domenica 30 ottobre 2016

LA COSTITUZIONALIZZAZIONE DEL "VINCOLO ESTERNO" E LA "PRECOMPRENSIONE" DELL'ART.117.


http://image.slidesharecdn.com/gadamerelermeneutica-140402101132-phpapp01/95/gadamer-e-lermeneuticalucia-gangale-8-638.jpg?cb=1396433521

1. Vale la pena di tornare sull'argomento del "nuovo" art.117 (in particolare ci interessa il primo comma), quale proposto nell'attuale riforma costituzionale. 
Nei social,  in numerose mail pervenutemi, e persino in questa sede, più volte s'è fatto riferimento a questa norma come quella da cui sarebbe ricavabile la "costituzionalizzazione" dell'€uropa. Deduzione, logicamente, testualmente, e sistematicamente, inesatta e che, infatti, si presta alla facile (e altrettanto errata) obiezione, da parte dei sostenitori della riforma, che, allora, non ci sarebbe alcuna innovazione al riguardo, potendosi già far derivare questa costituzionalizzazione dalla precedente versione dell'art.117, risultante dalla riforma costituzionale "federalista" del 2001.

2. In effetti, queste sono le due versioni dell'art.117 (comma 1), attuale e "riformato":

a) "La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali" (attuale)
b) La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento dell’Unione europea e dagli obblighi internazionali (come riformato).
La variazione è limitata dunque alla sostituzione di "ordinamento comunitario" con il più (giuridicamente) attuale "Unione europea": se la costituzionalizzazione fosse MAI derivata da questo comma, i pro-riforma avrebbero ragione.
Ma così non è. 


3. Per spiegare in modo auspicabilmente definitivo la questione, ci riportiamo a quanto detto nel post QUAESTIONES D€ REFERENDI SUBTILITATIBUS e prendiamo spunto da un commento-interrogativo: "La modifica del comma 1 dell'Art. 117 con la sostituzione del termine comunitario con il termine Unione Europea perché renderebbe più stringenti i vincoli per il nostro Paese? Non era già sufficiente l'attuale formulazione per vincolare (purtroppo) tutte le scelte politiche dei vari governi italiani?
E' da notare che tale commento è stato svolto a distanza di qualche settimana dalla pubblicazione del post e dunque indica una difficoltà del pubblico a superare i confini angusti della discussione sulla rifoma imposti dalla forte propaganda mediatica a suo favore. 

4. Ci pare dunque utile accorpare il contenuto delle risposte al "quesito", in modo da dirimere la questione senza ulteriori cedimenti alla incessante vulgata mediatica, che tende a far scadere il livello della comprensione della riforma al di sotto di qualsiasi accettabile standard di interpretazione giuridica (aggiungeremo qualche link per consentire di approfondire ulteriormente alcuni profili giuridici):

La questione è specificamente trattata al punto 5 del post, con un apposito addendum
Per i non giuristi, o per giuristi non memori dei lineamenti fondamentali del diritto, rammento che l'art.10 Cost. riconosce l'osservanza da parte della Repubblica italiana delle "norme del diritto internazionale generalmente riconosciute", tra cui campeggia il "pacta sunt servanda": cioè, la Costituzione implica in modo obiettivo e chiaro che "l'Italia esegue i trattati" (cfr; art.26 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati, a cui è in definitiva fatto un c.d. "rinvio" mobile, in quanto tale convenzione "codifica" il diritto internazionale in materia quale consolidatosi, "almeno" dal 1975, come "consuetudinario"). 
Ma sempre a condizione che ciò non aggiri il limite, posto dai diritti e principi fondamentali della Costituzione, ad ogni possibile fonte del diritto internazionale, come, talora, si rammenta di riaffermare la nostra Corte costituzionale; v. da ultimo, sent n.238 del 2014.

Dunque riscrivere in altra norma della Costituzione che l'Italia rispetta, eseguendoli, i trattati internazionali, "tra cui" quello UE, è solo una ripetizione, a livello normativo di fonte inferiore (revisione costituzionale rispetto all'originario Potere Costituente: v.qui, p.4), di quanto meglio affermato all'art.10 Cost.

Però, consiglio di rileggersi tutto il post dove è escluso che sia l'art.117, di nuova e vecchia formulazione, a costituire il precetto che vincola a livello costituzionale, in modo ben diverso dal pacta sunt servanda, a eseguire le politiche €uropee; cioè ad asservire comunque il Parlamento a realizzare un indirizzo politico formatosi al di fuori della sovranità nazionale (a Bruxelles, come mandataria di Berlino) e dunque, a prescindere dall'indirizzo formatosi in Italia a seguito di QUALSIASI esito elettorale.

5. Va infine aggiunto che la tesi appena confutata, tra l'altro, è un esempio quasi allo stato puro di "precomprensione", cioè di anticipazione del senso di un testo a prescindere dalla comprensione logica e sistematica delle parole in esso utilizzate.
E non è un caso che, al di là dei riflessi "di fazione" sul dibattito politico nazionale, la precomprensione più incidente sulla corretta interpretazione della nostra Costituzione (del 1948), sia quella dei "banchieri centrali"
Questi ultimi, per irrinunciabile tradizione, hanno una visione diametralmente opposta al "principio lavoristico" che ispira la nostra Costituzione primigenia: e questa opposta visione, come ci ricorda Arturo nel racconto di Guido Carli (qui, p.6), tesero a riaffermarla già mentre si stava approvando la stessa Costituzione, nel 1947.

venerdì 28 ottobre 2016

LA CORREZIONE DI ROTTA PRIMA DEL NAUFRAGIO: LA SCELTA DI CAMPO (LEGALITA' COSTITUZIONALE E COMPETENZA)


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1. La situazione attuale può rammentare diversi frangenti storici in cui si avverte l'insostenibilità dello status quo, ma non si riesce più a cogliere con chiarezza non solo la "rotta effettiva" che si sta, volenti o nolenti, solcando con l'imbarcazione sulla quale ci si trova, ma neppure la "correzione di rotta" che sarebbe necessaria per porre rimedio al percorso disastroso (ma non imprevedibile, se si fossero usati correttamente i normali strumenti e tecniche di navigazione) che sta portando un'intera comunità nazionale verso lidi inospitali e indesiderati dalla schiacciante maggioranza dei "passeggeri".

Il problema di una correzione di rotta è, a rigor di logica, proponibile in due principali versioni
a) quella tracciata (in conseguenza di scelte politiche) aveva come destinazione un "punto" di arrivo che, rivelandosi nel suo progredire, si manifesta come sconveniente e non condivisibile per il benessere, o addirittura la sopravvivenza, dell'equipaggio e dei passeggeri coinvolti, persino per gli sventati ufficiali di navigazione; e ciò a causa delle scelte non ben precisate, e sottaciute in base a una riserva mentale, da un "capitano" autoritario, e sprezzante delle vite che gli sono affidate, che ha dichiarato un certo scopo del viaggio ma che, invece, ne aveva in testa uno diverso e rispondente alla propria esclusiva convenienza:
e però, scopre che la meta effettivamente in vista all'orizzonte non è neppure quella che si attendeva nella sua"riserva mentale";
b) la rotta tracciata era prefissata da regole di "navigazione" che corrispondevano alle "tratte" predeterminate per cui quell'armatore aveva un'autorizzazione/concessione da parte delle legittime autorità, - e quindi corrispondeva a uno scopo che poteva legittimamente indurre equipaggio e passeggeri ad imbarcarsi, conoscenso in anticipo il "normale" punto di destinazione-, ma l'incompetenza e la negligenza del capitano e degli ufficiali addetti alla navigazione, ha condotto la nave irrimediabilmente fuori della tratta di navigazione legale (secondo le norme che l'armatore e il capitano erano tenuti a rispettare).

2. Ebbene, la mancanza di chiarezza attuale, è, a mio modesto avviso, riconducibile alla concomitanza, disorientante, di entrambe le ipotesi.
Si è trattato finora, infatti, di un viaggio che appariva regolarmente previsto come "tratta" normativamente autorizzata, - quella verso il benessere e la pace e la giustiza tra la Nazioni (art.11 Cost.), che sarebbero state garantite  tramite l'adesione all'UE e alla moneta unica-, ma che, in modo occulto, se ne discosta, in quanto coperto dalla totale noncuranza verso la compatibilità delle nuove regole (di direzione e scopo della navigazione ritenuti di interesse generale), con quelle precedenti; regole mai abrogate (finora) e, anzi, tali da consentire "nuove" tratte solo a condizione che quelle comunque "ulteriori" fossero anch'esse finalizzate al perseguimento di quello stesso interesse generale, al benessere e alla sopravvivenza di equipaggio e passeggeri, fissato dalle più importanti norme di navigazione precedenti.
Alla fine, dunque, il viaggio sta svolgendosi su una rotta che simulava, anche per incautela di chi l'aveva formalmente autorizzato, il rispetto della legalità "superiore" (che pure giustificava la legittimazione e lo sforzo collettivo per infrastrutturare cantieri navali, porti e sistemi di capitaneria, dogana, reclutamento del personale, vendita di biglietti ai passeggeri), ma che, in concreto, è divenuta un dissimulato viaggio libero da fini di interesse generale, e per di più a destinazione ignota, persino al "capitano" e all'armatore che, intenzionalmente, hanno ingannato marinai e passeggeri; e che non sono neppure giunti ad ottenere quel vantaggio, occultato, che si erano ripromessi per se stessi (p.4)

3. Se la situazione di confusione è stata esposta in modo sufficientemente chiaro, con la metafora dell'intreccio dissimulato e ingannevole delle due ipotesi, ora ci troviamo di fronte a due problemi: 
- uno di legalità/liceità, da ripristinare per potere garantire la sopravvivenza di equipaggio e passeggeri, sanzionando coloro che hanno perpetrato l'inganno a proprio vantaggio e ledendo l'affidamento di tutti gli altri (ipotesi b), violando le regole che legittimavano qualsiasi "nuova tratta";
- un secondo, conforme alla "dissimulata" ipotesi a), che è anche di aggiuntiva (maliziosa) incompetenza e negligenza nel perseguire persino l'interesse personale e sottostante non dichiarato, il cui raggiungimento si rivela sempre più impossibile, con conseguenze catastrofiche per gli stessi promotori dell'inganno. E il rimedio più naturale è sollevare dal comando (tutti) questi promotori e ufficiali di navigazione.

4. Ora, se pure la mia inclinazione a spiegare la "complessità" possa risultare in spiegazioni....complesse (ma sto constatando che c'è sempre più gente "comune" che le trova, ormai, comprensibili), mi pare evidente che il "valore" più importante, cioè quello di vitale importanza per la comunità sociale italiana, sia quello di ripristinare la legalità costituzionale
Ma per poterlo fare con una minima speranza che ciò, finalmente, dopo decenni di diversi livelli e modalità di sabotaggio perpetrati con alterni successi, possa condurre ad un risultato soddisfacente in termini di benessere e democrazia, occorre anche che, chi è stato compartecipe dell'inganno, sia sostituito non solo da persone che non si prestino più a ripeterne di nuovi e analoghi, ma anche dotate di competenza e diligenza nel saper curare l'interesse democratico e sovrano della nazione, seguendo il quadro dei principi fondamentali della Costituzione. 

5. Un quadro che, sul piano delle scelte, può essere riassunto in questa citazione di Mortati propostaci dal prezioso Arturo:
Del tutto infondato appare, anche al più superficiale esame, attribuire carattere compromissorio a tali proclamazioni [di principio dalle quali è da attingere il criterio di graduazione dei molteplici interessi voluti tutelare], poiché esse risultano, se considerate nel loro nucleo essenziale, espressione univoca e coerente, in ogni loro parte, della volontà della grande maggioranza dell’Assemblea (8)”
Nota 8: “Jemolo, op. cit., p. 15 si è domandato quale classe politica rifletta, e quali aspirazioni di questa classe politica assecondi la Costituzione (con riferimento all’ opinione secondo cui questa si informerebbe al pensiero cristiano-sociale). Esatto quanto ritiene l’ A. che questo pensiero non abbia linee che valgano a dargli una vera fisionomia propria. Ma è vero che sussista tale ispirazione? Se alla concezione cristiana si voglia ricondurre il profondo motivo espresso dalla Costituzione essa deve essere intesa in un largo senso, non collegandola all’origine storica ed all’elaborazione dogmatica, in un senso analogo cioè a quello messo in rilievo da un noto saggio del Croce. Calata nella realtà di oggi quella concezione trova la sua più autentica espressione negli ideali del socialismo. Ed è a questa realtà che la nostra Costituzione ha voluto adeguarsi. (C. Mortati, Considerazioni sui mancati adempimenti costituzionali Aa. Vv., Studi per il ventesimo anniversario dell’Assemblea Costituente, Vol. IV, Vallecchi, Firenze, 1969, pp. 468).
  
6. Sul piano dei contenuti che devono connotare le scelte di ripristino di questa legalità, di questo Spirito di unità nazionale e di autentico patriottismo, che vide così concorde ("univoche e coerenti") in una nobile "intenzionalità", il nostro Potere Costituente (che deliberò sempre con schiaccianti maggioranze, compartecipi di tutti i partiti di "massa" dell'epoca), questi contenuti sono ricavabili "a contrario" da queste parole di Carli (G. Carli, Cinquant’anni di vita italiana, Laterza, Roma-Bari, 1996 [1993], pagg. 14-17), che ci offrono, (sempre grazie ad Arturo), lo schema paradigmatico delle riserve mentali e delle (interessate) ri-narrazioni a posteriori, che hanno alterato e contraffato la vera essenza del momento "costituente" indicataci da Mortati (come uno dei più autorevoli e competenti interpreti "autentici" delle vicende Costituenti), e che, dunque, hanno poi giustificato (fino al "vincolo esterno") le "ipotesi di rotta dissimulata" che hanno, costantemente, tentato il sabotaggio della legalità costituzionale:
“La Costituzione è il punto di intersezione fra la concezione cattolica e la concezione marxista dei rapporti tra società ed economie, tra società e Stato. Le accomuna il disconoscimento del mercato in quanto istituzione capace di orientare l’attività produttiva verso il conseguimento degli interessi generali e la individuazione nello Stato dello strumento più idoneo per orientare la produzione al­l’interesse generale.
La presenza della «terza cultura», quella di Luigi Einaudi, ha lasciato tracce meno profonde nell’impianto costituzionale. Tra esse riveste primaria importanza l’articolo 81, nel quale Einaudi, confortato dal consenso di Ezio Vanoni, Pella ed altri democristiani, vedeva garantito il principio del bilancio in tendenziale pareggio. 
In realtà, l’automatismo che si riteneva di aver istituito poggiava su un errore concettuale. A quei tempi infatti si pensava che eventuali spese aggiuntive per la pubblica amministrazione potessero derivare soltanto dall’ istaurazione di nuove leggi. Per questo, l’obbligo di indicare la fonte della copertura per una spesa venne estesa soltanto alle leggi di nuova istituzione. Non si immaginava che la tumultuosa e improvvisa crescita della legislazione sociale degli anni Settanta avrebbe fatto sì che le maggiori spese derivassero piuttosto dal bilancio stesso, dalla forza inerziale della spesa autorizzata da leggi a carattere pluriennale, e quindi dall’impianto della legislazione vigente che si trova al di fuori del vincolo di copertura.
L’errore concettuale deriva dal fatto che Einaudi e Vanoni avevano a quei tempi esperienza di uno Stato rigorosamente «minimo». Anche il rinnovo dei contratti per i pubblici dipendenti era un atto unilaterale dell'amministrazione, e non il frutto di un negoziato con i sindacati.
...
Einaudi, l’inflazione e i comunisti. Perché la parte economica della Costituzione è sbilanciata a favore delle due culture dominanti, cattolica e marxista? 
Forse per prudenza, forse per caso, De Gasperi ed Einaudi avevano costruito in pochi mesi una sorta di «Costituzione economica» che avevano posto però al sicuro, al di fuori della discussione in sede di Assemblea Costituente. Saggiamente, ad esempio, Einaudi aveva evitato che si facesse menzione della Banca d’ Italia nel testo costituzionale. E fu una fortuna, se si pensa che alla Costituente si valutò l’ipotesi di affidare la vigilanza sul sistema del credito all’Iri piuttosto che all’istituto di emissione.

La «Costituzione economica» fu il coronamento della cosiddetta «stabilizzazione della lira» e in qualche modo ne rovesciava i contenuti. Ebbi modo di discutere con Donato Menichella ciò che accadde nei mesi tra l’autunno del 1946 e la fine del 1947. La convinzione che Menichella aveva maturato è che Einaudi prima dell’agosto 1947, avesse lasciato deliberatamente correre il credito bancario, che andava a finanziare accaparramenti di merci, importazioni di beni e di consumo e, ovviamente, aumenti dei prezzi. Contemporaneamente, Einaudi consentì che il Tesoro utilizzasse a piene mani lo strumento della monetizzazione del disavanzo, giustificata pubblicamente nelle Considerazioni finali del maggio 1947, nelle quali fece il gioco delle domande retoriche, «avrebbe potuto il governatore...?»."
 
"Einaudi favorì la galoppata dell’inflazione, perché era impossibile attuare una politica di spesa pubblica (non vi erano i fondi in Tesoreria) e perché egli non condivideva politiche keynesiane. Un’ondata di liquidità sospinse una ripresa economica, inflazionistica, e forse contribuì ad evitare la rivoluzione armata comunista.
Einaudi sapeva di giocare con il fuoco. Attuò quella politica per pochi mesi, in una situazione di vuoto giuridico e istituzionale primordiale, hobbesiana. L’inflazione fu lo strumento per far accendere gli spiriti vitali dell’economia e riattivare impianti industriali i quali, secondo Einaudi, non avevano affatto subito distruzioni irreparabili dalla guerra. Questa situazione di caos primigenio consentì di polverizzare l’indebitamento che lo Stato italiano si portava dietro. 
Poi, all’improvviso, Einaudi promosse un’azione di segno esattamente opposto con strumenti distribuiti a tutti i livelli normativi.
1) Fece nascere il Comitato per il credito e il risparmio che sottrasse al sistema liquidità con l’istituzione delle riserve obbligatorie. La Fiammata inflazionistica si spense in pochi mesi, manifestando così la sua origine strettamente monetaria. Einaudi aveva fatto sfogare l’inflazione repressa, per poi stroncarla con uno strumento di controllo quantitativo della moneta che avrebbe dovuto tenerla a bada per sempre.
2) Dopo aver finanziato lo Stato con l’emissione di moneta, promosse il decreto 7 maggio 1948, n. 544, con il quale si proibiva la pratica delle anticipazioni straordinarie, e si istituiva un semplice strumento che consentiva elasticità di cassa, ma che poneva un freno ad una politica sistematica di monetizzazione del debito.
3) Promosse l ’approvazione dell’articolo 81 della Costituzione per garantire che, in futuro, l’amministrazione pubblica non si trovasse mai più nella situazione di dover monetizzare il disavanzo. Il bilancio tendeva al pareggio e garantiva contro future fiammate inflazionistiche causate da improvvise occorrenze monetarie dello Stato.
4) Punto di approdo di tutta la strategia, la decisione di aderire alle istituzioni monetarie internazionali con una lira non più destinata a una spirale di svalutazioni continue.
5) Einaudi volle infine che una buona legge come la legge bancaria del 1936 fosse mantenuta al centro dell’ordinamento finanziario, con alcune interpretazioni innovative. Infatti, l’impianto concettuale del lavoro di Beneduce e Menichella rispondeva a preoccupazioni di carattere patrimoniale, e di tutela dei depositanti. Essa venne, invece, piegata ad una nuova interpretazione, anche macroeconomica. 
Il legislatore aveva attribuito alla Banca d’Italia il potere di introdurre limiti quantitativi all’espansione del credito bancario, ma era estranea allo spirito della legge la concezione secondo la quale il credito bancario produce l’espansione della moneta, e dunque dei depositi."

"Si trattava di una strategia magistrale in difesa dello «Stato minimo» borghese, con un’alternanza di manovre che oggi diremmo di «stop and go», che attuò una sorta di primo divorzio tra Tesoro e Banca d’Italia. Tuttavia, era una strategia extra costituzionale, nata e gestita tra la Banca d’Italia e il governo, e dunque legata a una dialettica istituzionale propria di uno Stato borghese, che non avrebbe retto ai mutamenti dei decenni successivi.
Le forze propulsive che hanno spinto l ’evoluzione della società italiana nel corso dei decenni successivi si sono costantemente ispirate al solidarismo cattolico e al collettivismo marxista. Dal loro intreccio ha ricevuto impulso la politica della gratuità delle prestazioni pubbliche. La nostra adesione alle istituzioni internazionali, alla Cee in particolare, ha costituito un freno, abbastanza forte da condizionare ma non tanto forte da impedire l’allargamento della presenza pubblica nell’ industria, l’adozione di comportamenti inflazionistici.”. (G. Carli, Cinquant’anni di vita italiana, Laterza, Roma-Bari, 1996 [1993], pagg. 14-17).

Dove si vede come anche Carli non avesse capito quanto avesse contato, in termini pratici, il ripudio del liberismo e del neo-liberismo (inclusivo della teoria quantitativa della moneta nelle proposizioni di Einaudi e gli ordoliberisti), avvenuto in Costituzione.
Ripudio che non aveva nulla a che fare con l'avversione alla libera iniziativa economica privata, come dà invece ad intendere l'Amato di cui sopra, confondendo, come sempre, l'equilibrio keynesiano di domanda e offerta aggregate, con quello marginalista -marshalliano, fondato sulla generalizzazione dell'equilibrio prezzi-costi marginali della singola impresa.
E tutto questo, dato che alle "fantasie" storico-economiche degli ordoliberisti sfugge che la "lievitazione" del settore industriale privato italiano fu dovuta all'immediato e robusto sostegno all'occupazione e alla domanda dato dalla grande, e amplificata, industria pubblica.

8.1. Le politiche deflattive di Einaudi non c'entrarono molto: semmai, - nella consueta ossessione per la competitività e per le riserve di valuta pregiata, trascinatasi dai tempi in cui acclamava il fascismo-, acuirono il conflitto sociale, consentendo un rafforzamento del partito comunista rispetto alla situazione di prevalenza dei socialisti in Costituente.
Lo stesso Carli cadeva in questo equivoco: scambiare Rosa Luxemburg per Stalin (nonostante gli avvertimenti di Caffè e Lelio Basso).
Tutt'oggi questa è la vulgata prevalente che infiora le "ricostruzioni" espertoniche ordoliberiste di destra (dov'è un mantra fisiologico, oltre che esercizio di ignoranza dei dati normativi e macroeconomici), ma più che altro di sinistra. Naturalmente sognatrice e €uropeista.

E pensare che basta una lettura dei documenti dell'epoca per chiarire l'"equivoco".
Per esempio sulla relazione della Presidenza della Commissione per lo studio dei problemi del lavoro del Ministero per la Costituente, un documento ripetutamente citato nei lavori dell'Assemblea, leggiamo:
“Fu esattamente detto che ad ogni forma di economia corrisponde un regime. E tutte le Sottocommissioni sono state unanimi, perciò, nell’auspicare che la nuova Carta costituzionale contenga almeno quei primi principii che, riconosciuto il lavoro come elemento della organizzazione sociale del popolo italiano, traccino le direttive della legislazione futura in materia di lavoro, in guisa tale che la dignità della sua funzione, la sua più ampia tutela ed ogni possibilità futura di sviluppo della sua posizione nell’ordinamento sociale siano assicurate.

Si è già rilevato che la Commissione ha considerato il lavoro come uno degli elementi ma non come il solo elemento rilevante della organizzazione economica e sociale. Da ciò bisogna dedurre il riconoscimento della proprietà privata dei mezzi di produzione, e quindi una tuttora persistente funzione del capitale privato nel processo produttivo.

La Commissione, nel suo complesso, tenuto anche conto delle risposte al questionario e degli interrogatorii, si è orientata verso un sistema eclettico che comprende così il principio della «sicurezza sociale» come quello del «pieno impiego», recentemente affermatisi in America ed in Inghilterra, con decisiva tendenza verso ogni forma di benintesa cooperazione.

La possibilità di occupazione nella attuale situazione non può essere creata che da una politica di spesa pubblica e da una politica di lavori pubblici. L’orientamento teorico della Commissione, come risulta anche dalla relazione della Sottocommissione economica, è volto verso le teorie della piena occupazione, in quanto essa risulti attuabile nel nostro sistema di produzione, teorie che stanno alla base dei piani Beveridge e consimili. La relazione rappresenta perciò una indicazione di politica economica che corrisponda alla realizzazione del principio giuridico del diritto al lavoro.”

L'autore peraltro era un comunista. A conferma di quella convergenza attorno al lavoro di cui parlava Mortati.

mercoledì 26 ottobre 2016

COMMISSIONE SUP€RSOVRANA? LA "LETTERA", I POPOLI E IL BREXIT CONTAGION

juncker napolitano 2


1. Comprenderete se ci soffermiamo ancora sulla presente "congiuntura" della crisi €uropea, dato che non è rilevante solo l'accelerazione che sta oggettivamente subendo, ma il contesto in cui si colloca, in termini di shock addizionale, rispetto a un deterioramento che, come vedremo, pare essere inarrestabile.
Anche se la Commissione UE, a quanto sembra, tiene una facciata di underestimation del discredito montante da cui è circondata, ricorrendo all'atteggiamento di chi ritiene di poter ancora usare "bastone e carota", in un tradizionale rapporto di forza che mette in primo piano proprio il "bastone", ed elargisce ogni benevolenza come una paternalistica concessione, che sottintende il permesso un po' disgustato della Germania (qui, p.6).
Questa linea tradizionale, per quanto mitigata, è in effetti fondata sul quadro istituzionale UE - lo stesso che giustificherebbe, secondo la relazione di accompagnamento del governo proponente, la nostra riforma costituzionale.
Il "two pack" (ancora qui, p.6 come immanente "viatico" all'ERF, sempre incombente come soluzione finale) e il potenziamento dei wannabe poteri "imparziali" di monitoraggio dei conti pubblici in sede UEM, in effetti, ci dicono della crescente istituzionalizzazione di una totalitaria ingerenza sulla sovranità fiscale.

2. Veniamo al frangente che più ci riguarda da vicino.
Con un titolo che più autorazzista non si può ("ultimi della classe..."), Dagospia presenta l'articolo de La Repubblica che dipinge il quadro derivante dalla "lettera" della Commissione UE al governo italiano sulla manovra 2017. Eccone i passaggi essenziali (che confermano una logica e un linguaggio di avvenuto esproprio della sovranità fiscale):
"L’aspetto positivo è che la manovra italiana non sarà immediatamente bocciata dalla Commissione europea. Il lato negativo è che l’Italia resta nel mirino di Bruxelles, inserita nel terzo gruppo dei paesi che ieri hanno ricevuto la missiva Ue sui conti: il vagone di coda, quello dei peggiori. E dunque continua a rischiare di essere messa sotto tutela europea.

Una situazione in bilico dettata da Jean-Claude Juncker per marcare stretto Renzi ma non dar fuoco alle polveri delle polemiche. Per questo il presidente della Commissione ha voluto che la lettera all’Italia fosse un capolavoro di equilibrio.



Tra minacce velate, come quella di togliere d’un colpo i 19 miliardi di flessibilità accordati a Roma nel 2016 e mettere subito l’Italia sotto procedura, e buoni auspici, come quello di proseguire con un «dialogo costruttivo» per sbrogliare la matassa
...
Le lettere comprendono tre fasce di paesi. I primi sono quelli senza governo, Spagna e Lituania. Il secondo gruppo comprende Belgio e Portogallo, nazioni le cui bozze di manovra rispettano le regole ma devono dare garanzie sulla capacità di proseguire con le riforme. Infine i paesi le cui finanziarie rischiano di non essere conformi alle regole: Italia, Cipro e Finlandia.
...Il calendario adesso prevede una manciata di tappe. 
La prima, il 31 ottobre, che offre a Bruxelles la possibilità di bocciare la manovra e chiederne una nuova. Ma questo — assicurano dal cuore della Commissione — non avverrà. Si va così al prossimo mese, con la pubblicazione, il 9 novembre, delle previsioni economiche d’autunno sulle quali si baseranno poi le pagelle europee e che per l’Italia potrebbe rappresentare qualcosa di più. E qui si entra nel cuore del negoziato tra Roma e Bruxelles.
...
L’esito di questo complesso negoziato si intuirà l’11 novembre, quando il collegio presieduto da Juncker avrà una prima discussione sulle “opinions”, le pagelle sulle manovre dei diversi paesi che saranno pubblicate cinque giorni dopo, il 16 novembre. Se per l’Italia tutto dovesse andare per il meglio, si tornerà all’accordo inizialmente chiuso in segreto tra Juncker e Renzi e che il premier ha fatto saltare con l’approvazione di una bozza di manovra che ha tradito le aspettative di Bruxelles: via libera con giudizio definitivo congelato fino alla primavera per tenere pressione su Roma (e poter influire nella scelta di un eventuale nuovo governo in caso di sconfitta di Renzi al referendum).

Se invece il negoziato non sarà un successo, la pagella del 16 novembre farà a pezzi la manovra, ma Juncker aspetterà a bocciarla fino a quando non sarà approvata dal Parlamento, dando a Renzi il tempo di superare il referendum e modificarla. Se non lo farà da gennaio ogni momento sarà buono per bocciatura e procedura d’infrazione che potrebbe limitare la sovranità in campo economico".

3. Succo del discorso: 
a) "l'accordo segreto" sulla manovra era molto più rigido sulla copertura (tagli strutturali di spesa e maggiore imposizione fiscale) ai fini del raggiungimento dell'obiettivo intermedio di deficit strutturale di bilancio, e per la Commissione ciò non ha alternative: in un modo o nell'altro, l'accordo, che predetermina il livello di intervento socio-economico consentito allo Stato italiano, va applicato secondo i parametri del fiscal compact e ogni flessibilità va intesa solo nei sensi unilateralmente stabiliti dalla Commissione (e quindi dalla governance ordoliberista tedesca);
b) lo scenario di enforcement pare acuirsi in relazione alla "scadenza" del referendum: non solo la sanzione non mancherebbe qualunque ne sia l'esito, ma addirittura si prende in esame la vittoria del "no" come occasione, per l'€uropa, di influire sulla scelta di un nuovo governo!!!
c) a differenza che per la Francia,  (o della Spagna, v.infra), che, indisturbata, non accenna a uscire dalla (fase preliminare di) procedura di infrazione per violazione, abbondante e reiterata, del limite del mero 3% (!), poi, la procedura di infrazione NEI SOLI CONFRONTI DELL'ITALIA, E ALLA STREGUA DELLA GRECIA, determinerebbe una "limitazione" che consiste in null'altro che nel diretto esercizio della "sovranità economica" da parte dell'UE!!!

http://www.infodata.ilsole24ore.com/wp-content/uploads/sites/82/2015/02/20150226-Bilanci-Eu.png

4. La risposta del nostro governo, al momento, - e però prima che si inneschi questo meccanismo di tipo "estorsivo" (in quanto contrario ai principi fondamentali della nostra attuale Costituzione)-,  è che la manovra rimane invariata e  anzi, in caso di mancati "aiuti" sulla questione "immigrazione", l'Italia potrebbe mettere il veto sul bilancio UE.

Non può prevedersi come andrà a finire; i precedenti sono nel senso di un adeguamento costante del governo italiano, con qualche concessione per semi-salvare la faccia.
Più importante, tuttavia, ci pare sottolineare che il nostro "adeguarci con perdite da limitare" valeva in un contesto di stigmatizzazione appuntata sull'Italia e su un UE che, in chiave nazional-mediatica, era proposta come estremo modello di virtù e austera serietà.
Ma in tutta l'UE, a livello di democratica espressione del dissenso dei popoli coinvolti, questa virtù e questa serietà sono sempre meno "credibili".

5. Eccovi qualche dato più che eloquente.
Questo è un sondaggio riportato da Zerohedge e da Bloomberg (cioè come vedono la questione gli USA), su "Chi altro vuole uscire dall'UE" (piuttosto recente nel corso del 2016, essendo di fine giugno):
http://www.zerohedge.com/sites/default/files/images/user5/imageroot/2016/06/04/Clrs-wNVYAA01iT.jpg

L'Italia qui appare "prima della classe" e qualsiasi governo che non ne tenesse conto, rischia di fare un calcolo distrastroso sul piano del consenso. Checché ne dicano tutti i "colli" romani...Notare come nonostante la "burletta o vaudeville" del deficit, la Francia tenga buona compagnia all'Italia.

Ed è da notare come questo andamento, rilevato dalla Ispos Mori, muti repentinamente e radicalmente un quadro, di variegata discordia interna all'UE, che solo poco prima dell'esito della Brexit-poll (nelle cabine elettorali, non nei sondaggi), vedeva l'Italia come desiderosa di "più integrazione €uropea":
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6. Questa che vedete più sotto, (a "monito" tutt'altro che omogeneo a quelli che in passato provenivano dal nostro Quirinale), è la rilevazione, da parte del sito ufficiale (YouGov) del governo britannico, della percezione, da parte dei comuni cittadini, di chi sia avvantaggiato dall'UE:

In UK, a differenza che (finora) in Italia, lo small business ha le idee molto più chiare della situazione: e non hanno neppure l'euro!

7. Ma il dato più attuale e clamoroso, - ben al di là dei fiumi di retorica, scollati dai dati, con cui in Italia si continua a strillare sui giornaloni e a reti unificate-, riguarda il gradimento dei popoli europei per le politiche della c.d. "accoglienza", quelle che sovrappongono, al mercato del lavoro stremato dall'applicazione delle ricette neo-liberiste €uropee, - in nome della flessibilità e della competitività-, un esercito di disperati a quello autoctono, "industriale di riserva", dell'altissima disoccupazione strutturale voluta dall'€uropa:
eu1

8. Anche questo ulteriore grafichetto di comparazione su quali siano i risultati delle politiche UE-M in materia di "protezione del lavoro", potrebbe spiegare molte cose e dovrebbe, razionalmente, influire sia sulle riflessioni del governo italiano e, più ancora, su quelle della Commissione UE: 
Chart 2 - Employment protection
Non fatevi ingannare del "more regulated"; dovrebbe essere chiaro che in UE la regolazione risponde all'ideale ordolibersista dell'intervento programmatico dello Stato per ricondurre il mercato del lavoro alle leggi naturali della svalutazione e della flessibilità salariale verso il basso
Il fatto è questa "normalità" non pare chiaro quanto a lungo possa ancora durare...
La Commissione UE non pare essersene resa conto.