venerdì 17 marzo 2017

LA PALUDE COSTITUZIONALE DAVANTI ALLA LE PEN, IL "GIOCO A PERDERE" E LE URGENZE DEGLI USA


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1. Con il precedente post abbiamo, tutto sommato, anticipato con esattezza l'esito "sostanziale" delle elezioni olandesi. 
Abbiamo visto che dai "populismi" (termine orribile che assume un ruolo speculare, negativizzato, da contrapporre artificiosamente al globalismo neo-liberista), in quanto fondati solo sulla enfatizzazione dei "conflitti sezionali", e quindi sull'implicita riaffermazione del tipo di conflitto sociale realizzato dal neo-liberismo, non c'era e non c'è da aspettarsi alcuna riscossa della sovranità democratica in senso sociale: cioè volta alla cura del benessere e dello sviluppo dell'intera comunità, senza esclusioni "di fatto" delle maggioranze impoverite, in nome dei mercati. 
Anzi, nella sostanza, il populismo, diviene un political device di default, in particolare per ovviare alla difficile spendibilità della cosmesi propagandistica che circonda da sempre le mire restauratrici del federalismo europeo: il neo-liberismo finisce per essere rafforzato da una "falsa opposizione". Si cambiano alcune forme ma la sostanza del modello sociale perseguito rimane inalterata.

2. Una conferma piuttosto in linea con questa interpretazione la potete ritrovare in questo post tratto dal blog di Mario Domenico Nuti, che ha riportato l'opinione di Michael J. Ellman, un suo amico professore all'Università di Amsterdam (e perciò particolarmente probante come riprova dell'interpretazione qui suggerita).
L'uso dei confitti sezionali, già ben evidenziata da Rodrik come strumento di "divide et impera" propizio alle elites globaliste (porre un segmento di non elite contro l'altro) - certamente nei ben noti termini dei "diritti cosmetici (qui, p.6)"-, assurge, nella nouvelle vague dei partiti "liberali" (nella sostanza delle teorie economiche) & "populisti", alla sua massima efficacia: e tutto questo si compie legittimando il riposizionamento dei partiti europeisti con un'apparente mediazione, tesa a far passare un nuovo atteggiamento, più cauto e restrittivo sull'immigrazione, come un segno di continuità politica, soltanto adeguata ai "tempi"
Si evita così, smoothly, di doversi assumere la responsabilità del precedente orientamento "no frontier", legato alla ben nota strategia della "sostituzione" delle popolazioni autoctone che si è rivelato un acceleratore troppo traumatico del modello gerarchizzato (cioè della versione kalergica che l'€uropa ha tentato di portare a termine nel recente passato; qui pp.7-8).

3. Ma veniamo all'altro, e principale, appuntamento elettorale che dovrebbe mettere alla prova l'europeismo "di lotta e di governo", che certamente non si arrende e provvede, anche tramite la CGUE a correggere il tiro, arretrando di un passo per fare semmai un successivo balzo in avanti: in particolare per contrabbandare la trojka istituzionalizzata come trattato riformato, solidale (proponendo cioè un falso superamento del divieto di solidarietà "federale" posto nei trattati), e per ampliare a dismisura le condizionalità legate all'imposizione del pareggio di bilancio.
Parliamo, in questo contesto, delle elezioni presidenziali francesi e, quindi, automaticamente dello spauracchio "Le Pen".

Su questo punto ci ispiriamo a un articolo del FT che abbiamo rinvenuto nella stessa data e nella stessa pagina dell'articolo utilizzato per radiografare le dinamiche socio-elettorali olandesi. Prendiamo, quasi fosse un "segno", questo articolo e commentiamolo (FT del 15 marzo, pag.3).
S'intitola, tradotto in italiano, "Francia: l'impegno della Le Pen di  tenere un referendum sulla Frexit fronteggia ostacoli costituzionali scoraggianti".
Si premette anzitutto che la Le Pen, sebbene la sola prospettiva di una sua vittoria sia vista da "molti investitori" come potenzialmente "fatale per l'euro e persino per la stessa UE", perderà al "second round", cioè al ballottaggio. 

4. Tuttavia, nell'articolo, ci si sofferma sul precisare come il programma di Marie Le Pen, volto a rinegoziare i trattati e tirare la Francia fuori dalla moneta unica, si rivelerebbe comunque di difficile attuazione nella pratica politico-istituzionale che si troverebbe in ogni caso a fronteggiare
"Economisti, scienziati politici e esperti di diritto costituzionale", interpellati dal FT, svolgono questa premessa: visto il fallimento del Regno Unito nell'ottenere riforme significative prima del referendum "Brexit", gli obiettivi, definiti "radicali" della Le Pen, - cioè la fine della moneta unica e della libera circolazione delle persone ed anche del "primato del diritto comunitario" (pretesa il cui labile fondamento abbiamo visto qui: p.6.2)-, dovranno in concreto essere raggiunti con il referendum che ella stessa propone, di fronte al certo fallimento di ogni trattativa, e questo referendum assumerà necessariamente il carattere di un "plebiscito sull'uscita dalla UE".

5. Ma, aggiungono gli "esperti", questo referendum non sarebbe allo stato proponibile poiché la Costituzione francese del 1958 è stata emendata con una previsione (art.88-1) che recita (traiamo direttamente dal testo, tradotto ufficialmente in italiano, della Costituzione francese)

Perciò, si dice, la Frexit esigerebbe una modifica della Costituzione.
Ma attenzione: se si legge il testo effettivo della norma costituzionale si vede che l'UE è concepita come unione di Stati che hanno scelto liberamente - e quindi non irrevocabilmente, modalità che equivarebbe ad una definitiva privazione sopravvenuta della libertà inizialmente esercitata con l'adesione- di esercitare in comune alcune competenze.  
Il testo costituzionale francese, quindi, non indica che sempre e tutte le competenze (indicate nei trattati) debbano essere esercitate in comune, con la Francia come compartecipe necessaria, una volta che si sia appartenenti all'UE.

6. Se ne desume che, su talune di tali competenze comuni, pur rimanendo inalterata la portata giuridica del principio enunciato, la norma costituzionale francese renderebbe obiettivamente possibile esperire un referendum in quanto ciò non faccia venire meno la qualità della Repubblica di appartenente all'UE.
Poiché nella terminologia giuridico-costituzionale francese (anche tenendo conto della traduzione in italiano che non certifica la perfetta equivalenza dei concetti giuridici utilizzabili nel nostro sistema giuridico) il termine "competenze" equivale a quello di "attribuzioni, poteri" che contrassegnano il contenuto strumentale della sovranità (ribadita dalla stessa Costituzione come "nazionale" e "appartenente al popolo"), viene a cadere l'obiezione espertologica del FT: un referendum sulla permanenza francese nell'unione monetaria, investendo per definizione solo una parte delle non definite competenze esercitate in comune (nel caso, tramite la BCE-SEBC), lascerebbe intatta la qualità di Stato membro-UE della Repubblica e, perciò, non presuppone alcuna previa modifica costituzionale.

7. Cade perciò la connessa obiezione che la Le Pen potrebbe indire il referendum solo garantendosi la maggioranza parlamentare utile ad una revisione costituzionale - di 289 seggi su 577 all'assemblea nazionale, equivalente alla nostra camera dei deputati, e di 175 seggi su 348 al Senato. Insomma, (e vedremo come ciò conti molto ad altri fini), solo tale maggioranza ai sensi dell'art.89 della stessa Costituzione, le potrebbe garantire (logicamente e anzitutto) di aver potuto formare un governo, fatta la proposta e ottenute le doppie votazioni conformi di entrambe le camere per una modifica costituzionale
Ma la modifica, a rigore, non dovrebbe essere affatto necessaria.
E' interessante notare che sono assorbiti-eliminati, dalla "eccezione" relativa alla legittima delimitabilità del referendum alla "competenza" monetaria dell'UE(M), anche gli ostacoli costituiti (secondo gli "esperti consultati dal FT) dalla probabile "consistenza" di seggi, all'Assemblea nazionale, prevista per il Front National in base ai voti raccolti al primo turno: stimano, gli "esperti" del FT, che nel migliore degli scenari otterrebbe intorno ai 100 deputati. 

8. Sappiamo come (realisticamente), nella evoluzione politico-elettorale più prevedibile delle prossime settimane, l'elezione al ballottaggio di MLP sia improbabile, data la più che scontata controffensiva mediatica che certamente verrà tentata (come attesta lo stesso articolo del FT, che tra gli "esperti" include, significativamente, un executive della Citigroup (!)...tanto per capire l'estrazione, dagli immancabili mercati finanziari, dei controinteressati alla sua elezione).
Qualora, tuttavia, riuscisse ad essere eletta, si obietta ulteriormente che ella potrebbe indire un referendum "unilateralmente" in qualità di presidente ai sensi dell'art.11 della Costituzione francese: sebbene tale ipotesi di refendum non risulti abilitato a cambiare (e quindi a porsi in contrasto "con") la Costituzione medesima.
Art. 11 Costituzione francese:

9. Si dice che però tale potere unilaterale (presidenziale) di indizione referendaria, di livello "non costituzional-emendativo", sarebbe stato limitato dalla successiva modifica dell'art.61 della Costituzione che esigerebbe un "nulla osta" del Consiglio costituzionale francese, (equivalente, più o meno, alla nostra Corte costituzionale):
Questa conclusione appare complessivamente condivisibile.
Alla fine di una tortuosa procedura, regolata dall'art.11, infatti, ove neppure di fronte alla proposta di legge avanzata da un quinto dei membri del parlamento (e 100 deputati e un numero in proporzione di senatori sarebbero, senza alleanze con altri partiti, troppo pochi persino per questa procedura di proposta di legge referendaria subordinata a quella del governo o a quella "congiunta" delle due assemblee), il parlamento giunga ad un voto concludente sull'indizione del referendum stesso entro il termine stabilito dalla "legge organica", il Presidente della Repubblica può sottoporre direttamente a referendum la proposta stessa.
In base all'ultimo comma dell'art.11, tra l'altro, - a differenza del caso della Brexit in UK e dell'eventuale referendum "consultivo"  (sull'euro) esperibile previa modifica costituzionale nel nostro ordinamento-,  il voto concorde della maggioranza dell'elettorato equivarebbe, in positivo, all'approvazione diretta della legge "proposta"
E "la" Presidente può infatti direttamente promulgarla.

11. Certo, pur potendoci essere una pronuncia contraria del Consiglio costituzionale (che tra art.11 e art.61 ha un ambito di controllo, di "non contrarietà" a Costituzione della proposta, sia procedurale che sostanziale), l'impatto di un'elezione clamorosa come Presidente sconsiglierebbe di creare un caso istituzionale da parte del Consiglio, ove questo assumesse una posizione troppo rigida su quali materie possano rientrare entro l'ampissima previsione del comma 1 dell'art.11 stesso
In effetti, come abbiamo visto, né l'art.88-1, né l'art.11, comma primo, nel definire (in negativo il primo e in positivo il secondo) le materie su cui possono intervenire i referendum - che non implichino una modifica della Costituzione e/o il venir meno della partecipazione della Francia all'UE (almeno in modo diretto e attuale)-, rendono il filtro del Consiglio costituzionale un ostacolo insormontabile: almeno sul piano di una corretta e ragionevole interpretazione giuridica.

12. Traendo alcune conclusioni: il Front National non avrebbe grandi chances, in ogni caso, di raggiungere una maggioranza nelle due camere; non avrebbe, quindi, senza alleanze (difficili: nel senso di improbabili...allo stato attuale, beninteso), la possibilità di formare un governo. 
Si tenga infatti presente che l'elezione dell'Assemblea nazionale (mentre, per il Senato, soggetto a rinnovo parziale e per di più, con scadenze sfasate rispetto alle elezioni presidenziali, il discorso è ancora più complesso ed incerto), prevede anch'essa un ballottaggio; ma, dato il sistema temperato di accesso dei candidati a tale ballottaggio (basta avere almeno il 12,5% in ciascun rispettivo collegio elettorale), non appare del pari probabile che il FN stesso possa andare oltre la conquista di una maggioranza "relativa", (cioè, al più divenendo il primo partito che, tuttavia, non può governare da solo).
Nondimeno, ai fini della proposta di referendum (sull'euro, in quanto relativo a legge su un'importante "riforma relativa alla politica economica"), il meccanismo del ballotaggio per le elezioni della camera principale, potrebbe conferire almeno una quota superiore a 1/5, cioè superiore ai "100" previsti dagli esperti interpellati dal FT, attualizzando una legittimazione diretta alla proposta di legge da sottoporre a referendum ai sensi dell'art.11 e, quindi, indipendentemente dalla stessa iniziativa autonoma e residuale che lo stesso art.11 conferisce al Presidente (il ragionamento risulta meno complicato se si usa l'accortezza di rileggere la norma in questione; peraltro non di eccelsa chiarezza e linearità).

13. Insomma, la questione, in termini costituzionali francesi, è più complessa che mai e, comunque, legata a variabili di esito elettorale attualmente molto incerte.
A ben vedere:
- da un lato, la mancata elezione a Presidente non potrebbe impedire la proposta di referendum ove si raggiungesse una ragionevole consistenza di eletti, pari almeno ad 1/5 (sebbene complessivamente in entrambe le camere);
- dall'altro,  però, l'avvenuta elezione a Presidente, in compresenza di un drappello di parlamentari inferiori a 1/5 del complesso delle due camere, potrebbe non essere sufficiente per percorrere la via alla indizione diretta presidenziale del referendum.

14. E' chiaro dunque che tutto dipende, essenzialmente: 
a) dalla positiva elezione presidenziale; 
b) in conseguenza di essa, delle condizioni di realizzabilità di alleanze per formare un governo di coalizione con un programma comune (in cui, peraltro, l'accordo sulla proposizione governativa, o di maggioranza parlamentare, del referendum stesso, non sarebbe necessariamente raggiungibile).
Si comprende meglio, così, perché MLP abbia ipotizzato la via del referendum: la difficoltà di avere anche un governo favorevole (cioè non formatosi apertamente in opposizione alla sua presidenza) rende realisticamente meno praticabili vie negoziali dirette come quelle che, in astratto, sarebbero direttamente esercitabili sul piano dei poteri spettanti al governo in base alle autonome previsioni dei trattati (quali indicate in questo post; pp. 4-5).

15. In ogni modo, l'attuale decadimento del sentire comune dei popoli rispetto alla volontà di tenere in piedi gli attuali trattati UE, mostra, come conferma il caso olandese e la stessa potenziale vicenda elettorale francese, che la "linea di estrema resistenza" delle oligarchie europeiste, sempre più distanti da un effettivo consenso maggioritario nei rispettivi paesi, è la massima frammentazione partitica possibile. 
Da qui, ad esempio, in Italia, la virata al ritorno del sistema elettorale tendenzialmente proporzionale. 
Le elites, e i partiti che ne eseguono la volontà, sanno di non poter vincere il dopo-elezioni e che questo rende persino provvisoriamente "utili" eventuali esiti elettorali che consentono il formarsi di "grandi coalizioni": la degenerazione della situazione socio-economica in tutta €uropa è un processo non tanto inarrestabile, quanto che ESSI non vogliono minimamente arrestare. 

16. Attualmente, quindi, il gioco punta non tanto a vincere "in proprio", quanto a non far vincere nessun altro (che non sia €uropeista garantito): e sembra destinato a riuscire. 
Almeno a questo "giro".
Ma dato il "piano inclinato" in cui è posta l'eurozona, specialmente in Italia e specialmente per l'incombere irrisolvibile della crisi finanziaria che può scaturire dalle regole dell'Unione bancaria, la fine dell'unione monetaria e di tutte le sue follie connesse, sembra destinata a maturare in un epilogo traumatico. Tanto più drammatico quanto più a lungo durerà questo accanimento terapeutico.
A meno che gli USA non decidano di prevenire una tragedia annunciata, che nel breve periodo rischia di innescare una grande crisi finanziaria, e, nel medio periodo, un'incontrollabile crisi sociale (persino più certa).
Cosa potrà essere raccontato, dal sistema di controllo cultural-mediatico, in vista dei turni elettorali successivi a questi, tra quattro o cinque anni, ammesso che le legislature, sull'esempio spagnolo, raggiungano le loro scadenze naturali in tutta €uropa?
 
Solo che, nonostante gli auspici che "razionalmente" ha formulato Alberto, che sono giunti ad avere risonanza sullo stesso Financial Times, l'incontro Schauble-Mnuchin non pare deporre per un raggiungimento di una "urgente" consapevolezza di ciò da parte degli Stati Uniti. 
Possiamo solo attendere e sperare: sempre che non arrivi prima, guidata dall'"ottimismo" incomprensibile della Yellen, una crisi finanziaria a epicentro USA.
Le urgenze sono tali proprio perché la comunità finanziaria che, direttamente o indirettamente, esprime le classi di governo occidentali, non sono capaci di prevedere le crisi che crea la loro ostinazione.

4 commenti:

  1. Il tempo è contro le comunità nazionali ,più deboli nell' UE,come lo è la nostra.Il pericolo di una colonizzazione irreversibile diventa concreto se passa altro tempo:c' è in fondo una coerenza nel comportamento di questi ultimi anni ,volto a guadagnare tempo ,dei "mangravi" che amministrano per conto del "centro" il nostro paese.Forse ,proprio le vicende della rielezione di napolitano e della conquista del pd e del governo renzi ,sono state il laboratorio politico per mettere a punto quaesta strategia. Vedo anche nella politica locale nella scelta di salvare le aziende esistenti ,delocalizzando la produzione e lasciando nel territorio solo il servizio di ideazione e gestione.Il mezzo con il quale attuare questa non scelta è stato la creazione d'una istituzione transnazionale come la Macroregione ionico adriatica ha questo fine.La mia città,Ancona, è la sede di tale organizzazione ed ha un' amministrazione che vanta progetti(che non potrà realizzare per il taglio dei trasferimenti statali )che rendano la città appetibile a quella "classe creativa" (vedi le teorie di Richard Florida http://www.aeeeitalia.it/documenti/florida.htm)che dovrebbe sostituire il lavoro dipendente,con profili professionali e quindi redditi, più elevati .ma gli altri ,i non creativi,che faranno in questo "Elysium"?https://it.wikipedia.org/wiki/Elysium_(film_2013)

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  2. Alcuni di argomenti si leggevano su Le Monde qualche mese fa, ovviamente senza questa interpretazione. Decisamente FT sta facendo il giro della spesa.
    Quanto a noi stiamo ancora una volta aspettando un salvatore che non ha alcuna intenzione di scomodarsi.
    Dove vogliano fermarsi non è chiaro, probabilmente in quelle dimensioni non c'è più senso del limite.
    Vivere in un'isola forse ha dei vantaggi, dopotutto. Brrr.

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  3. POINTILLISME

    Con l'attenta e “puntigliosa” scomposizione del “quadro” francese proposta da '48, rimane da traguardare il Cafone in Chief , i cordoni della borsa già evidenziati nel post senza - a mio parere - trascurare che “le urgenze sono tali proprio perché la comunità finanziaria che, direttamente o indirettamente, esprime le classi di governo occidentali” SONO CAPACI DI INDURRE LE CRISI CON DETERMINATA OSTINAZIONE con "difficile" interpretazione delle potenziali devastazioni che provocheranno.

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    1. Nei "di ESSI" termini è corretto: le crisi non esistono, anzi sono un'opportunità, e la disoccupazione è solo uno stato di transizione verso un aggiustamento più efficiente del mercato del lavoro.

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