martedì 3 maggio 2016

USA FOR ITALY: LE RIFORME CHE PREPARANO IL TTIP E IL GLOBAL CAPITALISM...KEYNESIANO (?)- Parte prima

USA for Italy



1. Una delle lamentele più frequenti di quella minoranza composita che cerca di comprendere la realtà della situazione italiana, magari nella legittima speranza che possa risolversi positivamente (e su cosa significhi ciò già iniziano divergenze non secondarie), è che l'Italia non abbia, neppure in passato, goduto di piena sovranità. 
Da qui partono tutta una serie di diagnosi, derivanti da diverse selezioni e valutazioni del dato storico, che si imperniano su un hard fact: gli USA avrebbero pesantemente condizionato, nel bene e nel male, gli assetti sociali e le politiche economiche e di sviluppo praticabili  in Italia, dato che questa, come potenza sconfitta nella seconda guerra mondiale, rimane in un certa misura in una dimensione (para)coloniale
Poi, su questo hard fact si fanno elaborazioni, più o meno ragionate, circa i termini innovativi di tale "colonizzazione" rispetto alla realtà geo-politica anteriore alla seconda guerra mondiale: non mi inoltrerò ulteriormente su questo versante del problema. 
Mi limito a dire che la mia idea è molto meno deterministica, e meno assolutoria delle responsabilità nazionali della nostra classe dirigente, ben evidenti anche nella fase anni '80 della costruzione €uropea, di quanto non derivi da questa vulgata, spesso asserita in preda alla sindrome di Dunning-Kruger.

2. Si può però convenire, per quanto anche ciò richieda una certa applicazione, spesso al di là dell'auto-convinzione di sapere già tutto, che la "costruzione (federale) europea" sia un sistema promosso e sviluppatosi sotto il controllo e per la convenienza degli Stati Uniti: in ogni sua fase, esso riflette sia l'esigenza storica, del dopoguerra, di un saldo ancoraggio all'economia di mercato dell'Europa occidentale, sia l'obiettivo di "purificazione" (da qualunque traccia di "socialismo" incarnato nel welfare costituzionale) di tale modello, successivamente intrapreso con la liberalizzazione dei capitali e la conseguente nuova globalizzazione.

Allo stato, dunque, ciò che i controllori politico-culturali USA ritengono appropriato per l'Italia diviene uno strumento essenziale di comprensione delle nostre prospettive sistemiche. Ed è essenziale, non paradossalmente, oggi più che in passato, nella misura in cui la dissoluzione della sovranità in ambito federale €uropeo risulta molto più intensa di quella legata all'obiettivo trade-off tra condizionamento politico, insito nell'adesione alla Nato, e vantaggio militare-difensivo che se ne traeva.

3. Posta la questione in questi termini sintetici (si potrebbero scrivere vari saggi in argomento, purché ci si serva con serietà degli strumenti offerti dalle scienze sociali),  cerchiamo di offrire un quadro della più recente valutazione della situazione italiana espressa dall'attuale establishment americano.
Una simile rilevazione, necessariamente indiziaria (sia perché la confusione regna sovrana su entrambe le sponde dell'oceano atlantico, sia perché si deve necessariamente procedere col punto di vista di "non.insider"), ci dice che l'Italia continua ad essere vista come un paese socialistoide-anarcoide gravato da un marchio irreversibile di pelandroneria dei suoi lavoratori e di "levantinismo", corrotto e sprecone, della sua classe politica, (al più macchiavellica, volendo l'analista USA nobilitare il luogocomune utilizzato); un marchio appena mitigato dal riconoscimento della creatività dei suoi imprenditori, accettabile però se predicata come settoriale e, possibilmente, delocalizzatrice da un lato, e aperta agli IDE, cioè all'acquisizione estera, dall'altro.   
Alan Friedman e Luttwak, probabilmente i più ascoltati commentatori ufficiali delle cose italiane, esprimono questa visione, immutata da decenni, avendo spazi mediatico-televisivi praticamente illimitati e, specialmente, incontrastati (più il primo dei due, in verità), allo scopo di radicare il frame dell'autorazzismo (nei nostri pedissequi commentatori autoctoni): questa etichettatura ossessiva agisce efficacemente come un "mantra", accuratamente svincolato dai dati economici relativi persino alla struttura dell'offerta italiana ed al suo effettivo mercato del lavoro, ammettendo piccolissime varianti.
Certo, la realtà, come vedremo dalle fonti che andremo a citare, è diversa dal mantra e, una volta collocata nella prospettiva del federalismo eurotrainato, rischia di fare dell'Italietta autorazzista uno strumento inefficace, anzi controproducente, rispetto all'aggressività di una Germania che sta prendendo la mano agli stessi controllori d'oltreoceano: mentre la Brexit rischia di rompere l'unità (confusa) del fronte anglosassone di re-imposizione del governo globale dei mercati (ragione sociale originaria e unica della costruzione €uropea culminante negli USE), assistiamo però di recente a una certa qual correzione del tiro (ma non hanno ben avvertito Alan Friedman...).

4. Intanto il New York Times, sezione business, ci dà atto che, nell'eurozona della ripresa debole, alcuni paesi stanno facendo "meglio" di altri: tra questi, parrebbe inclusa l'Italia cui sono riservate queste valutazioni:
"Poiché l'Italia è la terza maggior economia dell'eurozona, dopo Germania e Francia, i suoi problemi sono potenzialmente una minaccia più grande alla stabilità del blocco di quelli della relativamente piccola Grecia. L'economia italiana non è cresciuta significativamente negli anni, molte delle sue banche sono appena solvibili, e il debito pubblico come percentuale del PIL è tra i più alti al mondo. 
Probabilmente nessun paese ha beneficiato di più dell'Italia dalle recenti misure di stimolo della BCE. che hanno aiutato il governo a tenere basso il costo del prestito e hanno assicurato che le imprese italiane possano ancora ottenere del credito (???) nonostante la scarsa salute delle banche. Matteo Renzi, il primo ministro italiano orientato alle riforme, sta cercando di rendere il paese più adatto agli imprenditori. Nel corso di quest'anno gli italiani voteranno su "cambiamenti", proposti dal suo partito, al metodo decisionale attuale del suo Parlamento e per por fine alla sua cronica instabilità politica. Se Matteo Renzi avrà successo, gli "economisti" intravedono la speranza che l'Italia, che è forte in settori come la moda e la meccanica- possano ridurre la burocrazia e fare altri cambiamenti che incoraggino la crescita".
E questo è il New York Times, moderatamente espressione dell'establishment "progressista" USA: il pensiero unico supply side e l'ignoranza grossolana degli effetti, sul modello di specializzazione dell'economia italiana, delle riforme neo-liberiste, patrocinate dall'euro-appartenenza, appare talmente colossale che non si saprebbe da dove iniziare un'operazione di altrettanto moderata riconduzione alla realtà.

5. Ma rimane il fatto che l'appoggio convinto è apprestato, senza neppure rendersene ben conto (il luogocomune alberga a livelli di radicazione impressionanti), all'attuale linea dell'austerità espansiva, perché l'Italia, asseritamente affetta da contrarietà alla cultura dell'impresa e dalla immancabile burocrazia, invariabilmente eccessiva, sarebbe inefficiente nel decidere la giusta riduzione dello Stato e lo sprigionarsi benefico delle forze del mercato.
Semplicemente il NY Times, come Alan Friedman, si disinteressa dei dati pluridecennali degli effetti delle "riforme" (per loro pro-business) già prodottisi massicciamente e esclude a priori che in ciò possa risiedere il problemino.
Insomma, il primato mondiale di deregolazione del rapporto di lavoro a tempo intedeterminato, già raggiunto, secondo l'OCSE, nel 2008, non scalfisce i luoghi comuni del NYT:
6. E neppure la classifica, sempre OCSE, che, nel 2013, prima del jobs act, cioè dell'integrale abrogazione dell'art.18 fatidico, ci vedeva già giunti praticamente ai medesimi livelli di flessibilità della stessa Germania:
Allo stesso modo, è completamente ignota la realtà del principale indice di "burocratizzazione", quello più oggettivo e significativo, cioè la percentuale di pubblici dipendenti sulla popolazione, che vedrebbe gli USA molto più burocratizzati dell'Italia 
Questo il dettaglio OCSE sui numeri del 2011, ulteriormente ristretti dalle manovre di blocco del turn over degli anni successivi: notare, sul piano strettamente burocratico, gli addetti in senso stretto, rispettivi di Italia e USA, al settore amministrativo, che esclude i pubblici dipendenti addetti a servizi pubblici come ad es; il SSN. Il confronto, a favore dell'Italia, sul piano dei "puri burocrati", è addirittura impietoso:


7. Se tutto questo poi coincida, o meno, con il "meno Stato" che, sul piano delle procedure e delle strutture, parrebbero esserci additato come soluzione dal NYT, anche lì, ci sono indicatori, favorevoli all'Italia e sfavorevoli agli USA, proprio sul piano di una maggior realizzazione delle "riforme".

Prendiamo ad esempio il saldo primario pubblico, che, specie se mantenuto nel lungo periodo, indica una inevitabile destrutturazione del settore pubblico (che, appunto, per chi non l'avesse capito, se "risparmia", paga il debito pubblico e, ovviamente, non converte tale liquidità, rastrellata presso il reddito dei cittadini, in investimento in conto capitale sull'organizzazione pubblica che, altrettanto inevitabilmente, deperisce: magari anche nell'efficienza, ma al riguardo dovrebbero avvantaggiarsene i privati per via del crowding-out):


E questa realtà delle rispettive economie, e delle politiche fiscali e "di riforma", trova conferma nei rispettivi deficit pubblici complessivi, dato che gli US non realizzano mai, nello stesso periodo, un saldo attivo primario, pur scontando un onere del debito pubblico mediamente minore: ma da quando siamo dentro la moneta unica non c'è lotta, né con gli USA, né con UK e neppure con la "miracolosa" Irlanda, a cui non viene più chiesto di "fare le riforme":

8. La maggior efficienza italiana nel fare le riforme, trova anche una corrispondenza nei rispettivi andamenti della spesa pubblica: gli USA, già più "densi" di burocrati, hanno strabattuto l'Italia nell'aumento della spesa pubblica della fase post crisi. 
Magari l'hanno fatto per provvedere al benessere minimo della popolazione, mentre in Italia ciò non varrebbe, a sentire il NYT: chissà perché, visto che la nostra spesa viene contratta in modo...prociclico, a volersi attenere agli stessi criteri seguiti dall'Amministrazione USA:
Inserisco qui un solo dato comparato, che vede stravincere l'Italia sugli USA anche nel "meno Stato" (molti altri indicatori potrebbero confermare questa realtà e li trovate nel post appena linkato). USA batte Italia (in "più Stato": 5,7 a 1,4), nonostante i "costi sociali" della crisi del 2008:


Insomma, Alan Friedman e il NYT non ci paiono ben informati.

9. Un po' più aperturista, ma non necessariamente legato ai dati fiscali e macroeconomici, ci pare Anatole Kaletsky (Chief Economist and Co-Chairman of Gavekal Dragonomics. A former columnist at the Times of London, the International New York Times and the Financial Times, he is the author ofCapitalism 4.0, The Birth of a New Economy, which anticipated many of the post-crisis transformations) su Project Syndicate, che, in essenza, ci concede un quadro appena diverso, almeno nelle premesse.

Ci racconta che la Germania dice sempre no, stoppando le iniziative espansive di Mario Draghi, e ogni altra soluzione cooperativa, al punto da prendere atto che la Germania avrebbe deluso ogni aspettativa sulla sua capacità di svolgere una leadership in UE. Draghi trasforma la BCE nella banca centrale più "proattiva", capace di aggirare le regole di Maastricht e di spingersi ad essere, secondo il commentatore in questione, il primo  banchiere centrale che ha ipotizzato l'Helicopter Money, panacea di tanti mali (le cose, abbiamo visto, non stanno esattamente così).

Però l'analisi si spinge ad un'aperta lode di Padoan, capace di opporsi alle politiche economiche "pre-keynesiane" volute dalla Germania, - e lo dice senza però nominare il fiscal compact e il pareggio di bilancio, che rimangono l'obiettivo di risanamento e crescita, anche nei costanti enunciati dei governi italiani e, per la verità, anche della nostra Corte costituzionale...-, manifestando ciò nei Consigli europei. 
Tralasciando l'illustrazione di come ciò abbia portato a soluzioni pratiche, naturalmente "creative", nel tentativo di risolvere la situazione creatasi con l'avvento dell'Unione bancaria, Padoan, quale ex capo economista dell'OCSE, è indicato quale unico ministro dell'economia del G7 con un professional economics training
Da qui l'ipotesi di un "rinascimento" della leadership italiana, addirittura, in campo €uropeo, incarnata nell'attuale presidente del Consiglio, che, nonostante quello che pensa il NYT, ha infatti potuto attuare "riforme" nei settori del lavoro, delle pensioni e dell'amministrazione pubblica "impensabili in passato". 
Risultato auspicato: se l'Italia potrà assemblare una coalizione di Stati europei "pragmatici e progressisti" riuscirà forse a vincere le resistenze tedesche e a instaurare in €uropa il mitologico "new type of global capitalism, evolving out of the 2008 crisis".

10. Insomma, Italia in "renaissance", e detto da un "anglosassone", per quanto anomalo: Kaletsky è infatti nato a Mosca e si limita a "vivere tra UK e USA dal 1966", raggiungendo però una certa innegabile legittimazione radicata nella "cultura" USA, in virtù della nomina, nel 2012, a Chairman dello "Institute for New Economic Thinking", una fondazione nata dopo la crisi del 2008, con 200 milioni di donazioni apprestate, sentite bene,  George SorosPaul Volcker, William Janeway, Jim Balsillie e "altri eminenti finanzieri".

Dunque, nonostante qualche incomprensione sulla...realtà (quella non immaginaria dei luoghicomuni), "Italia sugli scudi" perché "fa le riforme" e le fa più degli USA (anche se non ci vuole molto), che, pure ce le impongono come soluzione "a prescindere" (dai fatti e dai dati).
Ma, a sentire i nostri media e a constatare l'indirizzo politico-internazionale italiano,  tutto ok: a condizione che ciò porti alla instaurazione del "global capitalism", che sarebbe una risposta ai problemi sollevati dalla crisi del 2008; anche se non si capisce perché mai, questa soluzione sarebbe diversa dal fiscal compact, dal "meno Stato" e dalla Unione bancaria nelle forme imposte dai tedeschi. 

11. Intanto, l'Italia si adegua con tutte le sue forze "ufficiali": siamo i più bravi anche se ci frustano con inerziali luoghi comuni. Rispettiamo tutto. 
Il fiscal compact, la nuova flessibilità, e anche l'adeguamento alla definitiva globalizzazione guidata dai mercati: ma democratica e progressista.
Questa contraddizione di fondo, non è l'unica: intanto si approvi il TTIP e il global capitalism sia realizzato in pieno, essendo "la" soluzione.
Solo che nel frattempo, le cose si sono un po' complicate...
Confermandosi che il tramonto dell'euro potrà essere solo "rabbioso". E anche un tantinello controverso (ma tanto, nel frattempo, gli USA si aspettano che approviamo la riforma costituzionale della stabilità di governo e della semplificazione istituzionale...nostra):


E dunque l'euro tramonta sfiammeggiando, nell'attesa che il Ttip si abbatta su di noi, mediante diritto internazionale autoapplicativoenforced da arbitri privati pagati dalle multinazionali, come ci avverte Stiglitz. Questo diritto internazionale autoapplicativo e bypassing le corti nazionali "in nome del popolo", viene elaborato ed approvato secondo una sorta di rito esotericosul quale i parlamenti non possono e non potranno dire nulla.In attesa del compimento del rito, dunque, l'euro, nel suo tramonto di rabbia (verso l'umanità), continuerà a costituire il mezzo di normalizzazione del lavoro-merce, divorando le Costituzioni democratiche.

Lo vedremo nella prossima puntata: ma non perché lo diciamo noi. Per quello che sta accadendo proprio sulla sponda americana dell'Atlantico...

7 commenti:

  1. L'ottimo Bazaar temperava, due post fa, le mie pulsioni rabbiose e potenzialmente violente (su Goofy sarei rimproverato perché dico IO, ma parlo solo in quanto UNO - di molti, temo), ricordandomi l'impersonalità del Capitale su cui già Marx (et Al.), e i limiti delle soluzioni blanquiste. Vero - e infatti "uno" s'è calmato. Ma qui c'è una serie di agenti (qui agent nel senso di decisori - in quanto "TAGLIANO"! - e per quanto possa dirsi decisore un servo volontario o sciocco), di diligenti commessi alle dipendenze di ciò che, perché sistema, è appunto impersonale e in altri tempi avrebbe assunto i tratti della fatalità. Cosa dissolve i fati? La conoscenza, e mai sarò abbastanza grato a Quarantotto (et Al.) per il lavoro che fanno qua dentro e altrove. Ma c'è un problema di prossimità (con gli infami dall'anagrafe ben nota, coi commessi de quibus) e di serenità ed equilibrio psichico di chi come me, ora edotto, non può rapportarsi col Grande Dittatore, ma solo col kapò di giornata. È difficile convivere, a tali condizioni. Non so... Vorrei farmi lista di proscrizione vivente, disonorare i servi in ogni dove, ogni santo giorno, con chiunque, radiandone gli estimatori dalla sfera delle mie frequentazioni. Per me ogni patto è già saltato, la sua tenuta nulla in termini di socialità. Ho nemici della porta accanto, con ciò che comporta, questo, nel mio quotidiano. (Beninteso: tutto perfettamente inutile a spostare di un nanometro i termini del problema - inutile io).

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  2. TTIP Leaks da scaricare.

    Francia è Austria si oppongono al TTIP. Italia come si sà va dietro la Merkel come solo un imbecille può fare, la casalinga Merkel è fortemente pro-TTIP. Merkel in Germania viene sopranominata "casalinga" perchè crede che si puo condurre un stato come una casalinge conduce la sua familia.
    Per una casalinga puo essere utile a risparmiare, per uno stato in recessione/depressione è altamente controproducente.

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  3. I fautori del meno stato hanno già ottenuto di pagare meno tasse attraverso aliquote uniche da sbellicarsi. Aspettiamo con pazienza la comprensione dei restanti.

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    2. I quali poi, accecati dall'odio per lo statoladro, vorrebbero che la spesa pubblica diminuisse, cioè che aumentasse il saldo primario, ossia che lo stato EFFETTIVAMENTE sottraesse risorse all'economia. Da statoladro a statoladrissimo!

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  4. Ottimo intervento . Mi sono ricordato di come Henry Kissinger il 25/09/74 a Washington in colloquio con On. Aldo Moro lo avverti dicendo : "... lei la deve smettere di perseguire il suo piano politico per portare tutte le forze del suo Paese a collaborare direttamente (il Partito Comunista ndr). Quo o lei smette di fare queste cose o lei la pagherà cara. Veda lei come la vuole intendere."
    Noi sappiamo poi come andò a finire.

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    1. Consiglio, per ulteriore approfondimento, un interessante incursione ai commenti di Arturo al post del 5 agosto:
      http://orizzonte48.blogspot.com/2016/08/il-grande-inganno-del-totalitarismo.html?showComment=1470420372539#c3505756557246426379

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