venerdì 30 ottobre 2015

LA COMMISSIONE UE E IL PIANO KALERGY ALLA FASE OPERATIVA: PROPRIO PERCHE' LO DICE JUNCKER (a modo suo)


http://www.consilium.europa.eu/uedocs/cms_data/docs/pressData/Pics/photoGallery/%7B4707eb5a-6c9f-4eed-bd45-d8c3c2f6deb5%7D.jpg

"L’unica volta che sui media hanno parlato delle vere origini dell’Europa Unita è accaduto 14 anni fa ossia il 19 Settembre del 2000 quando un articolo del Telegraph britannico mai ripreso da altri media ha rivelato che: telegraph.co.uk
Documenti governativi americani resi di dominio pubblico mostrano che i servizi segreti americani condussero una campagna negli anni ’50 e ’60 per dare impulso ad un’Europa unita. Finanziarono e diressero il movimento federalista europeo. I documenti sono stati trovati da Joshua Paul, un ricercatore della Georgetown University di Washington. Essi comprendono file resi pubblici dai National Archives. Il principale strumento di Washington per forgiare l’agenda europea fu l’American Committee for a United Europe [ACUE], costituito nel 1948
."

1. Non vorrei ripetermi, ma lo farò (di questi tempi, signora mia!), perchè non fa male: anzi.
La lettura della stampa estera, in particolare anglosassone, non è affatto salvifica e portatrice di clamorose verità: lungi da me teorizzare un facciamocome magari agganciato alle grottesche classifiche sulla "libertà di stampa", stilate dalle consuete organizzazioni non governative, no-profit e "senza frontiere", cioè dichiaratamente internazionaliste, anzi eloquentemente premiate per questo dall'UE. Si tratta, manco a dirlo, di organizzazioni no-profit (e dunque finanziate da "privati benefattori") e alla ricerca di un modello one-fits-for-all, la cui diffusione porta alla sempre inevitabile conclusione: "sentiti in colpa e vergognati", ma per ragioni, di "disfunzione" dei meccanismi dell'informazione, che non sono esattamente quelle che razionalmente si potrebbero individuare.

COROLLARI DEL TEST DI ORWELL- GLI "ESPERTI LOTTATORI"

 

2. E' lo stesso discorso - di attendibilità e scopi sostanziali a cui rispondono le "classifiche", quelle relative ai progressi sulle "riforme", e sulla flessibilizzazione del mercato del lavoro (in cui eccelle l'OCSE), o sul "doing business": quest'ultima classifica incentrata sul premio altamente "etico", - e a condizionamento pavloviano, (i "cittadini", si sa sono addestrabili praticamente a tutto, compresa l'alimentazione con farine di scarafaggi e meduse)-, relativo al come si debba trasformare uno Stato a sovranità democratica costituzionale in un semplice e purificato "mercato" che sia, al massimo grado, il paradiso degli investitori esteri: copyright World Bank e non a caso.
Dato che dai paradigmi World Bank (col "mitico" Kaufmann Report sulla corruzione che porta alle...privatizzazioni) "figliano" per misteriose (ma non tanto) partenogenesi, le varie associazioni che propagano le classifiche e i toni roboanti su effetti e dimensioni della corruzione (senza far capire presupposti e oggetti sociali di tali valutazioni, inevitabilmente "colpevolizzatrici" della democrazia).

LE RIFORME: MUCH €URO-DO ABOUT NOTHING (mantra anti-illuminazione)

LE RIFORME 2- GLI INDICI (Parte II): UN'UNICA CLASSIFICA "PER DOMARLI TUTTI"

 

3. Ma non vorrei divagare: rinvio ai links che ho inserito sui vari concetti-slogan del paradigma TINA e sulle connesse "classifiche", con un certo disgustato scoramento circa la capacità di comprensione, ovvero, quel che è poi la "causa a monte", circa l'efficacia straordinaria del condizionamento dell'opinione di massa da parte del rudimentale e ben paludato sistema di controllo sociale del neo-liberismo internazionalista.

Stavo dicendo (prima di divagare), che la stampa estera, libera e anglosassone, non è certo il paradiso della "transparency" e dell'assenza di precomprensione strategica: ma, almeno, contando su una certa più consolidata assuefazione ai paradigmi degli "operatori razionali-pop" (quelli in cui ciascuno, ormai, deve potersi identificare senza nutrire più alcun dubbio...sulla globalizzazione, finanziaria e internazionalista come benefico TINA e nuova frontiera della "democrazia" orwelliana: perdonate l'ossimoro),   almeno, dicevamo, questa stampa non aggira gli ostacoli e riferisce con una certa qual maggior precisione e ampiezza di fonti il quadro della...realtà (realtà, appunto, e non "sogno", quello che, invece, viene propagato in Italia dai media €uro-liofilizzanti).

4. Difatti, in Italia, nonostante la realtà e l'evoluzione drammatica della situazione politica interna alla UE, siamo, nei media-talk, sostanzialmente fermi a questo:  «Il nazionalismo è guerra. Sarebbe un grave errore tornare ai confini nazionali» afferma Hollande nel suo discorso all’Europarlamento- "Innalzare i muri non ci difenderà"

Invece le cose sono andate un "pochino" avanti e non nel senso cristallizzato dalla informazione €uro-internazionalista italiana: 

RIFORME (IMMIGRAZIONIST€), CRISI DI VOCAZION€ E FOLGORAZIONI IMPROVVIS€ SULLA GERMANIA

PORTOGALLO, POLONIA (Atene è "pacificata"?): IL "TRIONFO" DELL'€UROPA DEL FOGNO. O NO?

 

5. Appunto a conferma di questa maggior connessione con la realtà della stampa anglosassone (e scusate la lunga premessa che mi pareva una "carrellata" necessaria "about the Big Picture"), vi riporto il succo di un articolo di Paul Taylor, corrispondente della Reuters, apparso sul (per me consueto) International New York Times (pag.17). Appena uscito il 27 ottobre ci riassume il quadro delle "reali" posizioni europee. O "europeiste", fate voi: rimane comunque uno spettacolo tragicomico. Il titolo è "L'immigrazione infrange l'unità dell'Europa".

Nel passaggio cruciale dell'articolo, Taylor sintetizza le controversie insorte all'interno dell'Unione, specialmente con riguardo alla posizione che vanno assumendo i "paesi dell'Est", non solo la (mediaticamente) odiatissima (in Italia) Ungheria di Orban, ma anche Polonia e Slovenia e via dicendo (v.links più sopra): 

"I governi dell'Europa centrale e orientale stanno resistendo alle richieste di Berlino e Bruxelles sull'accettazione obbligatoria di quote di rifugiati"

Commento: ma già l'accertamento della qualità di rifugiato, stante anche il prevedibile boom del traffico di documenti falsificati, pone dei problemi non indifferenti e amplifica inevitabilmente, - ed è questo il clou della materia del contendere- il problema della "accoglienza" indiscriminata di immigrati economici, indistinguibili, ex ante, dai rifugiati.

 

6. Ma è quello che successivamente aggiunge Taylor che dovrebbe far riflettere (se fosse almeno oggetto di adeguato risalto nell'informazione. In Italia): 

"La crisi ha anche aperto fratture tra le istituzioni europee, con la Commissione europea condotta da Claude Juncker che tratta il problema come una sfida "umanitaria" di lungo termine per integrare i rifugiati nella società europea. In contrasto, Tusk, presidente dello European Council, già primo ministro polacco, che presiede i summit europei, definisce l'ondata di migranti una "minaccia" da fermare all'origine o da "contenere", specificamente pagando la Turchia per trattenere sul suo territorio i rifugiati".

Quello che volevo far notare è che le parole di Juncker vanno meglio esplicitate: sempre e in ogni caso. Perchè non bisogna dimenticare che il buon Claude è l'autore di questa illuminante esplicitazione dello stile di governo €uropeo: "prendiamo una decisione e la mettiamo sul tavolo, aspettando di vedere quali reazioni susciterà; se non vi sono resistenze perchè nessuno ci ha capito nulla, andiamo avanti fino al punto di non ritorno...".

http://www.ilnord.it/imgbank/05/9/D/ar_image_2521_l.jpg 

7. Dunque una dichiarazione di Juncker come presidente della Commissione va necessariamente "espansa" e resa comprensibile nel suo senso autentico e sostanziale. Nel caso, non lo faremo noi stessi. Cosa significhi "una sfida umanitaria di lungo termine", ce lo dice nel prosieguo lo stesso articolo di Taylor. E per bocca del socialista Frans Timmermans; non uno qualunque, ma un "grande" europeista (primo vice-presidente della Commissione UE e attualmente commissario europeo per le Relazioni Interistituzionali e l'Amministrazione.

Dice Timmermans, dunque molto ufficialmente circa la posizione della Commissione: 

"La cosa peggiore che potremmo fare è presentare alla gente un quadro in cui se noi adottiamo queste misure (cioè di tutela delle frontiere e anche di accordi con la Turchia), il problema cesserà. Invece, rimarrà con noi PER UNA GENERAZIONE"

8. Capite bene. allora, cosa ci stanno dicendo apertamente, una volta assunto il paradigma ermeneutico di Juncker (cioè: "non vi faremo capire un tubo fino a che non saremo arrivati al "punto di non ritorno" che significa, anche: "facciamo come ce pare, tanto pagate voi e neppure ve ne accorgerete..."): 

- nel tempo di una "generazione", tendenzialmente 25 anni, il fenomeno proseguirà: noi (ESSI) escludiamo in partenza che abbia a che fare "solo" con la Siria e con le evidenti cause (a radice occidentale, innegabilmente) di quella crisi, come pure di quella, per dire afghana: non risolverà, perchè NOI NON RITENIAMO FIN DA ORA CHE POSSA ESSERE COSI', fare accordi con la Turchia e neppure trovare i fondi, molto ipotetici, per strutture di accoglienza necessariamente sempre più faraoniche (dati i numeri che in questa visione inevitabilmente si implicano), ed infine neppure sviluppare, forse, non si sa con quali risorse (siamo in €uropa!) politiche di "aiuto" economico, e di logistica per l'esame delle istanze dei "rifugiati" sui territori extra-UE, là dove di verificano le tensioni, economiche e demografiche. 

 

- La migrazione proseguirà, dunque, e sarà per circa 25 anni ai ritmi attuali: quali che siano le crisi delle altre aree del mondo, che, dunque, per misteriose ma incontestabili stime, proseguiranno, esattamente come proseguirà la crisi demografica dell'area UEM, di cui nessuno si cura di correggere le cause. L'€uropa deve rassegnarsi. 

Se nei primi nove mesi del 2015 l'UE, come ci dice il "Frontex", ha accolto 710.00 migranti, cioè, in proiezione di tendenza, circa un milione all'anno, oliando - con la dovuta rassegnazione, la stessa rassegnazione connessa all'esistenza dell'euro e al conseguente smantellamento del welfare in €uropa- e perfezionando il meccanismo a cui ci dobbiamo assuefare, si arriva a 25 o 30, milioni, o anche più. 

Non poniamo limiti alle "crisi", alla Provvidenza e alla..assuefazione: in fondo ci andrebbe pure bene. Le Nazioni Unite "auspicano", solo per l'Italia, un afflusso tra i 35 e i 119 milioni di migranti da qui al 2050.

9. Non so a voi, ma a me pare che questa sia l'esplicita "dichiarazione" che è scattata la fase operativa del Piano Kalergy.  

E in fondo, l'abbiamo sempre saputo.  

Solo che ora ce lo dicono apertamente, senza reticenze, seppure "alla Juncker-Timmermans": in coerenza, peraltro, con l'alta considerazione in cui l'€uropa tiene Kalergy e, di conseguenza, i "popoli" europei...


http://www.centrosangiorgio.com/occultismo/mondialismo/immagini/herman_van_rompuy.jpg

mercoledì 28 ottobre 2015

LA SPESA PUBBLICA, IL WELFARE ITALIANO E IL TRIANGOLO DELLE BERMUDA MEDIATICO: DATI SCOMPARSI DAI "RADAR"

http://photos1.blogger.com/blogger/3370/3221/400/Bermuda%20Triangle.jpg



1. Poichè l'offensiva mediatica prosegue indisturbata e implacabile, svolgiamo alcuni elementari ragionamenti, scomparsi dai radar televisivi e dei giornaloni, e forniamo alcuni dati macroeconomici e fiscali del tutto censurati ("chissà perchè"...)

Questa, in termini percentuali rispetto al PIL, è la classifica UE della spesa per la protezione sociale
2. Ragionevolmente e obiettivamente, occorre considerare che è una spesa calcolata in percentuale al PIL: quindi se quest'ultimo diminuisce, in termini sia nominali che reali, nel periodo anteriore all'attuale, anche la stessa percentuale non è così significativa, perchè nelle condizioni cicliche essa, per i fattori che vedremo e che sono tipici della congiuntura negativa (inclusa l'attuale stagnazione), tende a non poter diminuire oltre dei livelli che sono "di guardia" e che, piuttosto, indicano che la performance italiana della spesa sociale è ben migliore, in termini comparati e messi in rapporto al PIL, di quanto indichi questa stessa classifica.

A meno che non si voglia arrivare a essere un Paese hayekiano, cioè privo di stabilizzatori automatici, in caso di dilagante disoccupazione, salvo per il...reddito di cittadinanza:
Il "meraviglioso mondo di Von Hayek".
"...Fornire agli indigenti e agli affamati qualche forma di aiuto, ma solo nell’interesse di coloro che devono essere protetti da eventuali atti di disperazione da parte dei bisognosi."

2. Vediamo dunque l'andamento del PIL italiano rispetto a quello dei principali paesi del c.d. G7 e alla performance media dell'eurozona, tra il 2008 e il 2015:


Questo è il PIL italiano rapportato ai bench-mark più significativi dell'eurozona e dell'UE tra il 2001 e il 2013:

 2_1_3_Evoluzione

3. Ma i dati rilevanti non finiscono qui
Dunque, occorre saperlo (almeno le persone dotate di normale raziocinio e buona fede), se il PIL va male, anzi "peggio", rispetto agli altri Paesi che si utilizzano per l'esercizio di "facciamocome", a scopo autorazzista anti-italiano, vuol dire che c'è più disoccupazione e, quindi, più spesa per ammortizzatori sociali, più deindustrializzazione, che significa minor gettito da redditi dei diminuiti dipendenti, da consumi e investimenti che diminuiscono, e persino più spesa sanitaria pubblica (perchè, certo, la condizione di insolvenza e di disoccupazione non aiutano la salute della popolazione).

 Dal 2000 al 2007 il tasso di disoccupazione italiano si è quasi dimezzato (dal 10,6% al 5,8%) scendendo sotto la media della zona euro. Successivamente, l’impatto della prima recessione ha portato a un aumento della disoccupazione in Italia, aumento tuttavia meno consistente rispetto alla media della zona euro. La seconda recessione invece ha avuto un impatto molto più forte in Italia che non in Europa (il tasso di disoccupazione in Italia è aumentato di 5,4 punti, passando dal 7,8% di aprile 2011 al 13% di novembre 2014, per poi iniziare a calare fino al 12,4% di aprile 2015 mentre la media della zona euro è aumentata nello stesso periodo solo di 1,7 punti, dal 9,8% all’11,5%). Nel 2014 l’aumento del tasso di disoccupazione è avvenuto in parallelo all’aumento del numero di occupati, perché numerose persone classificate come “inattive” hanno deciso di entrare nel mercato del lavoro.

4. La tendenza ciclica, naturale, all'aumento della spesa per ammortizzatori sociali, in Italia, assume "curiose" manifestazioni:

 "...nell’ultimo decennio oltre ventisettemila aziende italiane hanno delocalizzato la produzione all’estero, creando oltre 1.5 milioni di posti di lavoro esteri e lasciando allo Stato una fattura da 15 miliardi di euro per gli ammortizzatori sociali... soltanto il 10% di queste aziende sono andate oltre i confini europei (soprattutto in Asia) mentre la restante parte sono rimaste in Europa, in Austria, Svizzera, Germania, e soprattutto nei paesi balcanici...
La spesa "sociale", in questi casi dovrebbe far aumentare la spesa pubblica primaria complessiva: ma non è così, dato che rimane invece stabile e anzi diminuisce in termini reali.
http://www.genitoritosti.it/wp-content/uploads/2015/02/perri-realfonzo.jpg
 https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgHkRZyjXLCFWfhQXNX8KDNYiqtFS9o9-1qiDyFIJYYJfN1rP4ST5-M6f29PDGHpwAJTTwZtMRUklAEK6Sh8F5YY-ExDiuXGq7tZv_Jwp_cVpLWzAD6ExEEO69PgMJuhXHYV1AyBl0RaF2-/s1600/sp-reale.png

5. D'altra parte, a riprova di ciò, la spesa pubblica pro-capite italiana, di cui la spesa (sempre pro-capite) per il welfare è una parte essenziale, quand'anche considerata in termini assoluti, e dunque a prescindere dal porla in rapporto con il PIL, è tra le più basse dell'eurozona:


Questo grafico Eurostat è uno dei miei preferiti perchè rappresenta iconicamente la dimensione della menzogna in cui sguazza il sistema mediatico italiano.
Chissà perchè, poi.
Forse amano troppo Piller&Gumpel.
Ma non basterebbe come spiegazione.
Dev'esserci qualche altra ragione... 

ADDENDUM: ed eccovi una dritta, molto attuale:

martedì 27 ottobre 2015

GERMANIA, USA E FRONTE ORIENTALE: A QUALCUNO PIACE CALDO?


https://www.db.com/usa/img/db-60-wall-solar-panels2.jpg

Deutsche Bank AG (USA) (NYSE:DB) Fined $55 Million By SEC
http://www.secretsofthefed.com/wp-content/themes/goodnews47/framework/scripts/timthumb.php?src=http://www.secretsofthefed.com/wp-content/uploads/2012/12/Libor-Scandal.jpg&h=315&w=599&zc=1

Deutsche Bank gets off with $2.5 billion fine and no jail time for largest criminal fraud in history

1. La questione Deutschebank è sotto i riflettori in un articolo su "Il Foglio", dove viene accostata, in chiave di scontro geopolitico tra USA e Germania a quella concomitante con Volkswagen nonchè alla, tante volte e inutilmente, sottolineata questione del super-surplus estero dei tedeschi unita alla neo-Ostpolitik, tanto temuta dagli USA -nell'ambito della dottrina Brezinsky- e che parrebbe essere stata, più o meno, stoppata dalla vicenda dell'Ucraina: ma in modo non definitivo e non cristallino.

2. Ben prima dello "scoppio" della questione ucraina, si era ipotizzato questo quadro problematico (era il febbraio 2013), proprio legato all'ambiguità USA nello stigmatizzare, (solo a parole, almeno fin'ora..), l'eccesso di surplus tedesco e il relativo mercantilismo a tutto campo (verso l'est specialmente):
"Nel merito ribadisco quanto detto, sull'attendismo USA in vista della reazione di una Francia comunque sull'orlo del baratro (ADDE; abbiamo poi visto che il baratro sia stato scongiurato, negli ultimi anni, dalla burletta ("ad Italiam") o vaudeville del fiscal compact, versione gallicana...).
...
Un fatto: la Francia sarebbe già uscita dall'euro se non avesse una classe di governo che "crede" nelle teorie neoclassiche, in virtù di un'embricazione anche personale col mondo bancario. Quindi lo switch-out deve ricevere una spinta decisiva di carattere politico: e questa possono dargliela solo gli USA (se, finalmente, ammettessero che l'UEM NON COINCIDE CON
"US-E IN ITINERE"). 

Insomma, non sarà per la salvezza del lavoro e del welfare che accadrà (la fine dell'UEM, ndr.), ma per l'effetto di una recessione-stagnazione propagata a livello mondiale proprio nel tentativo di aggiustare l'euro secondo le di ESSI teorie "macroeconomiche" (in tal caso saremmo a posto, ma il periodo di sviluppo sarà "lungo" un paio d'anni...almeno; e c'è sempre di mezzo il TTIP, adde)".

E ciò in quanto:

"...pare che gli Usa abbiano una fissa di politica internazionale "pura" sulla stabilità - forse perchè sanno cose che noi non consideriamo sugli sviluppi prossimi in medio oriente (adde: ma Putin le ha capite benissimo): non cogliendo che proprio dalla stabilità che invocano (v.link al Sole24h) discende invece quella "continuità" delle politiche europee che cozzano frontalmente con i loro interessi. Almeno quelli enunciati, (adde: molto in teoria, s'è poi visto) nel discorso sullo Stato dell'Unione e già analizzati da Flavio nella "litera ad Obamam".
Per ora, potrebbe spiegarsi il tutto (cioè questa ambiguità, "detto non detto") come una priorità non assoluta al "changeover" delle politiche fiscali UE rispetto ad una potenzialità critica mediorientale che richiederebbe, nel breve periodo, un'Europa non distratta dall'euro-break
."

Per chi fosse interessato alle prospettive realistiche di tutto ciò, nel nostro immediato futuro (entro i pochi prossimi mesi):

"Per questo, in soldoni, monti(bersani) non possono a lungo continuare a prendere in giro gli USA assecondandoli nel loro errore e, al tempo stesso, essere gli alleati migliori della merkel (o dei piddini tedeschi,tanto non cambia nulla, anzi), in politiche che portano alla recessione strutturale UEM e alla concentrazione del potere di mercato in Germania, che diventerebbe un player globale incontrollabile (specie verso i Russi), una volta che si fosse assicurata la sua "zona economica esclusiva"...con l'avallo degli stessi USA!
Ma quando gli USA la smetteranno di credere ai "consulenti politico-economici" attuali e cominceranno a vedere le cose in base ai dati (per loro controproducenti) che la realtà sta accumulando
?"


3. Dell'articolo di Libero, sui temi così messi in campo, cito qualche passaggio che, peraltro, dimostra una certa genericità, non proprio lineare nell'inquadrare la situazione:
"Galeotto fu il dieselgate, ma la storia d’amore e d’interesse tra Stati Uniti e Germania era in crisi da tempo. Volkswagen, Deutsche Bank, Gazprom, le divergenze sul trattato transatlantico di libero scambio e quelle su Putin, l’Ucraina, la Nato, la Siria, lo spionaggio incrociato, i profughi e gli immigrati, la sterzata verso Erdogan. Il cahier de doléance è spesso e si riempie di pagine ogni giorno che passa. “Americani e tedeschi sono ancora i migliori amici?”, si chiede la Bbc: la domanda è retorica con risposta negativa. Michael Wertz del Center for American Progress, un pensatoio liberal, teme che gli Stati Uniti stiano perdendo la Germania. Del resto, secondo i sondaggi, solo un terzo dei tedeschi pensa che gli Usa meritino ancora fiducia...
...Negli ultimi cinque anni, mentre il Dax, l’indice di borsa tedesco, raddoppiava, la Deutsche Bank lasciava sul campo quasi metà del suo valore. E anche il confronto con l’indice bancario della Ue è impietoso, dato che è in progresso del 13 per cento, per non parlare dello Stoxx 600 (che stima i principali 600 titoli europei) salito del 57 per cento. Un vero colpo basso arriva dai pesantissimi oneri dei contenziosi legali in cui la banca è incappata, il più grave dei quali nei confronti dello stato di New York, che ha messo sotto accusa alti dirigenti per aver manipolato il Libor (il tasso di riferimento dei mutui). La multa è costata due miliardi e mezzo di dollari, ma l’insieme dei risarcimenti dal 2011 ammonta a 7,8 miliardi (in Italia la banca tedesca è indagata per i derivati del Monte dei Paschi di Siena).
E sui mercati corre voce che la Deutsche Bank possa diventare la nuova Lehman, deprimendo ancor più il valore del titolo. Se davvero deflagrasse, non crollerebbe solo Berlino.

C’è, poi, il braccio di ferro macroeconomico. L’amministrazione Obama batte ossessivamente sullo stesso tasto: la Germania che ha il bilancio pubblico in ordine (onore al merito) e una bilancia dei pagamenti con un attivo doppio rispetto a quello cinese, deve spendere ed espandere per sostenere l’economia europea e mondiale. Ogni riunione del G7 e del G20 da sette anni a questa parte, si conclude con un comunicato solenne che invita ad allentare i freni fiscali. La cancelleria tedesca ha sempre fatto orecchie da mercante...
...Presa in contropiede nell’area geopolitica più importante per la sua sicurezza e per la sua egemonia, l’onda d’urto dei rifugiati ha spinto Frau Merkel ad Ankara dove ha promesso a Recep Erdogan il sostegno per l’ingresso della Turchia nell’Unione europea, pur di avere un aiuto ad arginare la marea migratoria. Una posizione che incontra l’aperta ostilità della Gran Bretagna e della Francia e lascia perplessi anche gli Stati Uniti, originariamente favorevoli all’europeizzazione della Turchia, ma preoccupati dall’autoritarismo di Erdogan e dai suoi giri di valzer (compresi quelli moscoviti). “E’ il momento sbagliato per fare queste aperture”, ha scritto David Gardner sul Financial Times, soprattutto se “presi dal panico”..."

4. Questa ulteriore valutazione è peraltro interessante:
"Il no a interventi in medio oriente e in nord Africa è la testimonianza di quanto lontana sia Berlino dal Mediterraneo, ben più di Bonn che negli anni della Guerra fredda si rendeva conto che un cambiamento degli equilibri strategici nella sponda sud sarebbe stato determinante anche per la Germania ovest. Quel che accade oggi in Grecia o in Italia, in Spagna o in Portogallo vale soprattutto per gli effetti sull’area euro. Mai si è sentito un discorso sull’importanza strategica di Roma e di Atene come baluardi contro le mire espansionistiche dell’islamismo radicale, il nuovo Califfato o “l’imperialismo musulmano”. E questo aumenta i sospetti americani che i tedeschi stiano diventando, ancora una volta, un problema per la stabilità internazionale e rafforza la pressione affinché abbandonino velleità terzoforziste o illusioni da congresso di Vienna e ritornino nell’alveo atlantico."
...Con l’unificazione, il Westbund, il legame con l’occidente che aveva segnato la politica della Germania ovest dopo la Seconda guerra mondiale, si è allentato. Al ministero degli Esteri c’è un esponente della Spd, Frank-Walter Steinmeier, a lungo considerato filo russo, inclinazione che appare anche dalle intercettazioni della National Security Agency. Del resto, perché mai gli americani avrebbero dispiegato una tale rete di spionaggio nei confronti della classe politica tedesca se l’avessero considerata leale fino in fondo? Proprio la linea di Steinmeier aveva suscitato forti perplessità quando nell’aprile 2014 aveva pubblicato su Foreign Affairs un articolo intitolato “La nuova Ostpolitik della Germania”.
...Questa politica estera ha un braccio mercantile che arriva fino al Pacifico. In questi anni la Germania è diventata un paese trainato sempre più dalle vendite di prodotti sui mercati internazionali. Il peso delle esportazioni rispetto al prodotto interno lordo è passato dal 33 al 48 per cento del pil e la riposta tedesca alla crisi del 2008 non ha che rafforzato la tendenza. Il rapporto con l’estremo oriente si basa sulla potenza della macchina bancario-industriale: Volkswagen, Daimler, Siemens, Deutsche Bank sono i quattro cavalieri che guidano un vasto esercito di imprese medio-grandi, il cosiddetto Mittelstand. I frequenti viaggi a Pechino di Angela Merkel, accompagnata dai big dell’industria e della finanza, hanno consolidato il rapporto che si nutre anche di una ricaduta politica e strategica perché a partire dal 2008 la Cina coltiva sempre più il progetto di un rafforzamento dell’Unione europea come potenza concorrenziale agli Stati Uniti, nuova variante dell’Europa dall’Atlantico agli Urali che piaceva a Charles de Gaulle."
Ci fermiamo qui nelle lunghe citazioni dall'articolo in questione.

4. Per rammentare delle riflessioni già svolte su questo stesso tema, sintetizzo richiamando l'introduzione a un poderoso post di Flavio intitolato:

LO SCENARIO BANCARIO (FRATTALICO) INTERNAZIONALE, LA FED E L' "AMICIZIA" DELLA GERMANIA: LA MORAL "HAZARDED" GEOPOLITICA

Il post è del 21 giugno 2013 e vale veramente la pena di rileggerselo, per la copiosa serie di dati che vengono offerti, ben prima della "congiuntura" attuale, sulla situazione Bundesbank/relazioni USA-Germania federale.

Questa dunque l'introduzione al post stesso, il cui quadro va assommato con quello delineato, - sull'inesauribile fronte €uro-(demo)cratico (in continuo deterioramento, non circoscritto a tali paesi soltanto) delle emergenze di Polonia e Portogallo, nel post appena precedente:
"...Probabilmente non è che la cronaca delle avvisaglie della crisi USA-Germania che si svilupperà nei prossimi mesi.
Lo "spirito" di questa congiuntura internazionale, senz'altro "eccezionale", che stiamo vivendo può essere già racchiuso, come chiave di lettura del post, in queste parole di Bibow (più sotto linkato):
From a global perspective, not only is Euroland shamelessly freeloading on external growth to offset suffocation of domestic demand through mindless area-wide austerity (see Figure 19), but adding insult to injury, Euroland is also hijacking the IMF as global sponsor in backstopping the EFSF/ESM (European Stability Mechanism) “firewall” for its purely homemade internal crisis. 

German mercantilism had given rise to regional imbalances and global tensions in the pre-EMU past.
The euro has multiplied Germany’s weight—and the gravity of German policy views—in the global economy. Effectively, Germany, the world champion of moral hazard talk, is holding the world community hostage to a “too big to fail” global risk “made in Germany” today: arising as the potentially lethal mix of a dysfunctional monetary union paired with the economic consequences of Germany’s denial of her euro trilemma. It is one thing that, by freeloading on external growth, Euroland is reneging on its commitments to the G-20 process of global rebalancing. It is quite another for Euroland to create the world’s foremost threat to stability by self-inflicted folly and to not even be ashamed of “marshalling support from countries that are either more fiscally challenged or a lot poorer than the eurozone itself” to bail it out (Bibow 2012b).”.

Persino La Repubblica inizia ad accorgersene (registrando il tutto con una algida equidistanza, senza capire i risvolti potenzialmente favorevoli alla nostra dignità di democrazia, una volta, almeno formalmente indipendente di gestire i propri interessi sociali ed economici; anche se c'è chi ancora crede che la Nato sia un problema di sovranità limitata, sempre di analoga "fonte" internazionalista, più urgente del fiscal compact o dell'ESM, ancora ignorando il significato del pareggio di bilancio imposto "esogenamente" nella nostra Costituzione). E così commentava la visita di Obama a Berlino:
"Il clima resta amichevole, ma la freddezza lo rende sempre più irriconoscibile, ogni anno che passa. Quando ieri il capo della Casa Bianca ha affermato che «per l'eurozona non c'è una soluzione unica», ha trovato in Merkel orecchie fredde, quasi ostili: quel giardino di casa è tedesco, non americano. Il pretesto per la loro svolta a 180 gradi, i leader tedeschi lo usano sfacciati: l'America comunque guarda più verso l'Asia, affermano.
È con la Cina che Volkswagen, Siemens, i responsabili di Istruzione e ricerca scientifica firmano le intese più importanti a raffica. La conclusione del settimanale di Amburgo (Sueddeutsche Zeitung, ndr.) non lascia dubbi: «I tempi in cui Usa e Germania si sentivano legati da una comunità di destino e sorpassavano piccoli disaccordi appartengono ormai al passato»."
Qualche mese fa, nell'ambito di questa analisi, avevamo ricordato:
"...la Germania ha radicalmente riconsiderato il proprio posizionamento strategico, avvicinandosi ai nuovi centri di gravità del pianeta – i BRICS – che stanno trasferendo l’asse della crescita mondiale dall’Atlantico all’Oceano Indiano e al Pacifico, aprendo prospettive nuove e profondamente rivoluzionarie per l’intero continente europeo. Qualora la Germania si cimentasse seriamente nel tentativo di trainare l’Europa sul solco tracciato da Berlino, potrebbe ipoteticamente prendere forma uno dei pericoli contro cui Zbigniew Brzezinski ha ostinatamente messo in guardia gli Stati Uniti. «Per dirla in una terminologia che richiama l’età più brutale degli antichi imperi – scrive Brzezinski – , i tre grandi imperativi della geostrategia imperiale statunitense sono impedire la collusione e mantenere la dipendenza della sicurezza tra i vassalli, tenere i tributari deboli e protetti, e impedire ai barbari di unirsi». Una “unione dei barbari” che potrebbe comportare significative “discontinuità” negli scenari futuri."
Ora, in questo quadro molto attuale, che si proietta anche sullo scenario cooperativo con i partners europei che gli USA vorrebbero mantenere rispetto alla crisi in Medio-oriente, (dove rischia fortemente di acuirsi una riedizione della contrapposizione con la Russia), le mosse geopolitiche della Germania si sommano ad un atteggiamento conflittuale del suo sistema bancario con le autorità finanziarie USA.
La cosa è aggravata dal fatto che, dell'istituto principale protagonista di questa frizione ormai esasperata, cioè la "solita" Deutschebank, lo Stato federale è ormai un azionista non di secondo piano (nell'ambito di una sostanziale compartecipazione su Deutsche-Postbank, operazione che ha dato vita all'acquisizione statale della partecipazione). Così come, anche a seguito del noto salvataggio di Hypo Real Estate, lo Stato tedesco è il crescente azionista di sistema dell'intero sistema bancario (v. Commerzbank, KFW, equivalente alla nostra Cassa Depositi e Prestiti, e centinaia di altri istituti bancari di livello locale).
La conflittualità, ormai chiaramente intrecciata, tra USA-Germania-membri UEM (specie PIGS) non è estranea a questo ruolo dello Stato federale, interessato alla copertura delle relative "colossali" magagne di bilancio, e conferma come il terreno finanziario sia quello dove oggi si esplicano i conflitti tra "aree economiche", pur sempre nazionali, anche se dissimulate, nel caso dell'UEM, sotto le vesti dell'ipocrita sogno internazionalista europeo.
Le "torsioni" geopolitiche tedesche sono quindi l'altra faccia della medaglia dello scontro bancario mondiale: la Germania "esporta" l'instabilità finanziaria mediante una condotta bancaria spregiudicata e spesso poco accorta, ma finchè si rimane in UEM, la fa pagare ai partners commerciali, su cui esercita ormai una ferrea "presa" (col "tallone"), ma poi negli USA il discorso cambia e si assomma alla strategia del Drang Nach Ost commercial-finanziaria."

domenica 25 ottobre 2015

PORTOGALLO, POLONIA (Atene è "pacificata"?): IL "TRIONFO" DELL'€UROPA DEL FOGNO. O NO?


 

Europe’s Many Economic Disasters

1. La situazione è seria. Ma non ancora grave (ma lo diventerà presto).
Analizzarla in tutta la sua complessità geo-politica è un compito praticamente impossibile: il condizionamento mediatico occidentale, che seleziona, riformula e manipola i fatti, in una narrazione ossessiva, che spinge sempre e soltanto verso la direzione paradossale di confondere la democrazia con le politiche deflattive (che preserverebbero i consumatori e quindi, si dice, i lavoratori), è troppo intenso per poter avere un quadro fattuale completo e compiere una valutazione attendibile.

2. Prendiamo la vicenda portoghese
Qui prendiamo le mosse dall'articolo del "solito" A.E. Pritchard sul Telegraph, tradotto da Voci dall'estero.
Il "pezzo" è sufficientemente eloquente e condivisibile, riportando elementi di comprensione che abbiamo più volte sottolineato su questo blog. 
In pratica, sappiamo che il Presidente della Repubblica, Anibal Cavaco Silva, preferisce, dopo le elezioni, attribuire l'incarico al primo ministro uscente, che ha perso la maggioranza (pur conservando la sua formazione politica la qualità di partito maggioramente votato), - e dunque non può, con ogni probabilità ottenere la fiducia del parlamento-, pur di non consentire l'insediamento di un governo di effettiva maggioranza (parlamentare), formato dalla coalizione tra socialisti di Costa e le due formazioni di sinistra contrarie all'euro e al fiscal compact (le due cose, comunque la pensi Tsipras, coincidono nei presupposti e negli effetti socio-economici).
Questa la giustificazione di Cavaco Silva: 
In 40 anni di democrazia, nessun governo in Portogallo è mai dipeso dal sostegno di forze anti-europee, vale a dire quelle forze che hanno condotto una campagna per abrogare il trattato di Lisbona, il Fiscal Compact, il patto di stabilità e di crescita, oltre che per smantellare l’unione monetaria e portare il Portogallo fuori dall’euro, e voler lo scioglimento della NATO “.

3. Dell'analisi di Pritchard enfatizziamo (proprio nell'ottica di quanto viene spesso ribadito in questo blog), alcuni passaggi, dove abbiamo la conferma palese, se non sfacciata, di quanto evidenziato circa la propensione ad una democrazia del tutto particolare da parte della governance politico-finanziaria UE-mandatari "locali", che ha sottomesso i popoli europei:
a) Tavares (eurodeputato verde-radicale) ha detto che il presidente ha invocato lo spettro dei comunisti e del Blocco di sinistra come un “pretesto” per impedire alla sinistra di prendere il potere, ben sapendo che i due partiti avevano convenuto di abbandonare le loro richieste di uscita dall’euro, di lasciare la Nato e di nazionalizzazione delle leve fondamentali dell’economia con un accordo di compromesso per formare la coalizione;
b) Il presidente Cavaco Silva potrebbe avere ragione a ritenere che un governo socialista in combutta con i comunisti farebbe precipitare uno scontro frontale con i mandarini dell’austerità della UE. Il grande piano di Costa di una reflazione keynesiana – guidato dalla spesa per l’istruzione e la sanità – è del tutto incompatibile con il Fiscal Compact della UE.
Questo stupido trattato obbliga il Portogallo a tagliare il suo debito al 60pc del PIL nei prossimi 20 anni, in una trappola di austerità permanente, e a farlo proprio mentre il resto dell’Europa meridionale cerca di fare la stessa cosa, il tutto in un contesto globale di potenti forze deflazionistiche.
c) La strategia di erodere l’enorme peso del debito del paese stringendo la cinghia in modo permanente è in gran parte autolesionista, poiché l’effetto denominatore di un PIL nominale stagnante aggrava la dinamica del debito.
Ed è anche inutile. Quando la prossima recessione globale colpirà sul serio, il Portogallo richiederà una cancellazione di debiti. Non vi è alcuna possibilità che la Germania acconsenta all’unione fiscale UEM in tempo per evitare questo.
d) Il presidente Cavaco Silva potrebbe avere ragione a ritenere che un governo socialista in combutta con i comunisti farebbe precipitare uno scontro frontale con i mandarini dell’austerità della UE. Il grande piano di Costa di una reflazione keynesiana – guidato dalla spesa per l’istruzione e la sanità – è del tutto incompatibile con il Fiscal Compact della UE.
e) Cavaco Silva sta effettivamente usando il suo mandato per imporre un’agenda ideologica reazionaria, nell’interesse dei creditori e dell’establishment della UEM, e lo sta mascherando con incredibile faccia tosta come una difesa della democrazia...
Il movimento Syriza in Grecia, il primo governo di sinistra radicale in Europa dopo la seconda guerra mondiale, è stato ridotto alla sottomissione per aver osato confrontarsi con l’ideologia della zona euro. Ora la sinistra portoghese si sta scontrando con una variante dello stesso tritacarne.
I socialisti europei si trovano di fronte a un dilemma. Si stanno finalmente risvegliando alla sgradevole verità che l’unione monetaria è un’impresa autoritaria di destra che si è tolta il guinzaglio democratico, ma se agiscono secondo questa intuizione comunque rischiano che sia loro impedito di prendere il potere.

4. Un rapido commento aggiuntivo: il Portogallo ha il consueto problema di domanda interna sacrificata a un velleitario e irrealistico modello €-export-led, come evidenzia (se pure ce ne fosse bisogno per chi non sia in malafede) lo stesso Pritchard. 
Tutto ciò si concretizza, come notava Krugman il 14 agosto scorso, in un mercato del lavoro flessibilizzato e mercificato, a crescente bassa qualificazione (è inevitabile in presenza della caduta degli investimenti e della spesa pubblica inscindibili dal paradigma €urocratico): quindi, distruzione delle competenze, emigrazione massiccia di giovani (specialmente qualificati) e crisi demografica; tutti caratteri che determinano, permanendo all'interno dell'UE-UEM, una condanna definitiva che porta al risultato della distruzione industriale irreversibile e all'alterazione della stessa identità di popolo, grazie al concomintante effetto della immigrazione, a salari ulteriormente stracciati, che, insieme con le politiche deflazioniste, è l'unica soluzione che l'UE è capace di proporre.

Il succo del discorso, anche se non è coinvolta l'appartenenza all'area euro, non cambia molto.
I polacchi, anche nella precedente compagine governativa, oggi sfavorita alle elezioni (per quanto espressiva del Presidente del Consiglio UE, Tusk) tra l'altro, avevano già dato segno di non voler aderire all'euro: curiosa la giustificazione di ciò, cioè "noi non entriamo fino a che ne faccia parte la Grecia". 
Ma il succo rimane che essere vincolati dal fiscal compact - riservato ai paesi UEM col suo apparato sanzionatorio e commissariale della sovranità nazionale -, e dover contribuire all'ESM facendo credito inesigibile per mantenere la solvibilità dei sistemi bancari dei paesi "core", non piace a nessuno.
O almeno alla maggioranza; anche se gli "allievi" polacchi di Friedman non capiscono come diavolo possa accadere...

6. Ma nella prospettiva del probabile ribaltone contrario al partito di Tusk ("Piattaforma...Civica") e favorevole a "Legge e Giustizia", del gemello sopravvissuto Kaczynski e di Beata Szydlo (candidata premier), incombe sempre il solito problemino della follia liberista sovranazionale intrisa di austerità, cambio fisso e immigrazione sostitutiva.
Ciò che, nell'avvicendarsi delle ondate di manodopera mobilizzata in funzione deflattiva (dei livelli salariali del paese di "accoglienza"), tipico del "fogno europeo", - cioè quello che Krugman definisce "The downside of Labor Mobility"-, i polacchi, di fronte agli ordoliberisti imperanti anche a casa loro, 



ordoliberisti, dicevamo, imperanti a casa loro, pur in assenza di adozione dell'euro, molto prosaicamente e in soldoni (che sono quelli che consentono di campare con dignità, anche se il capitalismo finanziario €-deflazionista non è d'accordo), i polacchi, appunto, tenderanno a votare preoccupandosi di non essere investiti sul loro territorio dalla concorrenza dei "migranti", e di non essere posti in concorrenza, al ribasso salariale, con i medesimi migranti nella loro aspirazione (dei polacchi), a emigrare nelle aree "ricche" dell'UE.

7. Ora, tutto questo verrà definito antidemocratico e populista: ma, certo, non lo è di più del disprezzo che nutre la tecnocrazia Ue verso i parlamenti, con la conseguente tendenza della stessa UE a farsi portatrice esclusiva delle preoccupazioni dei mercati finanziari, della stabilità monetaria, e degli immancabili investitori esteri, rendendo le elezioni, sempre più apertamente, un processo idraulico-sanitario hayekiano.  


Dunque: o il voto è pro-€uropa, e quindi "vincola" all'adesione entusiastica al mercato del lavoro-merce, all'asservimento nazionale verso gli investitori esteri e agli stessi "creditori" esteri, oppure NON VALE
Si ripeta finchè non vincono ESSI: oppure non si voti più, come piacerebbe a tanti, e la democrazia trionferà.

SCENARIO D'ESTATE: IL MOLOCH NEO-LIBERISTA GLOBALIZZATO ALLE CORDE (ma da solo sul ring).


venerdì 23 ottobre 2015

IL DEBITO PUBBLICO, IL DEFICIT (allarme!) E LA LEGGE DI STABILITA': "L'INCOMPRESO" (?) MONTI



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1. Se qualcuno volesse cimentarsi della decodificazione del metalinguaggio stocastico della Commissione, riportiamo il link alla RELAZIONE DELLA COMMISSIONE del 27 febbraio 2015, sulla situazione economica e di bilancio italiana, alla luce del patto di stabilità vigente (cioè il fiscal compact) e a norma dell'art.126, paragrafo 3, del Trattatto sul funzionamento dell'Unione.
Si tratta della Relazione con cui la Commissione, constatato che uno Stato-membro non rispetta i valori di riferimento (vigenti) del disavanzo-(deficit) pubblico, e/o del debito, può o meno decidere di avviare una procedura di infrazione ove non ritenga giustificato lo scostamento alla luce di vari criteri, tra cui gli investimenti e altri "fattori" relativi alla situazione economica di medio termine: questi fattori sono ora considerati così come, in effetti, disciplinati dal nuovo patto di stabilità del fiscal compact, e quindi tale disamina vale, in termini di criteri di valutazione e di conseguenze operative della Relazione, solo per i paesi aderenti all'UEM.

2. La sottostante tabella, tratta dalla Relazione (con alcune semplificazioni dovuta alla riproduzione dal pdf), ci mostra molti dati interessanti e indicativi dell'approccio della Commissione nell'attuale applicazione del fiscal compact (nei confronti dell'Italia). 
Ovviamente, una più estesa illustrazione si ricava dalla lettura dell'intero documento, che rende conto degli effettivi livelli delle correzioni del deficit-disavanzo pubblico richieste all'Italia, in vista del rientro nell'obiettivo del pareggio strutturale di bilancio, secondo lo stesso fiscal compact, entro il 2016: ed infatti, vale per l'Italia, dall'anno 2012, cioè da quello di correzione del disavanzo 2011 sottoposto a procedura di infrazione, un "periodo di transizione di tre anni" per perseguire il suddetto pareggio (le doppie indicazioni previsionali per gli anni 2014-2015, sotto la dicitura COM e SM, indicano, appunto, le rispettive stime della Commissione e del governo dello Stato-membro):
Tabella 3. Sviluppi macroeconomici e di bilancio-
                                                                          2011 2012 2013  2014  2015

PIL reale (variazione in %)                     0,6 -2,3 -1,9 -   -0,5    0,6
Deflatore del PIL (variazione in %)      1,5 1,6 1,4 0,5 0,8 0,4 0,6
PIL potenziale (variazione in %)         -0,1 -1,1 -0,4 -0,5 -0,3 -0,3 -0,2
 

Divario tra prodotto effettivo e potenziale
(% del PIL potenziale)                                                             COM SM  COM SM
                                                                          -1,6 -2,7 -4,2   -4,3 -4,1   -3,5  -3,1


Saldo delle amministrazioni pubbliche -3,5 -3,0 -2,8     -3,0 -3,0  -2,6 -2,6


Saldo primario                                               1,2 2,2 2,0         1,6 1,7     1,7 1,9
Misure una tantum e altre misure temporanee 

                                                                               0,7 0,1 0,2          0,2 0,3 -0,1 -0,1


                                                                                                       COM  SM    COM  SM
Investimenti fissi pubblici lordi          2,8  2,5   2,4     2,2     2,2    - 2,2    2,3
Saldo corretto per il ciclo                 -2,6 -1,4 -0,5  -0,7  -0,8     -0,7  -0,9
Saldo primario corretto per il ciclo      2,1 3,8  4,3     4,0  3,9       3,6  3,6
Saldo strutturale b                          -3,2 -1,5 -0,8   -0,9 -1,1     -0,6  -0,8
Saldo primario strutturale                 1,4  3,7  4,1       3,8  3,6       3,7   3,7
Fonte : servizi della Commissione, documento programmatico di bilancio 2015 dell'Italia e previsioni d'inverno 2015 della Commissione.

3. Ebbene, secondo la Commissione, la correzione, c.d. "aggiustamento strutturale", (peraltro ricavata da una criptica formula riportata a pag.8 della Relazione, e discendente dall'applicazione del fiscal compact), può, in termini semplificativi, quantificarsi, (nell'iniziale fase di rinvio ammesso nel 2013), in una misura leggermente superiore a 0,7 punti di PIL all'anno, per pervenire alla soglia del "teorico" 0,5 di pareggio ammesso entro l'anno 2016, partendo, sempre per semplificarvi il calcolo, dal deficit del 2013 pari a -2,8.

Rispetto a queste indicazioni la stessa Relazione ammetteva una certa flessibilità negli obiettivi intermedi del triennio "di transizione", pur in termini marcatamente critici circa il mancato obiettivo concomitante della riduzione del debito pubblico e circa la mancata attestazione dell'effetto espansivo delle "riforme" (scuola, mercato del lavoro, concorrenza) da parte di un organismo neutrale che monitorasse le stime presentate dal governo.

4. Sta di fatto che, oggi, da parte di molti commentatori italiani (moltissimi), ci si lamenta che, sempre in applicazione- richiesta, negoziata e, attualmente, "sperata", da parte del governo italiano- dei criteri di flessibilità consentiti dalla famosa Comunicazione della Commissione del 13 gennaio 2015, (interpretativa dei fattori di scostamento dall'aggiustamento ammessi dal fiscal compact), la correzione del deficit apportata tra il livello del 2014 (-3%) e il 2015 (-2,6) sia stata insufficiente, mentre l'attuale legge di stabilità, portando lo stesso livello al 2,4, ovvero al 2,2 per il 2016 (a seconda che sia ammesso o meno il fattore di flessibilità legato alla spesa per la "emergenza immigrazione"), sarebbe un aggravamento del debito pubblico e quindi imprudentemente "a deficit"...

5. Insomma, non si sarebbe dovuti ricorrere al "rinvio" al 2017 dell'applicazione delle clausole di salvaguardia, portando immediatamente, per il 2016, a regime l'inasprimento fiscale (incentrato sull'aumento di 2-3 punti delle principali aliquote IVA, ma non solo, includendoi anche aumento della accise, degli acconti IRE e il massiccio taglio di detrazioni e deduzioni dello stesso imponibile) che esse determinavano.
Cioè, in sostanza, si muove dal presupposto che, essendo migliorata la situazione economica, dando per scontato che le cause della recessione siano state strutturalmente superate, si poteva puntare a un consolidamento del bilancio nel 2016 per ulteriori 17 miliardi di lire, reperiti applicando immediatamente nell'attuale legge di stabilità le suddette clausole (che appunto portano a un inasprimento di imposizione in tale misura).


6. Chi, diffusamente, sostiente questa tesi, dunque, ritiene che un carico fiscale aggiuntivo di oltre un punto di PIL (circa 1,1 punti, pari a 17,485 miliardi, gravanti nel solo 2016, e in aumento negli anni successivi), avrebbe portato a una riduzione del deficit esattamente nella stessa misura, preservando (persino!) la crescita stimata per il 2016  (secondo la Commissione 1,2 punti di PIL).
In pratica, allo scopo essenziale di ridurre il debito pubblico - perchè, si implica, che ciò promuoverebbe il risanamento dell'economia italiana (secondo la logica €uropea dell'incontestabile fiscal compact)-, il deficit 2016 avrebbe dovuto, in termini contabili, essere portato da subito all'1,5%, per arrivare a un saldo praticamente in attivo nel 2017. 
In tale anno, infatti, sempre secondo i sostenitori di questa tesi, il PIL, pur avendosi tale inasprimento della pressione fiscale, dovrebbe egualmente continuare a crescere, dopo essere appunto cresciuto di oltre 1 punto nel 2016, completamente "indifferente" a un prelievo aggiuntivo di 1,1 punti di PIL.
Nel 2017, infatti, le clausole di salvaguardia avrebbero un autonomo effetto di riduzione del deficit pari a 26,892 miliardi, ma la crescita, appunto, sarebbe lo stesso garantita - sure thing!- con tanto di pareggio di bilancio!




7. Ora è minimamente plausibile tutto ciò?

La principale lamentela sarebbe, sempre partendo dall'idea che il debito pubblico sia la causa della crisi economica italiana e che il ridurlo avrebbe effetti espansivi una volta tornati alla crescita (!), che l'attuale manovra aumenti il debito pubblico perchè finanzierebbe "a deficit" le misure di sostegno alle imprese e alle famiglie da esso previste.

Al riguardo rammentiamo che questa stessa logica è quella adottata da Monti
- partiva da un deficit del 4% nel 2011 (il 3,5 indicato nella tabella della Relazione della Commissione è dovuto alla notoria rivalutazione del PIL, in base ai nuovi criteri di contabilità SEC 2010 in luogo di ESA95); 
- decide di portare il deficit stesso all'1,6%, promuovendo misure di consolidamento fiscale (unitamente a quelle adottate da Tremonti nell'estate del 2011), per 2,4 punti di PIL
...e si ritrovò con un deficit a consuntivo del 3% (dato tabellare della Commissione sopra riportato), una recessione al -2,4, e un debito pubblico passato dal 116,4 al 122,2 del (diminuito) PIL.

Insomma, Monti, non prevedeva (nelle dichiarazioni di facciata) di finanziare "a deficit" misure espansive, tutt'altro, ma si ritrovò a finanziare a deficit il pubblico bilancio, in una misura non trascurabile, proprio per via dell'aggiustamento, che intendeva, (sempre nei pubblici proclami), come immediatamente trasferibile dal livello di intervento fiscale "austero" della manovra al deficit stesso...

8. Naturalmente, la situazione, sempre in questa ottica di applicare gli aggiustamenti nella misura indicata dalla Commissione, peggiorò anche nei due anni successivi: il debito ha ormai sfondato il 133% del PIL e quest'ultimo è rimasto in costante recessione fino alla fine del 2014.
E' chiaro che la "flessibilità in cambio di riforme" - esse stesse depressive della domanda interna ma che vivono sulla crescita derivante dall'aumento più che proporzionale del saldo commerciale verso l'estero- è una strategia che non rinuncia al consolidamento fiscale: lo attua però sapendo che la crescita non ha nulla a che fare con la diminuzione del debito pubblico perseguita attraverso la drastica riduzione del deficit, effetto costantemente rivelatosi errato, ma con la più semplice strategia della competitività
Si mantiene il livello di disoccupazione, che con dosi eccessive di austerità fiscale partirebbe per la tangente, quel tanto che basta per farne un carattere strutturale del mercato del lavoro, calmierando la domanda interna (verso bassi consumi e quindi importazioni), e deflazionando le retribuzioni per rendere competitive le esportazioni.

La questione del "finanziare a deficit" misure  "espansive", ma solo se isolatamente considerate, - laddove al contrario, nell'attuale legge di stabilità, tale deficit viene comunque diminuito (quello che conta è il saldo complessivo), continuando, ma solo più moderatamente, a promuovere compressione della domanda interna e deflazione salariale-, quindi, non c'entra nulla con l'aumento del debito: questo non può semplicemente diminuire perseguendo in anticipo il pareggio di bilancio; (e nè diminuirà anche tentando di raggiungerlo posticipatamente nel 2017 o nel 2018). Che si sia o meno una super-Trojka a trazione tedesca a imporre lacrime e sangue, sostanzialmente per deindustrializzare l'Italia, "suo principale competitor".

Semplicemente perchè agendo così, si provoca una recessione, derivante da una contrazione fiscale della domanda interna, superiore al miglioramento del saldo delle partite correnti
QE o non QE, prezzi petroliferi "stracciati" o meno.
Ammesso, poi, che le condizioni dell'economia globale consentano di contare ancora su tale effetto "migliorativo" inarrestabile (nella logica della "competività" orientata solo sulla domanda estera espandibile all'infinito).
Ma tutto questo, chissà perchè, continua ad essere ignorato dai media e dagli espertoni italiani: eppure Monti lo aveva ammesso senza mezzi termini...