mercoledì 30 novembre 2016

INDICATORI MACROECONOMICI DEGLI EFFETTI DELLA C€SSIONE DI SOVRANITA' SULL'ECONOMIA ITALIANA (Con ADDENDUM sull'economia di guerra per il lavoro)


http://www.ilgiornaledigitale.it/wp-content/uploads/2014/08/igd_ac593e182121f470d6f4735a09d6f01a-1024x560.jpg

1. Questi sono i dati macroeconomici e fiscali italiani (che potete estendere andando su questo sito "ufficiale", con il suo ultimo aggiornamento disponibile).

Parrebbe superfluo rilevare - ma ribadirlo non è mai inutile- che il debito pubblico italiano, prima del "divorzio" tesoro-Bankitalia, era al 55% del PIL
Questa ripresa, tuttavia, iniziò a vacillare all'inizio delle politiche deflattive determinate dal divorzio-SME e dalla svolta sindacale anti-scala mobile. 
Ne derivarono il contemporanero crescere vertiginoso dell'onere degli interessi sul debito pubblico e la perdita di competitività da "vincolo" sul cambio, nonché la finanziarizzazione della grande industria italiana: ci avrebbero poi spiegato che la deflazione salariale non era stata sufficiente e che pensioni e sanità non ce le potevamo permettere; e ce lo spiegarono in nome di Maastricht.
http://www.dirittiglobali.it/wp-content/uploads/2016/07/numeri-debito_pubblico_italiano.png
2. Siamo stati cattivi e poco virtuosi?
In effetti, durante il fascismo, come si vede molto bene qui sotto,  eravamo "buoni&virtuosi", secondo il metro di giudizio del sistema bancario creditore anglosassone: De Stefani e, poi, il corporativismo - cioè i tagli d'imperio delle retribuzioni-, garantirono che si portasse la Nazione al "reddito di sussistenza", cui inneggiavano i "liberali" come Einaudi, e infatti, il decantato welfare del regime era, conseguentemente, "di sussistenza", per non guastare la "competitività ai monopoli&oligopoli nazionali...
https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgtvH7aZ-1GpVTHD0lSI3MO3kBXk1C1DEJrN_JTCy6j9nvJcXyRl9XSozSRqDHnehdqRvuwoojWyAR6SRbH446Vu4J-bAcWIskF1p6lX1XyvmbWKuAqZcX0AlTy29ftmi_1JIhkjc2rd64/s1600/spesa+percentuale+pil.png

3. Il grafico sottostante è tratto da Goofynomic e distingue ciò che è importante capire; quantomeno, prima di partire in crociate contro la spesapubblicabrutta. E cioè che, comunque, prima di SME-divorzio, e fino alla metà degli anni '80, ERA LARGAMENTE SOTTO LA MEDIA €UROPEA...
L'incremento, successivo al 1981, della spesa pubblica complessiva, si spiega con l'onere degli interessi sul debito e in parte con il dover, la "politica", fronteggiare gli effetti socialmente destabilizzanti delle politiche deflattive, con l'aumento strutturale della disoccupazione. 
Al tempo, per motivi politici, - che furono poi "rimossi" dopo Maastricht e cioè facendo manovrone su manovrone di "sacrifici", per ottemperare ai criteri di convergenza verso l'euro-, esistevano più ampi stabilizzatori automatici e sistemi di pre-pensionamento (che facevano pagare alla collettività, peraltro con l'inizio della grande fase dell'aumento delle tasse, il preteso recupero della competitività, entro il nuovo paradigma monetario imposto dal vincolo europeo).
http://www.unich.it/docenti/bagnai/blog/Spes_02.JPG

4. Il soprastante grafico aggiornato al 2010, va però integrato con gli sviluppi fiscali delle politiche super-austere, che stiamo ancora applicando in dosi massicce, solo appena meno "gigantesche" di quanto non pretenda, con minacce e condizionalità, la "governance" €uropea. 
Anzitutto, perché va considerato l'avanzo primario di bilancio realizzato dall'Italia, trattandosi di risparmio pubblico che, per definizione, corrisponde a liquidità sottratta al PIL, via tasse e tagli delle prestazioni pubbliche. Questo "avanzo", dunque, determina, di per sè, un sottoutilizzo dei fattori della produzione nazionale che, transitoriamente, è pure talora necessario, ma protratto per decenni, - unici in €uropa!!!- porta all'output-gap: cioè a minor crescita, e a deindustrializzazione strutturale (cioè è anche un risparmio di "squilibrio" macroeconomico: non si converte in investimenti, per sua preordinata funzione essenziale). 
Non so a voi ma a me "diverte" sempre vedere i dati della Spagna o della Francia: i principali "modelli" (di...crescita) usati per dirci che siamo cattivi e corrotti. Ma nessuno suggerisce un "facciamocome" relativo ai loro saldi negativi primari, prevalenti, e nel caso della Spagna, crescenti:

Addendum: sulla questione ammontare complessivo dei saldi primari, comparativamente per i vari principali Stati dell'UE, Mauro Gosmin ci fornisce questo eloquente grafico, che consente di raffigurarsi tangibilmente il danno da output gap subito dall'Italia con l'adesione all'eurozona e le politiche fiscali seguite negli ultimi 20 anni (e oltre: la serie dovrebbe iniziare nel 1992):




5. Se dunque lo Stato provvede a creare un risparmio "dannoso", cioè a priori inconvertibile in investimenti, e lo fa tassando di più e erogando prestazioni ridotte (in termini reali, quindi erose dall'inflazione nella migliore delle ipotesi), anche il reddito privato ne risente: e se diminuisce il reddito, diminuisce il risparmio privato e, con esso, gli investimenti produttivi.
Piaccia o non piaccia agli "studiosi" di economia industriale, questi sono gli effetti che vincolano la propensione agli investimenti (non la pigrizia degli industriali e la corruzione dei....corruttori).
Notare che la miniripresa di risparmio e investimento che si registra dal 2014, è dovuta, anzitutto, al comportamento difensivo delle famiglie che, in situazione deflattiva e di attese di tagli al bilancio pubblico e di intensificata tassazione, non consuma più e non acquista più abitazioni come prima; e, quanto agli investimenti, questo minimo sussulto (ante-mortem?) è dovuto anche al fatto che, toccato un certo punto di caduta, le imprese tendono a riprendere gli investimenti lordi, cioè a sostituire gli impianti per non chiudere, sperando di sopravvivere con l'aumento della domanda estera che si lega a una fase deflattiva; e comunque il volume degli investimenti é strutturalmente disincentivato da un livello di precarizzazione del lavoro tale che non si punta tanto a investire in innovazione e tecnologie, ma ad assumere lavoratori sottopagati, nonché part-time e a brevissimo termine.

All’inizio degli anni duemila il tasso di risparmio e di investimento pubblico e privato erano sostanzialmente allineati in Italia, la crescita della quota di investimenti fino al 2007 non è stata accompagnata da una crescita proporzionale dei risparmi, rimasti sostanzialmente costanti. Con la prima recessione (2008-2009) i risparmi sono calati più fortemente degli investimenti, che hanno resistito meglio. Durante la seconda recessione invece si è registrato un nuovo calo degli investimenti, mentre aumentava il risparmio precauzionale. Dal 2013 i risparmi sono tornati maggiori rispetto agli investimenti ma ad un livello radicalmente più basso per entrambi rispetto a quello pre crisi (nel 2014 18,3% di propensione al risparmio contro il 16,5% di propensione all’investimento).

6. Va infatti considerato, - contro lo "spin" ossessivo-maniacale della spesa pubblica "mostruosa", pretesa causa della mancata crescita (boiata controintuitiva che gli italiani vivono ormai come un dogma della instaurata teologia ordoliberista)-, che l'incremento italiano della spesa pubblica è il più modesto, dell'eurozona, del post "crisi" finanziaria (USA).
E' vero che il rapporto debito PIL ri-decolla, come già a seguito del divorzio-SME, ma stavolta non perchè salgano gli oneri degli interessi o la spesa primaria- come invece è accaduto negli altri paesi UEM!-, quanto piuttosto perché il numeratore del rapporto, il PIL, si inabissa. E con esso occupazione e produzione industriale: grazie €uropa della crescita e della pace!.

http://www.infodata.ilsole24ore.com/wp-content/uploads/sites/82/2016/02/debit-pubblico.jpg

7. Il dato che dovrebbe preoccuparci di più è la spesa primaria pro-capite, quella che più direttamente misura perché vivete peggio, meno a lungo (ormai) e dimorando in un paese che, nelle sue strade e nelle sue città, nelle sue ex-zone industriali, appare più simile a un territorio bombardato da un aggressore bellico.
http://www.genitoritosti.it/wp-content/uploads/2015/02/perri-realfonzo.jpg
8. Insomma, la spesa pubblica primaria "reale", cioè al netto dell'inflazione, è proprio diminuita, in controtendenza con tutto, ma proprio tutto, il resto del mondo "occidentale", nonostante quello che, insensatamente, continuano a invocare la maggior parte delle forze politiche di governo e di opposizione:
https://keynesblog.files.wordpress.com/2013/06/sp-reale-netto.png?w=560&h=358

Basta guardare (tra i tanti dati che confermano quanto appena detto) agli USA e alle conseguenze, in termini di spesa pubblica e sua tipologia, del bel mercato del lavoro che hanno imposto anche a noi...anche se non riescono ad accorgersene, perché continuano a chiederci di "fare le riforme".
E pensate che ora Trump, in ciò del tutto similmente a quanto prometteva anche la Clinton, ha intenzione di aumentare la spesa in infrastrutture e lavori pubblici:
http://www.heritage.org/~/media/infographics/2015/11/bg-spending-less-on-national-defense-chart-1-825.ashx
9. Risultatone? Questo è l'andamento comparato della produzione industriale, grosso modo da Maastricht a oggi: ma davvero senza "cedere sovranità" non si può sopravvivere, come diceva Guglielmo Giannini, precursore dei "movimenti" livorosi indifferenti al vero ruolo economico dello Stato democratico, voluto dalla Costituzione, già al tempo dell'introduzione della CECA?
Direi piuttosto che tutto evidenzia che "cedendo sovranità" SI MUORE.
Credere il contrario era, ma soprattutto oggi è, qualunquismo.
E dunque, aveva ragione Di Vittorio, e la r€altà successiva lo rende buon profeta:

pr

9.1. A questo punto del discorso, appare opportuno un inciso non affatto secondario.
L'andamento della spesa pubblica primaria (cioè, al netto dell'onere degli interessi, il cui aumento cumulativo composto spiega il livello crescente del debito pubblico a seguito dell'entrata nello SME-divorzio), ci dice due cose; 
a) una volta instaurato un vincolo di cambio (o, ancor più intensamente, avendo aderito a una "moneta unica") viene meno progressivamente, e sempre più intensamente, il sostegno pubblico alla domanda interna, cioè al reddito e, di conseguenza, al livello di occupazione; 
b) la compressione, ovverosia il taglio nominale, o quantomeno reale (cioè al netto dell'inflazione), della spesa pubblica è essenzialmente rivolto ad abbassare l'inflazione e a rendere più competitiva l'economia sui mercati esteri, SUL PRESUPPOSTO che chi svolge questa politica sa che l'inflazione diminuisce a causa dell'aumento della disoccupazione e quindi della diminuzione dei salari. Chi cerca lavoro, in accesso sul relativo mercato o perché disoccupato, è disposto a lavorare per "meno", sempre meno, se molti altri, e sempre di più, sono nella sua stessa condizione: e questi molti altri, per accelerare l'intero processo, possono opportunamente essere...importati

Nei fatti (e nei risultati), se nel perseguire questa strategia di competitività ci si priva della flessibilità del cambio, il prezzo è altissimo: si perdono più domanda interna, e occupazione, di quanta non se ne si guadagni con l'aumento delle esportazioni. La diminuzione dell'inflazione infatti è essenzialmente realizzabile attraverso l'aumento della disoccupazione.
Ma siccome questo aumento, in regime di cambio fisso, può non essere sufficiente - a causa della competizione che altri Stati interni all'area valutaria, come la Germania, operano su questo fattore di competitività, il cui indicatore è il tasso di cambio reale-, occorre intensificarlo attraverso la strutturazione di una disoccupazione talmente elevata, da far finire il paese in sostanziale deflazione, che significa permanente sottoutilizzazione dei fattori della produzione nazionale e deindustrializzazione distruttiva. Sicchè, alla fine, non sarà più possibile rendere "competitivo"...nulla, perché i pochi settori industriali rimasti in piedi saranno per lo più finiti in mani estere.

Ecco i dati che confermano puntualmente questo quadro:

https://memmttoscana.files.wordpress.com/2013/09/inflazione-disoccupazione-senza-linee.jpg  http://www.programmazioneeconomica.gov.it/wp-content/uploads/2015/05/3.11.png 
Nel grafico soprastante occorre fare molta attenzione agli scostamenti in eccesso del tasso di inflazione italiano, al loro momento di verificazione, e ai suoi corrispondenti momenti "politici".
Il che si pone in stretta correlazione col grafico sottostante che, avendo ben presente quanto finora detto, consente di raffigurarsi la "guerra" che deriva dalla competizione di mercato tra sistemi-Stato imposta dai vincoli valutari €uropei (guerra che l'Italia ha perso perché non ha creato abbastanza rapidamente il livello adeguato di disoccupazione, ovvero il suo equivalente, di "precarizzazione" e flessibilità totale del lavoro):
http://images.slideplayer.it/16/5124922/slides/slide_2.jpg

E se si "perde una guerra" le più ovvie conseguenze sono equivalenti a quelle di una conflitto bellico, solo combattuto con le armi del capitale finanziario "mobile e libero" e della gara deflattiva in cui, chi deflaziona per primo, vince, come se avesse bombardato a tappeto il vicino. 
Vale a dire, le conseguenza sono la distruzione dell'industria, cioè fisica degli impianti, e la disoccupazione-precarizzazione totale di chi accede al lavoro, con sostanziale privazione del welfare conseguente alla disciplina, de-pubblicizzata e de-sindacalizzata, del mercato del lavoro (una disciplina dettata dallo "stato di eccezione" -dei "mercati"- come in un'economia di guerra): un disoccupato o un working poor non sono poi molto differenti, poiché queste due condizioni socio-economiche, in tale regime, deflattivo-competitivo, tendono a "incrociarsi" come dimensione esistenziale...normativamente imposta dall'adesione alla moneta unica...
http://www.programmazioneeconomica.gov.it/wp-content/uploads/2015/05/1.41.png 
http://www.wallstreetitalia.com/wp-content/uploads/2015/07/81981.png
 
10. Poi, naturalmente, quasi tutte queste previsioni di crescita del PIL che trovate sotto, per il 2017, si riveleranno errate: quella che sbaglierà meno è la previsione di Confindustria. Ma sarebbe pur sempre ottimista ove si verificasse lo "sterminio" dei risparmatori italiani e del controllo nazionale del sistema bancario (auto)imposto da coloro che entusiasticamente ci hanno fatto entrare nell'Unione bancaria...
http://ec.europa.eu/economy_finance/eu/forecasts/index_en.htm
http://www.mef.gov.it/documenti-pubblicazioni/doc-finanza-pubblica/index.html#cont1
http://www.francomostacci.it/wp-content/uploads/2014/11/2016_confronto_graf6.png

11. Dato tutto questo (e sarebbero da aggiungere molti altri dati), COME VOTERESTE A UN REFERENDUM CHE DI CHIEDESSE LA CESSIONE DI ULTERIORE SOVRANITA' (ANZI: DI TUTTA) ' ALL'€UROPA?
Fate un po' voi. Tanto è un'ipotesi teorica...
Nessuno ci ha mai chiesto direttamente nulla sulla cessione della sovranità contenuta nei vari trattati. E intendono continuare a non chiedercelo:



Però, se ci riflettete bene, forse un tal genere di referendum potrebbe pure essere attuale, molto attuale. Se ci riflettete...

lunedì 28 novembre 2016

COSTITUZIONALIZZARE HAYEK A PROPRIA INSAPUTA...(?)



http://www.sinistrainrete.info/images/stories/stories4/Schermata-1.jpg

1. Dunque, Carlo Clericetti, sul suo blog all'nterno di Repubblica.it, cerca di spiegare, citando un post di orizzonte48,  "che non solo l'adesione all'Unione viene costituzionalizzata, ma la formulazione è tale che le norme europee diventano sovraordinate rispetto a quelle della nostra Costituzione, e dunque - nei casi in cui vi fosse un conflitto - debbono essere quelle a prevalere. I difensori della riforma sostengono che non cambia nulla rispetto ad ora, ma non è così: finora non c'è stato niente del genere nella nostra Carta".

Apriti cielo! Torme di europeisti entusiasti e convintissimi, si inalberano ergendosi a sommi intepreti del diritto (di ogni tipo: internazionale, dei trattati e costituzionale), facendo leva sull'argomento che il blog "disinformi" e condendo il tutto con insulti e insinuazioni personali. Uno spettacolo (di apertura mentale e di capacità di scendere nel "merito" che sarebbe il cavallo di battagli vincente dei sostenitori della riforma)!
Tralasciando i commentatori (peraltro bloccati su twitter e doppiamente inviperiti), che la sanno lunga e che gioiscono dello shadow-ban/censura del link al blog su twitter - che twitter non ritiene di spiegare pur a fronte dell'esperimento di varie procedure di segnalazione dell'inconveniente inutilmente esperite- vi riproduco qui, con alcune integrazioni, la mia replica, tecnico-interpretativa, pubblicata gentilmente da Clericetti. 
Non sarà letta con alcuna attenzione dagli europeisti inviperiti

2. Ma non importa: può anche servire a chi è dotato di volontà di capire e informarsi, cioè ai sempre più numerosi lettori di questo blog, come quadro riassuntivo di una parte consistente delle fonti qui analizzate e delle analisi rilevanti sul tema della "€uro-riforma":

"I. Per prima cosa va notato che, per partito preso, e senza aver dunque letto né quanto scrivo, né tantomeno la "riforma", taluni si basano sull'art.117 per sostenere che non sia "cambiato nulla". RIguardo al 117 sono il primo a evidenziarlo. http://orizzonte48.blogspot.it/2016/10/la-costituzionalizzazione-del-vincolo.html
 
II. Rimane il fatto che la lettura completa e non estrapolata del mio post consente di comprendere il "quid novi" degli artt.55 e 70: se fosse bastato l'art.117, vecchio e nuovo, non avrebbero avuto bisogno di una riformulazione di altre e ben più importanti norme fondamentali relative all'intero potere legislativo (in Costituzione!).
Il che consiste in un'anomalia che salta agli occhi dal confronto tra gli articoli 55 e 70, nella formulazione risalente al 1948, e la nuova. Riproduco i passaggi c) e d) (ivi mancante) del sintetico ragionamento svolto nel post:
"...c) vi accorgerete, dunque, che l'effetto aggiuntivo più eclatante, rispetto alle previsioni della Costituzione del 1948 è che "la partecipazione dell'Italia alla formazione e all'attuazione della normativa e delle politiche dell'Unione europea" è divenuta un contenuto super-tipizzato e dunque, potere-dovere immancabile, della più importante funzione sovrana dello Stato (quella legislativa): ergo, la sovranità italiana è, per esplicito precetto costituzionale, vincolata, per sempre, ad autolimitarsi attraverso l'adesione alla stessa UE che, per logica implicazione, diviene un obbligo costituzionalizzato.
d) Non potrebbe dunque non essere, lo Stato italiano, parte dell'Unione, così com'è (dato che la previsione costituzionale non parla di alcuna iniziativa tesa alla revisione e al dinamico aggiornamento dei trattati stessi), altrimenti il Parlamento, cioè il teorico massimo organo di indirizzo politico-democratico, non sarebbe in grado di adempiere al suo dovere costituzionalizzato".

III. Che si costituzionalizzi un contenuto tipico dell'attività legislativa e si definisca la mission costituzionale del massimo organo rappresentativo dell'indirizzo politico è un'anomalia che si contrappone alla soluzione esattamente contraria adottata dalla Costituzione tedesca, come ho mostrato qui: http://orizzonte48.blogspot.it/2016/11/la-stupefacente-costituzione-teronoma.html
Sulla Germania e su come intende in modo sistematico, e molto pratico, il proprio filtro costituzionale, aggiungerei questo
http://orizzonte48.blogspot.it/2016/06/uk-italia-e-la-sovranita-la-sua-ragion.html (PP. 2-3.1.: si tratta della "rigida" Lissabon Urteil della Corte tedesca così come commentata, semplicemente prendendo atto, della irrealizzabilità degli Stati Uniti d'€uropa, da parte delle stesse istituzioni UE)
e questo:
http://orizzonte48.blogspot.it/2015/06/la-sentenza-della-corte-uropea-sullomt.html (qua s'è avuto un caso clamoroso di "adeguamento" della CGUE alla Corte costituzionale tedesca, esattamente in senso inverso a quanto accade in Italia!)
 
IV. Ma poi, sul piano normativo, tali passaggi non avrebbero neppure bisogno di essere troppo interpretati, dato che è la stessa Relazione governativa di accompagnamento della riforma, presentata al Senato, ad affermarlo, e proprio citando l'esigenza di adeguamento della Costituzione, attuale, al fiscal compact e all'introduzione in Costituzione del connesso pareggio di bilancio (e al nuovo patto di stabilità interna, cioè al pareggio di bilancio inderogabile per gli enti autonomi territoriali). V. qui: http://orizzonte48.blogspot.it/2016/10/luro-riforma-della-costituzione-la.html

V. Sulla filosofia riformatrice connessa all'€uropa, in effetti, gli atti ufficiali dell'organismo incaricato dalla Commissione di "predicare" le riforme" costituzionali ai vari paesi UE, sono inequivocabili: http://orizzonte48.blogspot.it/2016/10/la-filosofia-riformatrice-della-venice.html

VI. Infine, per un quadro riassuntivo dell'intera questione e del livello di falsificazione (in senso popperiano) cui s'è pervenuti per legittimare la riforma, rinvio a quanto scritto qui, dove c'è una ricostruzione anche storica della questione del bicameralismo, e della relativa critica, erroneamente attribuita a Mortati: http://orizzonte48.blogspot.it/2016/11/bicameralismo-improprio-o-asimmetrico.html "

3. Ma il commento forse più "divertente" è questo:
"Ah, e fra l'altro, sarebbe stato un po' sorprendente che la Costituzione del 1947 avesse citato l'Unione Europea, nata nel 1993...
Se fosse esistita l'Unione Europea prima del 1947, sicuramente la Costituzione l'avrebbe inclusa nei suoi articoli. Non vedo perchè avrebbe dovuto far finta che non esista quel livello superiore di legislazione, su molte materie...
D'altra parte è vero che se fosse esistita l'Ue negli anni '40, non ci sarebbe stata la guerra mondiale e quindi neanche la nostra nuova Costituzione..."
Questo commento ha il "pregio" di mettere insieme, in un unico breve periodo, una serie di inesattezze storico-concettuali, veramente notevoli.
Non solo di un passo supera ogni obiezione al fatto che un solo trattato sia costituzionalizzato, tra i tanti anche più importanti trattati relativi a organizzazioni internazionali nati anche prima della Costituzione: ad es; il trattato ONU che è del 1945, ancorché ratificato dall'Italia nel 1957, "solo" 50 anni fa; o il trattato Nato, ratificato dall'Italia nel 1949...
Non solo, dunque, non si domanda perché i trattati che hanno effettivamente garantito la pace in Europa nel secondo dopoguerra - laddove i conflitti armati in Europa sono invece ricomparsi proprio in concomitanza della nascita dell'UE!- siano stati lasciati alla previsione dell'art.11 Cost., senza sentire il bisogno di modificare addirittura il contenuto vincolato della funzione legislativa e la mission giustificatrice degli stessi organi legislativi... 
Ma dà anche per scontato che l'unione federata degli Stati europei non sia stata considerata, ed esplicitamente respinta, come oggetto di possibile costituzionalizzazione, da parte dell'Assemblea Costituente

4. Sarà dunque uno shock notevole, per il commentatore convinto, sapere che il federalismo interstatale come "soluzione" €uropeista, proprio allo scopo di disabilitare gli Stati democratici del welfare e reinstaurare il governo sovranazionale dei mercati, era stato già da lungo tempo teorizzato, trovando la sua sistematizzazione più compiuta nel super-liberista von Hayek già nel 1944:
"in una federazione di stati nazionali la diversità di interessi è maggiore di quella presente all'interno di un singolo stato, e allo stesso tempo è più debole il sentimento di appartenenza a un'identità in nome della quale superare i conflitti stessi (…). Un'omogeneità strutturale, derivante da dimensioni limitate e tradizioni comuni, permette interventi sulla vita sociale ed economica che non risulterebbero accettabili nel quadro di unità politiche più ampie e per questo meno omogenee (pagg.121-122)"). 
Ma la formulazione di Hayek stesso costituisce appunto una sintesi a posteriori di una concezione che nel '900, era già considerata consolidata. Einaudi, lo sa benissimo e infatti, ispirandosi a un altro economista "iper" e, poi, "neo" liberista, Lionel Robbins, patrocina l'elaborazione del "Manifesto di Ventotene" sulla base del pensiero europeista dell'ordine sovranazionale dei mercati.

5. Come se non bastasse, la natura del federalismo europeo, - non a caso costantemente patrocinato dai liberisti amanti del gold standard e dunque della "moneta unica europea" (sempre Hayek: "Con una moneta unica, l'autonomia delle banche centrali nazionali sarà ristretta almeno quanto lo era sotto un rigido gold standarde forse anche di più dal momento che, anche sotto il tradizionale gold standard, le fluttuazioni dei cambi tra paesi erano più ampie di quelle fra diverse parti di uno Stato o di quanto sarebbe comunque desiderabile consentire nell'unione...")  e delle recessioni come opportunità per riequilibrare verso il basso il costo del lavoro-, era già stata considerata da Rosa Luxemburg, proprio sulla base della sua natura mercatista e propria dell'anarchia naturale del capitalismo.  
"...Che un' idea così poco in sintonia con le tendenze di sviluppo non possa fondamentalmente offrire alcuna efficace soluzione, a dispetto di tutte le messinscene, è confermato anche dal destino dello slogan degli “Stati Uniti d’Europa”. Tutte le volte che i politicanti borghesi hanno sostenuto l’idea dell’europeismo, dell’unione degli stati europei, l’hanno fatto rivolgendola, esplicitamente o implicitamente, contro il “pericolo giallo”, il “continente nero”, le “razze inferiori”; in poche parole l’europeismo è un aborto dell’imperialismo.
E se ora noi, in quanto socialdemocratici, volessimo provare a riempire questo vecchio barile con fresco ed apparentemente rivoluzionario vino, allora dovremmo tenere presente che i vantaggi non andrebbero dalla nostra parte, ma da quella della borghesia..."

6. Senza aggiungere altre possibili copiose fonti sulla preesistenza, al 1946-47, dell'idea di federalismo e di Unione europea, sempre improntata al "governo dei mercati" e allo Stato minimo con una moneta unica insterstatale (e naturalmente "il pareggio di bilancio"), assunte come leggi naturali politico-economiche, la prova-provata la troviamo negli stessi lavori dell'Assemblea Costituente
Poiché, a differenza degli attuali, i deputati della Costituente erano còlti, e deliberavano preoccupandosi di informare il popolo (qui, p.4), la questione dell'eventuale inserimento dell'Europa fu esaminata e SCARTATA, sulla base delle considerazioni di sintesi (corrispondenti ad una vasta maggioranza), svolte dal presidente dell'Assemblea dei "75", (cioè quella "redigente"), Meuccio Ruini, in relazione al testo, approvato, dell'art.11 Cost. (quello che stabilisce i limiti entro i quali l'Italia può aderire ad organizzazioni internazionali):
"...Ma qualcuno ha chiesto: di quali organizzazioni internazionali si tratta? 
Non si può prescindere dalla indicazione dello scopo. Vi possono essere organizzazioni internazionali contrarie alla giustizia ed alla pace. L'onorevole Zagari ha ragione nel sottolineare che non basta limitare la sovranità nazionale; occorre promuovere, favorire l'ordinamento comune a cui aspira la nuova internazionale dei popoli
Ma l'attività positiva diretta a tale scopo è certamente implicita anche nella nostra formulazione: che dovrebbe essere (e non è facile qui su due piedi) tutta rimaneggiata, col rischio di perdere l'equilibrio faticosamente raggiunto di un bell'articolo.
La questione sollevata dall'onorevole Bastianetto, perché si accenni all'unità europea, non è stata esaminata dalla Commissione. Però, raccogliendo alcune impressioni, ho compreso che non potrebbe avere l'unanimità dei voti. 
L'aspirazione alla unità europea è un principio italianissimo; pensatori italiani hanno messo in luce che l'Europa è per noi una seconda Patria. 
È parso però che, anche in questo momento storico, un ordinamento internazionale può e deve andare anche oltre i confini d'Europa. Limitarsi a tali confini non è opportuno di fronte ad altri continenti, come l'America, che desiderano di partecipare all'organizzazione internazionale.
Credo che, se noi vogliamo raggiungere la concordia, possiamo fermarci al testo della Commissione, che, mentre non esclude la formazione di più stretti rapporti nell'ambito europeo, non ne fa un limite ed apre tutte le vie ad organizzare la pace e la giustizia fra tutti i popoli."
7. I costituenti, come traspare dall'intervento di Ruini, dovevano avere ben presente la "lezione" di Rosa Luxemburg, e hanno cercato di prevenire una deriva neo-liberista e liberoscambista, che avrebbe comportato il minare alle basi la nascente democrazia sociale e pluriclasse a cui si voleva dar vita; volevano anticipare, cioè, il pericolo di reinstaurazione e di "rivincita" del capitalismo anarcoide, dedito al controllo totalitario delle istituzioni (solo formalmente) democratiche,  desiderato da Hayek e Einaudi. E dagli ordoliberisti tedeschi.
7.1. I migliori e più "liberi" pensatori tedeschi di oggi, sono ben consapevoli che questo pericolo non è stato purtroppo scongiurato: l'idea neo-ordoliberista, da sempre alla base dell'Unione €uropea, distruttiva della tutela del lavoro e del welfare, ha prevalso a proprio tramite il trattato che si vuole ora costituzionalizzare
Ce lo dice Wolfgang Streeck, uno dei più eminenti sociologi ed economisti tedeschi, con parole che non lasciano adito ad equivoci:
“Dato che i problemi di legittimazione del capitalismo democratico presso il capitale divennero problemi di accumulazione, fu necessaria la liberazione dell'economia capitalistica dall'intervento democratico quale condizione per la loro risoluzione. In questo modo si trasferì dalla politica al mercato il luogo dove assicurare una base di massa a sostegno del moderno capitalismo nelle sue motivazioni più profonde, generate dall'avidità e dalla paura (greed and fear), nel contesto del processo di immunizzazione avanzata dell'economia rispetto alla democrazia di massa.  
Descriverò questo sviluppo come il passaggio da un sistema di istituzioni politiche ed economiche di orientamento keynesiano, tipico della fase fondativa del capitalismo postbellico, a un regime economico neo-hayekiano.”A "greed and fear" c’è una nota: ”Greed and fear, avidità e paura sono, secondo l'autodescrizione del capitalismo finanziario fornita dall’economia finanziaria, spinte decisive al funzionamento dei mercati azionari e dell'economia capitalistica in generale (Shefrin 2002).” (W. Streeck, Tempo guadagnato, Feltrinelli, Milano, 2013, pagg. 25 e 221).
8. In sintesi, chi crede (magari in buona fede...) che l'Unione europa sia volta alla pace e alla giustizia fra le nazioni, dimentica che è stata, e rimane, una costruzione politico-culturale hayekiana, in cui la "pace" significa in realtà il dominio delle "oligarchie dei mercati" a scapito del resto della società dell'intera Europa, sottoposta a un dominio totalitario, strenuo avversario della "dignità del lavoro" (come appunto teorizzava Hayek). 
Una volta che si sia consapevolmente compreso questo quadro storico-economico, superando gli accorti slogan dei trattati, che dissimulano lo pseudo-concetto di piena occupazione c.d. neo-classica e l'antisolidarsimo competitivo tra Stati (qui, p.2), è questo, dunque, che si vuole costituzionalizzare, contro la volontà espressa dei Costituenti, e il principio della sovranità popolare di una democrazia fondata sul lavoro? 
"...credo che la Costituzione democratica debba chiaramente sancire il concetto che la sovranità, cioè il potere, non solo appartiene al popolo, ma nel popolo costantemente risiede. Ed allora bisogna impedire qualunque interpretazione che un giorno possa far pensare a sovranità trasferite o comunque delegate. Ecco perché al termine «appartiene», come pure al termine «emana», preferisco il termine «risiede».

Gli organi attraverso i quali la sovranità e i poteri si esercitano nella vita di un popolo, sono organi i quali agiscono in nome del popolo, ma che non hanno la sovranità, perché questa deve restare al popolo. Ecco perché è preferibile il termine «risiede» in confronto a quello di «appartiene».
...
Può sembrare una sottigliezza, ma sottigliezza non è. La verità è un'altra. 
Esistono fra gli uomini due categorie di persone di fronte ai problemi costituzionali: quelli che credono nelle Costituzioni e quelli che non credono nelle Costituzioni
Per quelli che non credono nelle Costituzioni, cioè che pensano che il giorno che avessero la maggioranza farebbero quello che vogliono, un'affermazione di principio può sembrare una sfumatura, e non ha importanza; ma per coloro che, come me, credono profondamente nelle Costituzioni e nelle leggi, ogni parola ha il suo peso e la sua importanza per il legislatore di domani.
Noi ci dobbiamo preoccupare del documento che facciamo, guardando verso l'avvenire, cioè dando norme sicure ai legislatori di domani, in modo che la volontà di oggi non possa essere violata per improprietà di linguaggio, voluta o non voluta che sia."