martedì 12 aprile 2016

GIANROBERTO CASALEGGIO E LA DOMANDA DI UNA "NUOVA" DEMOCRAZIA: IL RETAGGIO DI DUE INTERROGATIVI

http://image.slidesharecdn.com/sociologiadeimedia-presentazione-120222070518-phpapp01/95/sociologia-dei-media-presentazione-9-728.jpg?cb=1329894606

1. La figura di Gianroberto Casaleggio è stata enormemente importante nella vita politica italiana degli ultimi dieci anni.
Comunque la si voglia valutare, cosa che sarà lasciata a futuri giudizi storici e politologici, non si può non considerare che egli abbia tentato di dare una risposta alla domanda di democrazia che, per vari e diversi motivi (molto più complessi di quanto non consenta di cogliere l'analisi correntemente fattane dal sistema mediatico in ogni sua forma), si è levata da parte di una larga componente del popolo italiano.
E' perciò pienamente comprensibile e legittimo che il ricordo a caldo sia espresso citando queste sue parole, da parte di chi in lui aveva trovato queste risposte.


2. Senza però voler muovere alcuna critica nel merito, il venir meno di una figura così importante e trainante, pone obiettivamente due interrogativi che, comunque, dovranno trovare risposta nei prossimi mesi. 
Li formulerò in modo generale e strettamente attinente al ricordo-epitaffio sopra riportato:
a) L'art.49 della Cost. recita: 
"Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale". 
Il grande problema che si pone tutt'ora, anzi oggi più che mai (proprio per l'ordine di problemi che vedremo esposti con il secondo quesito) è come sia concretamente realizzabile la "condizione" costituzionale, posta con la chiara indicazione del "metodo democratico" di formazione della volontà dell'associazione-partito
E' altresì noto che il costituzionalismo si è interrogato, e ancora adesso si interroga, se tale clausola della democrazia interna ai partiti, dovesse implicare l'intervento di una legge che ne stabilisse le forme e le modalità essenziali, in conformità al complesso dei valori della Costituzione.
ADDENDUM: Qualunque soluzione si debba dare a questo problema, essa passa per la comprensione degli stessi valori costituzionali: il che presuppone di conoscerli e condividerli. 
"Metodo democratico" non è qualsiasi sistema in cui "si voti": la democrazia costituzionale vive, anzitutto, nel suo fondamento lavoristico e nel principio della eguaglianza sostanziale, cioè nell'obbligo ricadente sulle istituzioni di rappresentanza politica di dover intervenire a rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono a tutti i lavoratori la piena partecipazione all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

b) il secondo interrogativo riguarda l'affermazione relativa alla verità-affidabilità dell'informazione realizzabile attraverso la rete, posta in alternativa radicale ai media tradizionali, cioè a giornali e televisione.
Su tale secondo interrogativo mi limiterò a riportare i punti essenziali del dibattito che, in scienza della comunicazione e sul piano istituzionale, rimane fortemente aperto sul tema della natura "informativa" della rete:
b.1. Primo punto: il sistema complessivo dell'informazione si compone ormai anche della comunicazione generata della rete e, giocoforza, non sfugge al problema pregiudiziale dell'importanza del controllo mediatico come regolatore degli effettivi assetti di potere.
b.2. Secondo punto: quanto è realistico ritenere che, proprio per l'importanza enorme annessa dai poteri dell'ordine sovranazionale del mercato al controllo di "tutti i mezzi", la rete possa essere il luogo della "vera e buona" informazione?

http://it.manuelcappello.com/wp-content/uploads/2012/03/habermas-potere-comunicativo-IMG_4868.jpg 

3. Sul primo punto (rete e controllo mediatico dei poteri economici dominanti).
Questo aspetto, come sappiamo, è una delle colonne portanti del paradigma di potere neo-liberista.
Per quanto più volte citato, non è mai sufficiente ripetere questo concetto hayekiano:
«Il controllo economico non è il semplice controllo di un settore della vita umana che possa essere separato dal resto; è il controllo dei mezzi per tutti i nostri fini. E chiunque abbia il controllo dei mezzi deve anche determinare quali fini debbano essere alimentati, quali valori vadano stimati […] in breve, ciò che gli uomini debbano credere e ciò per cui debbano affannarsi».
(F. von Hayek da "Verso la schiavitù", 1944).
3.1. Il corollario applicativo di questo principio è il seguente:

"L'autonomia (dell'opinione pubblica dal governo, in quanto espressione della "tirannica" maggioranza, ndr.) che intende difendere Hayek non va intesa come un spazio "processuale" democratico nell'ambito del quale possono essere elaborate le più diverse soluzioni e proposte politiche. 
Tale autonomia risulta meritevole di difesa solo in quanto il nostro ritiene che certi gruppi, che naturalmente si premura di individuare lui, siano depositari di una propensione al mantenimento dell'ordine spontaneo fondato su regole di pura condotta: una sorta di Volksgeist liberista, che dev'essere preservato dall'influenza culturale "costruttivista" (cioè dai processi normativi e di intervento pubblico, oggi, basati sulle Costituzioni democratiche, ndr.).
Ripeto però che questo comporta una nettissima clausola limitativa, in quanto l'ordine del mercato non può essere né progettato né discusso razionalmente, perché è esso stesso a produrre la ragione, salvo che questa decida "abusivamente" di allontanarsene. 
Ovvero l'autonomia di cui parla Hayek rappresenta semplicemente l'insieme delle strategie sociali e politiche (la famosa "demarchia") con cui intende portare avanti la sua agenda politica."
3.2. Quanto appena esposto sull'assetto di "potere dei mercati" in forma di controllo mediatizzato, va necessariamente combinato con  l'impossibilità di ignorare che la gran parte del potere sovrano è, in Italia come nel resto dell'eurozona, attualmente detenuto da un'organizzazione sovranazionale a orientamento "mercatista" come l'UE-UEM. 
Alla luce di tale realtà politica e istituzionale, oggi, il problema della democrazia diretta, in astratto realizzabile attraverso la rete, si pone in questi termini:
"...parlare di democrazia diretta in questa condizione di ridislocazione della sovranità, divenuta "processo" e fatto compiuti, è evidentemente un pura illusione.
Il popolo, nella sua interezza di corpo elettorale, si dovrebbe infatti esprimere su ogni possibile decisione di rilevanza generale, ma: a) le decisioni fondamentali sull'indirizzo politico generale, sono già contenute nei trattati; b) ogni altro fatto sopravvenuto, di carattere "essenziale", che possa manifestarsi per attualizzare l'esigenza di decisioni fondamentali, è regolato dal potere di eccezione, sempre dislocato all'interno delle forze (economico-finanziarie) che hanno instaurato l'ordine giuridico voluto da tali trattati (per lo più, come oggi, economici e, precisamente, volti a instaurare un libero scambismo internazionalizzato al massimo grado).
Cosa potrebbe decidere il corpo elettorale, nel suo continuo e defatigatorio consultarsi, se ogni decisione realmente essenziale sull'interesse pubblico è già assorbita in tale meccanismo dell'ordine sovranazionale dei mercati?"

4. Sul secondo punto (verità e credibilità dell'informazione sul web).
Un potere che predica di voler controllare tutti i fini e tutti i settori della vita sociale, per l'affermazione del "controllo economico" (oligarchico), e che dunque si pone, con successo, quale monopolista sia della tecnologia che dell'informazione, organizza naturalmente la totalità della comunicazione con ogni mezzo disponibile:

"Il sistema, è ormai cosa nota, gestisce l’informazione ma anche, in modi indiretti e spesso occultati, la stessa contro-informazione: per cui, il prodotto che giunge al cittadino medio è la disinformazione, cioè la famosa “verità ufficiale”, più efficacemente divulgata se contenente, al suo interno, un'apparente dialettica di versioni "opposte", provenienti però dalla stessa indistinta "fonte di divulgazione". 
...Il luogo comune che ha sempre accompagnato la nascita e la diffusione di Internet come canale di diffusione e propagazione dell’informazione è la sua intrinseca capacità di garantire una maggiore libertà di espressione. Web, blog, twitter, i contenuti viaggiano senza che nessuno possa realmente impedire che le voci vengano censurate.
Ma la verità è che Internet diventa un grande normalizzatore di stili di vita ed è il più grande strumento per colonizzare il pensiero di una moltitudine di persone che risiedono nei luoghi più diversi del pianeta.
Internet diviene infatti il "luogo" di legittimazione di una nuova "ufficialità", solo in apparenza estranea ai sistemi di formazione del dato-notizia propri dei media tradizionali. In ogni momento di discontinuità tecnologica che ha accompagnato l’evoluzione dei media si è sempre determinato un ordine di potere economico più ampio del precedente.
I padroni dell’industria mediatica sono oggi dei colossi che un tempo nessuno immaginava potessero esistere. Se da una parte i costi di accesso a internet rendono possibile a singoli e piccoli gruppi di portare la propria voce sulla rete è altresì vero che i capitali che possono garantire l’esercizio di un vero impero mediatico sono alla portata di pochissimi gruppi i quali tendono ad avere interessi plurimi in quella che è oggi diventata la comunicazione convergente video-dati-voce, declinata attraverso il controllo di più media, Internet-TV-Giornali.
In buona sostanza, significa essere nella possibilità di immettere sul mercato risorse di un ordine di grandezza tale da mettere a rischio l’esercizio di una libera informazione in quanto condiziona le dinamiche degli investimenti pubblicitari, fonte primaria di sostenibilità del giornalismo.
E nell’era dell’informazione su internet, il fattore egemonico diventa la tecnologia. Di fatto lo è sempre stata, ma oggi, rispettando la logica che ha finora ha mosso l’industria dell’informazione, lo diventa in modo ancor più evidente.
Piattaforme di distribuzione, infrastrutture di comunicazione sono gli elementi attraverso cui si esercita il nuovo oligopolio dell’industria mediatica. La disponibilità di capitali diventa prioritaria...
...E il rischio, o l’inevitabile conseguenza con cui dovremmo convivere e misurarci, è quello di una omologazione sempre più forte dei messaggi, in una cornice di novità e di contrapposizione al passato, abilmente ostentate ma che, in realtà, sono esclusivamente tese a evolvere, con maggior efficacia, il sistema di potere teso all'orientamento dei comportamenti della massa dei fruitori-consumatori della notizia e, in definitiva, del tipo di "prodotto" che essa inevitabilmente sottende.
5. Con questi problemi - democraticità effettiva dei partiti secondo il dettato costituzionale ed effettiva natura dell'informazione/comunicazione originate dalla rete-, il futuro politico italiano dovrà ora necessariamente confrontarsi: è questo, in fondo, il retaggio che ci lascia la figura di Gianroberto Casaleggio e il banco di prova della sua aspirazione al rinnovarsi della democrazia.

26 commenti:

  1. Oggi è una giornata sicuramente densa di avvenimenti. Ottimo il post. Concordo pienamente con la conclusione di cui al punto 5 sul banco di prova cui per il rinnovo della democrazia.
    Si tratta di argomenti molto delicati. L'assemblea costituente aveva rigettato -se non erro, andando a rileggere i miei testi polverosi della incompleta università- le proposte volte ad un riconoscimento giuridico dei partiti e qualsiasi forma di controllo interno. La ratio è facilmente intuibile: una disciplina legislativa in tal senso rischia di prestarsi ad un uso strumentale da parte della maggioranza "pro tempore". Certo, di fatto i criteri indicati dall'art.49 cost. rimangono affidati all'autodisciplina dei partiti stessi, non sempre sensibile sul punto.
    La natura dell'informazione e comunicazione della rete pone, per altro verso, lo stesso dilemma. In che misura -e se del caso- intervenire? Problematica che si estende alla stessa informazione in generale.

    Quello che io mi domando, tuttavia, è quanto la politica odierna sia realmente in grado di comprendere la profondità di queste problematiche.
    "Quando si parla di costituzione, i banchi del governo dovrebbero essere vuoti", ammoniva Camalandrei. Ebbene: oggi è stata approvata un'involuzione della forma di governo tra le peggiori che la storia d'Italia conosca e ad essere vuoti non erano i banchi del governo, ma quelli delle forze politiche di opposizione. Se questo è il contesto, è praticamente impossibile che la politica attuale possa approfondire certe tematiche con la necessaria ponderatezza........

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    1. E in più ti citano costantemente Calamandrei estrapolandone una frase che non intendeva affatto contestatre il modello prescelto in Costituente
      http://tv.ilfattoquotidiano.it/2016/03/10/riforme-i-timori-della-boschi-referendum-attivarsi-per-il-si-fronte-del-no-e-autorevole/492012/
      http://www.huffingtonpost.it/2015/09/22/grasso-gelo-con-renzi-senato_n_8178150.html

      Chissà se citeranno anche questo:
      "Auguriamoci che mentre la Costituzione repubblicana attende ancora il suo compimento, la firma di questo patto atlantico non sia il primo colpo di piccone dato per smantellarla"
      O questo:
      "Per far funzionare un Parlamento, bisogna essere in due, una maggioranza e una opposizione. [...]
      La maggioranza, affinché il parlamento funzioni a dovere, bisogna che sia una libera intesa di uomini pensanti, tenuti insieme da ragionate convinzioni, non solo tolleranti, ma desiderosi della discussione e pronti a rifare alla fine di ogni giorno il loro esame di coscienza, per verificare se le ragioni sulle quali fino a ieri si son trovati d'accordo continuino a resistere di fronte alle confutazioni degli oppositori. Se la maggioranza si crede infallibile solo perché ha per sé l'argomento schiacciante del numero e pensa che basti l'aritmetica a darle il diritto di seppellire l'opposizione sotto la pietra tombale del voto con accompagnamento funebre di ululati, questa non è più una maggioranza parlamentare, ma si avvia a diventare una pia congregazione, se non addirittura una società corale, del tipo di quella che durante il fatidico ventennio dava i suoi concerti nell'aula di Montecitorio".
      O..
      "È stato detto che la vera Costituzione è la maggioranza: se la maggioranza non vuol rispettare la Costituzione, vuol dire che la Costituzione non c'è più.
      Ma proprio per non sentir ripetere questo discorso, che era di moda sotto il fascismo, la Costituzione aveva predisposto al disopra della maggioranza organi indipendenti di garanzia costituzionale, destinati a proteggere la Costituzione contro la stessa maggioranza".

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    2. Chissà quali reazioni "enzimatiche" potrebbero essere catalizzate dalla lettura de "Il principe senza scettro" di Lelio Basso.

      Sit tibi terra levis ...

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    3. Scherzi? Sarebbe necessario un revival di esorcisti da parte dello stesso Vaticano, (in ottica mondialista)

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    4. Più che nuovi esorcisti, sono da decenni irrorati "agenti denaturanti" delle proteine prodotte, e, ahimè, tutto questo zia T.I.N.A. non lo sa

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    5. e comunque, di fianco al Prometeo che ruba agli "dei" nasce Atlante che sorregge la volta dei "mondi" ..

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    6. Ma rammentiamo anche la grandiosa fonte della vita
      https://www.youtube.com/watch?v=dWVtwjPcAdY
      https://www.youtube.com/watch?v=GvKuq7Nc3sg
      Prima che il globo ci schiacci (sotto le macerie dell'art.47 Cost.)

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    7. estinti - o fatti fuori - anche gli ultimi "froci da pisciatoio"

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  2. Avrei visto bene, nella nostra Costituzione la parola partiti ricorre una sola volta, il rimando ad una legge che, se non per regolare il funzionamento, servisse almeno a definirne la modalità con cui i partiti permettono l'accesso dei cittadini alla vita pubblica. Non fosse altro per impedire che i partiti potessero appropriarsi delle istituzioni (ciò che è poi avvenuto)

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  3. Perdonate l'uso abominevole del suffisso -ne (regolarne, definire)

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    1. Transeat (in questa sede).
      La tua osservazione è particolarmente appropriata nel merito: l'oggetto della tutela dell'art.49 è, con tutta evidenza duplice. Infatti, se definisce la funzione dei partiti garantondedone l'esistenza nei confronti dell'autorità statale (nel senso che non può impedirne la formazione ponendo regole restrittive dello spontaneo formarsi di aspirazioni organizzate di partecipazione democratica), al contempo li configura come strumentali rispetto alla partecipazione dei cittadini alla vita democratica.

      Dunque, l'interesse dei singoli cittadini di veder realizzata questa partecipazione, in forme effettive e non arbitrariamente lasciate all'auto-organizzazione dei "fondatori", giustificherebbe una legge che garantisse in concreto il "metodo democratico".

      Non si tratterebbe di un'interferenza autoritaria ma esattamente del suo opposto (come, in base agli effetti verificatisi nella storia politica del Paese, hai osservato): si avrebbe piuttosto un'applicazione necessaria dell'art.3, comma 2, della Costituzione, in una delle forme più dirette che si possano concepire.

      In pratica, avendo i partiti una funzione indiretta ma inevitabile di legiferare e governare-amministrare, solo la garanzia del "metodo democratico", può realizzare la costante corrispondenza tra attività parlamentare (e in generale istituzionale-rappresentativa), e volontà esprimibile dai cittadini con la loro attiva partecipazione.
      E' infatti proprio della Costituzione, come sosteneva Calamandrei, il formare un ordine superiore di valori non soggetto ai meri rapporti di forza elettorali e, dunque, all'arbitrio potenziale (ed effettivo) della "politica".

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  4. Al solito, lei scrive cose interessantissime, condivisibilissime, e tutti i possibili issimi ed errimi. Un'isola di felici e faconde letture.
    Da ignorante però le pongo qualche domanda, in parte anticipata nelle precedenti.
    1) Le sembra praticabile che il "sistema dei partiti" (non vorrà, spero, negare che si tratti di un sistema. Trasmigrazioni, fusioni e separazioni, nemici ed amici civetta, commedia della parti, gioco del buono e del cattivo, aggiunga lei) si possa efficacemente porre il problema di come riformare sé medesimo, trovando una quadra inclusiva ed includente le forze attualmente "spingenti" per entrare nella stanza dei bottoni? A tutt'oggi mi pare che il dibattito verta su come fare in modo che il M5S stia fuori dai piedi in eterno. E se il medesimo (parlo per esperienza) non può certo dirsi privo di difetti e si avvii anzi a forme di "normalizzazione" in parte inevitabili, è vero anche che a tutt'oggi rappresenta l'unico tentativo in corso di riprendere in qualche modo il filo del rapporto fra cittadino e istituzioni.
    2) Pur condividendo l'interessante disamina sull'effettività dell'"indipendenza della rete", le sembra di poter delineare una possibile e praticabile alternativa? Possiamo essere tutti d'accordo sul fatto che la "democrazia diretta", specie via web, sia di per sé inadatta a formare un pensiero politico complesso e competente, ma sembri piuttosto più adatta a coagulare il consenso (in forma più o meno plebiscitaria) intorno a un pensiero già preconfezionato sia in assenso che in dissenso; e tuttavia, mi permetta di farle notare la sostanziale mancanza di alternative praticabili. O pensa che le forme originarie del partito di massa, che nella "Prima Repubblica" avevano animato la vita democratica, siano proponibili e praticabili all'interno di un sistema mediatico così strutturato?
    3) Lei stesso, specie di "vox clamans in deserto" in relazione ai deprecabili rapporti tra il dettato costituzionale e le pratiche reali dell'esercizio del potere (Trattati UE, Art. 81 e via discorrendo) sperimenta il grado di solitudine dettato (oltre che dalla sua prosa complessa, mi perdoni; ma capisco e condivido la sua necessità di precisione) dai mantra e dai tabù che si sono via via accumulati nella nostra desertica (appunto) vita culturale e politica. Cosa suggerisce, che sia in grado di praticare un pertugio nello scafo ben corazzato di questo Titanic del neoliberismo? Alla fin fine, lei pure si deve a affidare all'unico mezzo che, per costi e potenzialità di diffusione, le consenta di PRATICARE un'alternativa. Senz'altro lei non sembra tipo da coltivare speranze di redenzione universale, e tuttavia...

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    1. Sono tutte domande che è naturale porsi, ma solo avendo già fatto delle scelte interpretative e di valore sui fatti (ed allora occorrebbe sempre verificare, sottoponendoli a una critica illimitata, gli antecedenti logici in base ai quali si sono operate queste scelte).

      Potrei rispondere nel merito, in realtà richiamando quanto già esposto, in numerose precedenti occasioni, su temi che consentirebbero di comprendere come tali domande, e le valutazioni che presuppongono, siano altamente controvertibili: e proprio sul piano della legalità costituzionale.

      Sulla non-neutralità della rete, rispetto alle dinamiche delle forze del mercato dominante, non credo che ci sia da aggiungere molto (rinvio all'intero post di cui in questo è inserita una citazione).

      Non scorgo però alcuna contraddizione nell'utilizzare a mia volta tale mezzo: ho più volte detto che, laddove un tale uso risultasse troppo "ingombrante", e cioè incompatibile con le dinamiche dominanti, esso sarebbe inevitabilmente impedito.

      Rimane il fatto che proporre degli interrogativi come quelli che scaturiscono dal post e - attenendosi al tema- cercare di dare delle risposte, E' GIA' UNA SOLUZIONE ALTERNATIVA.

      Ad esempio, una legge sui partiti conforme agli artt. 3, comma 2, e 48 comma 3, Cost., dovrebbe essere un obbligo implicito a carico delle istituzioni di indirizzo politico, la cui inadempienza dovrebbe essere sanzionata dalla Corte costituzionale.
      Come pure dovrebbe essere promossa una legge sui mezzi di informazione conforme all'art.21 Cost., cosa di cui abbiamo parlato più volte, illustrandone specifici contenuti (oggi praticamente fuori dalla comprensione della totalità delle forze politiche).

      Ma solo ponendosi le domande e cercando, previa comprensione della questione sostanziale di volontà dei Costituenti, le relative risposte, si può mutare il clima politico e porre la stessa Corte di fronte a un diverso orientamento da quello inerziale in cui oggi è bloccata (altro tema qui più volte toccato): come al solito è questione di priorità.

      Di sicuro la cultura diffusa per calibrare queste priorità è un elemento tanto essenziale quanto di ardua realizzazione.

      Ma, almeno, bisognerebbe imparare a distinguere la NON-CULTURA: non-cultura della democrazia costituzionale, della storia dell'affermarsi degli Stati pluriclasse fondati sulla tutela del lavoro, del modello economico keynesiano, normativamente vincolante proprio in base alla Costituzione...

      Solo così si potrà evitare di mettere le mani avanti dicendo di sè: "intervengo..."da ignorante", mostrando poi così tanta, in fondo disperata, certezza sulla "mancanza di alternative praticabili".

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    2. Non mi fraintenda, la prego. La mia personale ricerca verte più sulla praticabilità - ossia sull'avvio di una dinamica di positiva evoluzione, in un mondo comunque in mutazione - che sull'impossibilità, men che meno disperata. Se metto le mani avanti è perché per me la prospettiva e volontà dei costituenti la vengo a leggere la lei (trovandola ancora attuale) - di mio non ho scienza né tempo sufficiente, solo qualche nozione pratica di vita politica reale. Tuttavia, mi permetto di osservare come tale prospettiva non possa che valere come punto di partenza, giacché da un lato tutto è in moto e nulla scritto sulla pietra, e dall'altro esistano condizioni reali e date, in ogni momento, con le quali è comunque necessario venire a patti - spero mi perdoni la banalità.

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    3. Non è banalità: è solo la mancata focalizzazione delle ragioni della natura "rigida" della Costituzione scritta, del sistema di garanzia della cosiddetta gerarchia delle fonti e del senso della non revisionabilità illimitata (ma solo puntuale) della stessa, quale inteso dalla stessa Corte costituzionale.

      Comunque, negare in base ad una reclamata superiore comprensione pratica, che il punto di partenza possa essere il rispetto della legalità costituzionale, significa essere sconfitti in partenza.
      E significa rinunciare proprio a distinguere quella non-cultura, facendo di essa un feticcio "praticone" di una nuova scienza politica: l'accettazione della ridislocazione della sovranità al livello UE, sempre in grado di dichiarare lo stato di eccezione e mutare qualsiasi salvaguardia della democrazia nazionale.
      Sì: la Costituzione è scritta su una pietra, irrorata dal sangue e dalle sofferenze di 150 anni di lotte.
      Sta a noi decidere se picconarla o lasciarala picconare, non curandoci non tanto di quella stessa pietra, ma di ciò che vi è inciso sopra...

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    4. Evitando ogni potenziale polemica inutile - con strascichi di repliche e controrepliche che non sono consentiti e utili oltre un certo limite- preciso:
      - il ripristino della legalità costituzionale, una volta che si siano compresi la costituzionalizzazione del modello economico keynesiano e il concetto di sovranità in senso moderno, è un punto di arrivo.
      - certo, tendenziale, mai finale, come finale non può essere nulla nel dispiegarsi degli eventi storico-sociali.
      Nessuno ignora l'evoluzione in senso neo-liberista della situazione politica e del paradigma economico appunto "globali": se c'è un lugo in cui si sono analizzati il federalismo e il suo parente folle, il mondialismo, nei loro presupposti e conseguenze economiche e istituzionali, è proprio questo blog.

      Fare un po' di fatica a seguire tutto il materiale divulgato e il dibattito approfondito nei commenti, in fondo, non è un dovere: è un onere (cioè un peso che si assume nel proprio interesse, se lo si desidera).

      Quanto alle soluzioni politiche: in un mondo programmaticamente controllato dal sistema mediatico liberista, solo la conoscenza critica ha un certo grado di efficacia protettiva e attiva.

      Tutto il resto è fuori dalla sfera di "controllo", e dalla funzione culturale, di un blog di analisi economica del diritto pubblico.
      Non dimentichiamolo...

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  5. Dalla lettura degli atti della Costituente, come sappiamo, si evince che in sottocommissione (I^ S.C.) fu prospettato questo problema: cosa si dovesse intendere per “metodo democratico”, se se cioè l'espressione avesse valore esterno, riguardo alla competizione dei partiti da svolgersi con metodo democratico, o se invece il metodo democratico dovesse essere affermato ed esercitato anche nell'ambito della vita del partiti, considerato cioè come un principiò imprescindibile per la struttura interna di ogni partito politicoTogliatti e Marchesi si opposero a questo secondo criterio. Togliatti in particolare affermò: “Domani potrebbe svilupparsi un movimento nuovo, anarchico, per esempio. Io mi domando su quali basi si dovrebbe combatterlo. Sono del parere che bisognerebbe combatterlo sul terreno della competizione democratica, convincendo gli aderenti al movimento della falsità delle loro idee. Ora non si potrà negargli il diritto di esistere e di svilupparsi, solo perché rinunzia al metodo democratico” (I S.C., 403). In sostanza, come rilevò Ruggiero in discussione generale, secondo Togliatti “sarebbe leso quello che è il sacro principio dell'associazione da parte di tutti i cittadini, nel caso in cui venisse imposto il metodo democratico anche nell'interno dei partiti” (A.C., 4112). In sede di presentazione di emendamenti, Mortati si pose ovviamente il problema presentando il seguente emendamento “Tutti i cittadini hanno diritto di riunirsi liberamente in partiti che si uniformino al metodo democratico nell'organizzazione interna e nell'azione diretta alla determinazione della politica nazionale” (A. C, 4159), mentre Bellavista ne presentò un altro del seguente tenore “Le leggi della Repubblica vietano la costituzione di partiti che abbiano come mira la instaurazione della dittatura di un uomo, di una classe o di un gruppo sociale, o che organizzino formazioni militari o paramilitari” (A. C, pag. 4160). Né l’emendamento di Mortati né quello di Bellavista furono accolti. In pratica, sembrò eccessivo ai Costituenti interferire nell’organizzazione interna dei partiti; secondo il relatore Merlin, “Noi dobbiamo…limiatarci, la prima volta in cui veniamo a riconoscere l'esistenza giuridica del partito, soltanto a riconoscere che questo partito, all'esterno, con metodo democratico, concorra a determinare la politica nazionale; se chiedessimo di più potremmo andare incontro a pericoli maggiori di quelli che vogliamo evitare” (A. C, 4162-3). segue...

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  6. Non dovrebbero esservi dubbi che il valore delle parole “con metodo democratico” si intenda nel significato esterno e non già attinente al sistema di organizzazione interna dei partiti, anche se dal dibattito si capisce che i Costituenti sapevano che sarebbe potuto accadere quello che è successo con la degenerazione dei partiti (con l’amara disillusione anche di Lelio Basso), ovvero l’instaurarsi “della dittatura di un uomo, di una classe o di un gruppo sociale” (vogliamo chiamarla maggioranza?), come la cronaca di queste ultime settimane ci dimostra (riforma RAI in cui decide tutto l’amministratore delegato, in barba ai principi espressi dalla Corte Costituzionale, riforma della Costituzione ed altre riforme che purtroppo seguiranno). Credo che i Costituenti, nella loro enorme ed autentica sensibilità democratica, abbiano quindi voluto evitare un controllo dei partiti da parte dello Stato. Personalmente, ritengo che certi aspetti della vita democratica non possa essere sottoposta a disciplina legislativa, ma attenga inevitabilmente alle coscienze, alla cultura, all’etica ed alla sensibilità costituzionale dei singoli appartenenti all’associazione-partito. Calamandrei, in Appunti sul professionismo parlamentare del ’56, anch’egli disilluso come Basso, affermava “I partiti, da libere associazioni di volontari credenti, si sono trasformati in eserciti inquadrati da uno stato maggiore di ufficiali e sottufficiali in servizio attivo permanente: nei quali a poco a poco si intiepidice lo spirito dell’apostolo e si crea l’animo del subordinato, che aspira ad entrare nelle grazie del superiore. La elezione dipende dalla scelta dei candidati: la quale è fatta non dagli elettori, ma dai funzionari di partito. E i candidati, più che per meriti personali di specifica competenza professionale, sono scelti per le loro attitudini a diventare buoni funzionari del loro partito”. Il problema è come formare quelle coscienze ed io, con altrettanta sincerità, non ho soluzioni da suggerire se non quella di ripartire dalla scuola (la stessa auspicata da Calamandrei)

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    1. Conosco il dibattito, ma, in realtà, il senso "esterno" del metodo democratico non fu, a sua volta, esplicitato: cosa che ai tempi di un Legislatore particolarmente colto e dotato di chiarezza non sarebbe stata difficile.
      D'altra parte, il senso letterale e sintattico, depone per una rilevanza "interna": e aver lasciato le cose così ha certamente un senso sul piano ermeneutico (specialmente sistematico, non certo ignoto ai Costituenti).

      La conclusione che ne dobbiamo trarre è una certa neutralità sul punto, del dettato costituente: da ciò, l'implicita ma obiettivamente attribuibile, volontà di lasciare all'evoluzione storica il connotare di senso le parole dell'art.49 Cost., senza cristalizzarlo ad una preoccupazione che derivava dalla vicina memoria dell'atteggiamento del fascismo sull'associazionismo privato.
      Va considerato che l'impianto codicistico in materia associativa, a conferma della non adozione di una scelta univoca da parte dei Costituenti, rimane applicabile con tutto il clima compromissorio del tempo, primi anni '40, della sua formulazione: di ciò i Costituenti non potevano non essere consapevoli.

      Ergo la questione è più che mai aperta: lo stato di eccezione permanente aperto dall'irrompere del vincolo esterno dei trattati, e la corrispondente esigenza di una estrema difesa della democrazia costituzionale, attualizzano l'opportunità di riaprire la questione lasciata irrisolta dalla formulazione neutrale.

      Non di può pensare che si possa intervenire solo "a valle" del processo di partecipazione politica agendo sulla legge elettorale: tanto più che, come abbiamo visto, le pronunce della Corte in materia si sono rivelate troppo facilmente aggirabili.

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    2. Concordo pienamente con l'affermazione in base alla quale la legge non può arrivare ovunque: nell'attività umana c'è una parte quasi si potrebbe dire di proprietà della coscienza e della cultura, che rappresenta la premessa dell'operare e del vivere di qualsiasi istituzione. Ciò, peraltro, sollecita riflessioni di principio che vanno anche oltre la questione della disciplina interna dei pariiti politici.
      Secondo la mia personale opinione, lo abbiamo visto anche nella (triste) parabola vissuta dalla nostra Costituzione: tanto la rigidità, quanto, come diceva Camalandrei, la predisposizione "al disopra della maggioranza" di "organi indipendenti di garanzia costituzionale, destinati a proteggere la Costituzione contro la stessa maggioranza", non sono state sufficienti ad arginare quello che è stato -mi par di capire- un possente cambio di paradigma culturale. Cambio che, paradossalmente, ha operato in maniera quasi nascosta, neutralizzando (se non ho capito male) per via interpretativa le norme che rimanevano, a livello formale, immutate nella loro rigidità. Solo con la votazione bulgara del pareggio di bilancio in costituzione, si è finalmente (e troppo tardi) vista una breccia nella costituzione formale di una costituzione materiale ormai operante da almeno un ventennio.
      Forse che il giurista, troppo prigioniero delle categorie formali del normativismo, non abbia percepito il cambiamento di valore, con conseguente rinnegamento dei principi fondanti sottesi alle norme costituzuionali, limitandosi asetticamente ad assecondarlo? Certo è che mai come oggi assumono un peso le parole di Nicolò Lipari ("Norme di riconoscimento e teoria delle fonti in Alessandro Giuliani", in Rivista di Sociologia, 2010), quando affermava che "il valere del diritto come valore", va colto "nella sua irriducibilità alla mera esteriorità normativa".

      Ma questo principio, concordo, può essere pienamente compreso senza la creazione di solide basi culturali che partano, per davvero, dalla scuola. Almeno da quella secondaria. La comprensione "valere del diritto come valore", non può che partire da lì. Eppure, quanti di noi hanno davvero aperto il libro di educazione civica al liceo? Il diritto viene percepito come qualcosa di lontano, se non addirittura di odioso (quanti licei "di sinistra" sono imbevuti dell'etica del "vietato vietare"? E' la stessa (perversa) etica che non ti fa aprire e leggere il libri di educazione civica!).
      Ad esempio, tornando all'oggetto stretto della discussione, il "valore" e la piena comprensione della scelta di affidare al partito stesso la tutela della propria democraticità interna, sarebbe stata meglio compresa.....

      L'argomento della cultura di base fa emergere anche un'altra problematica. L'istruzione, così come si è evoluta, ha fallito. Se l'obiettivo era il diffondere lo spirito critico nelle masse, il fallimento è stato clamoroso, dato che per porsi almeno qualche domanda, di fronte alle mistificazioni dei nostri editorialisti, bastava, alla fine, una buona cultura di scuola superiore.
      L'istruzione sino ad ora ha prodotto masse scolarizzate, ma prive di cultura. Ed anche qui, il ruolo giocato dal corpo docente (e non approfondisco oltre), dovrà, immagino, essere oggetto, in futuro, di approfondita disamina.....

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    3. Emendamento a me stesso. Al secondo blocco, va letto "Ma questo principio, concordo, NON può essere pienamente compreso [...]".

      Ci si accorge sempre degli errori dopo aver premuto il tasto "send"....

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  7. Grazie per i preziosi chiarimenti, Presidente, e mi scuso per qualche errore del testo. Che non si possa intervenire agendo solo sulla legge elettorale(figlia legittima proprio di quel vincolo esterno) ne sono convinto anch'io, anche se un segnale in tal senso non avrebbe guastato. Ciò avrebbe però presupposto la comprensione della prima parte della Costituzione e non credo, ovviamente, che ciò sia lontanamente pensabile visti i risultati

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  8. C'è differenza tra il voto che si dà (ogni tanto con rituale democratico) al personaggio ,(,politico?) perché ha un profilo affidabile, simpatico e i likes con cui votiamo ossessivamente tutti i giorni i milioni di miliardi di profili su FB?
    La democrazia diretta (da altri) per come la vedo io è già qui e lotta insieme a noi. Ai nostri blog...

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  9. Ho sentito di sfuggita in TV che siamo di nuovo al bivacco di manipoli.
    Vi risulta davvero?

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  10. Sono sempre più del parere che la tecnologia è tanto indifferente al progresso sociale, quanto è fondamentale nell'aumentare esponenzialmente la leva nei rapporti di forza.

    Lo stesso determinismo storicista del prodotto più genuinamente marxiano, ha punti di contatto con quello delle figure esponenti della "reazione modernista".

    Si vede il "trend", si immaginano gli scenari futuri, e se ne deducono le conseguenza politiche, dando per scontato che nessun arbitrio umano - cioè socio-politico - possa mutare il corso storico a breve.

    Si dà per scontata da ambo le parti - almeno nel breve periodo - la vittoria politica del capitale sul lavoro, con buona pace della lotta di classe e della sua retroazione sul sistema economico.

    Il liberismo neomalthusiano semplicemente aggiunge la sua falsa doppia verità con una patina di ecologia, risorse scarse e altri quintali di falsa coscienza; ma il risultato è sempre lo stesso: la caduta tendenziale del saggio di profitto esclusivamente a carico di chi non controlla i mezzi di produzione industriale e culturale: la torta diminuisce ma la percentuale della fetta rimane inalterata, essendo il conflitto distributivo predeterminato.

    Per quanto il pensiero progressista più colto e profondo arrivi parzialmente ad alcune pessimistiche conclusioni del pensiero peggio reazionario, così, a primo acchito, direi che esiste anche un conservatore "di fatto"; ossia colui che non è capace di vedere un futuro diverso da quello che intuisce costituirsi dal presente, e opera - conformandosi - alla sua stessa realizzazione (self-fulfilling prophecy).

    Lo storicismo "determinista", invece, pare essere giustificabile solo dalla profonda sfiducia nel cambiare endogenamente la struttura sociale tramite la lotta politica, necessaria per l'autocoscienza e per - al limite - accellerare il processo.


    In questo contesto si può vedere in altra luce il blanquismo leninista.

    Poiché l'esperienza storica mette in luce la contraddizione tra rivoluzione strutturale, Paese che traina la globalizzazione del capitale e consumismo anestetizzante, è evidente che "la faglia di Sant'Andrea" è geopoliticamente collocata nella posizione giusta.

    La partita in Europa è tendenzialmente chiusa, ma solo in Europa paiono essere rimaste le ultime vestigia delle risorse culturali che necessita la coscienza democratica nella sua effettività.

    Il progressismo sociale scolpito nella pietra della nostra Costituzione indica, invece, una grande speranza armata di prassi, piuttosto che di buone intenzioni.

    Queste considerazioni sono fondamentali nel caso in cui si innescasse un terremoto al centro dell'impero - oppresso per motivi strutturali dalla sua stessa élite - e il processo di mondializzazione invertisse repentinamente il senso di marcia.

    Con più beneficio per tutti: poveri e ricchi.

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