giovedì 14 aprile 2016

L'EQUIVOCO LIBERISTA SU RODRIK: IL TRILEMMA VALE UN DILEMMA (MOLTO RUMORE PER POCO)


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E se lo dice lui...

Questo post di Bazaar inquadra e riprende una serie di tematiche che convergono per focalizzare alcune verità offuscate: la democrazia sostanziale (cioè il benessere e lo sviluppo collettivo) è semplicemente incompatibile col "governo dei mercati" e quello che ne rimane (la versione idraulica) è un elaborato filosofico, (il pop della complessità, come fosse...antani), che prescinde dai fatti e dissimula il potere di un'oligarchia. Questa, beffardamente e potendo contare impunemente sulla non percezione di fatti ed effetti da  parte della "massa", intende la tanto sbandierata "libertà" (dallo Statocattivo) come un simulacro apparentemente accessibile a tutti i "benpensanti" ma, in realtà, a crescente concentrazione in pochi. Che divengono poi pochissimi. Col consenso entusiasta dei molti...
Raccordiamo il post con l'espressa citazione di un precedente post di Bazaar:
"Date queste premesse, si propone che il totalitarismo non è altro che la fase assoluta a cui tende il sistema capitalistico liberale – senza freni e limiti – nel momento in cui viene mercificato e monopolisticamente prezzato qualsiasi oggetto sensibile, da qualsiasi risorsa naturale, all'uomo, dalle norme morali, ai sentimenti.
...Vediamo ad esempio C. Friedrich e Z. Brzeziński (1956) sul significato storico di totalitarismo, proponendo già alcuni spunti di riflessione tra parentesi quadre:

a) un'ideologia onnicomprensiva che promette la piena realizzazione dell'umanità; [tipo il “mondialismo”?]
b) un partito unico di massa, per lo più guidato da un capo, che controlla l'apparato statale e si sovrappone a esso;
[tipo il “PUDE”, il “PUO” o il partito unico liberale con a capo il Grande Fratello, ovvero il Mercato?]
c) un monopolio quasi totale degli strumenti della comunicazione di massa;
d) un monopolio quasi totale degli strumenti di coercizione e della violenza armata;
e) un terrore poliziesco esercitato attraverso la
costrizione sia fisica sia psicologica, che si abbatte arbitrariamente su intere classi e gruppi della popolazione;
f) una direzione centralizzata dell'economia.
[Possiamo chiamare anche questo “monopolio” di un mercato massimamente concentrato che pianifica produzione e fissa i prezzi?].
 
...Se appare “assurdo” e “delirante” è perché non sembra rispondere a nessun tipo di necessità razionale, ma alla volontà di rendere superflue intere categorie di persone che con la loro semplice presenza disturbano il compimento del progetto totalitario (ndQ: "intere categorie di persone", come le vedove cui sottrarre la pensione di riversibilità o i disoccupati da "sostituire" attraverso l'immigrazione illimitata").
NB: da non perdere la comparazione del modello costituzionale italiano con quelli degli altri principali Stati aderenti all'UE: ciò conferma che, abbattuta la vera sostanza della Costituzione italiana, l'internazionalismo dei mercati non troverebbe soverchi ostacoli di "legalità" alla sua affermazione totalitaria...

Introduzione:  liberismo e globalizzazione, al di là del bene e del male.

 « Gesù disse ai suoi Giudei: “La legge era fatta per i servi, amate Dio come io lo amo, come suo figlio! Che importa della morale a noi figli di Dio!”» “Al di là del bene e del male”, Friedrich Wilhelm Nietzsche
Il Trilemma di Rodrik è sicuramente un potente strumento concettuale che modellizza ciò che dovrebbe essere ovvio ad una persona istruita: ovvero che il diffuso benessere sociale che l'effettività della democrazia comporta, è in contrapposizione con la deregolamentazione del movimento dei capitali che il liberoscambismo impone.

Punto.

Non ci sarebbe nulla da aggiungere, oltre che invitare a studiare la storia dell'economia politica: il dogma del laissez-faire non è proprio né dei grandi economisti classici come Adam Smith né, tantomeno, di quelli un po' più “incolti” à la David Ricardo.

Il liberista così come lo conosciamo, è prodotto coscienziale di un marketing legittimamente promosso e  lautamente finanziato dalle grandi oligarchie protagoniste dello sviluppo del capitalismo finanziario. Diffonde quindi proseliti che esulano, perlopiù, dalla scienza economica e, quando ciò non si verifica, la Storia li riscontra al di fuori delle prestigiose sale convegni, rigorosamente nella forma di immani catastrofi sociali; queste fallacie previsionali – oltre ad essere propedeutiche a ristrutturazioni sociali efficacissime nei loro effetti malthusiani  – hanno l'utile risvolto di  screditare la professione economica nel suo insieme,  in modo che chiunque – dall'esperto di diritto internazionale della finanza, al prestinaio – possa esprimere la sua democratica opinione su ciò che, non avendo empiricamente i presupposti di scientificità, ha egual diritto di comparire nelle discussioni al bar, o di essere pubblicata nelle colonne di prestigiosi quotidiani economici.  

(Non a caso le argomentazioni sono più o meno similmente argute: con una certa maggior raffinatezza tra gli avventori del Bar dello sport, grazie alla miglior predisposizione alla statistica e all'aritmetica, abilità perfezionate tra un bianchino e una Quaterna, e tra un conto della Primiera e un altro bianchino).

Tutto ciò è razionale, in quanto i monopoli finanziari possono consolidare rendite, quote e potere di mercato.

Nel virile darwinismo globale tanto amato dai liberisti, “giusto” « è l'utile del più forte ». Il diritto internazionale non è altro che, quindi, assicurarsi che «a ognuno venga restituito il dovuto »: ossia «restituire il bene agli amici e il male ai nemici ».

Va da sé che per lo squalo della finanza – forte nel capitale – e per i moderati – forti nel numero –  lo Stato-nazione è Il Male.

Se un'economia di mercato è liberalizzata, è naturale che le divine forze della natura si sfoghino darwinisticamente, edificando un nuovo ordine etico e giuridico: in una società capitalistica, la logica propulsiva è quella del profitto e dell'accumulo, ed è legittimo che solo chi controlla una spropositata concentrazione economica possa comprare leggi, morale e – sputando per terra – creare l'uomo nuovo a propria immagine e somiglianza; pronto a servirlo e ad amarlo. Questo è con tutta evidenza il lavoro di Dio.

Il mercato della morale ha un nuovo soggetto in posizione dominante: il monopolio diventa monoteismo.


1 – La fioritura del liberalismo: modernità come reazione al progresso.


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« Una terribile moralità », Charles Baudelaire commenta il suo capolavoro, simbolo dell'art pour l’art, cioè del “liberalismo in letteratura[1].

Per quanto sia comprensibile che vivere come superuomini[2] – con “i dollari che scorrono a posto del sangue” – sia un'ebbrezza talmente appagante che non possa essere scambiata con nulla che valga la pena di essere – comparabilmente – vissuto, è altrettanto comprensibile che quella restante componente di ominidi – zerbini sottesi tra la bestia e l'uomo, pericolosamente sporti sull'abisso della rete fognaria – cerchi di organizzarsi per vivere in modo libero e dignitoso.

Nella realtà, come intuito dall'idealista di Stoccarda nell'analizzare la dialettica servo-signore, sarà più facile che il subalterno rinunci ai propri diritti, che il dominante rinunci ai propri privilegi: concetto ben rappresentato in via simbolica da Félicien Rops (1878):[3]

http://www.tigrazza.com/ladiesandgentlemen/wp-content/themes/benevolence/images/Felicien-Rops_Pornocrate.jpg 

Il signore è il servo del servo, e il servo è il signore del signore[4].
Insomma: sotto il loden niente.

Il sobrio rigore morale della tecnocrazia non è altro che la versione gesuitica della pornocrazia.
 
2 – Il dilemma del lemma nel Trilemma: breve patografia del senso democratico.

« Conviene che la riforma [costituzionale fascista] rispetti quanto è possibile le forme esistenti, rinnovando la sostanza. […] I modi sono infiniti, lo scopo è unico ed è di evadersi dalle ideologie democratiche della sovranità della maggioranza. A questa rimanga l’apparenza, ma vada la sostanza ad una élite, poiché è per il meglio oggettivamente. » Vilfredo Pareto

«Voi inorridite perché vogliamo abolire la proprietà privata. Ma nella vostra società attuale la proprietà privata è abolita per i nove decimi dei suoi membri; la proprietà privata esiste proprio per il fatto che per nove decimi non esiste. Dunque voi ci rimproverate di voler abolire una proprietà che presuppone come condizione necessaria la privazione della proprietà dell'enorme maggioranza della società.  In una parola, voi ci rimproverate di volere abolire la vostra proprietà.
Certo, questo vogliamo.» Carlo Marx
«È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese » Lelio Basso
A fare brillantemente il re nudo – che Dio ce ne scampi! – con uno di quegli schemini che piacciono tanto ai microliberisti american-style, è stato l'economista di Harvard Dani Rodrik.

Già Amartya Sen, sulla falsa riga del “teorema dell'impossibilità di Arrow”, aveva già dimostrato matematicamente come non fosse possibile realizzare nemmeno teoricamente il dogma del liberalismo classico, che postula indissolubilmente efficienza paretiana del mercato e rispetto delle libertà individuali. 
Sen dimostra che nessun sistema sociale può contemporaneamente:

1 – essere votato ad un senso minimo di libertà;

2 – rispettare l'efficienza allocativa così come formulata da Vilfredo Pareto;

3 – essere in grado di funzionare in qualsiasi società.

Era perciò matematico che un processo di mondializzazione strutturato sul dogma dell'efficienza allocativa liberista si traducesse nella barbarie della macelleria sociale e dell'inciviltà. D'altronde così è sempre stato.

Il Paradosso di Sen, chiamato anche Liberal paradox, è un “paradosso” solo per colui che non conosce la storia: in definitiva non fa altro che, usando gli strumenti dell'economia neoclassica stessa, utilizzare “raffinate” dimostrazioni matematiche per evidenziare che la “libertà” per i liberali classici è sempre – e solo – quella del mercato. La propria. 
Ovvero la struttura che viene imposta con il libero mercato non implica affatto sovrastrutture politiche e giuridiche che possano minimamente essere funzionali a tutelare la libertà dell'individuo. Soprattutto se questi non nasce già schifosamente ricco o non ha come obiettivo totalizzante della propria esistenza fare soldi a palate.

Grazie Amartya, ma lo aveva già detto Carletto Marx quasi due secoli fa, scritto su un best seller:
« [...] l'operaio vive solo allo scopo di accrescere il capitale, e vive solo quel tanto che esige l'interesse della classe dominante. […]
Nella società borghese il capitale è indipendente e personale, mentre l'individuo operante è dipendente e impersonale[5].
E la borghesia chiama abolizione della personalità e della libertà l'abolizione di questo rapporto! E a ragione: infatti, si tratta dell'abolizione della personalità, della indipendenza e della libertà del borghese.
Entro gli attuali rapporti di produzione borghesi per libertà s'intende il libero commercio, la libera compravendita.
[...] Le frasi sul libero traffico, come tutte le altre bravate sulla libertà della nostra borghesia, hanno senso, in genere, soltanto rispetto al traffico vincolato, rispetto al cittadino asservito del medioevo »

La libertà è una merce come tutte le altre, si vende e si compra. Da secoli.

2.1       Dani Rodrik estende il non-paradosso alla globalizzazione, sottolineando che solo due su tre delle seguenti proposizioni possono teoricamente realizzarsi con un certo grado di effettività:

(A) – costruire una profonda integrazione economica;

(B) – lasciare sostanzialmente inalterata la sovranità degli Stati nazionali;

(C) – perseguire politiche democratiche.

Infatti:

1 – (A Λ B) C – Un sistema monetario internazionale con cambi fissi tipo gold standard permette di integrare le economie e preservare formalmente le sovranità nazionali, ma, come dimostrato per l'ennesima volta dall'euro, “quote 90” e monete uniche si rivelano strumenti fascisti di repressione.

2 – (B Λ C) A –  Si rinuncia per l'ennesima volta alla globalizzazione e alla libera circolazione dei capitali, e si torna ai gloriosi anni di Bretton Woods.

3 – (A Λ C) B – Un federalismo globale kantiano – il Fogno! – eliminerebbe gli stati nazionali ma “preserverebbe la democrazia”... Hayek e Madison si stanno ancora sganasciando dalle risate.

(Tutto ciò è sensato ed è a prova di american-style-minded: quindi? Quindi basta intervistare un trumbè, che ha un cugino che lavora nella prestigiosissima istituzione e che gli ha detto « xxx xx xxx xx [quattro proposizioni sconnesse a caso] », e farlo pubblicare su un organo d'informazione di massa: la risposta a chi ha speso anni e anni di studio per formalizzare l'ovvio è stata data, quindi pari e patta, “la tua parola contro la mia”, l'economia non è una scienza, lo Stato è cattivo anche se lo Stato sei tu, l'austerità è brutta ma espansiva, quindi l'euro è bello... ecc.)

Tralasciamo che i simpatici architetti della globalizzazione auspicano (pardon, stando con Attali,  «prevedono») pure una moneta unica alla fine del processo di mondializzazione: siamo avviati in fretta e furia verso un dispotismo tirannico con tutta l'irresponsabilità tipica del mercato monopolistico. Proprio la conclusione a cui è giunto George Orwell recensendo "The Road to Serfdom" di Hayek:

« Il professor Hayek ha anche probabilmente ragione nel dire che in questo paese gli intellettuali hanno un'attitudine mentale più totalitarista rispetto alla gente comune. Ma lui non vede, o non ammette, che un ritorno alla “libera” concorrenza significa per la grande massa di persone una tirannia probabilmente peggiore, perché più irresponsabile, rispetto a quella dello Stato. Il problema con la competizione è che qualcuno la vince. Il professor Hayek nega che il libero capitalismo porti necessariamente al monopolio, ma in pratica è lì che ha condotto, e dal momento che la stragrande maggioranza delle persone preferirebbe di gran lunga una stretta regolamentazione statale ai crolli e alla disoccupazione, la propensione verso il socialismo è destinata a continuare, se l'opinione pubblica ha qualche voce in capitolo. »

2.1 – Il “Lemma”                   
La letteratura che esiste sull'inconciliabilità tra laissez-faire e libertà individuale – con “libertà” intesa come qualcosa che non sia l'illimitata possibilità del più forte di « abbattere il proprio simile impunemente » – è sterminata: sorprendentemente “pop” a tutti i livelli è invece la cultura democratica, dove per Democrazia sovrana– stando con Calamandrei –  si intende quella forma di governo per cui: 
« […] tutti i cittadini concorrono in misura giuridicamente uguale alla formazione della volontà dello Stato che si manifesta nelle leggi e in cui in misura giuridicamente uguale tutti i cittadini partecipano ai diritti e ai doveri che dalle leggi derivano [...]. D'altra parte, per aversi uno Stato sovrano ed indipendente è necessario che alla formazione della sua volontà concorrano soltanto, attraverso i congegni costituzionali a ciò preposti, le forze politiche interne: Stato democratico sovrano è quello le cui determinazioni dipendono soltanto dalla volontà collettiva del suo popolo, espressa in modo democratico, e non dalla volontà o da forze esterne, che stiano al di sopra del popolo e al di fuori dello Stato. »

Evocativa della cultura democratica al di fuori della tanto deprecata Repubblica Italiana, è la difesa di Rodrik nell'argomentare contro l'attacco portato dall'eurista – ovviamente filosofo moraleMartin Sandbu.

Il lemma “democrazia” nel vocabolario del liberale (filosofo) è un concetto indubbiamente esoterico[6]: secondo Rodrik:
«le democrazie hanno vari meccanismi per limitare l'autonomia e lo spazio politico dei decisori. Ad esempio, i parlamenti democraticamente eletti spesso delegano il potere a organismi autonomi indipendenti o quasi-indipendenti. Le banche centrali sono spesso indipendenti e ci sono vari altri tipi di pesi e contrappesi nelle democrazie costituzionali. Allo stesso modo, le regole globali possono rendere più facile alle democrazie nazionali il raggiungere gli obiettivi che si prefiggono, anche se queste comportano alcune restrizioni in termini di autonomia. Keohane at al. discutono tre meccanismi specifici: le regole globali possono migliorare la democrazia  controbilanciando i sezionalismi, tutelando i diritti delle minoranze, sia migliorando la qualità delle scelte democratiche ».

Questo sarebbe vero nelle situazioni “ottimistiche” come, ad esempio, « il caso in cui il governo affronta un problema di "incoerenza temporale" [la teoria dei giochi!, ndt]. Questo vorrebbe votarsi al libero scambio o al consolidamento fiscale, ma si rende conto che col tempo cederà alle pressioni e devierà da ciò che ex ante è la sua politica ottimale. Così sceglie di legarsi le mani attraverso la disciplina esterna. In questo modo, quando i protezionisti e grandi spendaccioni [big spender] si presentano alla sua porta, il governo dice: "Mi dispiace, l'OMC e il FMI non mi permette di farlo." È meglio per tutti [“paretianamente efficiente”, ndt], tranne che per i lobbisti e gli interessi particolari [tra cui quelli dei lavoratori, titolari della sovranità democratica, ndt]. Questo è un  buon caso di delega e di disciplina esterna »

Questo è un professore democratico di Harvard: la più prestigiosa università al mondo con sede nel Paese che proclama di essere modello di democrazia.

Il danno che ha fatto l'economia neoclassica alle scienze sociali, cercando di piegarle a quelle naturali, è pari solo al danno che ha fatto alla democrazia e al sano internazionalismo che questa impone.

Insomma, dopo quasi dieci anni, riscontriamo che il famoso Trilemma  sulla globalizzazione è stato formulato da un economista che crede al potenziale benefico della banca centrale indipendente e della disciplina esterna per la democrazia stessa: si pensi al senso democratico dei Pasdaran del mondialismo che lo criticano!

Almeno i nostri despoti e traditori della Patria ci hanno detto chiaro e tondo che il vincolo esterno è necessario per disciplinarci, visto che siamo plebei irresponsabili, non sappiamo governarci, e la democrazia non la meritiamo: meritiamo solo « la durezza del vivere ».

3 – Fenomenologia del liberale: coscienza democratica e sua riduzione eidetica (trilemma di Bazaar).


«Tutta l'opera di un artista può servire allo scopo di occultare se stesso», a proposito di  Johann Wolfgang von Goethe, Sigmund Freud
«Tutta l'opera di un liberale può servire allo scopo di occultare se stesso», a proposito del liberista, Bazaar
L'occasione che ha avuto Rodrik di asfaltare pubblicamente Sandbu sul Financial Times, evidenziandone – magari – la preoccupante assenza  di quelle minime risorse culturali che permettono di parlare con cognita causa di “democrazia”, è stata parzialmente sprecata, come costernati constatiamo, da un certo deficit di cultura democratica che sapevamo già essere insito nei principi fondanti della Costituzione statunitense.

Ad un esame approfondito ci potremmo rendere conto anche delle distanze  siderali che pare ci siano state tra la cultura democratica dei nostri maggiori padri costituenti e quella di chi ha prodotto (è il caso evidente della Spagna laddove si faccia un'analisi comparata della struttura di tale Costiuzione con quella italiana, ndQ.)  le Carte anche più moderne[7].

Cercando nei Paesi dell'Unione Europea non troveremmo granché di meglio: anche se per motivi storici diversi, Francia e Germania non sono dotate di una costituzione economica che imponga inderogabilmente un modello di azione di governo di matrice keynesiana, risolvendo il conflitto sociale tramite lo Stato sociale. Né, tantomeno, sono dotate di un “art.11 Cost.” che permetterebbe di “far fronte comune” in caso si dovesse negoziare livello internazionale per la risoluzione dei Trattati liberoscambisti.

Meglio delle prime costituzioni rigide o di quelle più moderne di stampo ordoliberale, è – a questo punto – il modello degli inglesi, che sono privi di una costituzione scritta e hanno maggiori margini di discrezionalità (il che è attestato dalla profondità riformatrice che potè assumente il Rapporto Beveridge, con un'attitudine che è sempre riespandibile, ndQ.).
Notevole è la conclusione di Beveridge, riportata da Villari: L’abolizione del bisogno non può essere imposta né regalata ad una democrazia, la quale deve sapersela guadagnare avendo fede, coraggio e sentimento di unità nazionale”.

Se una costituzione rigida ha – come nel caso eclatante di quella americana – lo scopo effettivo di proteggere gli interessi delle oligarchie dalle pretese democratiche dei lavoratori, tanto meglio per le classi subalterne non aver vincoli fondamentali che, in ultimo, tutelano gli interessi delle facoltose minoranze.

Questo ci porta realisticamente a rivalutare al ribasso le effettive possibilità di una riaffermazione delle democrazie sociali in Europa.

E, al contempo, considerando che questi sono incredibilmente gli unici spazi in cui si ha la possibilità di acquisire effettiva consapevolezza democratica in Italia, ci troviamo di fronte – con un senso di orgoglioso sbigottimento – ad una grande responsabilità.

Ad ora ci si limiterà ad illustrare l'ipotesi per cui la genesi del “batterio pop” – che trasforma qualsiasi argomentazione fondamentale sull'ordine sociale, in un vociare ubriaco da Bar dello Sport – sta nel liberalismo stesso.

Per dimostrarlo, si propone il seguente trilemma, che illustra come l' homo politicus non possa essere al contempo:

(A) – Democratico; 

(B) – Liberale;

(C) – Statista[8].

( (A Λ B) C ) Λ ( (A Λ B) C ) Λ  ( (A Λ C) B )

Chi comincia ad avere un po' più chiari i principi di analisi economica istituzionalista, depurati intenzionalmente dai retaggi ideologici tramite un approccio epistemologico multidisciplinare –  ovvero sgomberando in primis tutte quelle sovrastrutture “pop” che non sono altro che falsa coscienza – può cimentarsi nel tentativo di falsificare questo trilemma con degli esempi storici.

(Inizierei con Keynes e Calamandrei, tenendo bene in mente l'evoluzione del loro pensiero)

4- Conclusioni. Modernità, mondialismo liberale e narcosi atonale: “la fine della storia” come eterna adolescenza.


« ...studiando la struttura tonale imparai a leggere meglio gli spartiti. […] Di qui mi nacque anche un odio per la musica moderna e per tutto quello che non è musica classica. »
« ...l'uso frequente di frasi fatte testimonia infatti una mente incapace di creare qualcosa. […] Una trascuratezza di stile è molto più perdonabile di un'idea confusa. […]
La gioventù, cui mancano ancora pensieri propri, cerca di nascondere il suo vuoto mentale dietro uno stile mutevole e luccicante. Non è in ciò la poesia simile alla musica moderna? Allo stesso modo essa diverrà presto la poesia dell'avvenire. Si parlerà con le immagini più strane; si maschereranno pensieri confusi con argomentazioni oscure ma dal suono elevato, in breve si scriveranno opere nello stile di Faust (seconda parte), solo che mancheranno le idee di quella tragedia. Dixi!!!! »  Friedrich Wilhelm Nietzsche, 1858, “Come si diventa ciò che si è”



[1]      Cit. Michael Hamburger
[2]      Un Nietzsche ancora poco più che fanciullo argomentava che «...anche Napoleone era infatti come un'aquila di carta. Se si toglieva la luce che lo illuminava da dietro, anche lui era solo un povero pezzo di carta che finiva relegato in un angolo! », 1858, “Come si diventa ciò che si é”
[3]      Notare le arti che vengono calpestate: liberalismo come “trionfo della banalità e della cazzata”.
[4]      Un cappello a cilindro sul porcellino potrebbe contribuire ad attualizzarne la potenza espressiva: notare la cultura, rappresentata dalle arti che vengono calpestate dalla élite pornocratica.
[5]      Risorsa umana, o come si dice in Goldman Sachs, « capitale umano ».
[7]      Cfr. l'art.40 Cost. spagnola, per collocazione e formulazione, con la chiarezza e la collocazione degli artt.3 cpv, 4 e 36 Cost. italiana.
[8]      Statista nell'effettività dell'accezione di: “abile nella prassi politica in quanto consapevole teoreticamente dell'essenza tanto della politica democratica, quanto di quella liberale”.

14 commenti:

  1. Solo per dare ulteriori spunti che avvalorano le tesi del testo, Federico Caffè: "Non si possono stabilire criteri di moderazione e contemporaneamente avere aumenti continui di prezzi di tariffe di alcuni generi di prima necessità. Bisogna mettersi in mente che la politica dei redditi è una politica di deliberata tregua all’aumento dei prezzi, per guadagnar tempo, quindi tutta la difficoltà che noi incontriamo nel nostro Paese dipende dal fatto che alcuni strumenti di politica economica non li riteniamo rispettabili: i controlli, i controlli sui prezzi, i razionamenti delle forme che tecnicamente noi chiamiamo controlli diretti, vengono considerati o indesiderabili o inapplicabili. Personalmente, io sono portato a non condividere nessuna di queste due posizioni, né che siano indesiderabili, perché quanto più voi rinunciate a queste forme di controllo, tanto più dovete stringere quella corda della politica creditizia, che poi è l’unica a funzionare – quale sia la situazione delle finanze lo sappiamo tutti, quindi è inutile insistere sull’ovvio.
    Non la ritengo non praticabile perché il popolo italiano non è capace di assoggettarsi ad alcuna disciplina, perché questa mi pare francamente un’argomentazione di carattere razzista; io quindi insisto: non sono un creatore di formule, ma ritengo quindi che una politica dei redditi sia inseparabile da una politica dei prezzi, oltre ad essere una politica che non si applichi soltanto ai redditi salariali ma cerchi di potersi applicare anche alla generalità dei redditi.".

    Ramanan :"To summarize, protectionism if done the right way can raise world trade because of rise in world income. There is no economic case against protectionism. There is opposition because few corporations want to increase their share in world markets. Protectionism reduces share of these mega corporations instead of reducing world trade. So “free trade” (which is managed trade for a few) only benefits a few and imposes a huge cost on the world economy.".

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    1. Ottima evidenza: la manovra "creditizia", ovvero la politica dei tassi scissa dalla politica economico-fiscale e dal suo coordinamento (art.41 Cost.!), lasciata ad un banca centrale indipendente dall'indirizzo politico democraticamente formatosi, è in sè uno svuotamento della democrazia stessa.
      E' in pratica il caposaldo del monetarismo, infatti: conduce direttamente a formulare l'idea "demonizzata" del partito inflazionistico della spesa e a privilegiare l'oligarchia a danno dell'occupazione e della schiacciante maggioranza.

      Rodrik, per rinvio, ammette che questa soluzione possa essere un check and balance (inter alia).
      Ma questa proposizione è accettabile solo nell'ambiente costituzionale USA, derivante dalla (linkata) assumption di Madison nel Federalist (che riecheggia l'idea hayekiana del federalismo interstatale), circa la funzione della costituzione federale di limitare le conseguenze elettorali, cioè gli interessi della deprecata "massa", saldatisi ma incapaci di scorgere il proprio stesso "bene": e dunque una visione ossessionata dal caposaldo liberista di evitare la "dittatura della maggioranza" (con pregiudizio allocativo, e non certo in ottica accrescitiva, di coloro che non sono detentori del capitale e della legittimazione alla "libertà" naturalistica neo-classica).

      In campo economico, dunque, la banca centrale indipendente è l'esatto contrario dei check and balance delle Costituzioni sociali democratiche e pluriclasse: tale formula serve a tutelare interessi settoriali che pretendono una "universalità" naturalistica e incoercibile (quelli del capitalismo finanziario), laddove i pesi e contrappesi, nella democrazia sostanziale, riguardano esattamente l'opposto. Cioè, hanno la funzione di evitare che il potere sovrano - che è quello di decidere come perseguire i fini propri della comunità generale "governata"- siano accentrati e cristallizzati nell'Esecutivo, svincolandolo dalla dialettica della costante fiducia parlamentare, ovvero, peggio, in organi "tecnici" non espressione di un indirizzo politico soggetto alla legittimazione elettorale.

      La citazione di Ramanan si raccorda alla visione di Chang e a quanto in questa sede più volte espresso, circa il ruolo del c.d. "protezionismo" (principale misura di sviluppo dell'infant capitalism e fondamento logico di qualsiasi politica "sovrana" anticiclica): essa, nella sua linearità, indica la funzione coessenziale della stessa sovranità.
      Ti ringrazio per averla opportunamente citata...

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    2. Figurati. Interessante l'intervista di Caffè, del 1984 se non erro. Soprattutto la parte sui prezzi amministrati quando afferma, sottintendendo quindi che la lotta all'inflazione giustificata nelle strette monetarie è causata...dalle stesse politiche di governo indotte dai principi monetaristi di "necessità di risanamento del bilancio fiscale pubblico":"e poi c’è il discorso che tu non hai fatto ma su cui so che sei d’accordo, e cioè il discorso sulle tariffe pubbliche e sui prezzi amministrati e cioè il fatto che, se pensiamo ad esempio alla storia più recente, quella del 1983, c’è più di un punto e forse due punti di inflazione in più, come effetto di un aumento unilateralmente deciso dal governo sulle tariffe sui prezzi amministrati di cui certamente non possono essere resi responsabili né gli operai, né tanto meno il sindacato"...

      Per rimanere in tema ricordo anche Kaldor: "In a recent article on the ‘Causes of Growth and Recession in World Trade’,1 T. F. Cripps has demonstrated that a country is not ‘balance of payments constrained’ if its full employment imports, M*, are less that its import capacity M̅ (as determined by its earning from exports). Such a country is free to choose the level of domestic demand which it considers optimal for its own circumstances, whereas the other countries from whom M* > M̅, must, under conditions of free trade, reduce their output and employment below the full employment level, and import only what they can afford to finance. He then shows that the sum of imports of the ‘unconstrained’ countries determine the attainable level of production and employment of the ‘constrained’ countries, and the remedy for this situation requires measures that increase the level of ‘full-employment’ imports or else reduce the export share of the ‘unconstrained countries’. The ‘rules of the game’ which would be capable of securing growth and stability in international trade, and of restoring the production of the ‘constrained’ countries to full employment levels, may require discriminatory measure of import control, of the type envisaged in the famous ‘scarce currency clause’ of the Bretton Woods agreement.

      In the absence of such measures all countries may suffer a slower rate of growth and a lower level of output and employment, and not only the group of countries whose economic activity is ‘balance-of-payments constrained’.

      This is because the ‘surplus’ countries’ own exports will be lower with the shrinkage of world trade, and they may not offset this (or not adequately) by domestic reflationary measures so that their imports will also be lower. Provided that the import regulations introduced relate to import propensities (i.e. to the relation of imports to domestic output) and not to the absolute level of imports as such, the very fact that such measures will raise the trade, production and employment of the ‘constrained’ countries will mean that the volume of exports and domestic income of the ‘unconstrained’ countries will also be greater, despite the downward change in their share of world exports.". Mi pare di averlo già citato in passato, ma rimane sempre attuale...

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    3. Sì, l'avevi già in gran parte citato.
      Varrebbe la pena di tradurlo (non tutti padroneggiano la lingua e neppure la...neo-lingua)

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    4. « So “free trade” (which is managed trade for a few) only benefits a few and imposes a huge cost on the world economy." »

      « Così, "il libero mercato" (che significa mercato gestito da pochi) porta benefici solamente a pochi e impone un grande costo all'economia mondiale »

      Questo "mercato gestito" (managed trade) assomiglia molto alla "democrazia gestita" (ovvero "idraulica") di Sheldon Wolin: che è quella espressa dai federalisti che si sono imposti in fase costituente degli USA.

      "Freedom from", libertà da... dal popolo.

      "Free trade", mercato libero da... dai lavoratori.

      La democrazia sostanziale implica la "freedom to", ovvero la "libertà di" partecipare alla vita politica, economica e sociale del Paese.

      La "freedom to" implica --> la "freedom from"

      mentre non vale la relazione inversa, ovvero quella liberale: "freedom from" NON implica "freedom to".

      La propaganda liberale impone la scientificamente falsa identità tra liberalismo = democrazia = libertà

      Ma il liberalismo non è altro che il movimento di pensiero sovrastrutturato al paradigma liberista, di cui il federalismo è parte.

      Ma è naturale che sia così, perché come notava secoli fa Platone, la Legge è "sovrastruttura" espressione dell'utile del più forte, non sicuramente dell'etica data in pasto agli asserviti.

      Come fa emergere l'illuminante citazione di Beveridge, sta agli asserviti cercare l'unità nazionale e, quindi, di classe, per prendersi la "fetta di torta che necessitano" (la "share" di mercato).

      Non esiste "free lunch": è vero.

      Se vuoi la "democrazia", te la devi guadagnare.

      Ma prima, è necessario averne coscienza.

      Ed è questa la grande responsabilità di chi è libero dalle "bravate sulla libertà" delle nostre oligarchie.

      Distribuire ovunque "pillole rosse"... perché ce n'è veramente bisogno, con Putin che parla di "monete uniche eurasiane".

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    5. Ci tengo a precisare che quella che segue è una traduzione amatoriale effettuata da una persona (leggasi: me) che non padroneggia il linguaggio tecnico della disciplina economica.

      «In un recente articolo dedicato alle 'Cause di crescita e recessione nel commercio mondiale', T. F. Cripps ha dimostrato che un Paese non è sottoposto a vincolo da bilancia dei pagamenti se le sue importazioni in condizioni di pieno impiego, M*, sono inferiori alla sua capacità di importazione M̅ (per quanto risulti dai suoi ricavi derivanti da esportazioni). Tale Paese è libero di scegliere il livello di domanda interna considerato ottimale in base alle proprie condizioni, mentre gli altri Paesi per cui M*>M̅ devono, in stato di libero commercio, contrarre i loro livelli di produzione e di occupazione rispetto alla situazione di pieno impiego, e limitarsi a importare solo quanto in grado di finanziare [con i proventi delle esportazioni, ndw]. Successivamente, egli dimostra che la somma delle importazioni dei Paesi privi del suddetto vincolo determina i livelli di produzione e occupazione raggiungibili da parte dei Paesi "vincolati" e che il rimedio per questa situazione esige misure atte a incrementare il livello delle importazioni in condizioni di pieno impiego oppure a ridurre la quota delle esportazioni dei Paesi "svincolati". Le "regole del gioco" che renderebbero possibile il conseguimento di crescita e stabilità nel commercio internazionale, e il ripristino della produzione dei Paesi "vincolati" a livelli di pieno impiego potrebbero richiedere l'adozione di misure discriminatorie sui controlli delle importazioni, del tipo prospettato nella famosa "clausola della moneta scarsa" dagli accordi di Bretton Woods.
      In assenza di simili misure tutti i Paesi, e non solo il gruppo di Paesi la cui attività economica è sottoposta a vincolo da bilancia dei pagamenti, potrebbero venire a subire un tasso di crescita più basso e un inferiore livello di produzione e occupazione.
      Ciò si verifica perché anche le esportazioni dei Paesi in surplus saranno soggette a un decremento per via della contrazione dei traffici commerciali a livello mondiale, e questi Paesi potrebbero non riuscire a controbilanciare questa perdita (o comunque non in maniera sufficiente) attaverso misure reflazionarie interne che garantiscano un decremento anche delle importazioni.
      A patto che le norme sulle importazioni introdotte facciano riferimento alle tendenze all'importazione (vale a dire il rapporto fra le importazioni e la produzione interna) e non alla quantità in valore assoluto delle importazioni, proprio il fatto che tali misure produrranno un incremento del traffico commerciale, della produzione e dell'occupazione dei Paesi "vincolati" comporterà un aumento corrispondente del volume delle esportazioni e degli utili interni dei Paesi "svincolati", nonostante la revisione al ribasso delle loro quote di esportazione a livello mondiale.»

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  2. Ciò che non mi ha mai convinto del Trilemma di Rodrik è per l'appunto la banalità che Bazaar espone esplicitamente in questo post: la sovranità è condizione necessaria (ma non sufficiente) per l'affermarsi della democrazia, dunque un trilemma che presuppone la possibilità dell'instaurazione di un regime democratico privo di sovranità non ha praticamente senso all'infuori del meraviglioso mondo dell'accademia.
    Due concetti che possono presentarsi separatamente sono invece quello di indipendenza e quello di sovranità: ad esempio, proprio l'altro giorno riflettevo sul fatto che la Repubblica italiana non è mai stata indipendente, mentre è solo a partire dal divorzio Tesoro-Banca d'Italia che si può affermare con certezza che non si è più di fronte ad uno Stato provvisto di sovranità.
    Stando con Calamandrei e Basso, dovremmo concludere che una genuina democrazia qui non sia mai riuscita e realizzarsi, mentre stando con Mortati potremmo arrivare a concludere che nei Trenta gloriosi, la presenza di partiti di massa impegnati (nonostante tutte le resistenze interne ed esterne) nella estensione del livello di benessere dei cittadini attraverso la tutela effettiva - per quanto sempre perfettibile - dei diritti sociali e del lavoro, la democrazia c'è effettivamente stata.

    Intanto ieri sera ho scovato per puro caso questa intervista a Zinoviev (di cui Bazaar mi pare che linkò qualcosa in passato), nella quale non si dice nulla che qui non si sia detto, ridetto e stradetto, ma che è degna di nota e per l'anno in cui è stata rilasciata (1999) e per il fatto che presenta quelle che in sostanza sono le stesse nostre conclusioni, ma dalla prospettiva di un cittadino russo.

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    1. Hai messo in rilievo un punto importante (che recentemente ho approfondito proprio ristudiando sul Mortati la sua posizione relativamente al "metodo democratico" rapportato ai partiti): Basso e Calamandrei (quest'ultimo più per una profondità imparziale di pensiero che per un'originaria formazione culturale) hanno un'idea INCONDIZIONATA di democrazia sostanziale.
      Mortati è portato invece a difendere lo sviluppo successivo dell'applicazione costituzionale come compatibile coi condizionamenti e i compromessi che ne seguirono: dalle sue pagine, si trae l'impressione che, nella sua grande sapienza giuridica, utilizzi argomentazioni (topiche direbbe Viehweg) interpretative diverse, e talvolta contraddittorie, pur di preservare l'idea di una legalità costituzionale costante e intatta nel tempo.

      Il suo atteggiamento è comprensibile, o quantomeno storicamente spiegabile (tanto più che aveva fatto parte della Corte costituzionale, sopportando il peso di questi compromessi in prima persona): si coglie costantemente l'esigenza di difendere l'equilibrio politico raggiunto nel dopoguerra dalla pressione costante della prassi politica marxista e dall'incombere di un sempre possibile rovesciamento di regime da parte del comunismo (pericolo reale o solo temuto che fosse, ma a cui dedica una costante quanto indiretta attenzione).

      Se un rimprovero gli si può, a posteriori, muovere, è quello di non aver avuto l'intransigenza di un Basso, il rigore economico, oltre che giuridico, di un Ruini, o la luce di quel "raggio di fede" che animava Merighi, nel credere fino in fondo in una democrazia sostanziale effettiva e non solo enunciata in un momento felice, ma forse troppo breve, di sospensione del "disincanto" che attraversò l'Italia sul finire degli anni '40.

      Forse la liberazione degli uomini "dal bisogno", organizzata e vivente in uno Stato di diritto, in cui i principi umanistici e solidaristici non potessero più essere rimessi in discussione (neanche dal processo elettorale), è un'aspirazione che troverà realizzazione per uomini di altre e future epoche.
      Molta sofferenza inutile nell'ordine sociale, causata da pochi, senza che i molti sappiano identificarne le cause, dovrà purtroppo ancora prodursi per arrivare a questo.

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    2. MAGIA DI UN "F/OGNO" O IL "DESTINO" DELL'UMANITA'?

      " .. Forse la liberazione degli uomini "dal bisogno", organizzata e vivente in uno Stato di diritto, in cui i principi umanistici e solidaristici non potessero più essere rimessi in discussione (neanche dal processo elettorale), è un'aspirazione che troverà realizzazione per uomini di altre e future epoche.
      Molta sofferenza inutile nell'ordine sociale, causata da pochi, senza che i molti sappiano identificarne le cause, dovrà purtroppo ancora prodursi per arrivare a questo."

      Son irriverente: rimuovi quel PURTROPPO.

      :-)

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  3. Infine ci tengo a lasciare per iscritto qui due cose:
    - la Storia non la fanno le élite, o i grandi uomini, che dir si voglia, se dietro di loro non ci sono le masse in grado di sostenerli: Napoleone pianificava, guidava e si prendeva il merito delle vittorie, ma era la Grande Armée che vinceva quelle battaglie per lui; senza di essa, era un semplice uomo su uno scoglio dell'Oceano Atlantico;
    - la democrazia è contemporaneamente "dittatura" della maggioranza e tutela della minoranza, perché entrambe si muovono entro i limiti concordati anteriormente e scolpiti su quella roccia chiamata Costituzione, alla quale tutti devono attenersi nella sostanza e non solo nella forma (evitando, dunque, di reinterpretarla a proprio vantaggio); senza contare che una maggioranza non è per sempre e il cuore, prima ancora che la mente, suggerisce di fare agli altri quello che si vorrebbe che gli altri facciano a noi e di non fare agli altri quello che non si vorrebbe che gli altri facciano a noi.

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  4. “In qualunque sera, per esempio, si trovi il turista ingenuo, lontano dai nostri orrori economici, la mano di un maestro anima il clavicembalo dei prati; si gioca a carte in fondo allo stagno, specchio evocatore di regine e favorite, abbiamo le sante, i veli, e i fili d'armonia, e i cromatismi leggendari, sul tramonto.
    Lui rabbrividisce al passaggio delle cacce e delle orde. La commedia gocciola sui palchi d'erba. E l'imbarazzo di poveri e deboli sopra questi stupidi piani! Schiava della sua visione, la Germania innalza impalcature verso le lune; i deserti tartari s'illuminano - le antiche rivolte brulicano al centro del Celeste Impero; lungo le scalinate e le poltrone dei re, un piccolo mondo livido e piatto, Africa e Occidenti, si sta edificando. Poi un balletto di mari e notti conosciute, una chimica senza valore, e impossibili melodie”. (A. Rimbaud, Soir historique)
    Sono convinto che nessuna perversione elevata ad ideologismo, com’è il caso dell’avanzante mostro ordoliberale, potrà mai essere compatibile con la democrazia pensata dai nostri Costituenti. Il liberismo, come strumento di forzatura dell’umano a rimanere incatenato rigorosamente al belluino ed al materiale, e come potente freno alla sua elevazione, trae origine dall’elementare cervello rettile, rimanendovi bloccato, e nemmeno immagina l’esistenza di sfere più alte e nobili. Ed è questo il punto, se è vero, come affermò La Pira, che il problema del costituzionalismo contemporaneo è anzitutto un problema metafisico (che per quelli materiali esistono già le leggi della fisica). In quel frangente storico unico ed irripetibile che caratterizzò la sacralità delle riunioni della Costituente, i suoi membri furono capaci di lavorare a “frequenze” elevatissime degne dell’umana specie ed alle quali i cittadini (e anche la classe politica successiva) non sono più stati in grado di connettersi per diverse ragioni che sono state in modo esemplare approfondite in questo blog. Vi fu una tensione spirituale (sterilizzata ormai nel pantano pop) il cui frutto si tradusse in forma giuridica, ove il diritto nella sua più alta espressione assunse un carattere finalistico e valoriale inaudito (viene da piangere pensando a come la classe politica odierna intervenga sulla Costituzione allo stesso modo con il quale un macellaio potrebbe operare un paziente a cuore aperto). Segue…

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  5. Calamandrei più volte richiama la sfera spirituale (che non è per niente un tabù nelle teorie giuridiche giuspositivistiche): nel ’46 affermava “Si è scoperto così che il fascismo non era un flagello piombato dal cielo sulla moltitudine innocente, ma una tabe spirituale lungamente maturata nell'interno di tutta una società, diventata incapace, come un organismo esausto che non riesce più a reagire contro la virulenza dell'infezione, di indignarsi e di insorgere contro la bestiale follia dei pochi” o ancora nel famoso Discorso sulla Costituzione del ’55 “Perché fino a che non c’è questa possibilità per ogni uomo di lavorare e di studiare e di trarre con sicurezza dal proprio lavoro i mezzi per vivere da Uomo, non solo la nostra Repubblica non si potrà chiamare fondata sul lavoro, ma non si potrà chiamare neanche democratica perché una democrazia in cui non ci sia questa uguaglianza di fatto, in cui ci sia soltanto un’uguaglianza di diritto, è una democrazia puramente formale, non è una democrazia in cui tutti i cittadini veramente siano messi in grado di concorrere alla vita della società, di portare il loro miglior contributo, in cui tutte le forze spirituali di tutti i cittadini siano messe a contribuire a questo cammino”. Quella tensione spirituale portò alla “democrazia sociale” come definita da Mortati ed imperniata sugli artt. 2 e 3 Cost., veramente un unicum- come sottolineato nel post - nel panorama del costituzionalismo moderno e che nulla ha a che fare con altre Costituzioni “assimilabili se mai entro l’invalsa formula dello stato sociale (walfare state) che in realtà serve essenzialmente a distinguere gli ordinamenti nei quali si afferma solo un minimo di tutela dei soggetti deboli della società capitalistica, in giustapposizione alle politiche neo-liberiste articolate o ricorrenti nell’occidente euro-americano” (S. D’Albergo, Dalla democrazia sociale alla democrazia costituzionale, 7). In quale altra Costituzione la solidarietà verticale abbraccia quella orizzontale? Appare evidente che per i catafratti ordoliberisti e mondialisti dediti alla cotruzione di un “piccolo mondo livido e piatto” i frutti di quella tensione spirituale e valoriale sia materia del tutto inconcepibile. Tutte le altre cose sono dilemmi e trilemmi per chi non vuol capire. Grazie Bazaar per lo splendido post.

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    1. Il "minimo di tutela" tende allo zero, inevitabilmente. E senza, in quei casi poter invocare altro che il solo parametro della ragionevolezza. Da noi, peraltro, la trasformazione "resecativa" dell'art.3, comma 2, in tal senso, nella giurisprudenza della Corte, ha svolto un ruolo di quasi equivalente neutralizzazione del welfare.

      Per le implicazioni legali ed economiche, ti rinvio al post successivo...

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  6. Infatti, la famosa teoria dei controlimiti, fumoso specchietto per le allodole

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