mercoledì 27 luglio 2016

HAYEK, MONNET, ROBBINS: LE RAGIONI INCOMPRESE DI UN SUCCESSO E LA (NON) MODIFICABILIA' DEI TRATTATI**



1. Mi è capitato di constatare, confrontandomi con interlocutori di varie appartenenze politiche, che l'approfondimento storico-economico e storico-istituzionale circa le ragioni e le finalità del federalismo europeo, pur in un momento così drammatico, che appare di "transizione" forzata verso...qualcos'altro, sia tutt'ora trascurato: e ciò in favore di una vulgata semplificata che, più o meno, si incentra sull'esigenza di "tornare alle origini", allo "spirito" iniziale, della costruzione europea che sarebbe stata caratterizzata non solo da alti ideali - la pace e la prosperità dei popoli - ma da una solidarietà e da una volontà di democrazia condivisa che oggi sarebbero andate perse. E che, perciò, andrebbero recuperate. (Ecco il più recente esempio:
«Tutti nel M5S si sentono europei, noi non siamo mai stati una forza che voleva uscire dall' Unione europea pur criticandola molto duramente». D' altra parte l' Europa ha smesso di essere comunità, in nome dell' austerità ha penalizzato i più deboli. Questa Europa della moneta unica, del centralismo burocratico ha tradito i suoi valori fondativi e deve cambiare». Tante citazioni di Jean Monnet, di don Sturzo. Nessuna dell' euroscettico Nigel Farage con cui i 5Stelle hanno avuto un certo feeling.)

In realtà ci siamo già occupati di questa presunta precedente presenza di alti ideali democratici e di solidarietà, mostrando come, nel corso del processo normativo dei trattati, non ve ne sia traccia, né nella fase fondativa, né nella fase evolutiva e tantomeno in quella culminata in Maastricht e sue successive modifiche.

2. Ma sostenere una riformabilità dell'€uropa, cioè una rivedibilità dei trattati, nelle condizioni attuali, per ovviare ad una sua "crisi" (cioè alla radicale avversione e diffusissima impopolarità), significa ignorarne la coerenza costante, solo mitigata dalla progressiva gradualità di cui parlano esponenti eccellenti della costruzione europea come Jean Monnet e, più tardi con parole quasi identiche, Giuliano Amato.


Questa coerenza risale alle stesse origini dell'idea di federalismo sovranazionale, quale concepita da von Hayek, e di cui abbiamo tentato una ricostruzione, a suo tempo, che è stata poi trasposta in "Euro e(o?) democrazia costituzionale".
Al tempo di tale prima ricostruzione, nata da una curiosa polemica, generata a sua volta da un approccio alle teorie economiche avulso da una prospettiva storica e istituzionalistica estesa oltre gli ultimi 20 anni, avevo prescelto un metodo confutativo diretto, al fine di evidenziare la contrarietà, alla Costituzione italiana, della visione restaurativa del capitalismo anteriore alla crisi del 1929, sostenuta in nome del federalismo neo-liberista europeo e, possibilmente, mondiale.
Con la "Costituzione nella palude", ho preferito abbandonare questa dialettica immediata, lasciando spazio a fonti che riflettano una diretta espressione di questa visione che ha caratterizzato, appunto in modo totalmente coerente e dall'inizio, la costruzione europea. In ogni ricostruzione fattuale, la migliore fedeltà si ottiene acquisendo la "ammissione" dei fatti da parte di chi ne è protagonista mediante intenzioni enunciate, e conseguenti azioni ed omissioni...

3. Per una ricostruzione del pensiero di Hayek in tema di federazione europea, con le sue connessioni antecedenti alla visione del "maestro" Mises, del "funzionalista" Monnet, consiglio quindi di andare a questa ulteriore fonte diretta, cioè proveniente dalla stessa corrente di pensiero che ha costantemente alimentato, con successo - è importantissimo capire che, aderendo a questo punto di vista ideologico, si tratti di un successo da difendere, non certo di un fallimento che richieda radicali aggiustamenti-, il disegno che ha condotto all'attuale assetto dei trattati.  
Di quest'ultima fonte - significativamente intitolata "La riflessione federalista in Friedrich von Hayek"- non farò un commento per brani selezionati, semplicemente perchè tutta l'esposizione risulta integralmente significativa e riassuntiva dei momenti e dei concetti salienti della visione hayekiana, che tanto hanno influenzato la costruzione europea, direttamente nella sua fase fondativa, indirettamente attraverso l'alimentazione di un pensiero che ha sempre trovato chi lo evolvesse e lo adattasse ai vari svolgimenti storici (specialmente alla situazione del venir meno della contrapposizione, in Europa, del blocco Nato al blocco "sovietico", nelle forme durate all'incirca fino agli anni '80). 
E questa esauriente significatività della fonte citata, include anche la questione della moneta così come già esposta in questa sede, in tutte le sue varie e tormentate articolazioni, sia parlando dell'influenza di Hayek in generale, sia ricostruendo come, attraverso l'Unione bancaria, questi abbia avuto, in definitiva, una sua rivincita rispetto alle ragioni per cui considerava troppo "compromissoria" (e quindi moderata rispetto alle esigenze dell'ordine sovranazionale dei mercati), la stessa moneta unica.

4. Senza pretesa di aver esaurito un argomento così diramato e profondamente penetrato nella "cultura" delle classi di governo oggi, e da almeno 30 anni, al potere in €uropa, al riassunto tratteggiato finora dobbiamo aggiungere altre due fonti.
La prima, come spesso capita, ci viene fornita da Arturo in questa citazione di un passaggio tratto da un libro di Streeck, coevo a "Euro e(o') democrazia costituzionale":  
“Dato che i problemi di legittimazione del capitalismo democratico presso il capitale divennero problemi di accumulazione, fu necessaria la liberazione dell'economia capitalistica dall'intervento democratico quale condizione per la loro risoluzione. In questo modo si trasferì dalla politica al mercato il luogo dove assicurare una base di massa a sostegno del moderno capitalismo nelle sue motivazioni più profonde, generate dall'avidità e dalla paura (greed and fear), nel contesto del processo di immunizzazione avanzata dell'economia rispetto alla democrazia di massa. Descriverò questo sviluppo come il passaggio da un sistema di istituzioni politiche ed economiche di orientamento keynesiano, tipico della fase fondativa del capitalismo postbellico, a un regime economico neo-hayekiano.”
A "greed and fear" c’è una nota: ”Greed and fear, avidità e paura sono, secondo l'autodescrizione del capitalismo finanziario fornita dall’economia finanziaria, spinte decisive al funzionamento dei mercati azionari e dell'economia capitalistica in generale (Shefrin 2002).” (W. Streeck, Tempo guadagnato, Feltrinelli, Milano, 2013, pagg. 25 e 221).
La seconda fonte aggiuntiva, riguarda invece un recente libro scritto da uno storico dell'economia americano, Angus Burgin, che ci piace citare sia perché, fin dal titolo, preannuncia il carattere di rigido controllo dell'informazione e della cultura che ha assunto l'opera restaurativa dell'ordine dei mercati (neo-liberista), come forma di governo oligarchica e sovranazionale, predicata da Hayek; sempre nell'ottica della restaurazione del paradigma economico anteriore alla crisi del 1929. 
Infatti, il libro di Burgin  si intitola proprio "The Great Persuasion - Reinventing Free Markets since the Depression" (da leggere le recensioni sintetiche riportate nel link, che confermano come ben presenti, all'interno della cultura statunitense, le acquisizioni che tre anni fa avevamo anticipato in questa sede).

5. A chiosa finale di questa rassegna di fonti, consideriamo importante ri-citare due passi che possono apparire in contrasto con l'idea "libertaria" di Hayek (sempre da assumere nei suoi termini istituzionali effettivi, cioè di concreta gerarchia delle fonti normative che egli propugna, una volta che si guardi alle soluzioni che discendono dal senso concreto delle sue enunciazioni di principio). 
Tuttavia, nel primo passo che citiamo, questo contrasto è in realtà apparente, dato che il suo autore, Lionel Robbins, non solo ebbe un'influenza non minore di Hayek sul federalismo "reale" attuato in €uropa, in particolare sulla stessa redazione del "Manifesto di Ventotene", ma la sua visione, notoriamente, è caratterizzata da una pragmatica esplicitazione che discende dall'appartenenza alla cultura britannica, ove la indicazione di soluzioni "nette", non postula la complessità della serie di antecedenti teorici e di giustificazioni "tradizionaliste" che caratterizza Hayek: 
«La scelta – scriveva Robbins non è fra un piano o l’assenza di piano, ma fra differenti tipi di piano». Correttamente si deve parlare dell’esistenza di un piano liberale, così come si parla di un piano socialista o nazionale.  «La ‘pianificazione’, nel suo significato moderno, comporta il controllo pubblico della produzione in una forma o in un’altra. L’intento del piano liberale era quello di creare un insieme di istituzioni in cui i piani dei privati potessero armonizzarsi. Lo scopo della moderna (pianificazione) è quello di sostituire i piani privati con quello pubblico – o in ogni caso di relegarli in una posizione di subordinazione».
Su questa base, Robbins fu allora in grado di denunciare il difetto della posizione liberale (e socialista) al livello internazionale. 
I liberali classici avevano sostenuto la necessità di introdurre una serie di istituzioni, come la moneta, la regolamentazione degli scambi e della proprietà, ecc. al fine di consentire il funzionamento del mercato: la mano invisibile è in verità, scriveva Robbins, la mano del legislatore Ma gli economisti classici, mentre ritenevano indispensabili queste misure di governo all’interno dello Stato, avevano ingenuamente creduto che potesse spontaneamente crearsi un mercato ben ordinato e funzionante anche al livello internazionale, in una situazione di anarchia politica."
5.1. La seconda citazione di "chiosa", invece, riguarda il maestro von Mises, e segna non tanto un (inconscio) maggior pragmatismo di quest'ultimo (dato che, pur paludata da altisonanti enunciazioni "filosofiche", la vena pragmatica di Hayek fu non minore, nei tempi successivi alla seconda guerra mondiale e, segnatamente, riguardo alla dittatura cilena), quanto una maggior "intransigenza" ed esplicitazione delle enunciazioni di Mises, rispetto a un contesto storico, quello dell'era dei fascismi, in cui i protagonisti del "Colloque Lippmann", e poi dell'associazione di "Mont Pelerin" (di cui abbiamo parlato estesamente ne "La Costituzione della palude", e secondo un tracciato ben ricostruito nel libro di Burgin), mantennero invece un atteggiamento molto più cauto e neutrale. Ecco la citazione di Mises:
«Non si può negare che fascismo e movimenti simili, finalizzati ad imporre delle dittature, siano pieni delle migliori intenzioni e che il loro intervento abbia, per il momento, salvato la civiltà europea. Il merito che il fascismo ha così ottenuto per sé, continuerà a vivere in eterno nella storia. Ma se la sua politica ha portato la salvezza, per il momento, non è della specie che potrebbe promettere di continuare ad avere successo. Il fascismo è stato un ripiego d'emergenza. Vederlo come qualcosa di più sarebbe un errore fatale.»

35 commenti:

  1. Ricordando che fu Einaudi a fornire i testi di Robbins ad Altiero Spinelli tramite Ernesto Rossi, possiamo fare due considerazioni: innanzittutto che Einaudi e Robbins erano elitisti e antidemocratici convinti, ma erano degli intellettuali seri.

    Considerando che Caffè definiva "acqua fresca" il povero Ernesto Rossi, e che Spinelli era parimenti infarcito di idee elitiste (cfr. Masini) e non si discostava molto da quest'ultimo per acume e preparazione intellettuale, emerge con chiarezza la cinica e perfida intelligenza di Einaudi (che già aveva inquinato di liberalismo il pensiero democratico di Carlo Rosselli): prendere due "sempliciotti" con militanza antifascista e usarli - mi si perdoni - come utili idioti per tinteggiare di rosso un progetto mostruoso già stigmatizzato mezzo secolo prima dai massimi rappresentanti del pensiero progressista, quali Lenin (1915) e la Luxemburg (1911).

    In realtà tutto il pensiero liberale e federalista - si pensi in Italia al solo Albertini - è tanto profondamente antidemocratico quanto raffinatamente cosmetizzato a fruizione della plebaglia non "iniziata" al liberalismo classico.

    Come non ricordare la pubblica protesta di Ernesto Rossi ed Einaudi contro lo Stato sociale del Rapporto Beveridge?

    Ed infatti, sono proprio i nipotini di Einaudi, insieme ai federalisti a ricordarci il rapporto tra federalismo e incoraggiamento dei conflitti sezionali, cosmesi del conflitto sociale paludando quello tra classi e strategia della tensione a fini imperialistici.

    Per chiosare, non farei passare in cavalleria l'asserzione di Robbins per cui « Correttamente si deve parlare dell’esistenza di un piano liberale, così come si parla di un piano socialista o ["O"!] nazionale. »

    Per Robbins è evidente che socialismo e, quindi, Stato e democrazia sociale, sono strettamente legati allo Stato-nazione.

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    1. Non avevo mai letto un cumulo di assurdità come in quel link. Nelle migliori regole della propaganda, non esistono fonti per il termine di paragone, si procede per analogia, si confondono i due piani, si dà per dimostrato cio' che è stato enunciato, si evoca il mostro assassino perché è la sua natura. Chi scrive non pare ignorare lo stalinismo e i suoi metodi.
      Certo con "centri di ricerca" cosi'...

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  2. Ricordiamoci sempre, stando com Madison, qual è il senso del federalismo alla radice (e per cui è stato generalmente imposto alle colonie):

    « In a large Society, the people are broken into so many interests and parties, that a common sentiment is less likely to be felt, and the requisite concert less likely to be formed, by a majority of the whole [Ovvero, "i conflitti senzionali non permettono di formare una maggioranza NUMERICA, ossia la democrazia tout court]. The same security seems requisite for the civil as for the religious rights of individuals. If the same sect form a majority and have the power, other sects will be sure to be depressed. Divide et impera, the reprobated axiom of tyranny, is under certain qualifications, the only policy, by which a republic can be administered on just principles ["aumenta i conflitti sezionali e regna" è il modo per cui la "sanior pars", ossia quella che *naturalmente* possiede i "princìpi" - quella facoltosa - {cfr. Einaudi e il Federalist n°10} può governare senza impicci]. It must be observed however that this doctrine can only hold within a sphere of a mean extent [se lo rileggano i mondialisti e i federalisti! Come Strauss, il loro paparino oligarchico Madison sa che "oltre certe dimensioni" una super nazione non può essere altro che una tirannia!]. As in too small a sphere oppressive combinations may be too easily formed agst. the weaker party; so in too extensive a one, a defensive concert may be rendered too difficult against the oppression of those entrusted with the administration [ossia quando le dimensioni e l'eterogeneità aumentano troppo, l'oligarchia "naturale e illuminata" non rischia più di cadere in un'illiberale "democrazia", ma una tirannide"!]. The great desideratum in Government is, so to modify the sovereignty as that it may be sufficiently neutral between different parts of the Society to controul one part from invading the rights of another, and at the same time sufficiently controuled itself, from setting up an interest adverse to that of the entire Society. »

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    1. Illuminanti i tre links posti nel primo commento: siamo nella sfera delle "ammissioni" senza tergiversamenti.

      Altamente opportuno pure il brano di Madison, con commento per chi fa fatica a studiare e pensa di poter uscire - o di essere già uscito per virtù infusa- dai condizionamenti dell'opinione di massa.

      Speriamo che qualcuno abbia lo scrupolo di leggersi a fondo post, commenti e links.
      Ma credo che già occorra troppo impegno intellettuale in senso tradizionale (cioè leggendo e studiando).
      Peraltro, le "tradizioni" da venerare, in senso del tutto opposto, parrebbero essere solo quelle confusamente codificate dalla stessa fonte mediatico-culturale che alimenta il condizionamento.

      Come dire, studiare non se ne parla (al limite solo "dibattiti" in cui siano presenti entrambe le posizioni, perchè entrambe SEMPRE egualmente rispettabili e ciascuno si forma la SUA idea "Dunning-Kruger")); ma sapere di sapere, senza curarsi di qualsiasi pre-comprensione, è qualcosa per cui si è disposti a...morire.

      Dubito che tutto ciò possa sortire un qualche effetto ampliativo delle conoscenze necessarie, ma almeno abbiamo tentato...

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    2. Capisco (e verifico) quanto sia frustrante e desolante cercare di far capire qualcosa, d'altra parte vedo almeno tre ordini di problemi.
      Il primo, ovviamente è l'effetto "Dunning - Kruger", sapientemente e intensamente reiterato dai media.
      Il secondo è genericamente l'appartenenza che sconfina nell'identità: io sono me stesso anche perché ho un certo giro di amicizie, penso certe cose, ne "so" certe altre, ecc. ecc. Rapporti, amicizie e idee che ho messo una vita a costruirmi. Ed è una enorme fatica, una vera e propria sofferenza allontanarsi da tutto questo.
      Il terzo è il fatto che qui e adesso non si può fare niente salvo informarsi e diffondere la conoscenza. Parli con qualcuno, hai l'impressione di cominciare a fare breccia, poi quello ti chiede "ma allora, cosa possiamo FARE?" e quando gli rispondi "capire e studiare" percepisci fisicamente il suo allontanarsi. Che razza di "sapiente" sei?

      Pazienza. Quando qualcuno ci arriva lo fa con le proprie gambe, e ci ritroveremo prima o poi ad ascoltare compunti chi ci "rivela" come una propria scoperta quelle cose che avevamo cercato in vano di fargli capire. Prenderemo l'aria compresa, gli diremo che ha proprio ragione, NON lo chiameremo (affettuosamente) brutto scemo...
      Ci vuole tempo, spero di riuscire a vederlo.

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    3. Qui entriamo nell'esistenziale: sicuramente al di là della mera divulgazione.

      Io non c'è giorno che non mi addormenti chiedendomi di cosa sono coscienza.

      Una coscienza: una coscienza che cerca significati e lavora per continuarlo a fare. Per mantenersi vivo e in salute, si intende. Incessantemente.

      E, chi cerca, trova. Qualcosa. Si spera di "eideticamente ridotto".

      Il punto è che anche l'oggetto della ricerca è arbitrario.

      Magari, se avessi investito tutte le mie energie ad accumulare capitale sarei più felice.

      O magari sarei più contento a guardare con la faccia tutta sgangherata una partita di calcio tra la spazzatura di una favela.

      Dove incanalare energie - chiaramente - è un problema di ordine morale. Ma non solo.

      Purtroppo, è vero che la razionalizzazione della realtà è una malattia tutta umana, ma il sonno della ragione genera mostri: comunicare in profondità è una rarità.

      Avere delle relazioni appaganti contemporaneamente sia a livello intellettuale che emotivo è rarissimo.

      L'eccessiva razionalità soffoca la parte più umana e profonda dell'Uomo: le emozioni.

      Rispondere alle emozioni senza un minimo di ragionevole elaborazione, è bestiale.

      Paradossalmente, in entrambi i casi, la differenza è fatta dalle emozioni.

      La vera intelligenza emotiva è merce rara. Da Bodhisattva.

      Chi razionalizza tutto - tipico dell'approccio positivista degli "ingegneri" - lo fa a causa di una potente emozione: la paura. Dopo cinque anni di politecnico certi comportamenti diventano pattern.

      Il problema cognitivo rimane sempre lì: l'emotività e, quindi, come questa viene gestita. L'etica.

      La maggior parte delle volte, i dialoghi con le proprie relazioni non hanno nulla di "platonico": magari le conversazioni fossero come quelle de La Repubblica! La dialettica....

      Oltre a tutte le scorie dell'overdose informativa, ci sono la paura del giudizio, il sentirsi inferiore per non aver adeguata erudizione, l'invidia per le capacità dialettica, la frustrazione di non riuscirsi ad esprimere correttamente e la rabbia che generano tutti questi sentimenti sgradevoli messi insieme.

      Il semplice desiderio di esprimersi in un mondo in cui la solitudine intellettuale è alimentata dai media di massa.

      Generalmente evito sempre di discutere: chi è in domanda ricerca, e chi è in ricerca domanda.

      Potrei avere un sacco di risposte che sta cercando. Forse no.

      Ma sta cercando?

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    4. 48, qualcunA lo fa sempre di leggere tutto cio', soprattutto per i post che ricostruiscono la storia delle idee dietro al progetto UE e che sono quelli che mi interessano di più. Sono essenziali per capire il presente. Bisognerebbe leggerli a scuola e commentarli, perché la loro struttura, la pluralità di voci, la complessità dei concetti, la rete di rimandi ne fanno oggetto ideale di lettura collettiva e di commento. Ogni post è una lectio. Non capita spesso. Dopodiché non ho molto da commentare di tecnico, non essendo studiosa di tali questioni. L'augurio è che un libro più esauriente su tutto questo consenta presto di tenere in libreria il cammino di tali idee lungo tutto il secolo scorso e l'attuale. Internet è indispensabile per la diffusione, ma poco adatto alla riflessione, alla concentrazione e ai tempi che la lettura di post del genere richiede ai non specialisti.

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    5. Concordo sulla esigenza di scrivere un (ulteriore) libro che, - almeno per chi abbia conservato la capacità di lettura (pullulano le persone che adducono varie forme di impedimento psico-fisiologico a tale attività)-, contenga l'esposizione dei concetti qui esposti in post variamente sparsi.
      Speriamo di trovare il tempo di farlo.

      L'allusione contenuta nel commento più sopra non era diretta al lettore/lettrice "tipico/a" di questo blog: tutti coloro che lo sono, divengono degli studiosi, in qualche forma, e il loro contributo è sempre apprezzato.
      In realtà mi riferivo a un diffuso atteggiamento di molti interlocutori "politici": e non solo nei confronti di ciò che qui viene rappresentato.

      Siamo messi molto male: e la situazione, con queste risorse culturali, di questa odierna classe politica, non dà segno di poter migliorare...

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    6. Io invece dovrei smettere (non lo farò!!!), mi fa male alla salute leggere/studiare quassù. Scopro il mondobbrutto - qui derido me stesso che scopre a 50 anni di essere cresciuto in un pozzo nero e, del pari, che everywhere è mondobbrutto.

      La reazione è, già lo dissi, l'impulso violento (che, ovviamente represso, diviene autodistruttivo) - e già allora Bazaar mi riprese spiegandomi l'inanità delle reazioni scomposte contro mostri policefali e impersonali (del blanquismo, insomma).

      Rimane l'altra strada: ho occasioni, spazi, tempi, persone dalla mente ancora prensile e curiosa (e onesta, vivaddio, intellettualmente! I giovani sono onesti), insomma a scuola potrei, potrò...

      Segnalo la stessa difficoltà di Pellegrina: servirebbe una qualche raccolta sistematica ed una esposizione attenta ai limiti di un pubblico più esteso, insomma un libro.

      Dovremmo darle una mano noi, Presidente, lo so - lei me lo proponeva pure, a proposito di quella concept map... Ma per quanto mi riguarda mi è difficile farlo in tempi brevi: sto ancora studiando, qui e su goofynomics, arriverei a dare infimi contributi nei tempi che lei impiega a scrivere un libro.

      Piuttosto, anche a rischio di un OT quandoque, tra insegnanti scambiamoci spunti, idee, schemi di percorso - ma proprio un niente, tre link, un tema, due keywords...

      Non so... Sento che ognuno di noi sta scalando un Everest da solo, che il divide et impera in fondo agisce anche tra i più accorti (perché è nella natura del problema, di QUESTO problema che, chi ci arriva, chi arrivi da solo a capire qualcosa, e in condizioni precarissime: mai avrei pensato di studiare tanto attraverso uno smarphone a tempo perso, nei minimi istanti utili).

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    7. Fa piacere sapere che esiste quantomeno la possibilità di avere sul medio periodo un nuovo libro. Per quanto riguarda i lettori, non si puo' escludere che qualche analista tenga d'occhio questo blog, ma che lo facciano i politici direttamente è altamente improbabile, in effetti. Del resto sono stati selezionati apposta, beceri, ignoranti, brutali e programmati per far applicare le direttive dei tecnici. Precari del potere altrui. Forse lo fanno di più alcuni giuristi silenziosi, perché ammutoliti da tanta audacia, ma se e come osino tradurlo nella pratica della loro azione o ricerca è altro paio di maniche, purtroppo.

      C'è un punto di partenza visibile al grande pubblico di cui faccio parte quando sembra che il discorso politico fino ad allora minimamente critico sulla UE, peraltro tenuto da partiti assolutamente minoritari e forse più dai militanti che dai dirigenti si arresti del tutto, ed è la direttiva Bolkenstein, poi ritirata. La critica a quanto essa comportava in termini di privatizzazioni dei servizi pubblici e l'accenno ad altri provvedimenti di liberalizzazione selvaggia in termini di circolazione della manodopera intraUE secondo diritti speciali, vale a dire non sotto giurisdizione dello stato in cui lavora, ma sotto altri regimi, sono le ultime osservazioni negative che ricordi da parte di un'organizzazione politica. Per dieci anni è stato il silenzio assoluto e l'acquiescenza totale. Al più qualche predica sulle povertà estreme e appunto l'introduzione nel discorso pubblico dell'età dell'oro perduta. Essa diventa poi il leitmotiv durante la gestione della crisi, che non porta mai a una chiara condanna della medesima, ma solo a un laio senza costrutto.

      Tra l'altro, nella pessima informazione da noi arrivata sul referendum britannico, mi pare di aver colto che un tipo di giurisdizione speciale sul lavoro si applichi da tempo in Gran Bretagna, ma non sono certa di avere compreso bene perché si trattava di accenni non sviluppati. Non erano in ogni caso i provvedimenti presi nell'imminenza del voto qualche mese fa, ma un'organizzazione stabile di più vecchia data. Forse da noi Melfi potrebbe esservi paragonato?

      Più prosaicamente anche se relativamente OT, da noi il governo si occupa di abbassare i redditi e le garanzie dei dipendenti pubblici distruggendo quell'ultimo calmiere di diritti che essi potevano rappresentare sul mercato del lavoro: se non è possibile applicare subito il JA viste le sentenze, facciamoli licenziare ai dirigenti o puniamo i dirigenti se non lo fanno. Tra l'altro l'idea delle "eccedenze" è particolarmente insidiosa, perché anche ammesso oggi che ve ne siano, stabilite poi in base a chissà quale criterio, se ogni anno va denunciata l'eccedenza dal dirigente o lo aspetta la punizione, è evidente che egli dovrà finire per distruggere interamente in breve volgere di tempo il suo stesso ufficio... diciamo dieci persone? in dieci anni al massimo l'ufficio è prima paralizzato, non potendo più svolgere i suoi compiti, poi azzerato anche fisicamente, poi in rari casi appaltato, ma nella maggior parte il servizio erogato sarà semplicemente eliminato. Eppure chissà quanti si presteranno a questo gioco della zattera. Nell'economia sociale di mercato, ovviamente (la storia dell'imposizione nel linguaggio giuridico e propagandistico di questo termine meriterebbe un pezzo del libro).

      http://www.corriere.it/economia/16_luglio_25/cadono-due-pilastri-statali-via-posto-fisso-scatti-automatici-b4c2e020-5293-11e6-9335-9746f12b2562.shtml?refresh_ce-cp

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    8. A parte ogni altra possibile notazione: cerca bene, qui di come si è creato il mercato del lavoro UK, ben prima e a prescindere dall'influenzamento UE, s'è più volte parlato funditus...

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    9. Grazie, mi interessa molto. L'arretrato del blog lo conosco male, confesso, e seguo da relativamente poco tempo.
      Alcuni pro Brexit parlavano della GB come laboratorio blairiano di cio' che sarebbe stato poi applicato in UE (ad esempio la privatizzazione dei trasporti).

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  3. Le persone come Di Maio appartengono ad un’ampia categoria che, come sappiamo, annovera anche molti giuristi i quali – come dice Lei - non hanno mai letto i trattati ordoliberisti e, soprattutto, non hanno mai pensato di studiarne l’ideologia. A loro basta il linguaggio accattivante e cosmetico contenuto nei trattati ed un “pizzico” di precomprensione che conduce inevitabilmente all’incomprensione. Di Costituzione italiana, poi, manco a parlarne; e quando lo fanno, giungono a conclusioni aberranti:
    “… si è invece ravvisata da parte di settori anche ampi della dottrina italiana la concreta possibilità che nel caso di alcune disposizioni in special modo del Trattato di Maastricht "non manchino elementi di contrasto con la Costituzione italiana o addirittura con i suoi principi fondamentali".... Una così impegnativa conclusione si fonderebbe sostanzialmente sulla rilevazione di una asserita incompatibilità del criterio dell'efficienza economica da quella normativa europea promosso e implementato, da un lato, e la protezione dei diritti sociali così largamente riconosciuti e garantiti dall'ordinamento italiano, dall'altro lato. Si tratterebbe, in buona sostanza, di una vera e propria dialettica contrapposizione tra lo Stato sociale incarnato dalla Costituzione repubblicana…e l'obiettivo della sempre maggiore integrazione mediante l'edificazione di un "mercato unico" segnato, ormai, solo dall'abbattimento delle barriere nazionali … e dalle teorie economiche liberiste, divenute dominanti, che ne offrivano la giustificazione ideologica….Sotto questo profilo non parrebbe corretta la sopra accennata severa visione di denuncia di tale incompatibilità, e ciò per molteplici ragioni.
    IN PRIMO LUOGO, in generale e non soltanto con riguardo agli aspetti dell'economia, il limite dei "princìpi fondamentali" o "supremi" dell'ordinamento costituzionale italiano SEMBRA DESTINATO A PERDERE RILEVANZA una volta che l'evoluzione dell'Unione europea verso la garanzia e protezione dei diritti umani e fondamentali (così ben descritta criticamente da Bogdandy) superasse il punto di non ritorno: va da sé che in tal caso questo sviluppo non potrebbe che riflettersi anche su quegli aspetti economici e sociali che qui più direttamente interessano (si pensi, come primi segnali di questa tendenza, alla proclamazione della Carta dei diritti a Nizza e alla firma del "Trattato costituzionale" che, fra l'altro, quella direttamente incorpora come seconda parte).
    IN SECONDO LUOGO, l'affermazione del contrasto tra norme comunitarie, contenute o meno nei Trattati, da una parte, e costituzionali interne di rango elevato (ovvero i detti "principi": AMMETTENDOSI ORMAI PACIFICAMENTE IL PREVALERE DELLE PRIME SU QUELLE COSTITUZIONALI DI MINOR GRADO), dall'altra, sconta una sorta di petizione di principio, cioè l'asseverazione dell'esistenza di una reciproca estraneità di valori che può in realtà essere dimostrata solo ove si mantengano quegli "occhiali ideologici" … in realtà LA COSTITUZIONE REPUBBLICANA FA RIFERIMENTO, GROSSO MODO, A QUELL'"ECONOMIA SOCIALE DI MERCATO" PARIMENTI RISPETTOSA DEL LIBERO MERCATO E DELL'IMPEGNO SOCIALE in un quadro di stabilità economico-finanziaria, di cui la Costituzione europea è stata originariamente impregnata senza, peraltro, avervi fino ad oggi neppure implicitamente rinunciato. (segue)


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    1. Non conoscevo il lavoro di questo Spattini. Ma sicuramente avrebbe dovuto leggersi il Guarino 1992 citato sempre dalla Costituzione nela palude e l'Einaudi in tema di economia sociale di mercato (sicuramente per lui un "maestro" anche di interpretazione costituzionale, a prescindere), citato da Arturo e riportato qui al punto 8:
      http://orizzonte48.blogspot.it/2016/06/germania-anno-zero-zero-reflazione-e.html

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    2. Ellosapete chi è il reprobo, anzi: la reproba, che ha scritto quella frase così "impegnativa" che tanto offende lo Spattini? Niente popodimeno che la signora vice-presidente Marta Cartabia (Principi inviolabili e integrazione europea, Giuffrè, Milano, 1995, pag. 62). Che aggiungeva (pagg. 63-4): "Pur senza negare un’ampia discrezionalità del legislatore, specie sul “come” e sul “quando”
      dell’attuazione dei diritti sociali — discrezionalità comunque sindacabile da parte della Corte costituzionale — non si può, dunque, mettere in dubbio che le Costituzioni — ed in particolar modo la Costituzione italiana, estremamente ricca e precisa in materia di diritti sociali — attribuiscano ai cittadini veri e propri diritti soggettivi di contenuto sociale, diritti che a loro volta esprimono scelte che almeno, nei loro aspetti essenziali, rientrano fra i valori che danno fondamento all’intero ordina­mento democratico.
      Pertanto, anche se in molti casi i mutamenti in materia di politica sociale sollecitati dal diritto comunitario rimangono circoscritti alla sfera lasciata alla discrezionalità del legislatore, non
      si può escludere che essi possano giungere a colpire il contenuto costituzionale dei diritti sociali, o addirittura il loro contenuto inviolabile. Di qui il compito del giudice costituzionale di sorvegliare affinché gli obiettivi della integrazione economica non conducano al sacrificio totale dei diritti sociali costituzionalmente garantiti."


      Tanto più che (Id., pagg. 54-5): "Gli strumenti di tutela dei diritti fondamentali e degli altri valori costituzionali riconosciuti negli Stati membri sono “tollerati” da parte del diritto comunitario solo se rispettano quei canoni di ragionevolezza, di proporzionalità, di salvaguardia del contenuto essenziale, che negli ordinamenti nazionali, secondo una impostazione eguale e contraria, debbono essere rispettati dalle normative dirette a limitare i diritti fondamentali. L’inversione dei ruoli non potrebbe essere più evidente: ciò che è valore negli Stati membri diventa limite nell'ordinamento comunitario e ciò che è limite diventa valore.
      D’altra parte, a differenza degli Stati costituzionali contem­poranei, nel sistema comunitario i diritti fondamentali non nascono all’interno di un disegno democratico, del quale siano condizioni d’esistenza, valori fondanti e supremi, e compiti fondandamentali. Al contrario essi fanno la loro comparsa ad un certo punto della vita della Comunità per contenere eventuali deviazioni delle istituzioni comunitarie, senza mai assumere, tut­tavia, la dignità di valori costitutivi del sistema comunitario. Di qui il diverso valore assiologico dei diritti fondamentali nell’ordinamento europeo."


      Chissà se si ricorda di averle scritte queste cosette? Noi comunque le rinfreschiamo la memoria volentieri.

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    3. Eh già, nel lontano 1995, more solito, in tanti dicevano ANCORA cose del genere.
      Ma la deriva accademica mi rammenta sempre due aspetti:
      a) a denunciare "l'inversione", OGGI, siamo rimasti in pochi e quasi coperti da derisione http://orizzonte48.blogspot.it/2013/02/focus-3-redux.html
      b) l'altro è il "canone" di Veblen per comprendere gli "espertoni lottatori" alla luce del test di Orwell
      http://orizzonte48.blogspot.it/2015/03/lorientamento-ultimo-della-cultura.html

      Bisognerà tornarci sopra...
      (ma ESSI-loro sono in migliaia e con tempo-risorse illimitate, ove conformi a..., mentre noi siamo pochi e avremmo pure da fare altre cose per guadagnarci da vivere...in mezzo agli insulti anti-Stato)

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    4. Nel 2015 ne sono state dette di simili (se non peggiori), a meno di non essere io ad aver preso un abbaglio:

      “…Quel che la Costituzione non consente è che il mercato sia privo di regole e la sua pretesa sovranità venga opposta, come invalicabile, alla sovranità popolare, laddove questa sia chiamata ad attuare principi e valori costituzionali. Spesso lo si trascura, ma essa fu votata sia da un socialista radicale come Lelio Basso sia da un liberale come Luigi Einaudi, sia dal solidarista Giorgio La Pira sia dal liberista Epicarmo Corbino, sia dal comunista Concetto Marchesi sia dal liberale Benedetto Croce; fu votata da Giuseppe Dossetti ma fu anche attivamente ispirata da Luigi Sturzo – che pur della Costituente non faceva parte – cattolici entrambi ma portatori di divergenti concezioni del rapporto tra ispirazione religiosa e attività politica. I COSTITUENTI FURONO CONCORDI NEL FISSARE FONDAMENTALI REGOLE E VALORI COMUNI MA ALTRETTANTO CONCORDI – da cui talune disposizioni volutamente elastiche – NEL TENERE APERTA LA POSSIBILITÀ DI PERSEGUIRE INDIRIZZI DI POLITICA ECONOMICA E SOCIALE FRA LORO ALTERNATIVI, DESTINATI A PREVALERE DI VOLTA IN VOLTA SECONDO LE SCELTE OPERATE DAGLI ELETTORI. Ma nel contempo fissarono limiti invalicabili, che avrebbero reso impercorribili sia politiche stataliste che dovessero mettere in discussione le libertà economiche, sia politiche liberiste che fossero in contraddizione con gli obiettivi fissati negli artt. 3, comma 2, 4 e 41 Cost.. In breve: FU ADOTTATO QUEL MODELLO DI “ECONOMIA SOCIALE DI MERCATO”, la cui formula altre Costituzioni hanno espressamente scolpito nel testo costituzionale…” [Augusto BARBERA, Costituzione della Repubblica italiana, in Enciclopedia del diritto, Annali VIII, 2015 356].

      Mi pare che dal 2015 faccia parte della Corte Costituzionale. Tutto rubricabile, ovviamente, alla voce “incomprensione”...

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  4. IN TERZO LUOGO, nemmeno appare corretta la precisa identificazione delle norme costituzionali che sarebbero messe in gioco dalle regole comunitarie: si potrebbe infatti sostenere, come qui, che anche se vi fosse un contrasto infine non risolvibile nei termini di una interpretazione, per così dire, "adeguatrice", esso non sarebbe certo configurabile tra princìpi fondamentali italiani da un lato, e norme dei trattati e/o da essi derivate dall'altro, negandosi che quelle costituzionali interne, individuate come collidenti, possiedano la dignità che si suole di norma concedere alla categoria dei "princìpi supremi", risultando così naturalmente cedevoli” [Così G. C. SPATTINI, Ascesa e declino (eventuale) della nozione di "costituzione economica" (nell'ordinamento italiano e in quello comunitario), Riv. it. dir. pubbl. comunit., fasc.6, 2005, pag. 1579].
    Dopo quasi 70 anni viene fuori che i Costituenti sarebbero stati “grosso modo” seguaci di Hayek, von Mises e Röpke e, perciò, tutti affetti da “biopotere antidemocratico” [così in La Costituzione nella Palude, 106].

    A Di Maio che, oltre al funzionalista Monnet, cita Sturzo e che dice che “l'Europa ha smesso di essere comunità, in nome dell'austerità ha penalizzato i più deboli”, aspirando a tornare ai “valori fondativi” gli ricordiamo quello che di Sturzo pensava Einaudi (amicone degli ordoliberisti) “… non posso far gran torto allo Sturzo attribuendogli un “liberismo” che, se è quello corrente nella accezione comunemente invalsa, è un fantoccio … di cui nessuno studioso serio conosce l’esistenza, fantoccio inventato da chi attribuisce agli economisti idee che essi non hanno mai professato. Non posso far quel gran torto a LUIGI STURZO perché, assiduo lettore dei suoi articoli sul “Giornale d’Italia”, VEDO CHE EGLI DIFENDE LE OPINIONI ANTISTATALISTICHE, ANTIDIRIGISTICHE, ANTISOCIALISTICHE non solo con gli argomenti della logica comune, di cui, per ragion di divisione del lavoro, si servono preferibilmente gli economisti, sebbene, e massimamente, con riflessioni d’indole politica e morale. Sturzo è contrario alle idee che combatte non tanto perché sono cagione di danno economico – ed il certo danno economico è tuttavia il minore – ma sovratutto perché corrompono la società politica, asserviscono gli uomini, conducono alla tirannia ed alla immoralità. EGLI, IN QUANTO ANTISOCIALISTA, antidirigista ecc. ecc. NON VUOLE IL “LIBERISMO” che è cosa piccola; VUOLE IL “LIBERALISMO” NELL’AMPIO SENSO TRADIZIONALE SUO PROPRIO…” [L. EINAUDI, Liberismo e liberalismo o della continuità di Sturzo, in Prediche inutili, Torino, 1959, 379-281].
    Se poi Di Maio, sull’argomento, volesse leggere La Costituzione nella palude (gli indichiamo anche le pagine 113, 124, 141 e 144), si chiarirebbe definitivamente le idee sulle persone che cita. (segue)

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  5. Quanto a Madison citato da Bazaar (e che ringrazio), Einaudi era un suo fan sfegatato “…Ma una mera società di stati, simile all’Anfizionia greca, al Sacro romano impero del medioevo, alla Santa alleanza della restaurazione era strumento adatto non a risolvere il problema, ma a promuovere nuove guerre fra stati sovrani soggetti, nella loro lotta contro la guerra, al veto di uno solo di essi. La soluzione non doveva cercarsi in una novella confederazione di stati sovrani, come quella che le 13 colonie nord- americane avevano costituita nel 1776; ma nella creazione di un vero stato federale, simile a quello che, sotto la minaccia imminente della guerra fratricida, Washington, Jefferson, Madison e Jay erano riusciti a fondare nel 1787 e vive e giganteggia ancora oggi. Il vero nemico, il nemico numero uno, il fomentatore necessario e sufficiente delle guerre è l’idea dello stato sovrano…” [L. EINAUDI, Prefazione-U. Nobile, L’umanità al bivio, Milano, 1947, XIX-XXIX], concetto ripreso altrove allorchè discetta sempre di federalismo: “…Faccio astrazione dagli esempi antichi e recenti delle Leghe anfizioniche, del Sacro romano impero, della Santa alleanza; ricordo solo l’esempio della Confederazione nord americana del 1776, la quale era costituita fra le 13 colonie sovrane liberatesi allora dalla madrepatria inglese; nessuna delle quali aveva voluto rinunciare al proprio esercito, alla propria rappresentanza diplomatica, alle proprie dogane. Orbene in poco più di 13 anni la dissoluzione di quella confederazione era cosa evidente. Occorse il genio di Washington, coadiuvato da statisti insigni, quali Madison, Jay e Jefferson per imporre a quelle tredici colonie recalcitranti la rinunzia alla propria sovranità, la rinunzia al diritto di avere un proprio esercito, proprie dogane e proprie rappresentanze diplomatiche. Così sorsero gli Stati Uniti d’America che sono diventati la più grande potenza del mondo appunto perché hanno rinunziato ad essere una società delle nazioni. In un’assemblea di stati veramente sovrani non è mai accaduto che alcuno di questi stati si assoggettasse al controllo degli altri…” [Il problema coloniale italiano nel momento presente, in Città libera, febbraio 1946, 47-56].
    Mi piacerebbe chiamare tutto ciò "solo" incomprensione

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    1. Se ti può consolare (...) l'incomprensione c'è. Rispetto, almeno, a quella preesistenza di una lingua, di una letteratura (sempre quella inglese), e di una serie indubbia di valori culturali condivisi e solo vissuti in diversi ambiti territoriali. Cioè esattamente l'opposto dell'Europa. Un dettagliuccio che poteva sfuggire, e sfugge tutt'ora, agli ital-europeisti che si sentono tutti cittadini del mondo (oligarchico) e nobili nell'animo, di quella nobiltà d'animus mercatorum, che tanta importanza ha nel conciliare l'antisocialismo dei "proprietari dabbene" (tutti meritevoli per nascita) e il tradizionalismo cattolico (quello che i mercati devono essere lasciati liberi di aumentare i profitti perché poi i ricchi penseranno a fare la carità ai poveri...perché così vuole Dio: che, d'altra parte, vuole pure che pochi si arricchiscano e molti rimangano poveri, a quanto pare).

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  6. Certo, ma “proprietari dabbene” nel senso del libertarismo alla Rothbard (con esclusione del doppio standard etico) o, come forse sarebbe più corretto, del libertarismo minarchico alla R. Nozick. Non siamo così lontani

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  7. Naturalmente Einaudi riprese esplicitamente il federalismo divisivo di Madison (di cui erano state riportate diverse citazioni anche qui) e di Hayek: "Anche in un’Europa unificata l’autorità federale potrà, come già dicemmo, stabilire dazi, divieti, restrizioni alle importazioni dall’estero, ma, come accade ora negli Stati Uniti di America, per l’ampiezza medesima del mercato interno i danni del restrizionismo sono assai meno gravi in uno stato grande che in uno stato piccolo. Sarà assai più diffìcile mettere d’accordo gli agricoltori della Danimarca con quelli della Sicilia per chiedere protezione contro i cereali russi o canadesi o argentini; perchè se alcuni cerealicultori siciliani, quelli grossi o grossissimi se pur ci saranno ancora, nel silenzio della grandissima maggioranza di proprietari agricoli della stessa regione, che sono quelli medi e minuti delle zone costiere, o intensamente coltivate, chiederanno di essere protetti, gli agricoltori danesi protesteranno perché interessati ad ottenere a buon mercato cereali di qualità per se stessi e cercali inferiori per il bestiame lattifero, ed in queste proteste saranno spalleggiati dagli agricoltori olandesi e da quelli lombardi interessati per le medesime ragioni a diminuire il costo ed a crescere col basso prezzo lo spaccio delle carni e dei latticini. Sarà parimenti più difficile mettere i siderurgici tedeschi e francesi e italiani e cecoslovacchi d’accordo, per chiedere protezione contro una ipotetica importazione nordamericana, con gli industriali meccanici che dall’importazione a buon mercato del ferro e dell’acciaio attendono ribassi di costi.
    Quand’anche poi una tariffa doganale alla frontiera europea potesse essere in qualche modo imbastita, come lo è negli Stati Uniti, la vastità del mercato intemo, la osservanza del principio del libero commercio fra gli stati federati, il nessun interesse di ognuno degli stati federati di limitare i nuovi impianti nel proprio territorio e l’interesse evidente di ognuno di essi di promuovere le nuove iniziative interne, renderebbero più difficili gli accordi ed in ognimodo meno nocivi, per la incapacità dei sindacati, i quali pure si formassero, di reprimere il sorgere di nuovi concorrenti.”
    (la fonte è il solito La guerra e l’unità europea, Milano, Edizioni di Comunità, 1950, pagg. 105-6).

    E’ significativo che su questo punto anche un autore liberale come Majone (Rethinking the Union of Europe Post-Crisis, Cambridge U. P., Cambridge, 2014, pag. 143) riconosca la pertinenza, “rafforzata”, del richiamo ad Hayek: ”Hayek was writing these words before the rise of the expansive welfare states of the post-war years. His argument is even more relevant today since it implies that a European federation would be unable to pursue precisely those policies which characterize and legitimate the contemporary nation state: health, social policy, industrial policy, income redistribution, and, more generally, all policies favouring particular socioeconomic groups at the expense of other identifiable groups.”

    Insomma, ormai è mainstream. :-)

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    1. Ecco Majone ci mancava (e non sottovalutiamo l'Einaudi esplicitoso, per quanto consentito dalla sua prosa faticosa).
      Ma credo che la conclusione sia talmente evidente che sarebbe stata condivisa da chiunque avesse voluto studiarsi la "questione" (voluto)...

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  8. Quella del tornare alle origini, alle nostre tradizioni, ai Padri Fondatori dell'Unione Europea, è sempre stata una bufala che ben pochi si sono presi la briga di smascherare; grazie 48 per averlo fatto tu con dovizia di particolari; ciò dimostra un'intelligenza e un'onestà intellettuale fuori dal comune. Casomani dovremmo tornare alla nostra Costituzione, rileggere Lelio Basso, Calamandrei e tutti gli altri rappresentanti del pensiero progressista, come Lenin e la Luxemburg.

    Oggi vorrei condividere con voi la mia esperienza con i miei vicini di casa neoliberisti.
    Penso spesso a Margaret Thatcher e al suo dire che “La società non esiste, ci sono solo individui, uomini e donne e ci sono famiglie" e "la gente per prima cosa deve pensare a se stessa", quando mi trovo, come adesso, ad avere a che fare con vicini che non rispettano i regolamenti condominiali di buon vicinato e di buona educazione.
    Il neoliberismo della Thatcher lo si tocca con mano all'interno di un condominio come il mio, dove, inevitabilmente, ci sono persone che pensano solo ed esclusivamente a se stesse e alla loro famiglia, fregandosene del fatto di vivere all'interno di un palazzo dove abitano anche altre persone che, possibilmente, vorrebbero vivere in pace. Infatti, quello che io osservo da mio microcosmo, è che in molte persone latita quel Sentire l'Altro, il proprio vicino, il proprio connazionale, come parte del popolo, come comunità, che dovrebbe essere ispirata alla solidarietà, al rispetto e all'amicizia.
    Vi faccio un esempio: dove abito io vige un regolamento condominiale che impone di moderare notevolmente il rumore e gli schiamazzi dopo le ore 23.

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  9. Succede che io abbia dei vicini di casa con i quali condivido il muro della mia camera da letto. Al di là di questo sottile muro c'è il loro soggiorno. Ci abitano due persone anziane, che hanno figli e parenti che abitano nel palazzo di fronte. Inevitabilmente, quasi tutte le sere dopo le ore 23, i figli, i nipoti e i parenti arrivano nell'appartamento vicino al mio a trovare i loro genitori/nonni, e vi stanno fino a notte inoltrata, molto spesso fino alle 2 di notte ed oltre. Tra di loro sono un'allegra combriccola, parlano, scherzano, ridono, giocano, ma è come se vivessero in una bolla isolata dal mondo, o in una villa sperduta in campagna, e non in un condominio di 6 piani. Il senso dell'altro, fuori di sè e dalla propria famiglia, in loro pare non esiste; loro vivono nella loro bolla, non gli passa nemmeno per l'anticamera del cervello che al di là di quel sottile muro vi è una camera da letto dove ci abito io, che, dopo una cert'ora, vorrei dormire. I regolamenti condominiali sono poi roba noiosa che non li tange.
    Io ieri sono dovuto uscire quasi all'una di notte sul terrazzo, che confina con il loro, per dirgli gentilmente di fare meno rumore dopo una cert'ora. E i loro sguardi verso di me erano quelli di chi aveva avvistato improvvisamente un alieno; da dentro l'appartamento poi arrivavano sbuffi che testimoniavano seccatura; mi hanno risposto svogliatamente:"sì, sì" e poi hanno abbassato il tono, ma si vedeva chiaro e tondo che quella per loro era stata una forte limitazione alla loro infinita libertà personale di fare un pò quel cazzo che gli pare e piace tra di loro all'interno della loro bolla familiare. Accennare solo a un "mi scusi per il disturbo" per loro era onestamente troppo.
    Per non parlare della vicina del piano di sopra, una donna separata che urla spesso al telefono e con la figlia in casa (quando le viene affidata); l'amministrazione condominiale mi ha detto che molti inquilini si lamentano di lei, ma quando sono andato a dirgli se poteva gentilmente fare meno rumore perché disturbava la quiete di me, ma anche degli altri, la signora mi ha detto che quella è casa sua e che fa quello che vuole e io sono un maleducato che l'ho disturbata.
    E RIPENSO SEMPRE ALLA THATCHER: "LA SOCIETÀ NON ESISTE, CI SONO SOLO INDIVIDUI, UOMINI E DONNE, E CI SONO FAMIGLIE"
    MA CHI LA PENSA COSÌ HA SERI DISTURBI PSICOTICI E ANTISOCIALI, E LO SI CAPISCE BENE QUANDO LO SI SPERIMENTA SUL CAMPO.

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    1. Ho problemi del tutto analoghi nel mio condominio. Forse anche peggio (ti risparmio i dettagli per non esasperare il nostro stato d'animo).

      Il problema era già sentito al tempo dei Romani, che avevano le loro belle casone a più piani (insulae) in stato fatiscente (per via dei proprietari-locatori e della loro avidità).
      Il fatto è che qualsiasi appartenente alla classe equestre o, a fortiori, senatoriale, viveva in una domus, bella "indipendente" e lontana da vicini rumorosi.

      Prendiamone atto: nei tempi attuali siamo parte della plebe e ogni "diritto" alla qualità di vita è precluso dallo status economico impostoci dall'ossessione della competitività e dalla "scarsità di risorse" che viene considerata il riflesso TINA de "l'enooooorme debito pubblico".

      Il capitalismo, lo abbiamo detto tante volte, è neo-feudalesimo, solo un po' più spietato e indifferente quanto ai doveri che, in qualche modo, la classe feudale sentiva verso la "gleba".

      E', d'altra parte, il prezzo che dobbiamo pagare nel trade-off, operato nella modernità della eguaglianza formale, per il non essere sottoposti a torture, stupri e pene di morte a capriccio dei feudatari e senza diritto a un processo.

      Insomma, la classe dirigente ti risponderebbe "ritieniti fortunato che hai un'abitazione", pensando dentro di sè "brutto essere inferiore, cosa pretendi? Ritieniti fortunato che non ti abbiamo ancora tolto la casa o che puoi pagare l'affitto. Ma solo perché, al momento, non riteniamo opportuno rischiare una sollevazione degli zotici: la repressione armata costerebbe troppo e rischiamo di dover fronteggiare l'effetto pretoriani e tecniche di controllo sociale rischiose per i nostri "piani"..."

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    2. Sì, sì, comunque a ripetermi che sono una persona fortunata ci sono già i dialogatori di strada dell'Alto Commissariato dell'Onu sui rifugiati. A tal proposito, i giorni scorsi, recandomi nuovamente nelle vie del centro, ho visto lo stesso volontario che questa volta indossava la pettoria di Save the Children al posto di quella dell'UNHCR. Uno spasso!
      La proprietaria dell'appartamento per la plebaglia in cui vivo è una "rispettabile nobildonna" che si vanta di non aver mai lavato i panni in vita sua. Mi ha affittato da pochi mesi una casa priva di impianto elettrico a norma, nonostante io l'avessi richiesto nella proposta di locazione con un'agenzia immobiliare. Così mi trovo senza salvavita, a rischio folgorazione. Ma la signora si ostina a dire che l'impianto è sicuro. Sapendo che era in scadenza il mio vecchio contratto di locazione con un'altra proprietaria, la nobildonna ha atteso gli ultimi giorni per la stipula del contratto vero e proprio, dopo che aveva accettato la proposta di locazione un mese prima con l'agenzia. Nel nuovo contratto che ho dovuto accettare sotto ricatto, pena il rimanere in mezzo ad una strada, la signora mi ha aumentato il canone di locazione, ed inserito tutta una serie di clausole vessatorie che nella proposta originale non c'erano. Quello che ho fatto e' stato quindi affidarmi ad un avvocato e ho smesso di pagare il canone di locazione, poi ho denunciato la proprietaria che non aveva nemmeno registrato il contratto all'Agenzia delle Entrate passati 30 giorni, cosa che poi ha fatto in seguito alla mia denuncia. Adesso stiamo valutando con il mio avvocato di chiedere la nullità del contratto, perché, forse, l'ultima legge di stabilità lo consentirebbe, per i contratti registrati oltre i 30 giorni. La nobildonna ha cercato più volte di terrorizzarmi psicologicamente sul pagamento del canone e su tutte le altre clausole vessatorie. Queste "nobildonne" multiproprietarie nate e vissute nel lusso non si sono guadagnate un bel nulla. E poi, per il loro tornaconto e la propria avidità, speculano sulla plebaglia che ha bisogni primari abitativi da soddisfare, essendo il welfare delle case popolari oramai un vecchio ricordo. E il tutto condito con la bella morale da "persona rispettabile" che questa "nobildonna" si vuole portare appresso.

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    3. Un grande classico (per chi, da giovane, ha fatto il "pretore delle locazioni").

      Un invito, cortesemente, a te e anche a Francesco Maimone (invito a suo tempo anche rivolto ad Arturo che, infatti, ci è venuto incontro): i vostri interventi sono interessanti e meritevoli.

      Proprio per questo, la mia preghiera è quella di spezzare un po' i periodi con vari "punti a capo" (meglio se, di tanto in tanto, con spaziature di rigo, come fa metodicamente Bazaar), in modo che il discorso possa essere seguito più agevolmente da altri lettori e abbia più "attrattiva" ove riprodotto in foto su twitter.
      Grazie...

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    4. @stopmonetaunica: 1) cambi casa 2) insonorizzi l'appartamento 3) tappi nelle orecchie. Le altre alternative efficaci possono essere perseguite penalmente.

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    5. @ perfect world
      Il problema è che la soluzione numero 1 per un disoccupato non è così agevole. I proprietari vogliono essere sicuri che tu possa pagare l'affitto, e, per un disoccupato, trovare un appartamento, ti assicuro, è molto difficile. Anche se tu hai dei risparmi e puoi rassicurare il proprietario sulla solvenza almeno per un po' di tempo.
      La soluzione numero 2 richiede SOLDI, e per un disoccupato e con pochi risparmi non è certo la cosa migliore. Dovrebbe intervenire comunque il proprietario, sia per dare il benestare ai lavori e sia per contribuire alle spese.
      La soluzione numero 3 è l'unica che è alla mia portata e che adotto quotidianamente, ma, ti assicuro, vivere tutti i giorni con i tappi alle orecchie non è proprio il massimo del comfort e non si dorme certo bene, per lo meno, io alla mattina, non mi sento certo riposato. Ma non ti preoccupare, ho già parlato con i dialogatori Onu sui rifugiati e mi hanno detto che ho comunque un culo pazzesco a vivere in questa casa.

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    6. Strano che non ti abbiano detto che sei fortunato ad avere comunque l'acqua, citando la bufala della sua scarsità... e strano che quelli dell'ONU/ Save the Children non abbiano anche parlato del sovrapopolamento, che anche oramai Nature ha definito una bufala, affermando: "“Overpopulation is really not overpopulation. It's a question about poverty,” says Nicholas Eberstadt, a demographer at the American Enterprise Institute, a conservative think tank based in Washington DC.

      Yet instead of examining why poverty exists and how to sustainably support a growing population, he says, social scientists and biologists talk past each other, debating definitions and causes of overpopulation.

      Cohen adds that “even people who know the facts use it as an excuse not to pay attention to the problems we have right now”, pointing to the example of economic systems that favour the wealthy.". Alla fin fine buoni si, fessi no.

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  10. Tks 48 per questo ulteriore e per me essenziale post!!!

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  11. Nel gennaio 2009, già minato dalla SLA, Tony Judt inizia nella sua casa newyorchese la serie di conversazioni con Timothy Snyder che sfoceranno nel saggio "a due" "Novecento" (Thinking the Twentieth Century), l'addio alla vita di uno tra i più stimati e influenti storici contemporanei.
    Assieme storia delle idee politiche e trattato etico, il libro (uscito postumo nel 2012 e pubblicato in Italia per i tipi di Laterza) reca anche alcune interessanti considerazioni sulla figura di Hayek, del quale riporterò un estratto a mo' di appetizer. (il libro ne riporta diversi non facilmente condensabili)
    Innescato dai puntuali quesiti di Snyder - molto spesso un vero e proprio contrappunto dialettico/narrativo piuttosto che uno sterile "a domanda rispondo" - Judt fa risalire la genesi del pensiero hayekiano alla situazione creatasi dopo la fine della Grande Guerra, terminata con la sconfitta e la relativa dissoluzione dell'ecumene imperiale asburgico, seguito dall'inevitabile sottodimensionamento dell'Austria che [...] nonostante le sue dimensioni e capacità ridotte, ebbe la fortuna di avere un movimento socialista insolitamente raffinato e solido, che fu sconfitto e infine annientato soltanto in conseguenza di successivi putsch reazionari, prima nel 1934 e poi di nuovo nel 1938. [...]
    Questa esperienza socialista fu particolarmente pericolosa per le élites, rappresentate dai cristiano-sociali, soprattutto a Vienna - la Vienna rossa, come venne definita - ove il governo municipale si rivelò assai illuminato, dando luogo a una serie di provvedimenti socio-sanitari di ampio respiro per i ceti meno abbienti; ma si rivelò l'edilizia popolare il fiore all'occhiello dell'amministrazione, con la costruzione di più di 60.000 nuovi alloggi residenziali, taluni situati in mezzo ad oasi verdi, come il famoso Karl Marx-Hof.
    Il governo centrale cristiano-conservatore del cancelliere Dollfuss decide che non è più il caso di indugiare, e mediante una legislazione di emergenza sospende il Parlamento per giungere, nel febbraio 1934, alla repressione nella cosiddetta Februarkämpfe.
    La figura di Hayek comincia ad appressarsi furtiva, quando Snyder afferma che [...] Fu l'edilizia residenziale pubblica a diventare, per il resto del paese, un simbolo dei pericoli della pianificazione: proprio perché funzionavano parecchio bene, le comunità abitative servirono agli "ebrei" e ai "marxisti" come base per acquistare potere (...) Il governo centrale austriaco (...) schierò la sua artiglieria sulle colline sopra Vienna e cominciò letteralmente a bombardare il socialismo: sparando cannonate sul Karl Marx-Hof e su tutti gli altri Hof, i graziosi isolati di abitazioni operaie, con le scuole, gli asili nido, le piscine, i negozi e così via - la pianificazione comunale all'opera e, proprio per questo motivo, disprezzata.
    Judt risponde così: Già. Per ironia della sorte, l'esperienza austriaca - che fu sempre e soprattutto un bisticcio politico fra la sinistra marxista urbana e la destra cristiana provinciale, diffidente nei confronti di Vienna e di tutte le sue opere - è assurta allo status di teoria economica. Come se in Austria ci fosse stata una diatriba tra pianificazione e libertà, che non ha mai avuto luogo, come fosse un'ovvietà sintetizzare il corso degli eventi che portarono da una città pianificata a una repressione autoritaria e infine al fascismo in un nesso causale inevitabile tra pianificazione economica e dittatura politica. Allegerita del contesto storico austriaco e, di fatto, anche dello stesso riferimento storico, questa serie di ipotesi - importate negli Stati Uniti nel bagaglio di un manipolo di intellettuali viennesi disincantati - ha finito per informare non solo il pensiero economico della scuola di Chicago, ma l'intero dibattito pubblico qualificante sulle scelte politiche negli Stati Uniti contemporanei. pag.31


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    1. Hai battuto un colpo! :-)
      Grazie per il contributo prezioso.

      Se posso aggiungere una notazione coerente, l'Hayek-pensiero, a sua volta, ha dei maestri (che precedono generazionalmente lo stesso sodalizio con Mises): su tutti citerei Carl Menger, considerato l'autentico fondatore della scuola austriaca di economia, Eugen Ritter von Böhm-Bawerk, appunto von Mises, e Friedrich von Wieser. Cosa accomuna costoro (ad eccezione, ma solo "geograficamente", di von Wieser), oltre alla propensione al marginalismo?

      Di essere provenienti da famiglie benestanti di possidenti terrieri, professionisti (in specie avvocati) e mercanti e, soprattutto, polacchi, slovacchi o ucraini, nati in territori allora sotto il dominio asburgico.

      Signorotti di campagna, tendono ad abbracciare Ricardo e Smith, si entusiasmano per il marginalismo (di cui Menger è annoverato tra i fondatori), e il loro "libertarismo" si preannuncia come difesa della posizione, molto personale, di possidente e poi consigliere del principe asburgico (praticamente feudale).

      Il che prefigura l'idea di capacità giuridica e soggettività di diritto, altamente selettiva e ristretta, che Hayek chiamò libertà (come qui tante volte evidenziato) e che nascondeva, agli stessi americani che poi digerirono una polpetta non proprio coerente con le premesse del loro eccezionalismo da "nuova frontiera", la rigida conservazione di uno status quo che DOVEVA, a sua volta, vivere di un feroce antisocialismo (riforme terriere e redistribuzione fiscale, in un ambiente gold standard, erano il prezzo intollerabile pagato al welfare territoriale e sperimentale che shockò i residuati dell'aristocrazia terriera e mercantile ex asburgica)...

      "Strano", dunque, come il libertarismo e il marginalismo neo-classico si alimentino di una visione in realtà fortemente gerarchizzata della società: l'ossessione è quella della riproduzione di una "società degli status" (neo)feudale, perché a questo si riduce la teoria della libertà come strumento dell'ordine naturale del mercato, in contrapposizione allo stesso capitalismo dalla prodigiosa capacità produttiva e trasformativa che tanto aveva colpito Marx e caratterizzato la sua diversa visione della proprietà e dell'equilibrio allocativo...

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