson “l'episodio pilota” di un  esperimento di carattere strategico-militare, il luogo ove si sono tenute le prove generali per la repressione di sommosse di vasta portata che saranno generate dall'inevitabile futuro crollo borsistico, allorquando lo schianto dell'economia imporrà il contenimento di masse esasperate ed il controllo della forza lavoro superflua

A riprova di queste affermazioni vi sono gli innumerevoli programmi di armamento pesante che stanno coinvolgendo i Dipartimenti di polizia delle maggiori città degli “States” , come
ad esempio New York City  o Los Angeles: Matt Apuzzo - giornalista del “New York Times” - ha scritto qualche mese fa: “[...] Durante l'amministrazione Obama, secondo i dati del Pentagono, i dipartimenti di polizia hanno ricevuto decine di migliaia di mitragliatrici, quasi 200.000 caricatori di munizioni, migliaia di pezzi per la mimetizzazione e attrezzature per la visione notturna e centinaia di silenziatori, blindati ed aerei . L'apparecchiatura è stata aggiunta alle armerie dei dipartimenti di polizia che già sembrano e agiscono come unità militari.  Squadre di polizia SWAT sono ormai schierate decine di migliaia di volte ogni anno, sempre più in lavori di routine. Poliziotti mascherati e pesantemente armati hanno fatto irruzione in Louisiana in una discoteca nel 2006 nell'ambito di un controllo sui liquori. In Florida, nel 2010, agenti in tenuta SWAT e con le pistole spianate hanno effettuato incursioni in saloni di parrucchiere che hanno portato principalmente solo ad accuse di 'barbering' senza licenza [...]”.

10. La “war on drugs” degli anni '80 e '90: conseguenze postume
L'uso della forza e l'inasprimento della repressione interna muovono i primi passi già negli anni '80 quando, sull'onda della supposta “emergenza” nella lotta agli stupefacenti (la cosiddetta war on drugs), le amministrazioni americane emanano leggi ad hoc e forniscono alle vecchie e nuove agenzie di sicurezza - come la DEA (Drug Enforcement Administration) – adeguati strumenti per il restringimento delle libertà, nonché l'assistenza militare per il rafforzamento di tali leggi; contestualmente, il governo intraprende una campagna di pubbliche relazioni - anche per mezzo di una serie di spot televisivi e radiofonici - per ottenere il sostegno pubblico in questa sua continua "guerra"; le montanti preoccupazioni riguardo produzione, vendita e uso di droghe illegali ottengono l'effetto voluto e portano l'opinione pubblica a chiedere al governo di "fare qualcosa" per questa escalation di sostanze proibite: tale clamore ha aperto la porta alla militarizzazione della polizia nazionale ed ha ampliato l'attività interna delle agenzie, in conformità con la politica riguardante la sopracitata militarizzazione: per dare un'idea, nel 1980 ci furono circa 375.000 arresti per droga, ma alla fine del decennio il numero era giàsalito a quasi un milione.                                                                
In seguito, diversi giornalisti - tra i quali Robert Parry - hanno chiarito come dietro all'invasione di cocaina e crack negli Stati Uniti degli anni'80 e '90 vi fossero le pesanti responsabilità delle amministrazioni americane (Reagan in primis) e della CIA; a tal proposito, ci corre l'obbligo di parlare, en passant, di Gary Webb  – giornalista vincitore del premio Pulitzer – che nel 1996 scrisse sul “San José Mercury News” una serie di articoli documentati nei quali esponeva la chiara complicità della CIA nel contrabbando di tonnellate di cocaina vendute negli Stati Uniti, i cui proventi servivano a finanziare i Contras, gruppi ribelli appoggiati dalla CIA in Nicaragua;  i tre grandi giornali dell'establishment (Washington Post, New York Times, Los Angeles Times) fecero fronte comune ed ebbero il compito di screditarlo, permettendo - come si legge in un documento della CIA, pubblicato da “World Socialist Web Site“ - di contenere le ricadute delle rivelazioni di Webb sull'opinione pubblica, il tutto proprio grazie alla “campagna di relazioni” che l'Agenzia aveva intessuto con i media: da quel momento, la carriera di Webb cominciò a declinare e la sua parabola umana si concluse nel 2004 con uno strano suicidio.
Ma il Tempo è galantuomo e gli ha dato ragione ; lo scorso ottobre, è infatti uscito il film “Kill the messenger” dove viene ripercorsa la storia della sua inchiesta e, prima dell'arrivo della pellicola nelle sale, sono arrivate anche le prime ammissioni: Jesse Katz - un giornalista del Los Angeles Times ha raccontato in un'intervista radiofonica che il suo giornale, all'epoca, formò una "squadraGary Webb" di ben 17 giornalisti che lavorarono sistematicamente per produrre materiale che lo denigrasse.

11. La privatizzazione del sistema carcerario statunitense
La "drug crisis" negli Stati Uniti ha così fornito una chiara opportunità a polizia e forze militari per espandere le loro operazioni, aumentare il personale e ampliare a discrezione i  bilanci, ma non solo loro hanno tratto beneficio da codesta Nuova Crociata; forse non tutti sanno che anche il sistema penitenziario americano è largamente privatizzato e i gruppi che posseggono le strutture detentive - la cui principale fonte di reddito è legata ai contratti governativi - hanno “lavorato” essi stessi per espandere e perpetuare la guerra alla droga; è chiaro che il reddito per queste “imprese” dipende direttamente dal numero di individui incarcerati, e l'aumento delle pene per i reati di droga - sostenuto dagli stessi sindacati di polizia - ha reso quello delle prigioni private un business particolarmente redditizio: per fornire un contesto, si consideri che le entrate delle due grandi aziende carcerarie private ammontano a 3 miliardi di dollari l'anno (Corrections Corporation of America 2010).                                                      
Il “GEO Group Inc.” – uno dei principali operatori privati nel settore carcerario degli Stati Uniti - individua esplicitamente i cambiamenti della politica verso gli stupefacenti come una minaccia per la redditività del proprio business : "[…] La nostra crescita dipende dalla nostra capacità di assicurarci contratti per sviluppare e gestire nuove strutture correzionali, detentive e di salute mentale (…) le modifiche rispetto alla depenalizzazione delle droghe e delle sostanze controllate potrebbero influenzare il numero degli individui arrestati, detenuti, condannati e incarcerati, quindi potenzialmente ridurre la domanda di istituti penitenziari per ospitarli. Allo stesso modo, la riduzione dei tassi di criminalità potrebbe portare a riduzioni di arresti, condanne e sentenze che richiedono la carcerazione in istituti penitenziari [...]". (vedi link  pagg. 496-497)

Queste dichiarazioni dimostrano, in maniera inequivocabile, quali e quanti interessi concorrano non solo a mantenere lo status quo, ma anche ad auspicare l'aumento del numero di persone da incarcerare, facendo forti pressioni sui governi affinché vengano approvate leggi ancor più rigorose che garantiscano un flusso continuo di “pensionanti”.
Il boom della privatizzazione delle carceri ha avuto inizio negli anni '80 sotto i governi di Ronald Reagan e di Bush sr., ma è con la presidenza Clinton che si consolida il nuovo paradigma gestionale della “rieducazione”, quando il programmato taglio della forza lavoro federale porta i Dipartimenti di Giustizia ad appaltare alle imprese carcerarie private la detenzione dei lavoratori irregolari e dei detenuti ad alta sicurezza; attualmente, i due maggiori contractors sono Corrections Corporation of America” (CCA) e “GEO Group Inc.” (ex “Wackenhut” ) che insieme controllano il 75% del “mercato”: le carceri private ricevono un importo garantito di denaro per ogni prigioniero, indipendentemente dal costo pro capite sostenuto, e secondo Russell Boraas - un amministratore di una prigione privata in Virginia - "il segreto per bassi costi di esercizio è avere un numero minimo di guardie per il maggior numero di detenuti".      

11-bis. “Arcipelago Gulag”
Se le spinte emergenziali per la “war on drugs” avevano già ristretto diverse libertà civili e aumentato il numero della popolazione carceraria, è la successiva “guerra al terrore” post 11/9  - con l'emanazione del “Patriot Act” (ottobre 2001) e dell'”Homeland Security Act” (novembre 2002) - a trasformare l'America in un “Arcipelago Gulag” : da meno di 300.000 detenuti nel 1972 si è arrivati al milione di unità negli anni '90 , per giungere ai 2 milioni negli anni 2000; l'analogo e consequenziale discorso va applicato alla presenza delle carceri private -  appena 5 strutture solo dieci anni fa, con una popolazione di 2.000 detenuti – arrivate oggi a 100, con 62.000 persone internate.                                                                                                                                   
A tutt'oggi, sono oltre 2 milioni i reclusi “ospitati” in prigioni statali, federali e private in tutto il paese e – a detta del “California Prison Focus"  - nessun'altra società nella storia umana ha imprigionato così tanti suoi cittadini ; i dati mostrano che gli Stati Uniti hanno rinchiuso più persone di qualsiasi altro paese - un milione e mezzo più della Cina, che ha una popolazione cinque volte superiore – avendo, da soli, il 25% della popolazione carceraria mondiale, e questo nonostante il contributo americano alla popolazione planetaria sia appena il 5%.
Abbiamo accennato in precedenza alle attività di lobbying esercitate dalle corporations del settore nei confronti dei regolatori, affinché la legislazione repressiva non venga attenuata;   così abbiamo persone che, in base a leggi federali, possono scontare 5 anni di carcere - senza possibilità di libertà condizionale - per il possesso di soli 5 grammi di crack o 3,5 once di eroina, e 10 anni per il possesso di meno di 2 once di rock-cocaine o di crack ; oppure detenuti che per aver rubato una macchina e due biciclette hanno ricevuto tre condanne a 25 anni, in base alle “three strikes laws” (la prigione a vita dopo essere stati condannati per tre reati).                                                                                                                     

13. I nuovi servi della gleba
Si tratta di pene evidentemente sproporzionate rispetto alla gravità dei crimini commessi, ma funzionali alla creazione delle migliori condizioni per l'altro business, ovverosia la fornitura di mano d'opera “IG Farben style”, tutti lavoratori a tempo pieno, mai assenti o in ritardo, senza noiose seccature come scioperi o sindacati, in parole povere : il ritorno istituzionalizzato della schiavitù. 
Esagerazioni?
Niente affatto; almeno 37 Stati hanno legalizzato l'amministrazione del lavoro carcerario per le società private operanti all'interno delle prigioni di stato; l'elenco contiene la crema delle aziende statunitensi: IBM, Boeing, Motorola, MicrosoftTexas Instrument, Dell, Compaq, ecc. che, tra il 1980 e il 1994, hanno accresciuto i profitti  da 392 milioni a 1,31 miliardi di dollari.                                                                                                                                   
Di solito, i detenuti nei penitenziari statali si vedono riconosciuto il salario minimo per il loro lavoro, ma ciò non accade ovunque; in Colorado, ad esempio, i reclusi ricevono circa 2 dollari all'ora - ben al di sotto del minimo - mentre nelle prigioni gestite da privati la “diaria” (nell'accezione originale latina) è meno di 17 centesimi all'ora per un massimo di sei ore al giorno, l'equivalente di 20 dollari al mese; la prigione privata che “paga meglio” è un complesso della “CCA” in Tennessee, dove i prigionieri ricevono 50 centesimi all'ora per quelle che essi chiamano "posizioni altamente qualificate" .
Con tariffe così “concorrenziali”, assistiamo al paradosso di aziende che cessano attività lucrose in zone economicamente depresse e – per incrementare ulteriormente i profitti -  trasferiscono le commesse nelle carceri degli Stati Uniti: una società operante come maquiladora (impianto di assemblaggio vicino al confine) in Messico ha chiuso la sua produzione ed ha rilocalizzato al San Quentin State Prison in California, mentre in Texas, una fabbrica ha licenziato i suoi 150 lavoratori ed ha subappaltato i servizi ai prigionieri-lavoratori del carcere privato di Lockhart Texas, dove sono assemblati i circuiti  per aziende come IBM e Compaq : la prassi è oramai talmente consolidata che i politici stessi  non si peritano di pubblicizzare la convenienza delle strutture detentive presenti nei territori di loro pertinenza, come l'ex rappresentante di Stato dell'Oregon, Kevin Mannix, che ha recentemente esortato Nike a ridurre la sua produzione in Indonesia e a trasferirla nel suo stato, corteggiando il produttore di scarpe con argomenti del tipo : "non ci sarà alcun costo di trasporto; qui stiamo offrendo lavoro carcerario competitivo".

Il rapporto di Human Rights Advocatesè molto chiaro e avverte che la privatizzazione delle carceri non è compatibile con il mantenimento degli standards basilari di diritti umani, un sistema nel quale chi è vittima di un arresto o di un'incarcerazione illegale ha spesso difficoltà insormontabili nell'ottenere giustizia, poiché i soggetti privati non hanno lo stesso grado di responsabilità che è proprio di istituzioni e funzionari pubblici.
Vi è un profondo pericolo – fanno notare gli estensori - nell'iniettare la logica del profitto “sempre e comunque” anche nell'ambito carcerario, come testimonia lo scandalo “Cash-for-Kids” della contea di Luzerne (Pennsylvania), dove per quasi un decennio, due giudici – Mark Ciavarella e Michael Conahan – e i responsabili di 2 centri privati di detenzione minorile avevano pianificato uno schema per assicurarsi che gli impianti sarebbero rimasti sempre pieni, e quindi redditizi; il compito dei funzionari di contea era, infatti, quello di far eseguire più carcerazioni possibili : il risultato è stato che centinaia di minorenni, molti dei quali non avevano precedenti penali, sono stati condannati a trascorrere diverso tempo dietro le sbarre per assurde infrazioni minori, tutto in cambio di pagamenti per più di 2,6 milioni di dollari. (pagg. 4-5) 
                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                               

32 commenti:

  1. Non mi ricordo se glielo avevo già segnalato. Ad ogni modo, repetita iuvant:

    http://samuel-warde.com/2015/05/corruption-is-legal-in-america-rich-control-government-policy/

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  2. Scopro con sommo stupore che nella Chicago del XXI secolo, nella democratica america del "we can", si è ri-materializzata Via Tasso....

    E con ancora maggiore stupore prendo atto che nella più grande democrazia (?) del mondo vige un sistema che trasforma l'uomo medio in homeless e l'homeless in detenuto al fine di usarlo, poi, come un lavoratore-schiavo a basso costo. Stavano meglio i lavoratori degli slums dell'Inghilterra vittoriana illustrati da Gustavo Dorè.....

    Qualcuno mi dia un pizzico, perché non può essere vero. Dai, sto dormendo........

    Comunque, se può essere utile, ecco un addendum dalla lucente Las Vegas.....

    http://www.affaritaliani.it/culturaspettacoli/nelle-fogne-vivono-oltre-30mila-vittime-della-crisi-economica-366004.html

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    1. In effetti c'è qualcosa di inspiegabile in apparenza: una dissoluzione dei vincoli solidaristici portata fino a questo punto, sommata ad una non indifferente questione etnico-razziale, porterebbe alla disgregazione dello Stato-comunità e quindi delle istituzioni (appunto in quanto oligarchizzate).
      Ma per ora l'irradiazione della cultura pop, dei miti pagani del successo e cristiani fondamentalisti, riesce ancora a dare solide maggioranze relative di law and order. Questa legge e questo ordine: mi chiedo fino a quando.
      Ad esempio, i militari vengono sempre più arruolati nelle frange emarginate della società e sempre più non vengono compensati in linea con i rischi che assumono, nel combattere e nell'essere abbandonati poi.

      Certo, si rischia di più la vita nei "ghetti" che a combattere in Afghanistan per certe fasce etnico-sociali (ma sono solo il 15%, mentre l'85 è...relativamente al sicuro)
      http://www.avvenire.it/Commenti/Pagine/usa-armi-bambini-neri.aspx
      Però i suicidi tra gli ex militari sono il doppio che nel resto della popolazione;
      http://www.liberoquotidiano.it/news/11582907/Stati-Uniti--veterani-di-guerra.html (22 al giorno!)

      E comunque fra quelli in servizio la morte per suicidio è più frequente di quella in combattimento
      http://www.wired.it/attualita/politica/2014/08/25/usa-fra-militari-piu-morti-per-suicidi-che-guerra/
      http://www.corriere.it/esteri/12_giugno_09/suicidi-soldati-usa-record_5712e808-b233-11e1-9647-65f4b2add31d.shtml

      Probabilmente è un "equilibrio" considerato tollerabile, date le alternative che vediamo nel post: da qualche parte va riassorbita demograficamente la popolazione considerata disfunzionale (persino a far parte dell'esercito industriale di riserva dei disoccupati).
      Sed quousque tandem?

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    2. Già il loro sistema penale si prestava a più di una critica (abbondano infatti le cosiddette "sentenze esemplari", il giudice eletto finisce spesso per dipendere troppo dall'opinione pubblica, si danno casi di sentenze "politiche", ancorché assolutorie - vedi caso O.J.Simpson)....

      Ma arrivare a definire le sanzioni non in base al fatto commesso ma funzionalmente all'esigenza di una "industria carceraria" che richiede manodopera, rappresenta la fine della civiltà giuridica, la morte dello stato di diritto.......
      Un diritto penale di questo genere, fa inorridire!!

      Forse un collegamento di questo genere è azzardato, ma registro una identità fattuale tra il darwinismo sociale nazista (fondato ideologicamente sulla selezione razziale), e quello ordoliberista (fondato ideologicamente sulla selezione economica): in entrambi i casi, si arriva al "modello IG Farben". I perdenti fatti schiavi e poi eliminati.......

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    3. Lorenzo Carnimeo 6 maggio 2015 23:31

      Mi permetto di ricordare che i nazi non inventarono niente in tema di razzismo: le loro furono tutte "idee ricevute" dalle civilissime-per-definizione-in-quanto-nate-dalla-riforma-protestante nazioni dell'Europa nord occidentale e dagli USA. Il baco non è in Germania...

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  3. OT: ma un PdR ex membro della consulta che firma senza obiettare una legge elettorale che ricalca in peggio gli stessi profili di incostituzionalità rilevati dalla consulta di cui faceva parte? come lo definiamo?

    sovversivo? non so almeno un balbettìo di disapprovazione.

    pure con la fiducia l'hanno fatta passare.

    pfui. a sto punto direi che Mattarella è probabilmente un ex componente del blocco governativo della corte.

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    1. Proprio tanto OT.
      Ma non facciamoci trascinare: la manifesta illegittimità costituzionale della legge e il conseguente esercizio (obbligato) della facoltà di rinvio da parte dell'attuale PdR, sono attualmente oggetto di una sorta di isteria collettiva (da malcontento, mal indirizzato).

      Detesto rincorrere queste semplificazioni massificate: tam tam di "controinformazione" social, pseudo ragionamenti tecnico-giuridici di profani (in parte, certo, fondati su derivazioni logiche comprensibili) messe essenzialmente in circolo opposizioni, prive di coerenza, in cerca di identità e battaglie confuse. Ma prive del senso delle "priorità" (corruzione e reddito di cittadinanza, rom e immigrazione: ma mai sovranità e comprensione dei principi fondamentali da rivendicare, hinc et nunc).
      Il senso delle priorità, ad avercelo, consentirebbe ben altri spazi di manovra rispetto a quelli anche solo immaginati attualmente.

      Ma la decadenza della contesa giuridica a formule e a slogan agitati come un riflesso collettivo, a bassissimo grado di cultura e consapevolezza, e fanno solo perdere la rotta: il sistema è ordoliberista. In ogni sua componente e solo ordoliberismo filo-europeo può esprimere dal suo interno. Chiaro?
      Lo è da oltre 30 anni.
      Pertini, ne deduciamo (per evidenza storica conclamata), non battè ciglio di fronte al "divorzio", che è il caposaldo di tutta la questione del vincolo. Ci hai mai pensato?
      Eppure, a rigore di dottrina e voci autorevolissime (compreso il "primo" Carli), era solo poco prima considerato un atto "sedizioso": e giuridicamente non riesce a trovare una legittimità plausibile nella legislazione del tempo.

      La politica da sempre si sottrae al brocardo "quod quidem perquam durum est sed ita lex scripta est"; cioè è sua tendenza irresistibile a darsi un diritto de facto consuetudinario.
      E non è la Costituzione "materiale" che, come ci dice Mortati, è tutt'altro.

      Dobbiamo essere coscienti che la Costituzione, alla stregua di una regola scritta suprema, è un fragilissimo equilibrio, soggetto ai rapporti di forza come non mai.
      Per questo Calamandrei disse: "bisogna farla vivere, sentirla come vostra, dovete dargli il vostro spirito"
      http://www.napoliassise.it/costituzione/discorsosullacostituzione.pdf

      Oggi, a malapena se ne conosce qualche pezzo e "per sentito dire": e quasi sempre, come in questo caso, attinente alla parte istituzionale-organizzativa (includiamoci la legge elettorale come strumento di formazione del parlamento). Eppure non è affatto la parte più importante da comprendere: lo spirito e il farla vivere, attengono ad aspetti più profondi e sostanziali.
      Di cui tanto qui si è parlato: probabilmente invano...

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    2. Io fatto una riflessione specifica sul nostro PdR: resta il fatto che neanche da lui è lecito aspettarsi NULLA.

      sebbene facesse parte della consulta che ha giudicato il porcellum incostituzionale. evidentemente era dalla parte sbagliata. quella che sulle pensioni si sarebbe schierata con Amato.

      il M5S non mi riguarda e non seguo neanche le dichiarazioni dei suoi esponenti da molto. era una riflessione personale.

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    3. Certo. Ma non era un rimprovero personale.
      Quanto al PdR, l'attuale atteggiamento non può far desumere che fosse contrario alla sentenza sul Porcellum.
      L'ordoliberismo è compatibile con una serie diffusa e successiva di opinioni e posizioni diverse; pure col costituzionalismo "in mezzo al guado": purchè non intacchi l'europeismo.
      E quella sentenza, d'altra parte, già qualcosa preannunziava:
      http://orizzonte48.blogspot.it/2015/04/alla-vigilia-del-voto-sulla-nuova.html

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  4. Con il lassismo (quasi) criminogeno della sua legislazione, penale e penitenziaria, l'Italia - al momento - non rischia proprio, sotto questo punto di vista, di somigliare al Grande Satana a stelle e strisce.
    Anzi, a me viene da sospettare che le nostre élite vogliano colpire le classi medie e basse autoctone con una miscela di immigrazione incontrollata e di impunità per la c.d. microcriminalità (melius criminalità predatoria).
    Le Baron de Cantel

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  5. Che gli Stati Uniti siano disposti ad una qualche forma di pietà umanitaria è un concetto che, oggettivamente, sembra molto lontano dal loro effettivo comportamento. Sono quasi 15 anni che cerco di informarmi sulla realtà interna degli Stati Uniti, e uno dei primi libri che mi aveva colpito era quello di Loïc Wacquant, dal titolo PAROLA D'ORDINE: TOLLERANZA ZERO.
    http://cordatesa.noblogs.org/files/2011/12/WACQUANT-Parola-dordine_-tolleranza-zero.pdf

    Dopo aver letto questo libro per me era diventata chiara e palese quale fosse la trasformazione in atto che prima o poi avrebbe invaso anche l'Europa; la trasformazione era quella che comportava la criminalizzazione della povertà e la trasformazione del welfare state in un postwelfare punitivo, colpevolizzante e carcerario. Mi aveva impressionato il numero di reclusi nelle prigioni statunitensi per i più futili reati, e il numero impressionante di persone in stato di semilibertà. Mi aveva colpito il fatto che per molti poveri il carcere diventava l'ultimo rifugio ove trovare ristoro e un piatto di cibo.
    Sincerante dopo aver letto quel libro, e io lo lessi nel lontano 2001, mi cadde ogni residua speranza di vedere negli Usa un faro di democrazia e di umanità. Il resto delle speranze mi erano già cadute dopo aver letto una ventina di libri di Chomsky che mi avevano fatto capire cosa fosse in realtà la politica estera statunitense. Poi lessi anche il libro di Barbara Erenreich dal titolo "Una Paga da Fame" ed ebbi modo di capire quali fossero in realtà i diritti del lavoro e la consapevolezza degli operai all'interno della società statunitense; e tutto ciò avveniva, ricordiamolo, ben prima dell'ultima crisi economica. Gli Usa erano già un inferno molto prima. Gli Usa sono diventati semplicemente una macchina da guerra, di propaganda e di potere, in mano ad un'élite di super ricchi che ha piegato l'interna nazione ai propri voleri. Quello che mi aveva colpito della propaganda statunitense è come questa riusciva a far sentire in colpa una povera madre sola con figli a carico che riceveva un miserevole sussidio, etichettandola come "dipendente" e "drogata" dal welfare, mentre nello stesso tempo i ricchissimi, le banche e le multinazionali ricevevano enormi contributi statali senza che nessuno sollevasse la benché minima protesta.

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  6. Di fatto l'intero welfare e i sussidi statali sono al servizio dei più ricchi, mentre i poveri sono invece continuamente colpevolizzati se ricevono l'elemosina per sopravvivere. Non so se tale "ordine" si possa chiamare liberismo, perché l'industria carceraria e militare, oltre che alle banche e alle multinazionali che stracciano i diritti del lavoro e pagano una miseria i propri dipendenti, beneficiavano e beneficiano di grossi sussidi e appalti pubblici; a me sembra invece un socialismo per ricchi e un libero mercato per i poveri, ove i ricchi sono continuamente deresponsabilizzati dal dover rendere conto delle proprie azioni e i poveri sono invece colpevolizzati solo per il fatto di essere poveri; un socialismo in cui ai ricchi, alle banche, all'industria militare-carceraria viene redistribuito dallo stato quello che prima si è rubato ai poveri; un socialismo al contrario, spacciato però alle masse come "libero mercato" per tutti, perché esse non debbono certo capire che vi è un socialismo per i ricchi, mentre le masse vengono abbandonate a se stesse o recluse in carcere; potremmo definirlo anche un neo keynesysmo militare-carcerario-industriale, ove la spesa dello stato è indirizzata, oltre che al complesso militare impegnato in più fronti di guerra all'estero, anche al complesso punitivo carcerario atto a controllare, recludere e torturare i propri cittadini all'interno della nazione.
    Pensare che ad una nazione del genere, dominata da folli antisociali e odiatori dell'umanità, possa scendere qualche lacrima al pensiero di cosa sta accadendo in Grecia, è un pensiero che non mi passa minimamente per la testa. Se vorranno salvare l'Europa e dare il via libera all'abbandono dell'euro e dei Trattati europei, gli Usa lo faranno solo per mero calcolo ed interesse economico. Ma se il fine è il TTIP, non credo che sia il loro desiderio quello di abbandonare l'euro. L'unica cosa che mi aspetto è qualche cosa di imprevisto che ridistribuisca i rapporti di forza in campo, che adesso sono eccessivamente sbilanciati in favore di un'élite.

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    1. Come già si è cercato di illustrare in numerosi approfondimenti su questo blog, il liberismo come forma di organizzazione istituzionale ed economica, NON si realizza nell'accezione del libero mercato di c.d. piena concorrenza.

      Quest'ultima è solo ormai un'ipotesi di scuola (che neanche la più tradizionale legislazione antitrust come quella USA considera più rispondente alla realtà oligopolistica prevalente): al più, tale ipotesi di scuola è strategicamente (cioè per fini di affermazione ideologica) assunta come presupposto dei modelli econometrici deduttivistici degli economisti neo(neo)-classici, cioè non portati alla rilevazione dei dati reali, ma a porre in relazione i vari presupposti soggettivi di un "credo" autodichiarato razionale.

      Il liberismo reale non ha dunque molto a che vedere con la piena concorrenza.
      Ha piuttosto a che vedere con quanto descrive, con efficacia paradigmatica, Kalecky nel celebre passaggio linkato qui
      http://orizzonte48.blogspot.it/2014/03/il-rabbioso-tramonto-delleuro-il-ttip-e.html
      qui, dove trovi anche la descrizione essenziale di Galbraith, circa la natura di "convinzione religiosa" del liberismo, e del suo esito di controllo totalitario delle istituzioni da parte di una ristretta oligarchia capitalista.
      Cosa che ne esclude ogni apparentamento col socialismo, il quale, per definizione, si oppone a tale controllo per attribuirlo alla classe sociale lavoratrice, ovvero, nella sua versione più "riformista", ad una classe dirigente pluriclasse, predisponendo forti meccanismi di redistribuzione e di accesso ascensionale degli strati più poveri alla stessa classe dirigente.

      Il liberismo non predica, tranne qualche versione teorica di c.d. "liberalismo" ristretto http://orizzonte48.blogspot.it/2014/02/liberalismo-ristretto-da-hayek-pinochet.html , e neppure si preoccupa di predicare coerentemente lo Stato minimo (hayekiano), se non come assunto di polemica politica in attesa della conquista del potere. Esso piuttosto si caratterizza:

      a) per l'applicazione del pieno principio "concorrenziale" della domanda e dell'offerta al solo "fattore lavoro", considerando come principale presupposto di efficienza del sistema il lavoro-merce (cioè la flessibilizzazione assoluta del rapporto di lavoro, quanto a stabilità del posto e salario);

      b) per l'abbandono, da parte dello Stato, di politiche di sostegno alla domanda aggregata: il che significa che il deficit spending va soppresso o fortemente limitato per il c.d. welfare e, ancor, più per l'intervento diretto dello Stato come proprietario industriale: da cui privatizzazione sia di funzioni pubbliche (l'esempio della gestione del sistema carcerario è fortemente indicativo) e dei c.d. servizi pubblici (in ogni possibile forma) nonchè, primariamente, della proprietà industriale e immobiliare dello Stato;

      c) ma non rifiuta, anzi, ammette come "sana", la politica di spesa pubblica sul lato dell'offerta (c.d. supply side), sia per la stabile realizzazione della privatizzazione delle ex funzioni e servizi pubblici (incentivi e sussidi), appropriandosi in definitiva in senso oligarchico delle risorse fiscali erogate dai contribuenti (possibilmente incidendo in modo proporzionale e non "regressivo"), sia ammettendo contingenti politiche industriali strategiche; tale è il caso USA del settore militare (ma non esaurisce il supply side, piuttosto "elastico" secondo contingenze politiche), chiaramente strumentale di una politica internazionale considerata di interesse. prioritario.

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    2. Grazie per la sua chiara spiegazione. E' da poco, purtroppo, che mi sono approcciato al suo blog, e non sono ancora riuscito a leggere tutti i post. Il mio concetto di "socialismo" riferito ai ricchi che, attraverso lo stato, si redistribuiscono la ricchezza rubata ai poveri era volutamente ironico; difatti è un socialismo al contrario, cioè il contrario del socialismo; l'aspetto propagandistico poi poggia sul fatto che sono proprio tali ricchi oligopolisti, solidali tra di loro nel mantenere i propri privilegi, a propagandare nei media che ci deve essere la "libera concorrenza" e la responsabilizzazione dei bambini fin dall'età di 5 anni, i quali, secondo loro, se la dovranno cavare senza alcun "cattivo" aiuto redistributivo da parte dello stato, che creerebbe dipendenza e parassitismo; una doppia morale; ma in realtà la "libera concorrenza" è solo quella dei poveri e dei disperati; sono pienamente d'accordo che il liberismo sia in realtà una religione dogmatica.

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    3. Federico, mi pare di cogliere nei tuoi commenti degli echi, forse inconsapevoli, della critica libertaria al neoliberismo. Che nello smascherare il finto - o comunque altamente selettivo - antistalismo di quest'ultimo non è infondata; i problemi sono altri. Se non l'hai ancora letta, oltre a tutto quel che ti ha segnalato Quarantotto, puoi dare un'occhiata alla discussione nata dai commenti di tal Nazional Libertario in coda a questo post. Mi auguro ti possa interessare.

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    4. Grazie Arturo per la tua puntualizzazione. Se io ho criticato il finto antistatalismo non per questo auspico il "libero mercato" e la "libera concorrenza" per tutti, perchè mi sembrano comunque delle stupidate propagandiste. La parola "libertario" poi comprende al suo interno tante di quelle correnti, che mi sembra anche difficile fare una panoramica; si va dall'anarchismo di Chomsky fino agli anarcoliberisti che predicano la libertà del padrone di possedere degli schiavi senza alcun intervento statale nè in favore degli uni nè degli altri: cioè la libertà della giungla dove colui che si trova ad avere un qualche vantaggio può liberamente sottomettere e torturare gli altri, senza che gli altri abbiano istituzioni a proteggerli.
      Molto semplicemente penso che la via migliore di tutte sia stata la società post seconda guerra mondiale, dove lo stato nazionale aveva assunto in molti paesi il volto delle Costituzioni democratiche, e dove si era cercato di edificare una serie di poteri di controllo indipendenti dal governo centrale; e dove comunque tutti i cittadini avevano diritto alla libertà di parola e al dissenso senza rischiare per questo di finire al rogo. L'applicazione dei principi costituzionali richiese comunque molti anni, anni di lotte; in Italia un frutto di queste lotte fu lo statuto dei lavoratori nel 1970, e anche in molti altri paesi si vide piena applicazione del diritto del lavoro. E' a questo punto, cioè dagli anni settanta o giù di lì, che arrivarono Rockefeller, la Trilaterale, il Council on Foreign Relations e altri salotti dell'elite a dire che i diritti delle minoranze di ricchissimi ultracapitalisti non erano più rappresentati all'interno della cornice degli stati nazionali democratici, e questi erano diventati brutti perchè oramai si stavano curando degli interessi generali della popolazione (anche degli interessi delle altre minoranze non appartenenti alla categoria degli ultraricchi). Da qui nacque la propaganda serrata per la distruzione dello stato nazionale democratico al fine di ristabilire un ordine sovranazionale dove la libertà illimitata della minoranza degli ultraricchi potesse finalmente esprimersi nella sua compiutezza. In questa lotta antistatalista io ho visto i centri sociali anarchici molto vicini alle posizioni di Rockeffeler; tali centri sociali, per i quali lo stato è per definizione solo e unicamente una sovrastruttura di repressione, non avevano capito una beneamata fava di cosa fossero le Costituzioni democratiche post seconda guerra mondiale, e di come queste stessero concedendo diritti mai avuti in quasi tutti gli ordinamenti precedenti. Gli Usa (ormai controllati da Trilaterale, CFR, ecc.) sono adesso una dittatura poliziesca in mano ad una minoranza, e sono stati trasformati quindi in una macchina da guerra al fine di perseguire questo obiettivo ultimo sovranazionale della minoranza di ultraricchi, e il TTIP è un approdo naturale.

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    5. Arturo.
      L' espressione "socialismo per ricchi" e' mutuata da Chomsky, uno dei pochi intellettuali famosi degni questo nome di questa epoca.
      E' vera e non e' marginale (oltre che fondata) come dici. Secondo me.
      E' un segnale della fondamentale "incongruenza" dei precetti "libbberisti" , incongruenza -o meglio contraddizione- non rimarcata a sufficienza dai vari Chomsky, e non rimarcata affatto dai libertari/anarcocapitalisti/"austricanti".

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    6. Recentemente qualcuno aveva evocato Postdemocrazia di Colin Crouch. Contiene una citazione che mi pare utile alla discussione: "Hayek accettava più o meno la democrazia, ma sperava che si trovassero degli strumenti per contenere la sua tendenza a criticare il mercato capitalistico. Non affrontò mai un problema centrale: posto che, per ogni singola impresa capitalistica, c’è maggior profitto nell’essere politicamente influente che nell’essere
      soggetta al mercato, come si può evitare che un processo politico dominato da forze capitalistiche scivoli in una serie di lobby affaristiche? Il modello di Hayek potrebbe funzionare in un’economia autenticamente neoclassica, in cui nessuna azienda ha influenza politica, e dove tutte potrebbero condividere una preferenza politica generale per un sistema in cui si trovino dei mezzi per assicurare che nessuna azienda possa acquistare tale influenza. Ma nelle condizioni di fine XX e inizio XXI secolo questo è un auspicio irrealistico. Le grandi corporazioni hanno sviluppato una capacità politica e un’influenza assolutamente preponderanti rispetto alle piccole e medie imprese che permangono soggette alle restrizioni
      dell’autentico mercato, e ne fanno uso non solo per assicurarsi i loro fini effettivi, ma anche per garantire la sopravvivenza di un sistema politico che consente l’esercizio di tale influenza."

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    7. Come puro esercizio intellettuale segnalo l'economista Michael Albert, amico di Chomsky, che ha tentato di delineare come potrebbe essere edificata una società non centralizzata basata su un economia partecipativa. Io lessi il suo libro circa 14 anni fa, qualcosa mi attrasse e qualcosa mi lasciò perplesso, comunque ve lo segnalo: "Dopo il trionfo planetario del neoliberismo molti credono che le leggi di mercato siano né più né meno leggi di natura e che il loro corredo di ingiustizie e disuguaglianze sia un male inevitabile. Ma il fallimento delle alternative storiche al capitalismo non esclude che i princìpi di equità, solidarietà, autonomia e diversità possano sostituirsi a un libero scambio i cui guasti sono sempre più evidenti. Senza limitare la libertà individuale, anzi incoraggiandola. E senza compromettere ricerca, innovazione, sviluppo. Sono questi gli obiettivi dell’economia partecipativa, un sistema di pianificazione “dal basso” che affiderebbe a consigli di lavoratori e consumatori autogestiti l’elaborazione di scelte produttive e di consumo che tengano conto di costi e benefici sociali. Michael Albert, che di “parecon” (dall’inglese participatory economics) è uno dei principali interpreti a livello mondiale, non richiede alcun atto di fede al lettore. L’economia partecipativa non è una sua invenzione, né un progetto chiuso, ma un esercizio di intelligenza collettiva elaborato da persone di paesi diversi, cui tutti sono chiamati a contribuire. E questo libro è la summa di quanto è stato elaborato e proposto finora. Attraverso un’accurata esposizione e confutazione delle critiche più severe, lo studio di casi e una descrizione dettagliata delle strategie per tradurre il modello in realtà, dimostra che portare la democrazia in tutti gli aspetti della vita economica, dalla produzione all’organizzazione del lavoro, dai consumi alla distribuzione delle risorse non è un’utopia, che un’altro mondo è possibile. "
      http://www.ilsaggiatore.com/argomenti/economia/9788851522919/il-libro-delleconomia-partecipativa/
      "L'Economia Partecipativa (Participatory Economics o, in breve, ParEcon), è una visione sociale ed economica alternativa al capitalismo e, più specificamente, al modello e alla prassi sia dei mercati, sia della pianificazione centralizzata (dello Stato o di uno specifico gruppo sociale).

      Questa visione alternativa tenta di realizzare i valori della libertà, della solidarietà, dell'equità (di reddito e di condizioni di lavoro) e della diversità, attraverso un insieme di principi e istituzioni di produzione, consumo e allocazione delle risorse, coerente con i valori enunciati: la pianificazione partecipativa, l'autogestione partecipativa, la proprietà sociale dei mezzi di produzione, le combinazioni bilanciate di mansioni, la remunerazione in base al criterio dell'impegno e del sacrificio. Parecon è, dunque, una risorsa per attivisti, studiosi e tutti coloro i quali si impegnano quotidianamente a costruire un mondo possibile, conforme ai valori sopraenunciati."
      http://znetitaly.altervista.org/parecon

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    8. @ bargazzinbo
      "And the principle of really existing free market theory is: free markets are fine for you, but not for me. That's, again, near a universal. So you -- whoever you may be -- you have to learn responsibility, and be subjected to market discipline, it's good for your character, it's tough love, and so on, and so forth. But me, I need the nanny State, to protect me from market discipline, so that I'll be able to rant and rave about the marvels of the free market, while I'm getting properly subsidized and defended by everyone else, through the nanny State. And also, this has to be risk-free. So I'm perfectly willing to make profits, but I don't want to take risks. If anything goes wrong, you bail me out."
      http://www.chomsky.info/talks/19960413.htm

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    9. sorry bargazzino, ho storpiato involontariamente il tuo nome, l'ho visto dopo che il mio commento è stato pubblicato

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    10. Federico, non conosco direttamente Albert ma l'ho visto citato da diversi "benicomunisti", verso cui nutro una profonda diffidenza. Non voglio farla troppo lunga e allora ti riporto un passo (tratto dal suo, e per altri versi apprezzabile, Contro riforme) di quello che fra i giuristi è il più famoso del gruppo, Ugo Mattei: "L’attacco all’euro mostra chiaramente che gli Stati Uniti non sono disponibili a perdere in modo soft la loro egemonia planetaria, minacciata qualora le riserve cinesi si fossero davvero convertite in euro. Intorno a un’Europa democratica di popoli sovrani che si sono dotati di una valuta comune, occorre allora far quadrato, liberando le istituzioni europee dal cancro tecnocratico."
      Penso che ci siamo capiti.

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    11. "Intorno a un’Europa democratica di popoli sovrani che si sono dotati di una valuta comune"...bastava citare solo questo...
      Questo Mattei è un genio! Dovrebero conferirgli il premio Nobel come hanno fatto con lo stesso Obama.
      Comunque, come ti ho detto, nemmeno io conosco Albert approfonditamente a parte aver letto molti hanni fa un suo libro, quindi non saprei cosa risponderti. L'ho citato solo perchè si parlava di libertari e tra le mie rimembranze ricordo di aver letto quel libro; in quel libro qualcosa mi mi pareva interessante, ma altre cose mi lasciarono perplesso. Non so se Albert, essendo anarchico, apprezzi l'Unione Europea e l'euro, ma si dovrebbe cercare su internet per avere una risposta definitiva.
      Comunque sicuramente Bauman, citato nel presente articolo di Seremendi, sembra dichiaratamente a favore di superstato europeo (se non mondiale) e di un welfare continetale (o mondiale); Bauman, un po come Ulrich Beck (London School of economics) e altri, affianca ad una buona analisi della realtà sociale la "soluzione" sovranazionale continentale o addirittura planetaria:
      " L'opera di ricostruzione proposta si chiude rifacendosi alla ricetta proposta da Bauman per ottenere tutto quanto appena richiamato: per raggiungere un’integrazione a livello di “umanità”, includendo tutti i popoli del pianeta, occorre, propone lo studioso, un “Pianeta Sociale”, l’unico capace di recuperare quelle funzioni che, non molto tempo fa, lo Stato cercava di svolgere, con fortune alterne perché le organizzazioni e associazioni extra-territoriali, cosmopolite e non-governative che ne farebbero parte sarebbero le uniche organizzazioni sociali in grado di raggiungere in maniera diretta chi si trova in una condizione di bisogno, sorvolando le competenze dei governi locali e sovrani e impedendogli di interferire. Solo così, dice Bauman, si potrà affermare il primato dell’uomo in una dimensione sociale in cui assicurare una giustizia oltre la legalità di respiro universale."
      http://www.fedoa.unina.it/8615/

      Ecco un'altra chicca:
      "Il teorico della “società liquida” non crede dunque nella capacità di autoriforma della politica perché ormai i poteri che decidono sulla
      qualità della vita umana e sul futuro del pianeta sono globali e dunque, “finché non innalziamo la politica ai livelli ormai raggiunti dal potere creando un’“agenda politica planetaria” e delle istituzioni politiche globali efficaci e dotate di risorse che gli permettano di perseguire simili obiettivi rendendoli operativi, le probabilità di arrestare gli sviluppi catastrofici cui stiamo conducendo la nostra vita sul pianeta sono, quantomeno, scarse” 193.
      Bauman ne è certo: soltanto un “Pianeta Sociale” potrebbe recuperare quelle funzioni che, non molto tempo fa, lo Stato cercava di svolgere, con fortune alterne perché le organizzazioni e associazioni extra-territoriali, cosmopolite e non-governative che ne farebbero parte sarebbero le uniche organizzazioni sociali in grado di raggiungere in maniera diretta chi si trova in una condizione di bisogno, sorvolando le competenze dei governi locali e sovrani e impedendogli di interferire."
      http://www.fedoa.unina.it/8615/1/conte_giuseppina_24.pdf pag 145
      Non so a voi, ma a me vengono i brividi a leggere di questo Welfare Mondiale! Qui non c'è nemmeno bisogno di essere dei complottisti che si immaginano un nuovo ordine mondiale socialista: semplicemente i sociologi più "illuminati" ce lo dicono in faccia e hanno già tracciato la strada per noi...fuori dalle Costituzioni degli stati nazionali. Navighiamo in un mare di inganni dispensati da un'intellighenzia prostituitasi al globalismo, e sicuramente occorre tenere la luce accesa in questo periodo di oscurità.

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  7. A questo punto mi permetto una (astratta) provocazione.....

    Trasformiamo lo Stato in una SpA e l'elettore in un azionista! Al posto del supply side, diamo agli homeless un "pacchetto azionario minimo". Vale o no il principio dello "shareolder value"? E' o no la grundnorm di questo nuovo ordinamento? E allora il nuovo "amministratore delegato" (inutile chiamarlo Presidente), e la sua dirigenza lavoreranno nell'interesse del popolo azionista, garantendogli degli utili!
    Perché tenere in piedi lo scheletro del vetusto stato di diritto? Che siano liberisti fino in fondo! Ma, forse, ci arriveranno.......

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    1. In realtà ci sono già arrivati: i titoli del debito pubblico sono obbligazioni (sottoscritte dagli azionisti fuori dal patto di sindacato, v.poi).
      La "spa" è in perdita e agli azionisti si chiede solo di ricapitalizzare (tasse e riduzione delle prestazioni): solo che gli a.d. non sono passibili di azione di responsabilità.
      Se non altro perchè il bilancio è falsato dal non aver indicato quali operazioni hanno realmente provocato il passivo e i media, cioè la teorica relazione di accompagnamento dei teorici sindaci, assevera altre cause delle perdite!.

      Chiaro poi che essendo una società in monopolio, ci si aspetterebbe che abbia una rendita e faccia felici gli azionisti: ma l'altra fondamentale cosa che viene taciuta è che le operazioni che hanno determinato il passivo sono in realtà conseguenti all'aver ceduto il controllo azionario a un "patto di sindacato" ferreo, in mani estere.
      Insomma, una controllata subisce le politiche della holding: e qui abbiamo sussidio incrociato tra società controllate sempre più in perdita e società operative originarie (estere) della holding (estera), che devono essere sempre in attivo a svantaggio delle prime.
      Un grande affare, no (occulto), no?
      http://orizzonte48.blogspot.it/2013/04/la-holding-italia-e-il-sacro-romano.html

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    2. In realta' l' avanzo primario (SISTEMATICO) lo potermmo gia' leggere come "dividendo" ad uso e consumo degli "azionisti"(/obbligazionisti) dello "Stato SpA"

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  8. Avevo già letto di questa situazione (il paragone fra business penitenziario e gualag è di Nils Christie, mi pare). In un paese in cui vi sono città in cui 15 quartieri "vantano" un'aspettativa di vita inferiore alla Corea del Nord, ed otto della Siria, come Baltimora, non è strano che ci siano gravi problemi di ordine pubblico: non a caso proprio Baltimora è stata teatro di una delle più intense campagne di "guerra alla droga".

    Di taglio giuridico e in italiano, è molto pregevole il lavoro di una preparata giuscomparatista come Elisabetta Grande, Il terzo strike, pubblicato da Sellerio. Di là delle storie di quotidiano orrore riportate (una condanna a 55 anni di prigione per la vendita di due bustine di maijuana, una a 16 per il furto di una merendina, all'ergastolo per l'uso di un assegno falso per la somma di 88 dollari, per il furto di una bottiglietta di vitamine al supermercato, per il furto di un pezzo di carne del valore di 5 dollari e 62 centesimi, eccetera eccetera), il libro illustra le tecniche giuridiche utilizzate per edificare l'attuale sistema di carcerazione di massa, in particolare un uso indiscriminato del patteggiamento (un sistema che un giurista americano ha paragonato alla tortura medievale), l'accantonamento di qualsiasi funzione rieducativa della pena (la Corte Suprema parla di "incapacitation"), un gratuito patrocinio ridotto a fantasma e più in generale un indebolimento delle garanzie "classiche" del processo penale (per esempio l'habeas corpus), inclusa una sempre maggiore restrizione delle possibilità di impugnazione. Questo per chiarire che, siccome tutti i diritti costano, non solo quelli sociali, fra articolo 81 da una parte e miseria crescente dall'altra, la tutela dei diritti costituzionali, di tutti quanti, compreso il principio di non colpevolezza o la sottoposizione del giudice solo alla legge, rischia di ridursi a un gioco delle sedie in cui in piedi resterà solo chi di sedie non ha bisogno.

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    1. Infatti: per rimanere all'Italia, si sta accettando, dalla maggior parte dei cittadini (media-assuefatti) l'idea condivisa che le sentenze dei supremi organi giurisdizionali siano controvertibili in base al clima e agli slogan (ordoliberisti) profusi dai media nel momento, slogan di cui (non sorpendentemente) ciascuno si sente interprete come se li avesse pensati lui/lei stesso!

      E che quindi le sentenze debbano essere contestate e ridiscusse all'infinito, essenzialmente rivendicando la certezza del diritto (mediatico del più forte), divenuta soggettiva, cioè simulando la riattribuzione di una sovranità del cittadino "liberato" e contrapposto allo Stato; in definitiva, si crea uno stato confusionale perenne, per contestare l'accertamento definitivo del diritto.
      Che è regola di ordine pubblico connessa, finora, in modo inscindibile all'attuazione della Costituzione.

      Non so se sono riuscito a esprimere bene questo stato delle cose, ma è un segno drammatico di degenerazione: o il diritto-giustizia è al servizio del profitto, sotto le vesti dell'efficienza supply side, di cui tutto sono stati convinti di essere beneficiari, o il diritto non può semplicemente essere accettato.
      Capirai che il livello di complicità da condizionamento mediatico arriva così all'eversione "contra se": il massimo capolavoro di restaurazione...

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  9. A proposito delle polemiche conseguenti alla sentenza della Corte sulla rivalutazione delle pensioni, una delle affermazioni più significative del clima è quella del sottosegretario all’economia Zanetti (eletto alla Camera non a caso con la lista di Monti), il quale ha definito “immorale” la restituzione delle somme trattenute a coloro che percepiscono una pensione superiore a 1.400 euro. E’ utile ricordare che l’on. Zanetti ha percepito nel 2012 (secondo la dichiarazione dei redditi trasmessa alla Camera e da questa resa pubblica come per tutti i parlamentari) un reddito pari a 248.00 euro, pari a poco meno di 20.000 euro mensili. (E parliamo di reddito dichiarato, cui si aggiungeranno presumibilmente altre entrate, giacchè Zanetti svolge l’attività di commercialista e d è membri di diversi c.d.a.). Penso che qui siamo dinanzi ad un esempio perfetto di quel neo-classismo che ormai sembra pacificamente accettato dall’opinione pubblica: c’è un’elite ristretta politico-mediatica-affaristica cui tutto deve essere concesso, e c’è una massa di cittadini che devono accettare la famosa “durezza del vivere”, lodata da Monti, e tacere. Ma gli italiani proprio non ce la fanno a capire, e qualche volta emerge forte la tentazione di pensare che si meritino Renzi, Draghi, Monti e tutto il resto.

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  10. <>


    Ma le "puntate" non erano 5?

    Non fosse altro altro che per questo passaggio riportato , un ulteriore grazie allo straordinario reporter della nostra epoca Seremedi (Quarantotto; che talent-scout!), e ho particolarmente apprezzato il fatto che si sia ricordato che qualcosa come lo 0, 6% (abbonanta) della popolazione americana e' detenuta. Un dato che nessuno , tranne questo blog (e pochi altri) ricordano, e che e' una enormita', e' come se in Italia avessimo una pooolazione carceraria di 5 milioni di persone di oersone o giu' di li!!!

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  11. Nell'articolo è scritto "....dove il fantasma di Tom Joad è una presenza costante che può manifestarsi anche nei nuclei familiari in apparenza solidi"
    I suoi articoli sono così veri e appassionanti che vorrei provare a dare una colonna sonora
    https://youtu.be/T4gra-OuONI
    Il brano si intitola il fantasma di Tom Joad e dice...."né casa, né lavoro, né sicurezza né pace"
    Ma a differenza di quanto narrato da Steinbeck nel romanzo "Furore", ambientato durante gli anni della grande depressione, lo stato d'animo degli esclusi dei nostri giorni, per mancata consapevolezza, non è questo: "E gli occhi dei poveri riflettono, con la tristezza della sconfitta, un crescente Furore. Nei cuori degli umili maturano i frutti del furore e s'avvicina l'epoca della vendemmia".

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