domenica 31 dicembre 2017

L'AUGURIO DA ORIZZONTE48 PER IL 2018: NON ACCONTENTATEVI DEL "MALE MINORE" (CON ADDENDUM)


http://www.leggidamoretti.com/testaruba/wp-content/uploads/2016/02/Male-minore-1030x769.jpg

1. La faccio breve, affinché non si possa equivocare: l'augurio che formulo per tutti gli italiani, per il prossimo Anno, è di non accontentarsi del male minore.
Il Capo dello Stato farà un'esortazione affinché, durante la campagna elettorale, il confronto tra le forze politiche rimanga entro i limiti di una "leale competizione" (o concetto analogo). Perché questo atteggiamento, naturalmente, costituirebbe segno di senso di responsabilità. 
Questo richiamo al senso di responsabilità sarà legato all'esigenza di risolvere il problema del lavoro (e della povertà e...della solidarietà verso gli sfortunati costretti a arrivare sulle coste italiane...). 
E il problema del lavoro, della disoccupazione e dei working poors, - non senza un salto logico a cui si conta che siate assuefatti- non potrà essere disgiunto dall'esigenza di rispettare i nostri impegni fiscali verso l'€uropa "della pace e della giustizia" (e contro i populismi); impegni solidamente, sicurissimamente e certissimamente, fondati sul rispetto della Costituzione.
In pratica, dato che era inevitabile dover votare, si garantisca la governabilità, come valore supremo; il valore dei valori, anch'esso non si sa bene come, connesso alla legalità costituzionale che, in qualche modo, sarebbe un tutt'uno col rispetto dei trattati.  
E (magari) con l'esigenza di "fare le riforme" (magari anche costituzionali).
Non è pensabile che dica qualcosa di diverso. Non necessariamente lo dirà in quest'ordine espositivo e argomentativo; ma i concetti, legati da un'attenta limatura e improntati ad una saggia cautela che consenta ampie sfumature interpretative, saranno questi. Più o meno rafforzati da preoccupazioni per la pace e esemplificazioni sulla povertà e sull'azione di governo volta a ripristinare l'occupazione.

2. Ma, al di là di tutto, l'essenza di ciò che vi riguarda, sta nel non accettare il "male minore".
Non starò a dire cosa sia, in questo concreto momento storico, questo male minore. 
La logica della paura che l'accettazione di esso impone nelle scelte che decideranno le vostre vite (perché dovreste aver compreso che siamo in una fase "decisiva"), è evidente. 
Magari ci torneremo nelle prossime settimane; e, temo che, ad un certo punto dell'anno, spiegarlo con esempi concreti sarà fin troppo facile. Ma sarà anche troppo tardi.

3. Per questo oggi, come formulazione di un intento che possa sorreggere le coscienze di tutti e proiettarle verso questo cruciale Nuovo Anno, mi limito a questo augurio: non accontentatevi del male minore.
Perché non è più possibile distinguerlo dal (supposto) male maggiore. E questo perché, ormai, la differenza non c'è; certo, ci può essere una diversità nei tempi, negli steps ritenuti opportuni, e nella veste cosmetica di realizzazione del "male in sé".
Ma, oggi, stasera, quando si può fare spazio dentro di sè e trovare un momento di intensa chiarezza per comprendere il proprio cammino, auguratevi il vostro bene, nella dimensione storica, sociale, economica. In una parola "vitale". 
E la verità è vita; e se volete vivere, questa verità dovete affrontarla, appropriarvene e mantenerla come una conquista preziosa.
Per farne la sofferta risorsa con cui costruire concretamente il riscatto delle vostre vite; e ritrovare la prospettiva di un qualsiasi futuro che non sia l'accettazione di una minaccia costante
Per voi, per tutti, l'augurio è di non accontentarsi mai più: perché, ormai, potere permettervi, - senza dover soccombere e rimanere beffati-, soltanto il vostro bene. Che è un "no" al male. Anche se "minore". 
Questo il mio augurio.

ADDENDUM: ho premesso che non sarei stato a dire cosa sia, in questo preciso momento storico, il "male minore" che, ingannevolmente, illuderà di evitare un indistiguinbile "male maggiore".
Ma mi pare importante, per un immediato chiarimento, riportare (e tradurre) questo commento di Arturo, che fornisce un importante spunto fenomenologico, cioè storico e politico-economico, del perché, in essenza, non sia possibile, e specialmente non sia più utile (per voi), distinguere tra diverse graduazioni del "male". Naturalmente, bene/male sono assunti in un'accezione economica e istituzionale rapportata ai vostri interessi; nessuna traccia di giudizio morale in ciò: 
"La governabilità: in Italia fu Amato, tanto per cambiare, ad annunciare che dopo il celebre rapporto della Trilaterale vi era stata "la scopertà della ingovernabilità come dramma epocale" (G. Amato, Una repubblica da riformare, Il Mulino, Bologna, 1980, pag. 26. Contiene saggi pubblicati fra il ’75 e il 1980).

In realtà bisogna leggerselo tutto il Rapporto: riserva sorprese. 

Per esempio a pag. 206, riferendo dei commenti durante la discussione del Rapporto a Montréal, si legge:
Uno o due partecipanti suggerirono che l'intera discussione sulla governabilità avesse distorto i problemi reali e che fosse espressione della preoccupazione propria soltanto di un'elite, a disagio con il declino della propria posizione nella società! Questi sostennero che fattori quali un'inflazione crescente e la crescita della spesa pubblica in rapporto al GNP (PIL) (fattori visti da alcuni come cause od effetti dei problemi di governabilità) non avessero nulla a che fare con la governabilità e potessero, in effetti, aver prodotto in prevalenza benefici, inducendo una miglior distribuzione del reddito, attraverso il recupero del distacco (ndr: rispetto ai profitti) a favore dei salari e attraverso le erogazioni del  social welfare.”.
E allora in effetti che dramma, signora mia!"

Ai molti interrogativi che sono stati proposti nei commenti, dunque, è possibile fornire una risposta, agevolmente deducibile dal brano appena riportato: se volete evitare di cadere nella trappola del male minore, scartate con decisione ogni opzione che, nelle molteplici (e sempre nuove) forme del discorso politico-economico oggi di gran lunga prevalente, siano contrarie a quella dissenting opinion espressa quaranta anni fa alla Trilateral. 
Vi parlano, anche indirettamente, - con slogan e giri di parole che avreste dovuto imparare a decifrare immediatamente-, dei benefici della deflazione, id est. della "stabilità dei prezzi", e del taglio della spesa pubblica (o di tagli alle tasse coperti in pareggio di bilancio)?
Non è il vostro bene.
A meno che non siate parte effettiva di quella elite, naturalmente...

sabato 30 dicembre 2017

LE PROMESSE, CIOE', LE MINACCE ELETTORALI: L'OCCASIONE FINALE PER UN "NO"

 http://orizzonte48.blogspot.it/2017/05/la-sceneggiatura-il-truman-show-in.html

 Chuck Palahniuk
1. Finita la parte più strettamente religiosa delle feste, e quindi messa provvisoriamente in sospensione l'ubriacatura immigrazionista dello ius soli, e dei diritti immaginariamente negati, si passa ai propositi per il Nuovo Anno.
E questi propositi, nelle circostanze attuali, altro non sono che promesse elettorali, perché in tali termini vanno, da tutti voi, attentamente considerate; e immancabilmente, tutto questo va assunto nel connubio, ormai indistinguibile fra partiti di governo (in nome dell'€uropa dei mercati) e media di controllo, entrambi sospinti dall'incessante lavorio degli influencers,.

2. Questi operano dunque in un incessante processo circolare che alimenta di soluzioni di soccorso, - aggirantesi preferibilmente sull'unico grande tema del debito pubblico (con varianti imperdibili)-, la linea di governo €urotrainata, mentre, a loro volta, gli espertologi proponenti delle soluzioni, in contraccambio, ricevono la legittimazione preventiva - mediatica, naturalmente- a  divenire futuri governanti o, quantomeno, consulenti dei massimi livelli dell'amministrazione politico-economica. Tra una (lucrosa) "porta girevole" e l'altra; sempre qui, pp. 6-7

3. In questo circuito, non c'è più spazio, e nemmeno tempo da perdere, per l'ascolto dell'orientamento dell'elettorato - inteso come elemento sociale costitutivo dello Stato nonché titolare della sovranità-, all'interno di un processo, almeno formalmente, democratico. 
Traduco in termini più diretti: ammesso che il voto possa non essere condizionato dallo strapotere mediatico di chi odia la Costituzione (quella vera, non quella filosofica dei banchieri "liberali") e l'umanità stessa, l'idea precostituita è che comunque la futura agenda di governo non potrà e non dovrà tenerne conto. Tutto è già comunque deciso. 
Rimarrebbe solo da ascoltare, per mesi di campagna elettorale, la reiterazione ossessiva, pluriennale, - che dico: pluridecennale!-, delle stesse "soluzioni". 

4. Siamo irreversibilmente, - ci dicono in tutti i modi sicché nessuno possa avere più dubbio alcuno-, in un mondo in cui i tecnici gestiscono mentre i mercati governano (Reichlin dixit, once and for ever): e, poiché il ruolo dei politici è di andare in televisione e sui big-media, per converso, il passaggio mediatico del tecnico emerge spontaneamente quale voce-dell'opinione-pubblica-che-non-può-essere-ignorata. Essa e soltanto essa, tra le molte che si levano da una società che pure mostra profondi segni di inquietitudine, è abilitata a segnare i limiti di (non)"significato"di ogni possibile espressione del voto:
Il voto, attesa la incomprensibilità, da parte dell'individuo comune-elettore, della realtà normativa naturale, è solo un processo subordinato di ratifica delle decisioni "impersonali" del mercato (questa sintesi è agevolmente ricavabile, ex aliis, da questo post e da quest'altro).
5. Ma una volta profilato come "atto dovuto", senza alternative, il piegarsi preventivo ed incondizionato dell'elettorato alle esigenze del "lovuolel'€uropa", le "soluzioni" assumono il carattere più preciso di minacce
Un tale carattere minaccioso delle dichiarazioni programmatiche elettorali potrebbe sembrare un ben curioso calcolo di captazione del voto.
Promettere prelievi patrimoniali sulle proprietà immobiliari e sui conti correnti delle famiglie, nonché (oh, finalmente!) tagli feroci della spesa pubblica, uniti alle soluzioni più tipiche di welfare caritatevole, drasticamente alternativo alle politiche di piena occupazione, e conditi dalle immancabili riforme definitive della Costituzione in senso "liberale", - in modo da ammantare prelievi e ferocia di una solenne legalità-, infatti, parrebbe in controtendenza clamorosa rispetto alle speranze e alle motivazioni di voto della schiacciante maggioranza degli italiani; ma, grazie al meccanismo della legge elettorale ed all'esistenza stessa, rectius all'accurata creazione,  dei "3 poli", non lo è. 

6. Oggi un residuo lumicino di speranza per evitare tutto questo passa per una rigorosa rivendicazione della vostra autonomia di giudizio, per la libertà del vostro voto: per un no che, questa volta, non possa essere beffardamente vanificato.
Perché, come ormai dovreste aver imparato, un "no" non preceduto dal risveglio e dalla mobilitazione delle coscienze (p.2), dall'aver coltivato "lo spirito di scissione" gramsciano (inteso come chiara presa di distanza che non ammetta compromessi e paure), può sempre essere vanificato. 
E questa con ogni probabilità potrebbe essere l'ultima volta che un "no" potrete ancora (utilmente per voi) esprimerlo. Almeno all'interno dei parametri democratici che, con eccessiva di prigrizia, si tende a dare per scontati.
E' obbligo civile, e di legalità costituzionale, l'essere consapevoli che, questa volta, è veramente un'occasione finale. Com'è finale l'attacco del neo-liberismo globalista alle Costituzioni

7. Non rimane, dunque, che fare la cronaca delle battute finali della "sceneggiatura" nel suo prossimo compimento, ricordandone le premesse strutturali
"E quindi, come in Italia, si conferma che la "governabilità" (qui, pp. 2.1.4 e ss.) è una qualificazione di tipo tecnico-istituzionale che, se assunta come valore autosufficiente (cioè come indicatore di un'astratta funzionalità organizzativa che non si cura più del raggiungimento dei fini costituzionali dell'organizzazione stessa), finisce per assorbirne ogni altro, cioè per rendere irrilevante ogni contenuto e fine dell'indirizzo politico-elettorale.
Quest'ultimo, in teoria, dovrebbe risultare corrispondente alle esigenze che l'elettorato, ed anche la obiettiva realtà socio-economica, cercano di segnalare al sistema pseudo-rappresentativo dei partiti; ma, ci si accorge che, come giustamente, ha detto Draghi (ispirandosi a Friedman; qui, p.1, "addendum"), l'indirizzo politico è fissato da un "pilota automatico".
...
Anzi, si potrebbe persino dire che l'apparente frammentazione partitica attuale sia un bene per il "governo dei mercati": restituisce alle masse una sceneggiatura di contendibilità delle istituzioni (democratico-elettive) su varie, apparenti, versioni dell'indirizzo politico e così allontana la presa d'atto popolare sull'abolizione delle sovranità democratiche.
La sceneggiatura di una grande reality sedativo stile "Truman show".
E dunque, aveva pienamente ragione Reichlin (qui, p.8.1.):
"I mercati governano, i tecnici gestiscono, i politici vanno in televisione".
E questa è l'€uropa: ora più che mai.
Perché il problema di fondo rimane sempre questo:
"Se un "governo" sovranazionale free-trade non è strutturalmente idoneo ad autoriformarsi per via endogena (e le ragioni sono le stesse per cui i paesi non vincolati dalla bdp, cioè in surplus, non risultano praticamente mai, nella storia economica, aumentare le proprie importazioni e raggiungere il pieno impiego, cooperando spontaneamente a riequilibrare i saldi esteri e i livelli di occupazione dei paesi "vincolati"), ne deriva una struttura della massima rigidità.

E una tale struttura può solo collassare, escludendo, geneticamente, qualsiasi elasticità delle sue regole: se infatti fosse prevista una clausola di "elasticità", la sua governance riterrebbe di perdere la "credibilità" necessaria per affermare i suoi fini naturali.
E in fondo, è ciò che ci va ripetendo, ogni volta che ne ha l'occasione, Mario Draghi.
Anzi, precisa che qualsiasi alternativa a tale rigidità istituzionale è "unrealistic".

Quindi il destino delle masse €uropee è segnato".

mercoledì 27 dicembre 2017

OGGI 27 DICEMBRE: LA COSCIENZA DEMOCRATICA COSTITUZIONALE E LA PROFESSIONE DI FEDE (NELLA SUA DISTRUZIONE)


1. Il 27 dicembre di 70 anni fa il Capo provvisorio dello Stato De Nicola promulgò la Costituzione della Repubblica italiana che entrò poi in vigore il 1° gennaio 1948.
Come abbiamo già annunziato, una celebrazione di questa importanza merita un'iniziativa scientifica che la ricordi adeguatamente, nei modi e nelle circostanze drammatiche che ricorrono, certamente dal punto di vista del rispetto e della corretta applicazione della stessa Costituzione, nell'Italia dell'oggi.
Il convegno la cui locandina trovate sopra riprodotta in immagine, non sarà l'unica occasione di rivendicazione della vitalità nonché di concreto approfondimento scientifico dell'attualità della Costituzione;  speriamo infatti che un ulteriore ed importante evento possa essere organizzato a marzo, dopo le elezioni, e quando sarà necessariamente (ancora) più chiaro lo scenario delle forze politiche portatrici della convergente aspirazione a seppellire la Costituzione del 1948; e ciò avverrà, probabilmente, nel quadro dell'attività di A/simmetrie, avendo Alberto già dato una disponibilità di massima.

2. Sia ben chiaro: il paradosso di questi 70 anni sarà, per tutti i cittadini italiani che abbiano ancora la cultura e la sensibilità per farlo, l'esigenza di doversi accingere, proprio adesso, ad una strenua difesa finale - della democrazia sostanziale, della democrazia necessitata del lavoro-, in contrapposizione con astratte "commemorazioni" che, ignorandone ostentamente il vero significato, moltiplicheranno le pressioni per un suo superamento, riprendendo il cammino delle devastanti proposte intese a distruggerne il senso più profondo. 
Il paradosso, dunque, nascerà dal fatto che, adottandosi una tattica comunicativa che tenderà, questa volta, a presentare la disattivazione della Costituzione entro una facciata nominalistica di fede nei suoi valori,  (valori che ci si sta già preoccupando di rivisitare e "adattare"), si troverà il modo cosmetico per celebrare in sordina "le esequie frettolose di una Costituzione ancora viva" e, consentitemi di dirlo, che più che mai "lotta insieme a noi".

3. Dunque, il fondato timore è che proprio la ricorrenza dei 70 anni dalla nascita della Costituzione, sarà la più ovvia delle occasioni per riattivare il processo di formalizzazione testuale del suo tanto invocato, da decenni, superamento, chiamato "riforma", ma che è in realtà l'abrogazione (dichiaratamente liberale) dei suoi principi non revisionabili in modo provocarne, come diceva Calamandrei, l'automatica distruzione
Un processo che è già in avanzato stato di compimento, in molteplici e illimitate forme de facto, e che attende solo che trascorra un minimo di tempo dal referendum (cioè dall'ultimo, in ordine di tempo, dei fallimenti nella "formalizzazione testuale" dello status quo abrogativo) per coagulare le sue diverse tematiche e istanze particolaristiche, tutte convergenti sulla saldatura in nome dell'€uropa (qui, p.3), di forze politiche variamente propugnatrici o in ogni modo rassegnate alla irreversibilità del vincolo esterno

4. Un campanello di forte allarme, cioè un primo eclatante sintomo di questa (tattica cosmetica della) professione di fede nella Costituzione - agitata per dissimulare urgenti scopi abrogativi della stessa o comunque ad essa estranei-, proviene da questa lettera al Capo dello Stato, scritta per rivendicare l'approvazione della legge c.d. sullo ius soli. Una legge che pretende di basarsi su una discriminazione, relativa ai diritti fondamentali dei non cittadini residenti, che è un'artificiosa costruzione di fantasia (p.4.1.), e che contiene norme di sostanziale facilitazione che con lo ius soli nulla hanno a che fare.

4.1. Gli elementi allarmanti che si desumono dalla lettera sono quantomeno tre:
a) che faccia irruzione sulla scena politico-mediatica, con così grande tempismo, un'associazione di "figlie e figli di immigrati cresciuti in Italia ma senza passaporto italiano", associazione del cui carattere effettivamente rappresentativo  (di centinaia e centinaia di migliaia di persone per conto delle quali sostiene di parlare) e della cui spontaneità auto-organizzativa, coagulante una tale base  "sociale"  che dovremmo assumere, tendenzialmente, costituita da minorenni, è quantomeno ragionevole avere dei dubbi;

b) oltre all'emergere abbastanza improvviso di questa capacità di mobilitazione, colpisce poi la visibilità immediata ad ampissimo spettro di cui ha goduto l'iniziativa. Ogni importante istituzione dello Stato, il PdR in testa, riceve infatti moltissime missive, richieste, appelli e "denunce", secondo una scansione giornaliera che impegna, infatti, appositi uffici dediti a selezionare e, talora, a rispondere. Ma assai raramente, e solo secondo percorsi "selettivi" che rimangono sempre misteriosi (almeno dall'esterno), si ha notizia sui big-media di tali iniziative e, per di più, divulgate quasi "in diretta", nel giorno stesso dell'invio ("oggi 27 dicembre" è l'incipit del fulltext ostentato dai maggiori quotidiani on line italiani);

c) infine, colpisce, per l'appunto, l'uso plateale di riferimenti al testo costituzionale e al pensiero di illustri Costituenti, quando è del tutto evidente come sia indimostrata (e viene anzi insinuata come del tutto scontata) una situazione sia sociale che giuridico-costituzionale di effettiva e rilevante discriminazione imputabile, in sè, al mero fatto di essere cresciuti in Italia senza passaporto

5. La nostra Costituzione, infatti, riconosce a tutti i soggetti residenti legittimi una notoria e consolidata pienezza di diritti, limitata solo da ragioni di supremo interesse pubblico considerate pienamente legittime dalla nostra Corte costituzionale (qui, p.7) e peraltro comuni a tutti gli ordinamenti giuridici degli Stati democratici, europei e non. 
Per contro, l'eventuale degrado della scuola, la disoccupazione diffusa, il taglio sistematico dei servizi di assistenza sanitaria, alle persone disagiate, e la sterilizzazione delle politiche pubbliche previdenziali e sull'edilizia popolare, - cioè i problemi che si può ragionevolmente supporre che possano incontrare dei giovani immigrati con le loro famiglie-, hanno tutt'altra causa, economica ed istituzionale: cioè i vincoli fiscali UE conservativi dell'euro

6. La concreta e realistica coscienza di questa serie di problemi che investono tutti i residenti in Italia, cittadini e non, avrebbe semmai fornito l'occasione per un'appropriato e ben calibrato  richiamo alla nostra Costituzione; essa infatti, non ha mai inteso consentire un ritorno al capitalismo ottocentesco del gold standard, in cui le politiche volte alla stabilità monetaria finiscono per divenire l'unico obiettivo dell'azione dei governi, sacrificando la tutela del lavoro (di tutti i residenti, GIA' trattati dalla Costituzione allo stesso modo), lavoro inteso come espressione della dignità umana, che viene invece assolutamente subordinata al mito monetaristico.
Di questa coscienza della democrazia e del senso profondo della nostra Costituzione, così ben richiamato dall'invano citato Calamandrei (p.9), nella "lettera" non c'è traccia. 
In definitiva, una grande occasione perduta, dalle figlie e figli, per mostrare tangibilmente non solo la comprensione della Costituzione che invocano (non del tutto a proposito e su basi giuridico-fattuali indimostrate, specialmente quanto alla presunta difficoltà di ottenere la cittadinanza italiana, v.p.10), ma anche per dimostrarsi portatori di quella solidarietà cosciente, interna al corpo sociale cui si dice di appartenere, che la Costituzione pone come baricentro attivo della democrazia del lavoro.

7. A quest'ultimo riguardo, nella lettera in questione, la citazione dell'art.3, secondo comma, viene accompagnata dall'indicazione del suo "autore" in Costituente, Lelio Basso
Ebbene, è interessante, e spero "istruttivo", sapere cosa pensasse veramente Basso sulla questione della immigrazione e sul diritto dei popoli di rimanere nella propria terra a difendere la propria identità nazionale e culturale, per fondare la democrazia laddove si hanno le proprie legittime radici. E specialmente è istruttivo capire cosa pensasse, Basso, delle cause dello sradicamento dalla terra d'origine e dello sfruttamento che ne consegue.

"Nel 1977 Lelio Basso, in qualità di presidente della Fondazione internazionale per il diritto e la liberazione dei popoli e della Lega dello stesso nome, nella conferenza internazionale tenutasi ad Algeri (dopo che il 4 luglio 1976 era stata ivi sottoscritta la “Dichiarazione d’Algeri”), pronunciò un discorso memorabile ormai dimenticato ed in forza del quale anche lui, oggi, sarebbe etichettato – insieme a Mortati – come xenofobo. Riporto i passi più significativi:
“…… Ora, se diamo uno sguardo a questa Dichiarazione, vediamo che, dopo l'articolo 1, che afferma il diritto di ogni popolo all'esistenza, l'art. 2 è così formulato: “…ogni popolo ha diritto al rispetto della propria identità nazionale e culturale…”. 
Era perciò naturale che, volendo noi stessi dare sempre maggior forza ai principi della carta, chiarirne il contenuto, allargarne la conoscenza, la prima grande iniziativa della nostra Fondazione, dopo quella dello scorso anno, fosse consacrata appunto a quest'art. 2, alla difesa dell'identità culturale dei popoli. Ma non si è trattato per la verità soltanto della successione numerica degli articoli, ma del riconoscimento che questa difesa dell'identità culturale dei popoli dipendenti era la più importante e la più urgente. E appunto per questo avevamo collocato questo diritto quasi in testa alla nostra Dichiarazione, secondo soltanto al diritto all'esistenza.

Perché il più importante e il più urgente?
È il più importante perché cultura significa la lingua, quindi la base di ogni comunicazione fra gli uomini, significa tradizioni, costumi, modi di vita, cioè di abitazione, di alimentazione, di vestiario, di svago, ecc., sistema di valori, tutto ciò insomma che costituisce il sistema nervoso e al tempo stesso la circolazione sanguigna che tiene unita una comunità, che le dà l'unità, la coscienza di una comune appartenenza. Un popolo si riconosce e ognuno riconosce i suoi fratelli appartenenti allo stesso popolo attraverso l'una o l'altra di queste manifestazioni culturali, che sono perciò parte essenziale e insopprimibile dell'esistenza umana. Perché l'uomo non esiste come individuo isolato e la società non è semplicemente una somma di individui, ma è una rete di infiniti rapporti che si incrociano e s'intrecciano in ogni senso, e ogni uomo è, fin dalla nascita, un essere sociale, come dice Marx, un centro di rapporti sociali, che non possono essere recisi senza uccidere la vita stessa dell'uomo.

Certo, ogni uomo ha anche una sua vita individuale, il bisogno di vivere con se stesso, di scendere nei penetrali profondi della sua anima, ma anche in questi abissi profondi egli troverà sempre l'altro se stesso, il suo essere sociale, i suoi rapporti, i suoi legami con la famiglia, con gli amici, con l'essere amato, con i compagni di lavoro, di studio, di gioco, coi vicini di casa, con gli sconosciuti incontrati per strada, al cinema, in treno, con gli autori dei libri preferiti, con i personaggi della televisione o del cinema, con una infinità di altri esseri umani, che lo condizionano, l'influenzano, lo plasmano, lo stimolano o lo frenano, lo fanno irritare o gioire, gli procurano ansietà o pace, lo giudicano, lo condannano, lo vezzeggiano, lo accompagnano, benevoli o malevoli, in ogni passo e in ogni momento della vita. Ma tutto questo immenso scenario, che è la vita dell'uomo, si svolge nel quadro di una cultura, che apre le strade degli incontri, fornisce i mezzi della comunicazione, consente lo svolgimento dell'attività
.  

Se un uomo è sradicato dalla sua cultura, dal suo ambiente culturale, è sradicato dalla vita: diventa un essere anonimo, impersonale, sperduto in una folla di uomini altrettanto anonimi e impersonali, in balia di uomini che non conosce, di eventi che non controlla, di decisioni cui non partecipa. È LA QUOTIDIANA TRAGEDIA DEGLI EMIGRANTI che voi, fratelli algerini, conoscete bene come la conosciamo noi italiani.

Distruggere o contaminare una cultura significa distruggere la dialettica del momento individuale e del momento sociale che è il ritmo della vita dell'uomo, significa spersonalizzare, gettare nell'anonimato, nel vuoto di un'esistenza puramente materiale, che non ha più calore di vita, che non ha più dimensione umana. Se viene a mancare la cultura, che è l'atmosfera in cui bagna la vita culturale dell'uomo, cioè la sua vita comunitaria e sociale, anche il momento individuale perde la sua linfa e si isterilisce fino a diventare un mero automa che si muove per effetto di spinte esteriori, subite ma non interiorizzate, in forza di una coesione sociale anonima non assimilata, non fatta sangue del proprio sangue.

Ecco perché abbiamo giudicato che la difesa dell'identità culturale di un popolo fosse un dovere primario, e perciò, se vogliamo sul serio impegnarci sul terreno di lotta che noi stessi abbiamo scelto con la Dichiarazione dello scorso anno, cioè sul terreno della difesa dei diritti dei popoli, questa è la prima seria battaglia da impegnare
” [L. BASSO, Discorso introduttivo, in I Diritti dei popoli, ottobre 1977, n. 10/11, 5-10].

E nel 1978 così continuava:
… Il capitalismo è riuscito ad estendere il suo dominio praticamente su quasi tutto il mondo, cerca la materia prima ovunque gli faccia comodo, sovvertendo governi, distruggendo stati, suscitando guerre civili, non importa, purché la società multinazionale arrivi ad avere il valore (?) che le serve.
Vende in tutto il mondo, distruggendo le economie, gli artigianati e le piccole industrie locali. Preleva, come ai tempi della schiavitù dei negri, sottratti dall’Africa e portati in America, PRELEVA UNA MANODOPERA DOVUNQUE LA TROVI AL MINOR PREZZO.


Domina questo mercato mondiale, impone le sue leggi e sovverte tutte le istituzioni per avere ovunque governi che siano al servizio degli interessi del partito e degli interessi del grande capitale
Se dovessi pensare che questo sistema di vita che, come ho detto poc’anzi, si maschera molto bene grazie all’ipocrisia, che si presenta molte volte in forma apparentemente accettabili, se dovessi pensare che questo fosse veramente il destino dell’umanità, che questo che si chiama progresso rappresentasse veramente il nostro futuro, dovrei disperare delle sorti dell’uomo, anche a lontana scadenza, perché sarebbe una ricaduta totale nella barbarie
” [L. BASSO, Saluto alla Rete, V Convegno nazionale della Rete Radiè, Rimini, 29 aprile-1 maggio 1978].

Io proprio non riesco a capire, Presidente, cosa ci sia di sbagliato nel discorso di Lelio. Non credo che sia solo un problema di “livello culturale”…"

martedì 26 dicembre 2017

ANNO NUOVO, COSTITUZIONE DEMOCRATICA "VECCHIA" (?) E...LIBERTA' (LE NON-LACRIME DI NIETZSCHE)

http://www.900letterario.it/wp-content/uploads/2016/05/71sDAE2cyqL.jpg

Questo post costituisce più un...ripassino (e quindi non eccederò coi links, aspettandomi che i lettori siano in grado di individuarne molti altri, rispetto a quelli che inserirò). 
Ma testare se si abbiano le idee chiare - e quindi potersi permettere di porle alla prova della situazione sempre più drammatica che si profila nella nostra Patria-,  è un cimento di cruciale importanza in questo momento. Essere pronti, ora, può fare la differenza in preparazione di "questo" Nuovo Anno...
Quando sento parlare di liberali, di libertà, della democristiana Libertas, bè: trovo sempre un grande autore che chiarisce l'ovvio agli imbecilli che non si sanno collocare nella Storia:
«Quella che viene chiamata "libertà di volere" è essenzialmente la passione della superiorità rispetto a colui che deve obbedire: "Io sono libero, 'egli' deve obbedire" [...] quell'intima certezza che si sarà ubbiditi, e tutto questo appartiene ancora alla condizione di chi impartisce ordini. » Nietzsche, "Al di là del bene e del male"
Non ci può essere libertà metodologicamente individualista senza dialetticamente manifestarsi una schiavitù: libertà e potere sono il medesimo ente visto da due punti diversi.
Quello dell'oppresso, e quello dell'oppressore.
Buona "democrazia" liberale a tutti.

...A nessuno verrebbe mai in mente di far l'apologia del "potere", del "kratos": dell'idea di "potere".
Semplicemente "il potere dei forti limita la libertà dei deboli", quindi "la libertà dei forti limita il potere dei deboli".
Poiché il potere ai "deboli" si chiama "democrazia", queste liberalissime proposizioni sono antidemocratiche e oppressive.
E sono quelle del liberalismo classico.
Parlare di libertà non significa nulla, per il semplice fatto che non è un concetto universalizzabile.
Dare il "dieci punti percentuali" di libertà alla Bayer non è come darli a me e te.

Liberalizzare mercato e lavoratori non è la stessa cosa: sono due libertà che formalmente se promosse insieme sono di fatto esclusive: il lupo capitale si magna la pecora lavoro.
Il liberalismo è la legge della giungla: l'ordine sociale è eminementemente un ordine giuridico, come lo Stato è per definizione Stato di diritto (Schmitt, 1923) che, per distribuire potere, deve limitare per definizione le libertà.
La libertà sociale nasce dalla limitazione indistinta delle libertà individuali.
Parlare di libertà ideale paluda i rapporti di produzione che, essendo "kratos" puro al pari delle armi, possono essere limitati solo dall'archè giuridico.
Quindi chi raglia di una libertà non partigiana, paluda il conflitto politico e sociale. 
1. Dovrebbe ormai essere ben chiaro: per chi è già titolare di un consistente patrimonio e di una rendita che da esso proviene, consentendogli di accumulare ulteriore ricchezza, il termine "libertà" è un modo per indicare la legittimità della sua posizione al fine di rivendicare, contro la possibile interferenza dello Stato in nome dell'interesse generale dell'intero popolo, la sua conservazione.
Si tratta quindi di una libertà "da" (da ogni limitazione "pubblica" della propria situazione di vantaggio) che è strettamente funzionale a un potere "di". 
La libertà "negativa", liberale (o neo-liberale, intesa come sua identica riproposizione, ma dovendosi affrontare nuove condizioni politico-economiche sopravvenute, che impongono che la restaurazione del vecchio assetto, costretto dagli eventi storico-sociali a compromessi e limitazioni, debba tener conto di ciò) ha infatti lo scopo ultimo ed essenziale  di esercitare le prerogative politiche connaturalmente connesse alla ricchezza per orientare - tramite molti mezzi, culturali e finanziari, prospettati come intangibili dal diritto statale- le pubbliche istituzioni ed impedire che queste possano avvantaggiare la generalità dei cittadini a scapito della timocrazia (qui, p.7).

2. Per chi non possa vantare un consistente patrimonio e voglia perseguire una propria liberazione dal bisogno e dalla povertà (v. p.9, per la descrizione che ne fa Calamandrei), e quindi dalla impossibilità materiale della partecipazione alle decisioni che lo riguardano (cioè alle decisioni pubbliche che assume la Res Publica, lo Stato), la libertà è essenzialmente l'affermazione del valore del proprio lavoro e, prima ancora, della possibilità di averne uno, ponendo le basi (uniche lecitamente possibili, nel senso di non antisociali e quindi non realizzate mediante il danno ingiusto arrecato ad altri) per un'emancipazione dalla povertà e dal bisogno.

3. Questa schematizzazione, - che corrisponde a elementari riscontri delle dinamiche sociali che erano già chiaramente affermati dalle stesse "ipotesi" costituzionali della Rivoluzione francese -, ci spiega perché fondare un ordinamento sulla "libertà", indistintamente affermata a prescindere da chi ne sia e ne possa essere il vero beneficiario (qui, infine, la descrizione fenomenologica di Galbraith), sia un concetto vacuo ed apparente, cioè, in definitiva,  artificiosamente dissimulatore della sostanza della vita sociale. 
Il senso che tale indistinta "libertà" afferma implicitamente - perché se lo facesse esplicitamente la schiacciante maggioranza dei soggetti dell'ordinamento ne coglierebbe l'effetto "meccanico" di esclusione politica che ne consegue -, è quello di negare l'ineliminabile natura conflittuale della libertà, allorché essa sia riferita all'insieme generale (dunque, non selettivo e staticamente assunto) degli individui che compongono una concreta organizzazione sociale. 

4. E negando tale insopprimibile natura conflittuale, cioè idealizzando la libertà in astratto, si mira oggettivamente a rendere illegittimo ogni tentativo di crescita generalizzata del benessere, esteso a tutte le classi sociali, e, inevitabilmente, a rendere illegittima l'attribuzione allo Stato della funzione primaria di garantirla. 
Si afferma così quella strana contrapposizione tra meritocrazia, - i cui effetti sarebbero esclusivamente da rilevare in base alla presa d'atto, una volta per tutte, dell'esito della naturale competizione sociale, in quanto libera dall'interferenza di regole giuridiche che tutelino interessi meta-individuali-, e eguaglianza sostanziale (pp.7-8, per la definizione di Calamandrei e Basso), che invece si fonda sulla esigenza normativamente stabilita di redistribuzione ex ante, onde consentire a ciascun individuo, senza esclusione di alcuno, di esprimere pienamente il proprio rispettivo potenziale, a giovamento dell'intera collettività, in modo da ottenere che questa produca la concreta massimizzazione delle risorse che in essa sono complessivamente racchiuse.

5. In sostanza negare che l'azione redistributiva dello Stato sia di giovamento all'intera società, ordinando invece la società sulla libertà formale (a mera apparenza "negativa"), implica, per necessità, che gli individui non solo siano in larga prevalenza scarsamente dotati di capacità effettivamente utili e idonee ad accrescere il benessere collettivo, ma pure che questa distribuzione diseguale delle capacità umane debba accompagnarsi a un ordinamento che cristallizzi, come unico equilibrio utile, il "dato" della inevitabile distribuzione ineguale dei meriti, comprovandolo a posteriori mediante l'accettazione della concentrazione della ricchezza in pochi individui, assunta come stato di fatto "trascendente" e naturalisticamente incontestabile. Appunto ciò che viene teorizzato come assetto allocativo efficiente di un sistema vincolato dalla scarsità di risorse.

5.1. E se dunque si nega a livello di filosofia politica generale, che lo Stato possa/debba perseguire la crescita del benessere di tutti, in quanto ciò risulterebbe abusivamente lesivo della statica libertà ("potere di") dei pochi, ne discende la negazione stessa della democrazia e della sostanza che la rende concreta e non meramente formale: la partecipazione effettiva di tutti i cittadini, in ampissima maggioranza lavoratori (dediti a ogni forma di attività lavorativa esprimente la rispettiva personalità e capacità) al processo decisionale collettivo, in funzione di progresso generale.