lunedì 6 febbraio 2017

STRUTTURA DELLE ESPORTAZIONI E DELL'OFFERTA ITALIANE: IL SUICIDIO ANNUNCIATO DELL'UEM A VELOCITA'-1


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PREMESSA- Qui, in questo post, sono state illustrate le condizioni al verificarsi delle quali la Germania (persino al "netto" di Trump ma, politicamente, non troppo...), medita di uscire dall'euro; cioè per evitare: 
a) il prolungato impoverimento degli investimenti lordi e netti "nazionali", col rischio fortissimo di andare presto in sovrapproduzione (rispetto alle sbandierate, dai tedeschi, condizioni di competitività qualitative: di processo e di prodotto); 
b) qualsiasi ipotesi di induzione alla reflazione (tipo procedura per eccesso di surplus commerciale, in violazione dei parametri dell'eurozona), e quindi all'espansione della domanda interna, abbandonando il proprio orientamento mercantilista (esportazioni fieramente al livello del 50% del PIL).

1. Vi riporto alcuni dati (i più recenti) che illustrano l'andamento dei conti commerciali della Germania verso il resto dell'UE. Come potete vedere il dato aggregato - eurozona più altri membri UE con valuta autonoma (più o meno: i peg sull'euro sono compresenti ma intesi con notevole flessibilità)- evidenzia sia gli effetti della crisi del 2007 (che pone il sudden stop del credito bancario tedesco alle importazioni PIGS, impennatesi a seguito delle riforme Hatz, cioè dal 2003), sia i successivi e recenti effetti del QE che, sul complesso dell'eurozona, ha influito sia consentendo una certa, minima, discrezionalità fiscale "espansiva", sia, principalmente, svalutando il corso dell'euro comparativamente alle altre principale valute mondiali (...e europee non eurozona).
Sta di fatto che, col QE, i tedeschi vedono una nuova impennata esportativa sia nell'eurozona che nel resto dell'UE.

http://scenarieconomici.it/wp-content/uploads/2016/04/GS1.png


2. Quanto sopra detto, trova una conferma anche nell'andamento esportativo tedesco nei confronti dei principali partners dell'eurozona
Per l'Italia è evidente che, dopo la "stretta" sulla domanda interna che ha caratterizzato i governi da Monti in poi, ciò si verifica in misura minore; ma, ancor più esattamente, la recente fase riespansiva delle importazioni dalla Germania può essere circoscritta all'effetto fiscale, calmieratore del costo del debito pubblico, coincidente col QE e con la connessa "flessibilità" di bilancio invocata dal governo Renzi (il cambio  nominale ovviamente non c'entra nulla).

http://scenarieconomici.it/wp-content/uploads/2016/04/GS2.png

3. Questa era la situazione al 2010, allorché Alberto ha iniziato a divulgare la realtà operativa effettiva dell'euro, richiamando il dettaglio della manipolazione "mercantilista" dei tassi di cambio reale da parte della Germania (sostanzialmente una svalutazione competitiva basata sull'effetto inevitabile di scollamento, dal cambio nominale "bloccato", all'interno dell'eurozona).

http://goofynomics.blogspot.it/2012/02/reichlin-vs-tutti-ovvero-germany-vs.html su dati OCSE
http://www.unich.it/docenti/bagnai/blog/Deu_03.JPG


4. Da questa fonte €uropea, traiamo invece il quadro riassuntivo italiano delle esportazioni complessive, in crescita ma moderata, e delle importazioni (cresciute anch'esse ma, per effetto della "uccisione" della domanda interna, "meno"); la tabella consente,  per lo stesso periodo, la comparazione con  i 28 paesi UE. 

http://ec.europa.eu/eurostat/statistics-explained/index.php/International_trade_in_goods/it

File:International trade, 2014–15 YB16.png

File:International trade, 2014–15 YB16.png
Tra i grandi paesi dell'eurozona, l'Italia se la cava benino: Francia e Spagna si segnalano per una maggior crescita della "apertura" delle relative economie, (un dato fine a se stesso ma che esalta gli internazionalisti della "pace"), realizzando però un passivo delle partite correnti commerciali 2014-2015, sia la Francia che la Spagna. Impressionanti, invece, gli attivi delle partite commerciali sia della Germania che, (rapportato al PIL), dell'Olanda. L'Irlanda, hub industriale estero-posseduto, è un caso a parte.
Anche il Belgio si difende bene su questo piano. 
Va peraltro sottolineato che i dati 2016 dovrebbero segnare, quantomeno per Francia e Spagna, un miglioramento e una virata verso un (risicato) attivo CA.( Lo stesso sito UE sotto linkato da cui sono tratti di dati che seguono, preannunzia i dati aggiornati al 2016, per il prossimo marzo 2017).

5. Sempre dalla stessa fonte UE-Eurostat ritraiamo la quota-percentuale interscambiata dai vari paesi UE fuori e dentro la stessa Unione, in piena era "QE" (che abbiamo visto, in qualche misura, beneficiare anche chi si sia, con una certa flessibilità, "peggato" sull'euro pur essendo fuori dall'eurozona). 


File:Intra and extra EU-28 trade, 2015 (imports plus exports, % share of total trade) YB16.png

File:Intra and extra EU-28 trade, 2015 (imports plus exports, % share of total trade) YB16.png

L'Italia, ancora una volta, spicca, tra i maggior paesi dell'eurozona, per la quota di maggior apertura al commercio extra-UE: siamo secondi solo alla Grecia - ma qua, attenzione, parliamo di "apertura" dell'economia, e quindi anche, nel caso greco, di "dipendenza" dalle importazioni estere-, e al Regno Unito. Quest'ultimo, però, ha una sterlina a cambio flessibile "globale" (cioè anche verso l'eurozona). 

Il dato interessante è che, tra l'altro, pur scontando l'effetto puramente finanziario dell'apertura dell'economia irlandese, siamo al di sopra delle repubblica gaelica, e ben sopra Germania e Francia

Se quest'ultima, dunque, nel 2016, ha visto registrare un primo segno positivo delle partite correnti, significa che, comunque, in Francia c'è stato un buon aumento delle esportazioni, anche se le sue importazioni sono comunque cresciute, seppure di poco, ma partendo da un livello (pregresso) di per sè molto elevato (come attesta la tabella di cui sopra). In pratica, la Francia, in termini commerciali, ha beneficato ampiamente, e più di tutti i paesi dell'eurozona della svalutazione competitiva "esterna" operata col QE, ma rimane un'economia fortemente dipendente dal cambio esterno all'eurozona (dentro l'eurozona, piuttosto, si segnala come importatrice netta).

6. La Germania, invece, scambia meno di noi, in rapporto al PIL, con l'esterno UE, ma, evidentemente, in prevalente senso esportativo.

Quest'ulteriore grafico, sempre dalla stessa fonte UE, evidenzia come non solo gli Stati Uniti abbiano visto notevolmente aumentare, negli ultimi dieci anni, l'intescambio con l'UE (che se, però, considerata "a 28" ci restituisce un dato poco significativo), ma anche il passivo commerciale in termini assoluti verso la stessa area. Non troppo stranamente, una dinamica di segno simile, quantomeno di attenuazione del passivo nei suoi confronti, si ha rispetto alla Cina, smentendo in prospettiva che sia la super-tigre asiatica il pericolo giustificativo dell'ossessiva austerità "competitiva" imposta all'eurozona.

File:Extra EU-28 trade by main trading partners, EU-28, 2005 and 2015 (¹) (billion EUR) YB16.png


File:Extra EU-28 trade by main trading partners, EU-28, 2005 and 2015 (¹) (billion EUR) YB16.png


7. Ma queste realtà così "imponenti, per cui l'UE parrebbe in vantaggio o in "recupero" commerciale verso tutte le principali aree del mondo, (incluso il Giappone, con cui, come con la Cina, comunque dal 2005 la situazione è migliorata), nasconde in realtà il peso ponderale di Germania, come determinante il surplus commerciale complessivo UE, nonché di Olanda e Belgio (questi ultimi in senso "relativo", cioè rapportato al peso dei loro saldi positivi rispetto al rispettivo PIL).
Da notare che, abbastanza sorprendentemente (sul piano del "sentito dire" economico, quello preferito dai media italiani), l'Austria registra complessivamente, nello stesso biennio, un saldo commerciale negativo, seppure "lieve", distaccandosi dall'area tedesco-centrica, che si circoscrive meglio a Olanda e Belgio (tra i paesi di maggior rilevanza economica). E l'attuale Amministrazione USA non può non conoscere tali dati...
L'Italia dà pure lei un contributo al saldo complessivo, ma è più modesto in rapporto al suo PIL, e, comunque, pare il frutto di un'iniziale prevalente limitazione delle importazioni: non appena si amplia, incrementandosi, il nostro saldo positivo delle partite correnti, aumentano, quasi nella stessa misura (3,8 contro 3,3; tabella 1 supra), le importazioni.

8. A questo punto esaminiamo i settori merceologici in cui è più forte l'export dell'Unione (sempre tenendo presente il peso ponderato decisivo della Germania e, in una certa misura, concordante ma minore, dei suoi partners "integrati" come Olanda e Belgio).
Commento complessivo dalla fonte UE qui utilizzata: "Il grafico 16 confronta la struttura delle importazioni con quella delle esportazioni dell'UE-28 nel 2015: occorre considerare che il livello generale delle esportazioni è stato superiore del 3,7 % circa rispetto alle importazioni. La differenza più evidente riguarda la quota di combustibili minerali e lubrificanti, sette volte più alta per le importazioni rispetto alle esportazioni. Questo dato statistico è stato controbilanciato dalle quote più basse per le importazioni di macchinari e attrezzature per il trasporto e di prodotti chimici e prodotti connessi".

File:Main exports, EU-28, 2010 and 2015 (% share of extra EU-28 exports) YB16.png

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Come si vede "macchinari e mezzi di trasporto" (42%) la fanno da padrone, mentre al secondo e al terzo posto ci sono quelli che possono essere identificati come il "settore agroalimentare", chimico e del fashion-luxury, cioè  quello "di altri beni manifatturati" (non manifatturieri meccanici: tra questi "others" è prevalente il settore chimico-farmaceutico, ma parrebbe includere anche il settore della moda: traiamo dalla fonte linkata per estrarne questi grafici.).

File:Main exports and imports, EU-28, 2015 (% share of extra EU-28 exports imports) YB16.png 

File:Main exports and imports, EU-28, 2015 (% share of extra EU-28 exports imports) YB16.png 

9. Sulla scorta di questo quadro UE-eurozona, cerchiamo di ricostruire, per quanto possibile, la struttura e i volumi delle esportazioni italiane negli ultimi anni qui considerati. Da "econopoly" ricaviamo questo grafico attualizzato al primo semestre 2016: 

 
http://www.econopoly.ilsole24ore.com/wp-content/uploads/sites/96/2016/04/Immagine2.jpg

Dal soprastante grafico di Econopoly possiamo dedurre che il maggior contributo alle esportazioni italiane è dato dai "beni strumentali" (a rigore, macchinari per produrre beni di consumo o...altri macchinari), e non dalla quota dei "prodotti intermedi" che, pure, una certa vox populi tende a considerare decisiva e...punitiva, in termini di delicatezza dei rapporti commerciali coi partners (specialmente la Germania, si dice, in "rappresaglia" per l'Ital-€xit). 

Sottraendo il settore energetico (siamo grandi raffinatori ma abbiamo anche un forte passivo sul lato della materia, oil & gas, importata), i beni di consumo (finali), sia "durevoli" che "non durevoli",  ancora si difendono, dando, nel complesso, un contributo al nostro saldo attivo.  

Nel mentre, sul piano della "direzione" geografica delle stesse esportazioni, siamo comunque forti esportatori anzitutto negli USA e poi nel resto d'Europa. I beni di consumo non durevoli includono anche quelli "agroalimentari".

Inoltre, al di là cioè della quota percentuale di contributo al saldo positivo della partita commerciale, questo è l'andamento incrementale delle esportazioni italiane per settori (scontando che, come abbiamo visto, la svalutazione dell'euro-QE ci porta sui mercati non-eurozona): 

http://www.exportiamo.it/aree-tematiche/12299/rapporto-ice-istat-la-ripresa-c-yi-tra-rischi-e-opportunitya/
http://i.imgur.com/shwYARQ.jpg

10. Con, peraltro, non piccoli inconvenienti, determinati dall'ottica esclusivamente esportativa, più volte segnalati in questa sede, e che possono riassumersi nella vera e propria crisi o distruzione di intere filiere:

"- I principali mercati delle esportazioni vengono classificati in tre categorie:
- casi di indubbio successo competitivo sono i mercati in cui le esportazioni italiane hanno guadagnato terreno non soltanto rispetto a quelle dell’Area dell’euro, ma anche rispetto al totale mondiale e vi rientrano: Stati Uniti, Giappone, Corea del Sud, Singapore, Australia e Svizzera.
- casi intermedi vengono considerati i mercati in cui le esportazioni hanno continuato a perdere quota rispetto a quelle mondiali, ma sono comunque cresciute più di quelle dell’Area dell’euro come accaduto in Germania, Brasile, Russia e Turchia.
- casi critici sono i mercati in cui nell’ultimo quadriennio l’Italia ha perso quote di mercato sia rispetto alle esportazioni mondiali, sia a quelle dell’Area dell’euro, rientrano nella categoria: Cina, Francia, Regno Unito, Spagna, Messico, India e Emirati Arabi Uniti. 
Anche a livello settoriale le tendenze delle quote di mercato delle esportazioni italiane nel periodo 2010-14 permettono di identificare tre raggruppamenti:
- settori con i risultati più brillanti dove il nostro Paese ha recuperato posizioni sia rispetto alle esportazioni mondiali che a quelle dell’Area dell’euro, e vi troviamo la meccanica, la farmaceutica e la filiera della carta-stampa.
- settori con prestazioni intermedie dove abbiamo guadagnato quota rispetto ai paesi dell’Area dell’euro, pur avendo perso posizioni nel confronto con le esportazioni mondiali, come accaduto per metallurgia, alimentari, mobili, tessile-abbigliamento e industria chimica.
Tutti gli altri settori hanno perso quote di mercato in entrambe
le dimensioni.

Questo non uinivoco responso, ove riferito allo stato di salute effettivo della nostra produzione industriale, trova grosso modo conferma, quanto ai saldi "continentali", in questa tabella:


http://www.ipmagazine.it/ipmagazine/wp-content/uploads/2016/11/tab3.png

10.1 Semmai ce ne fosse bisogno il manifatturiero italiano (meccanico e di altro genere) si conferma la forza trainante delle esportazioni, out-performing persino quello tedesco sul piano dell'andamento incrementale (il che ci dice che Gumpel non studia e ignora i dati, andando sui media italiani a diffondere luoghi comuni): questo dato, appunto esportativo, nulla ci dice, però, sulla capacità di assorbimento del mercato interno, per lo stesso settore e, quindi, sulla effettiva "salute" e consistenza numerica delle imprese complessivamente coinvolte nel settore stesso: http://www.movisol.org/pix/GraficoFortis2.png

11. Tutto questo premesso, in questa situazione dell'offerta italiana, in cui appare evidente che:
a) abbiamo una tenuta in settori importanti, ma una riduzione della varietà e vitalità delle filiere a seguito della non ignorabile componente della domanda interna -non tutti i settori e non per intero possono sopravvivere di sole esportazioni;
b) siamo in una posizione "difensiva", in cui il "qualcosa di buono che è rimasto" ha comunque bisogno di rafforzare la domanda interna, mentre, nel medio periodo non appare sostenibile puntare solo a politiche di sua compressione in funzione solo "competitiva-esportativa";
in questa situazione, appunto:
COME PUO' VENIRE IN MENTE A QUALCUNO CHE NOI SI DEBBA CERCARE AD OGNI COSTO DI RIMANERE, IN UNA PROSPETTIVA DI EUROPA A DUE VELOCITA', NEL GRUPPO DEI PAESI "FORTI" CHE, EVENTUALMENTE, SI SEPAREREBBERO E RIVALUTEREBBERO (rispetto all'euro-b) L'EVENTUALE EURO-A?



11.1. E a proposito di andamento degli investimenti (produttivi: in Italia) e del "Piano Juncker" che l'Italia sta "sfruttando molto bene", un po' di sano realismo non guasterebbe. 
Questo è l'andamento aggiornato all'ultima analisi disponibile, nel 2016, sui dati diffusi dal governo italiano.

http://www.programmazioneeconomica.gov.it/wp-content/uploads/2016/04/63.jpg

E quando le cose stanno platealmente così, si registra un punto di caduta, da quella che è una vera e propria distruzione del capitale produttivo, e, al più, una modesta ripresa per investimenti lordi, che servono a mantenere in vita l'esistente, "sopravvissuto" nella foresta schumpeteriana, ma non certo a incrementare la produzione industriale: questa (immaginaria) "marea" di investimenti, senza un serio contributo della domanda interna, e quindi, senza una ripresa dell'occupazione effettiva, è impensabile.  
Coi fatti e coi numeri che li registrano non si dovrebbe discutere (purchè li si comprenda)...

La produzione industriale italiana aveva mostrato una tendenza a un moderato calo nel 2000-2005, seguito da una fase di crescita nel 2005-2008, con trend di crescita più limitato rispetto alla media della zona euro. Dalla metà del 2008 fino ad aprile 2009 la produzione industriale è crollata da un massimo di 106 ad un minimo di 78, analogamente a quanto accaduto in tutto il mondo con la crisi finanziaria internazionale. Dalla seconda metà del 2009 alla metà del 2011 la produzione industriale ha recuperato circa il 40% di quanto aveva perso, tornando successivamente a calare. Dal 2014 è ricominciata una fase di lenta crescita della produzione industriale.

E consideriamo che l'occupazione "buona", quella indicativa di una ripresa produttiva e degli investimenti, NON si misura né sui part-time involontari, né sui voucher, né sugli stage a retribuzione "simbolica" dei neo-laureati, né, tantomeno, sulle neo-assunzioni di lavoratori anziani, già licenziati, ma riassunti per sottoporli al regime di precarizzazione praticamente perenne del jobs act.
Dal 2000 al 2007 il tasso di disoccupazione italiano si è quasi dimezzato (dal 10,6% al 5,8%) scendendo sotto la media della zona euro. Successivamente, l’impatto della prima recessione ha portato a un aumento della disoccupazione in Italia, aumento tuttavia meno consistente rispetto alla media della zona euro. La seconda recessione invece ha avuto un impatto molto più forte in Italia che non in Europa (il tasso di disoccupazione in Italia è aumentato di 5,4 punti, passando dal 7,8% di aprile 2011 al 13% di novembre 2014, per poi iniziare a calare fino al 12,4% di aprile 2015 mentre la media della zona euro è aumentata nello stesso periodo solo di 1,7 punti, dal 9,8% all’11,5%). Nel 2014 l’aumento del tasso di disoccupazione è avvenuto in parallelo all’aumento del numero di occupati, perché numerose persone classificate come “inattive” hanno deciso di entrare nel mercato del lavoro.

7 commenti:

  1. leggersi i classici aiuta..http://tempofertile.blogspot.it/2015/01/john-maynard-keynes-le-conseguenze.html

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    1. Scusi , ma Alberto Bagnai, (come pure i lettori effettivi di questo blog), SA che conosciamo questa ed altre parti dell'analisi keynesiana.
      Diciamo che commentare in questo modo, dopo tutto l'impegno profuso per fornire una certa qual ricostruzione della situazione dell'offerta e della composizione delle esportazioni italiane, non fa certo progredire la consapevolezza...

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  2. Mi scuso io, invece, perchè in questa situazione c' è tempo solo per l'essenziale.Continuerò a seguire con ancor maggiore assiduità

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  3. mi capita di incontrare quotidianamente i cosidetti voucher e ciò che fa rabbrividire, perchè capisci che anche davanti ad una ciotola di riso avrebbero la stessa reazione, è l'impeto con il quale celebrano il buono come fosse salvifico: "meno male che c'è, almeno ci permette di lavorare" è la frase piu gettonata,. E purtroppo temo che sia difficile contraddirli: se non ci fossero , in attesa di qualcuno che faccia la rivoluzione cioè che dissolva l'euro, loro non vedrebbero neanche quelle due/tre centinaia di euro al mese.

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  4. Purtroppo la Germania si è rivelata, ancora una volta, un grave pericolo per l'Europa. Uno stato imperialista che prima ha fatto dumping salariale nei confronti dei vicini legati ad essa da un'unione monetaria, con i quali avrebbe dovuto concertare le proprie politiche, poi, grazie al QE di Draghi fatto a sostegno dei paesi periferici, ha beneficiato, nei fatti, di una..... svalutazione competitiva!
    E ci si arrabbia perché Trump minaccia i dazi? Forse ci si dovrebbe sorprendere del fatto che non sia stato Obama a minacciarli prima......

    Forse esagero, ma penso che non ci sarà mai una vera e pacifica Europa dei popoli finché sopravvivrà questo Leviatano chiamato Unione Europea. Con "questa" Europa, non si va da nessuna parte. Non solo perché, come giustamente osservato da Bagnai, appare illogico contrastare i nazionalismi con una supernazione, ma anche perché, di fatto, questa "supernazione" altro non è che il mezzo preposto all'affermazione del più pericoloso tra i nazionalismi europei, ossia quello tedesco. Due guerre mondiali sulla coscienza, milioni di morti, civili e militari, l'olocausto. Dovrebbe bastare ed invece non è bastato: abbiamo dovuto vedere anche un'intera nazione, la Grecia, ridotta -con matematica freddezza e totale disprezzo morale- ad un tenebroso governatorato generale, come la Polonia del 1940. E pare solo l'inizio: noi siamo i prossimi.

    Gli europeisti dicono di battersi per "L'europa della pace". Ma dico io, non vedono che questa assomiglia sempre più a quell'europa del 1940, dove la "pace" era figlia dall'occupazione? Comincio veramente a credere che il passo successivo all'Euro potrebbe essere la Wermacht. E comincio, conseguentemente, a provare sempre maggiore disagio al sentir parlare di "difesa europea" con riferimento a "questa" Europa. Ripeto: forse esagero......

    Ha ragione Bagnai, siamo di fronte ad un'alternativa drammatica: o un gesto disperato, o decenni di disperazione. Nel 1943, il "gesto disperato" si concretizzò nell'armistizio di Cassibile. Ma c'era anche la consapevolezza, nella classe dirigente, che la strada intrapresa avrebbe portato alla rovina del Paese. Oggi non so, invece, quanto questa stessa consapevolezza sia maturata in chi ci governa.

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  5. OT
    Il presidente della Regione Puglia, M. Emiliano (l’alternativa a Renzi) intervistato da “La Stampa” di oggi:

    D.:“Le piace il reddito di cittadinanza dei 5 Stelle ?”
    R.: “Sono d’accordo con il reddito di cittadinanza solo per i casi di povertà assoluta. Semmai bisognerebbe evitare che le famiglie cadano in stato di povertà o di precarietà a causa di una situazione debitoria. Ad esempio, di fronte a chi è in difficoltà a pagare il mutuo e non ce la fa più, il Comune o la Regione o lo Stato dovrebbero subentrare nel rapporto debitorio con la banca, diventare proprietario della casa dove quella famiglia in difficoltà potrà continuare a vivere. E magari in futuro riscattarla. Il PD invece ha fatto una legge che accelera la procedura di vendita dell’immobile per chi è moroso”.

    D.: “L’Europa è il focus di tutti i populismi. Hanno ragione a criticarla?
    R.: “L’EUROPA, DA MERAVIGLIOSA COSTRUZIONE DI PACE E BENESSERE, sembra diventata origine di ogni nefandezza. Si rischia il sonno della ragione che in passato ha portato ai totalitarismi e alle guerre. Ecco perché deve tornare a parlare e difendere i popoli e non le banche e i finanzieri”.

    Fantasia al potere. Mancava solo “ispettore tombale con fuochi fatui”.
    Ognuno dice quello che gli passa per la testa senza alcun freno inibitorio. Viva la libertà

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    1. Sì, è così difficile costruire sta pace e sto benessere che li stiamo ancora cercando in un passato..immaginario.
      Possibile che non ci sia nessuno che abbia il coraggio di dire che quel tanto di pace e benessere avuti in passato sono il frutto della nostra Costituzione?

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