giovedì 1 ottobre 2015

L'OTTENEBRAMENTO DELLA LUCE: DIRITTI DI LIBERTA' INGHIOTTITI NELLA DOPPIA VERITA'


http://www.labirintoermetico.com/09IChing/testo_i_ching/images/36-L_Ottenebramento_della_luce.jpg


 MING- I: L'OTTENEBRAMENTO DELLA LUCE

 

1. Un breve interludio storico-empirico (d'altra parte qui curiamo l'ipotesi frattalica...), in attesa di affrontare la madre di tutte le questioni "funditus" (sempre nel nostro piccolo, beninteso), e cioè il problema dell'aderenza del modello costituzionale alla "anima" politica del popolo italiano (in termini di destra-sinistra, almeno come punto di partenza).


2. La notazione storico-empirica, (che come vedrete si collega molto da vicino alla "madre di tutte le questioni") potrebbe essere così formulata (disclaimer: ogni riferimento alla realtà odierna è puramente casuale):
a) il liberismo, anche in quella forma di sua "novazione nella continuità della sostanza" che è il neo-liberismo, aborrisce in modo teorico e dichiarato, l'uso diretto della violenza (se non altro perchè teme "l'effetto pretoriani") e, prima ancora, forme di politica connotate (e denominate) formalmente in modo tale da condurre a conflitti violenti nell'ordine sociale, dato che tale conflittualità esaperata contraddice il postulato della "doppia verità";

b) infatti, quest'ultimo, in termini molto pratici, è un metodo di governo che privilegia il richiamo ad un'"alata" moralità, basata su valori generalissimi: primo una "libertà dell'individuo" quale operatore economico razionale ed integerrimo, contrapposto alla sfera pubblica radice di ogni corruzione. Questi valori determinano un'etica pubblica unilaterale, espressa totalmente in accuse muovibili allo Stato.
Esso, come apparato rappresentativo della comunità generale ne viene, quindi, delegittimato nella sua rappresentatività al fine di rafforzare la riduzione della società alle dinamiche (e alle forze prevalenti) del "mercato";

c) poichè la "doppia verità", (così manifestata in un programma politico incontestabile), dissimula la risoluzione del conflitto sociale in favore delle forze prevalenti sul mercato (come evidenzia Galbraith), il processo che ne viene avviato è però inevitabilmente portatore di un crescente autoritarismo, tanto più forte e rapido quanto più si disgregano i partiti di massa, che riflettono l'assetto democratico della risoluzione del conflitto sociale;
d) ne discende che più si afferma un ordinamento neo-liberista più l'assottigliarsi del principio di legalità, fondato sulla legittimazione costituzional-democratica dello Stato, induce la riduzione dei diritti e degli istituti costituzionali a "diritto flessibile" e a degradare le relative norme a "concetto indeterminato", soggetto ai rapporti di forza che prevalgono nel conflitto sociale: ergo, la prima onda di impatto di tale opacità sopravvenuta delle garanzie e dei diritti costituzionali investe proprio la libertà dell'informazione e dell'espressione del libero pensiero (art.21 Cost.). 

3. Non sarebbe infatti possibile mantenere, al tempo stesso, la eguaglianza sostanziale, di cui la libertà di informazione è strumento essenziale (in teoria), simultaneamente alla negazione della rigidità della legalità costituzionale, cioè del suo essere fonte suprema e inderogabile di diritto. O si rende "eticamente" superiore l'ordine dei mercati o si tutela l'esistenza di una fonte, la Costituzione, posta per sua funzione di garanzia, al di sopra della politica (divenuta coincidente con le esigenze del mercato) e dei suoi rapporti di forza.

4. Insomma, il trilemma di Rodrik, in termini ancor più generali rispetto all'assetto globalizzato dell'economia, può essere anche espresso come incompatibilità simultanea di Costituzioni democratiche "rigide" (cioè quale fonte inderogabile della sovranità), affermazione delle libertà esclusivamente legittimate dalle leggi del mercato e, "tertium", affermazione delle libertà e dei diritti strumentali alla legalità costituzionale: parliamo di "libertà di stampa", certezza del diritto sanzionatorio, indipendenza della magistratura e imparzialità dell'apparato governo-amministrazione; dunque non dei diritti-fine di tipo sociale, che sarebbero in partenza sacrificati come primo obiettivo del paradigma liberista.

Ji Djing Heksagram 36 Ming i Zalazak Sunca

5. Il processo di affermazione del neo-liberismo quindi svuota inevitabilmente i diritti di garanzia (intesi in senso lato), proprio come conseguenza della irrilevanza dei diritti sociali allorchè questi siano costituzionalizzati, e conduce alla informalizzazione degli stessi diritti "civili" tradizionali (o libertà negative: "libertà da...").
In altri termini, esemplificativi, dall'affermazione del fascismo, inizialmente acclamato dai liberisti come restaurazione di un ordine "naturale" dell'economia di mercato", si arriva al delitto Matteotti e alla tardiva presa di distanze e, infine, alla...qualunque (leggi razziali...).

Chiunque, non essendosi opposto inizialmente a questa deriva inevitabile, si trovi poi a lamentarsene, è quantomeno "imprevidente". Com'è già accaduto in Italia, meno di 100 anni fa.

15 commenti:

  1. Penso che se si riflette sulla storia della flessibilità/rigidità costituzionale la conclusione del post sia inevitabile.
    Avevo trovato molto utile, anche se non menziona la dimensione internazionale della questione (che pure le è consustanziale), questo saggio di un costituzionalista preparato come Roberto Bin: "Ciò che segna lo stacco tra le carte “flessibili” dell’800 e quelle della generazione cui appartiene la nostra è la collocazione del conflitto sociale rispetto alla costituzione e alle sue istituzioni. Mentre le costituzioni dei nostri tempi hanno l’ambizione di governare il conflitto sociale dentro alle istituzioni costituzionali, attraverso gli strumenti posti dalla costituzione “rigida”, le costituzioni di allora regolavano il conflitto sociale con l’impiego delle forze dell’ordine pubblico e dell’esercito, cioè escludendolo forzatamente dal “giardino” delle istituzioni rappresentative, dei diritti e delle procedure costituzionalmente garantite. Una rigida recinzione delimitava l’accesso degli interessi sociali alla rappresentanza politica: questa era la soluzione adottata per risolvere il problema di come conciliare la tutela delle libertà civili (e della proprietà privata, che di esse è il paradigma[19]) con l’affermazione dell’eguaglianza formale dei cittadini[20] – principio, quest’ultimo, che porta con sé l’ovvia aspettativa della massima estensione del suffragio e dei diritti politici[21]. Il suffragio universale avrebbe però aperto le porte del Parlamento alla “moltitudine” dei diseredati, e quindi al conflitto sociale e alla contestazione dell’ordine economico[22]. Facile immaginarsi come ciò si sarebbe riflesso sulla tutela delle libertà. Proiettata sul piano dei diritti politici, la forza espansiva dell’eguaglianza e del suffragio universale “c’est un pur instrument de démolition”, aveva ammonito Guizot[23]; il suffragio universale avrebbe spianato la strada alla “legge dei numeri”, sovvertendo l’ordine sociale ed economico che privilegiava l’élite: “je le ragade comme la ruine del la démocratie et de la liberté.”
    La “flessibilità” della costituzione è infatti parte integrante della perimetrazione del giardino: “l’ordine e la libertà” potevano essere difesi solo in un sistema in cui le garanzie costituzionali non operassero se non attraverso la mediazione di istituzioni fortemente censitarie, ossia attraverso un parlamento da cui fossero esclusi tutti coloro che “l’indigenza mantiene in uno stato di eterna dipendenza e condanna al lavoro giornaliero” e che, se ammessi al voto, sarebbero tentati di conquistare il riscatto economico non attraverso il lavoro, ma per la scorciatoia dello Stato e delle sue leggi[25]; è la legge del parlamento che definisce il se e il quanto della garanzia accordata ai diritti e alle libertà, fermo restando che l’ordine sociale va comunque difeso, anche a discapito della protezione delle libertà e dei diritti, attraverso lo stato di assedio. Come ancora Guizot osservava, lo stato d’assedio non è affatto, in quel sistema, una “legge d’eccezione”, ma “diritto comune” del paese, che dev’essere costantemente applicato ad un certo numero di casi determinati[26]. È in questo clima che Donoso Cortés affermava (nel suo celebre Discorso sopra la dittatura) che “quando la legalità basta per salvare la società, sia la legalità; quando non basta, sia la dittatura. ... la dittatura, in certe circostanze, in circostanze come la presente, è un governo legittimo, buono, utile come qualsiasi altro, è un governo razionale, che può essere difeso in teoria come in pratica”. Le vicende europee del Novecento hanno puntualmente mostrato come lo “stato d’eccezione” sia potuto diventare la regola[27]."

    RispondiElimina
  2. Infatti i liberali che appoggiarono il fascismo lo fecero proprio pensando di "costituzionalizzarlo", cioè di normalizzarlo una volta esaurita la sua funzione nell'ambito dello stato d'eccezione. All'epoca certo questo si poteva dire apertamente, senza bisogno di contorsionistiche doppie verità, così come si poteva rivendicare apertamente il controllo "aristocratico" dell'opinione pubblica.

    Cito ancora: "In epoca liberale si poteva tranquillamente scrivere, come faceva Bagehot[29], che “le classi lavoratrici non contribuiscono quasi per niente alla formazione dell’opinione pubblica”, per cui i lavoratori “sono esclusi dalla rappresentanza ed anche da ciò che è rappresentato”; perciò - Bryce aggiungeva – l’opinione pubblica “è un contrappeso alla strapotenza del numero… Alle urne un voto vale l’altro, l’ignorante e l’irriflessivo contando come il ben informato ed il saggio. Invece nella formazione dell’opinione pubblica, dicono la loro parola cultura e pensiero”[30]. Insomma, l’idea di costituzione “flessibile” non nasce “immacolata” dalle particolarità testuali di certe carte costituzionali, né si risolve in un rapporto autoreferenziale tra fonti, né si confonde con il “mito” della sovranità parlamentare: essa è insolubilmente legata ad un certo modo, drasticamente restrittivo[31], di concepire la rappresentanza e la “capacità politica”[32]; è la forma istituzionale di un’ideologia che esclude dal “campo costituzionale” il conflitto sociale, restringe il novero dei diritti e delle libertà che godono della garanzie costituzionali, l’effettività delle quali è comunque condizionata al bene primario del mantenimento dell’ordine sociale. In una tale visione monodimensionale dei “valori” costituzionali, la supremazia gerarchica della costituzione rispetto alla legge votata dall’assemblea parlamentare non sarebbe neppure concepibile."

    RispondiElimina
    Risposte
    1. L'avevo preannunziato all'inizio di questo post che la questione che avrei sollevato era strettamente connessa con la "madre di tutte le questioni"...
      E in un certo senso hai dato delle risposte anticipate (facendo delle connessioni che magari a te paiono naturali ma che bisognerà pur rendere chiare in modo "divulgativo" :-).

      Ora dovremo riordinare i concetti per comporli nell'unico filo conduttore.

      Senza poi scordare che siamo inseguiti dall'attualità, in cui i diritti di libertà e di garanzia (presupposto) stanno già dando segni inquietanti di cedimento
      http://www.dagospia.com/rubrica-2/media_e_tv/giu-mani-telekabul-bianca-rossa-proto-renziano-vianello-109673.htm

      Oggi tocca a X, domani tocca pure a Y, visto che la flessibilizzazione dell'intera fonte costituzionale diviene necessariamente un super-principio e un conseguente "riflesso" simmetrico (delle norme divenute attaccabili).

      Elimina
  3. Credo che la madre di tutti gli "ottenebramenti" sia stata proprio la rivoluzione marginalista, che, in definitiva fornisce tutto l'armamentario tecnico-concettuale per paludare l'ordine reale implicito delle politiche neoliberiste.

    Ovvero: da un generico richiamo all'importanza del libero mercato come motore di indipendenza dall'oscurantismo nobiliare e clericale, e dagli interessi della classe mercantile che, sempre più, si finanziarizzava e svilippava strategie di politica economica sempre più dirette al controllo sovranazionale degli apparati statali, inizia una vera e propria svolta politico-culturale con la diffusione dell'economia neoclassica.

    Se è vero che a livello politico la vera contrapposizione della modernità è sempre stata tra istanze liberali e socialiste, a livello culturale - leggi "sovrastrutturale" -, come ricordava recentemente Cesaratto pubblicando un lavoro di Fabio Petri del '95, la contrapposizione è stata tra economia classica e neoclassica.

    Nonostante l'economia classica abbia - salvo le note e notevoli eccezioni - gravitato intorno all'etica liberale e affondato le proprie premesse morali - più che epistemologiche - negli interessi della classe "borghese", con il marginalismo e la distorsione (pseudo)positivista del dibattito e dell'insegnamento della teoria economica, l'economia viene a livello mainstream (e qui sta la "stranezza") trattata come una pseudo-scienza.

    La genialità di Walras, Jevons e del mitico Menger, è consistita proprio in tempo di Prima Internazionale, nel ribaltare consapevolmente l'elemento positivista presente nella teoria del valore come rielaborata da Marx, a fini opposti.

    La "consapevolezza", come fa notare Corey Robin riportando alcune dichiarazioni in merito dei padri del "marginalismo" in questo capolavoro di teoria politica ed analisi comparata, è proprio volta a fornire strumenti tecnico-concettuali che "ottenebrano", offuscano, l'obiettivo delle classi dominanti dell'epoca: fermare le rivendicazioni progressive dei socialisti.

    Perché quindi parlo di "pseudo-positivismo" e "pseudo-scienza": perché gli strati di astrazione che la matematizzazione aggiunge ad una scienza sociale - che non è una scienza dura - come l'economia, non sono una semplice distorsione positivista: sono la necessità storica di un gruppo sociale di paludare obiettivi politici reazionari e di restaurazione dietro una "coltre di techne". Proprio nella coscienza e nella lucida consapevolezza degli obiettivi di classe condivisi.

    Sarà Keynes a riportare la razionalità rileggendo la teoria classica, di fronte all'evidenza catastrofica del "taroccare le carte" per condurre a piacimento la cosa pubblica.

    La teoria neoclassica ha la "doppia verità" incorporata ab origine: una sbrodolata di positivismo ed empirismo che non ha niente di positivo né di empirico.

    E poi venne la Troika e l'austerità espansiva....

    RispondiElimina
  4. A proposito di differenza etica inconsistente tra fascista e liberale...

    Qualcuno mi spiega che diavolo dice la buon'anima? Croce ed Einaudi?

    (Come se il Calamandrei del 15 luglio '46 fosse lo stesso del '55 a Milano... quando si commuove nel citare il secondo comma del terzo Articolo e descrive il riformismo progessivo della Carta E l'esito socialmente rivoluzionario...)

    Ora capisco quell'altro genio di Travaglio....

    Ci ha pure lo stomaco di rinfacciare che gli "Italiani non sanno la storia": qualcuno mi spiega anche a che cavolo serve sapere la storia se non si hanno le risorse culturali minime per comprenderla? A fare il giornalista clown di regime? Il servo indipendente?

    Ecco perché si scagliò contro il giudice Palermo...

    Meglio i bimbominkia che sono stati nominati in Parlamento e a far da redattori nei giornali ai giorni nostri: almeno non c'è il rischio di scambiarli per intellettuali.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Il fenomeno della capacità di Calamandrei di cambiare idea e di dare atto delle argomentazioni su posizioni che inizialmente lo vedevano perplesso è in un certo senso straordinario; quantomeno nel panorama italiano.
      Ha, che mi venga in mente, un parallelo solo in Alvin Hansen che da autorevole "marshalliano" ammette la correttezza dell'analisi di Keynes e dà una svolta al New Deal...

      Normalmente, questo non capita: si parte da una visione, spesso nata da vicende psicologiche personali, e senza coltivare mai alcun dubbio, la si porta con sè dalla giovinezza (con impavida irrazionalità) fino alla tomba (essendosi risparmiato ogni contatto con i fatti scientificamente validabili).

      Statisticamente poi, chi si mette dalla parte del più forte, ha per di più l'occasione di avere successivamente ragione e di potersi rivendere come rivincita la propria sconfitta.
      Certo, sarebbe da vedere con chi si schiererebbe oggi, ma i suoi epigoni non lasciano spazio all'immaginazione.

      Statisticamente, i più forti vincono e, perciò, possono riscrivere la Storia.
      Cosa che Montanelli, che chissà perchè passa per una voce controcorrente (si "turava il naso" per..i più forti e un "pochino" liberisti pro-tempore), mentre era un comodo eroe autorazzista (quindi facilmente apprezzabile dai più), non si fece mancare...

      Elimina
    2. E "l'onnipotenza dei partiti" come principale problema italiano (dopo i disastri economici causati dalla oligarchia liberista e interventista!), cioè, in sè, lo slogan principe degli hayekiani, è la ragion pratica stessa dell'Einaudi che inneggia a fascismo mentre si consolida.

      Secondo Montanelli, dunque, la Costituzione antifascista doveva muovere i suoi passi, irrinunciabilmente, dai medesimi fondamenti della restaurazione liberista che contraddistinse il fascismo (!).
      Insomma, gli pareva giusto riscrivere all'infinito gli editoriali pro-Mussolini e anti-Stato brutto, sindacalizzato, clientelare e inefficiente, di Albertini e Einaudi nei primi anni '20.

      Mentre ignora che l'innesco effettivo dell'ascesa del nazismo sta nell'austerità di Bruning, cioè in un paradigma eteroimposto dall'autoritaria congrega dei vincitori anglosassoni della prima guerra mondiale; e non certo nella "onnipotenza dei partiti" nella repubblica di Weimar che, come dimostrano i fatti, non era di minimo ostacolo a ciò che svuotava la sovranità tedesca, accresceva il suol livello di disoccupazione (nella deflazione) e spianava la strada a Hitler.

      Ci sarebbe da sorridere per l'ingenuità di questi luoghi comuni montanelliani, se non fossero un paradigma dominante.
      Secondo il noto corollario di Peter (alla legge di Murphy, versione italica e autorazzista, ovviamente)....

      Elimina
    3. Quando leggevo l'insofferenza di Basso verso la mancanza di cultura della classe dirigente non capivo: "ma che si lamenta a fare? all'epoca parlavano anche l'italiano! Venisse a vedere che razza di scimpanzè guidano oggi l'Occidente!".

      Come ha detto Vladimiro all'ONU a tutti i capi di stato: "ma vi rendete conto di cosa state facendo?"

      No! Non lo sa nessuno e, a quanto pare, a parte qualche banchiere centrale che magari si incappuccia stile "Eyes wide shut", non lo ha mai saputo nessuno.

      Un giornalista che rimprovera gli italiani di non sapere la storia quando è lui a non saperla! Come se sapere a memoria un insieme di nomi ed eventi disposti sull'asse del tempo fosse "conoscere la storia".

      E l'intervistatore che cita Croce (Croce!) ed Einaudi tra i "principali padri costituenti"? Tutto normale per Indro?

      Credo che come fanno i film con effetti speciali gli americani non ci sia nessuno: trasformare catapecchie in ville, totalitarismi in democrazie, analfabeti in giornalisti è un miracolo d'arte "ricca".

      Non si può non notare lo stupore dei russi che, usciti dal distopico stalinismo, credendo di incontrare la "libertà e la democrazia", si sono visti in un batter di ciglio smontare il set cinematografico, e si son sentiti spingere verso l'anschluss per mano di mostri a cui Stalin fa fin tenerezza.

      Media e propaganda devono cortocicuitare: non è possibile che gli organi di informazione di massa possano distorcere in questo modo cultura, informazione ed archetipi.

      Elimina
    4. Ma in Italia non ci sono mai state alternative - e conseguente continuità- al ristretto gruppo che, per una volta, si riunì nella Costituente. MAI.
      Pensa che Elkan intervistatore è mediaticamente venduto come il massimo della pacata profondità di pensiero mediaticamente raggiungibile.
      E se vai sui quotidiani ti imbatti in...Zagrelbesky, come equivalente

      Elimina
  5. Potremmo dire che questa traiettoria ha come punto di arrivo lo "squilibrio" tra i poteri (a favore del potere esecutivo "elitario") e la flessibilizzazione della costituizione (ad escludendum "la gente povera") ? Questo avviene in atti (ad es la riforma del senato , il Jobs Act , le politiche di austerità) ed in omissioni (ad es la mancata nomina dei giudici della Corte Costituzionale) . Dice Danilo Paolini sull'Avvenire del 2 Ottobre 2015 : "Lasciare la Corte Costituzionale incompleta così a lungo nella sua componente nominata dal Parlamento, organo elettivo che rappresenta la sovranità del popolo, significa negare agli italiani un frammento importante, e dovuto, di garanzia. La Costituzione si può anche cambiare, ma prima di tutto si deve rispettare." Come evidenziato nel post , l'informazione è cruciale e la gestione dell'opinione pubblica è fondamentale soprattutto in ottica di "doppia verità". Ma perchè il giornale dei Vescovi Italiani riporta queste notizie? Io sono confuso.

    RispondiElimina
  6. Discorso che "intriga". Ovviamente quelle che abbozzo sono opinioni personalissime che espongo alla critica altrui proprio per comprendere meglio la (triste) realtà che mi circonda.

    In regime di costituzione "flessibile" è vero che ci fu l'avvento del fascismo ma, se non ricordo male, era anche maturata -precedentemente alla I guerra mondiale- una democrazia parlamentare che aveva saputo opporsi (anche perché in Parlamento c'erano i Socialisti con la "S" maiuscola), alla reazione Umbertina e Crispina della fine del XIX secolo e che aveva rispedito al mittente le "leggi liberticide" di Pelloux. Non sempre la flessibilità ha favorito le involuzioni. Nel caso italiano, favorì perfino una "evoluzione" (verso la democrazia parlamentare).
    Comunque: se pensavamo che bastasse affidarsi alla rigidità costituzionale per considerare acquisiti e tutelati certi diritti, ebbene: dobbiamo ricrederci. Da sola, la rigidità non basta;è condizione forse necessaria, ma non sufficiente. Per tutelare l'essenza della costituzione materiale di "repubblica democratica fondata sul lavoro", serve anche una coscienza civile e politica che la faccia propria.

    Se andiamo a ripercorrere gli ultimi 30 anni, par di vedere che, parallelamente al cambiare delle leggi e delle norme scritte, si è assistito ad un lavorio incessante per propagandare una "vulgata" di pensiero volta alla creazione di una nuova "coscienza", che ha preceduto il cambiamento normativo. Per tutti gli anni '80 e '90 l'ordinamento costituzionale rimaneva sostanzialmente intatto, ma i concetti dello stato come fonte di corruzione per antonomasia, dell'inefficienza di principio della spesa pubblica, del "destra e sinistra tanto non esistono più" e della necessità di "riformare" la Costituzione ormai "vecchia" erano ripetuti costantemente all'opinione pubblica già da allora.
    Neutralizzata la coscienza civile, anzi, addirittura creando una opposta, tutto il resto, si potrebbe dire, viene da sè: in quanti si sono scandalizzati, ad es.,di un pareggio di bilancio inserito in costituzione con un voto praticamente bulgaro? Chi ha lanciato l'allarme sulla compatibilità del principio con la costituzione materiale definita dagli artt. 1 e 139? Nessuno. Perché? Perché "andava fatto", perché "il debito pubblico", perché "la corruzione", e così via. La società civile e la politica erano completamente intrise di questi concetti.
    Ancora:quando Craxi abusò della decretazione d'urgenza, nella politica e nella società civile vi fu una reazione. E la stessa Corte Cost. enunciò una sentenza che limitava il ricorso a quell'istituto. In quanti, oggi, si scandalizzano dell'uso e abuso del decreto-legge e della riduzione del Parlamento a ratificatore della volontà governativa? Nessuno.

    Il discorso sicuramente è complesso. Anche l'adesione a-critica a tutto ciò che aveva l'etichetta di "europeo", senza nessun dibattito ed esame di merito, ha avuto il suo ruolo, accanto a quello di una "corruzione morale" dell'informazione ormai conclamata. Certo è che, a fronte di una costituzione materiale ormai liberista nel midollo e di una coscienza civile che si accontenta della "giusta distribuzione della miseria", c'è poco da fare: il percorso è tracciato e penso che ormai qualcosa cambierà soltanto quando, come a metà del XIX secolo, i poveri cominciarono a guardarsi negli occhi e a domandarsi "perché?".

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Non solo i poveri: ma pure i grandemente impoveriti (se esisterà ancora una generazione di babyboomers al tempo della crisi del paradigma ordoliberista).
      Le tue analisi sono pertinenti anche al nuovo post (già "promesso" e appena pubblicato) a cui, naturalmente, ti rinvio...

      Elimina
    2. @Lorenzo: sono osservazioni interessanti. Convengo che una costituzione flessibile liberale, pur con tutti i limiti che si son detti, è certo più aperta a un'evoluzione democratica di altri possibili regimi. Non è un caso però che questa democratizzazione venisse percepita come "crisi", anche e prima di tutto (anche se ovviamente non solo) dalla pubblicistica giuridica liberale di epoca giolittiana, quando si inaugura il fortunato filone della "crisi dello Stato". Scriveva ad esempio Orlando nel 1910: "Individui e collettività premono, spingono, urgono"; individui follemente ribelli "collettività che pur di conseguire un proprio interesse, non esitano a ferire a morte quelle che sono condizioni essenziali per la salute e la vita dello Stato". (Sul concetto di Stato, in Pietro Costa, Lo Stato immaginario. Milano, Giuffrè, 1986, pag. 183). Un fenomeno da ricondursi "alla conversione" dello Stato "da struttura semplicissima a struttura complessa per il peso progressivo di forze sociali prima conculcate o, comunque, ignorate" (P. Grossi, Scienza giuridica italiana, Milano, Giuffrè, 2000, pag. 149).
      Detto en passant, è difficile, a mio modo di vedere, non considerare appartenente a questo medesimo filone l'analisi di Huntington e soci per conto della Trilateral, che teorizzavano l'esistenza di un "sovraccarico" di domande sociali che avrebbero pesato sulle democrazie occidentali negli anni '70 (ahi, che anni terribili!;-)), provocandone appunto una "crisi". Si tratta di un punto di vista che cova, quando non esplicitamente teorizza, propositi autoritari.

      Naturalmente, sono d'accordo sulla questione delle rigidità: come dice pure Bin, "anche le ricerche più agguerrite" in tema di rigidità costituzionale arrivano alla conclusione che "quale sia l’autorità che una costituzione riesce ad esprimere dipende, in ultima analisi, dal credito che le riconosce l’opinione pubblica" (vd. la nota 28 per le relative indicazioni bibliografiche).

      Elimina
  7. C'è una singolarità interessante a proposito di personaggi dotati di un qualche tipo di visibilità (economica, politica, culturale, scientifica) che intervengono nel dibattito pubblico (anche se confinato occasionalmente in nicchie informative)
    Mi riferisco in particolare a B. Croce che prima si mostrò favorevole al fascismo per poi ripudiarlo e fu sempre benevolmente tollerato dal regime, partecipò anche a "manifesti " assai critici.
    Un altro è Zingales col suo "progetto criminale" prima e un sostanziale appoggio poi, seguito ora da valutazioni più critiche. E senza dire del suo manifesto.
    È chiaro che sono solo esempi (non me ne voglia croce, non si gonfi troppo zingy)
    Ma la domanda è : in quanti possono ora come allora seguire queste esternazioni.
    Credo di poter dire che solo chi si trovava per qualche motivo nelle sezioni del PCI aveva la possibilità concreta di farsi una idea chiara (se nel 1978 aveva seguito la vicenda SME sui documenti cola disponibili).
    È stato come per il Vajont : la bravissima Merlin scriveva i pezzi ma a Longarone leggevano un altro giornale. Domanda :quanti compagni si saranno salvati?

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Anche in questo caso, mi auguro di aver dato qualche risposta nel nuovo post "funditus" (che è poi l'inizio dell'approfondimento...)

      Elimina