mercoledì 15 marzo 2017

OLANDA (IN)FELIX: TANTO IL CONFLITTO SEZIONALE BUTTA TUTTO IN CACIARA.


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1. Questo post di Alberto definisce gli indicatori economici del malcontento che legittimamente percorre l'elettorato olandese. Ve ne riposto le "conclusioni": 
"Che conclusioni trarre da tutta questa storia? 
Intanto, che l'Olanda non è la Germania: la dinamica dei suoi salari è molto diversa sia storicamente che nella fase attuale. Questa non è una banalità. Che l'Olanda non stia riuscendo a recuperare lo nota preoccupato anche il Financial Times, che si è accorto, con i consueti quattro anni di ritardo su Goofynomics, di un problemino di debito privato. Ora, avere redditi da lavoro stagnanti quando si hanno ingenti mutui da pagare, in una situazione in cui i tassi di interesse pressoché nulli, se alleviano "a rata der mutuo", al tempo stesso schiacciano i redditi da capitale, mentre i prezzi delle case precipitano, non è cosa che induca alla gioia. Forse il voto olandese non sarà condizionato in modo determinante dai fondamentali macroeconomici, ma se lo fosse gli olandesi avrebbero più di un motivo per votare contro chi li sta attualmente governando, e, naturalmente, contro l'euro, esattamente come noi".

2. Decifrare la situazione olandese in termini "strutturali" consente di farsi un'idea delle cause prime e delle motivazioni "profonde" che possono indirizzare l'esercizio del voto; ma a queste radici causali, a questo impulso primigenio istintuale (in quanto registra fatti personali e reazioni psicologiche individuali, senza necessariamente collegarli collettivamente alla loro causazione politico-economica) occorre sempre aggiungere il controllo incessante, con la tecnica c.d. (da Orwell) "dell'assedio", che le oligarchie capitalistiche esercitano tramite accademia e media (come da lungo tempo evidenziato da Basso e Caffè).
Si tratta dell'applicazione, inevitabile dentro l'unione europea e i suoi paradigmi di neo-ordoliberismo dominanti,  dell'ormai stranoto principio hayekiano sulla sostanza del potere istituzionalizzato dei mercati: il potere si esercita in quanto sia costantemente determinato ciò che gli uomini debbano credere e ciò per cui debbano affannarsi, in modo da garantire che le elezioni siano una procedura preindirizzata (la "conta" finale dell'intero processo, secondo Gramsci), e cioè idraulico-sanitaria.

3. Bene: tanto è vero questo, che il Corsera definisce la situazione politica olandese, alla vigilia del voto, tutta in funzione della querelle, opportunamente "agitata" dall'attuale primo ministro, contro le pretese turche di svolgere attività politico-elettorale (turca) in territorio olandese
I "fondamentali macroeconomici" in questa versione italmediatica non compaiono minimamente (et pour cause: le analogie in pejus istituibili con la situazione italiana non hanno cittadinanza nel mondo dell'informazione nostrana, dove l'uscita dall'euro è sempre e solo una "follia" e un "costo incalcolabile" contrapposto alla conclamata assenza di benefici, in un rapporto costi/benefici che, infatti...non sanno calcolare). Ed infatti:
"Gli effetti delle incursioni turche sull'«orgoglio orange» saranno tutte da valutare. Al momento i sondaggi vedono i liberali del premier uscente in vantaggio attorno al 25% dei consensi. Secondo il partito cristiano democratico di Sybrand Buma con il 21%. Terzo sarebbe scivolato il populista Partito per la Libertà di Geert Wilders con il 20%. A seguire l' estrema sinistra dei Verdi sociali e i laburisti attorno al 15% con in caduta libera i socialdemocratici al 5%. Il governo dovrà comunque essere di coalizione e tutti i partiti escludono di volersi alleare allo xenofobo e anti europeo Wilders". 
4. Qualche notazione generale: i "liberali" sono già al potere e, come tali, dovrebbero essere interessati al mantenimento del vincolo europeo, essendo questo volto alla istituzionalizzazione dell'ordine neo-liberista. Per una serie di ragioni che sono state qui più volte esposte (non ultima la teorizzazione dell'ordine naturale del mercato proprio all'interno del pensiero della Chiesa, v. qui p.6, in ogni sua proiezione, anche protestante che, di certo, si connette alla rivendicazione della classe dei proprietari-operatori economici), lo stesso vale per il partito cristiano-democratico. 
Il "populista" Geert Wilders appare ormai tagliato fuori da possibilità reali di governo: nessuno si vuole alleare con lui, e gli sarebbe impossibile realizzare una coalizione, proprio in quanto "xenofobo e anti europeo". Un'endiadi che definisce tutte le possibili opzioni di rappresentanza politica che non siano prone all'ordine sovranazionale dei trattati, in qualunque paese €uropeo.

5. Ma a parte la semplificazione liquidatoria compiuta dai media italiani, il Financial Times (in data odierna, pag.3: Dutch populism on the march as love affair with EU cools), con una maggiore attenzione alle dinamiche anti-UE effettivamente in corso in Olanda, ci offre una visione un po' diversa e non così rassicurante come quella del Corsera. 
L'articolo chiarisce fin dal suo esordio il punto che viene relegato, dai media italiani, a fenomeno xenofobo e anti UE limitato esclusivamente a Wilders: "oggi gli elettori olandesi cercheranno di scegliere quale candidato anti-UE prenderà il loro voto". 
E parla di cittadini comuni, di cui raccoglie la testimonianza diretta, che, secondo la tradizione nazionale, hanno visto per decenni positivamente l'appartenenza all'UE: "il mercato unico si confaceva ad una nazione mercantile e, per un paese più piccolo, dava la sicurezza di essere parte di un club più vasto". 
Tuttavia, "gli olandesi  per lo più non sapevano molto di ciò che avevano appoggiato" (aderendo all'UE e all'unione monetaria). 
E, per la verità, a sentire la dotta spiegazione di un professore, "specializzato in populismi europei" (!?), dell'Università della Georgia, non ne sanno molto neppure adesso: "in mezzo alla rabbia dilagante per l'immigrazione e per i bail-outs della Grecia". Comunque, egli afferma, oggi gli elettori olandesi si orientano tra più candidati anti-UE. Qualcuno dice: "L'euro se ne deve andare. Noi non lo vogliamo".

6. E a riprova, il FT aggiunge: "anche politici che nominalmente sono pro-UE, come Mark Rutte, l'attuale primo ministro di centro-destra, stanno virando a destra (perché " a destra"?) e inasprendo la loro retorica contro Bruxelles e l'immigrazione".
Interessantissima, per la forma mentis che tradisce, l'opinione di Bolkenstein
"Gli olandesi erano molto favorevoli all'Ue perchè era consona ai loro interessi"
Ma davvero? E come li avevano esattamente determinati tali interessi, e l'impatto che su di essi avrebbero avuto, in particolare, l'euro e gli obblighi costanti di "aggiustamento", passante per la svalutazione salariale interna, che, comunque, impattavano anche sull'intera società olandese? 
A questa non secondaria circostanza, Bolkenstein non dedica alcuna attenzione; e infatti, dà per scontata la coincidenza dell'UE, - in questo contesto identificata tout-court con l'eurozona (come spesso capita nella versioni "mediatiche")-, con il perseguimento degli "interessi dell'elite": "Gli olandesi (credendo che l'euro fosse adatto ai loro interessi) hanno lasciato che l'elites facesse ciò che doveva fare".

6.1. Salvo poi, elenca Bolkenstein (evidentemente sentendo "puzza di bruciato"):
- accorgersi, negli anni, '90 di essere i maggiori contribuenti netti pro-capite al bilancio UE;
- votare nel 2005 con una massiccia maggioranza del 61,5% contro il trattato "costituzionale" europeo;
-  acuire questo "sentiment" per via della striscia di bail-out innescati dalla crisi dell'eurozona;
- manifestare crescente paura e scontento per il "flusso" dei "rifugiati".

7. In questo quadro il FT non riesce a non parlare della "classe lavoratrice", a lungo ignorata e disprezzata, che trova una prima sua voce di protesta in Pim Fortuyn, il leader fondatore del movimento "populista" (poi barbaramente ucciso nel 2002) oggi facente capo a Wilders, e che già incentrava la sua rivendicazione tutta sul conflitto sezionale (qui, p.4), non sul conflitto sociale con la "elite", divenuta vincente con l'adozione dell'euro.
La "causa" del malcontento era individuata, naturalmente, negli immigrati, che si insediavano nei quartieri popolari dell'edilizia pubblica olandese (un tempo grande erogatrice di abitazioni, ma con l'euro sempre di meno, e non certo per colpa degli immigrati), immigrati che, analogamente, si appropriavano di sussidi la cui torta complessiva, - ridotta dall'austerità fiscale in cui eccellono le teorie economiche della Commissione circa gli aggiustamenti e la "stabilità" nell'eurozona-, andava condivisa dagli olandesi "working class" coi nuovi arrivati.

8. Roba già sentita: conflitto sezionale, accuratamente alimentato, che convoglia lo scontento fuori dal cortile delle elite e delle loro responsabilità per l'innesco, programmatico, del conflitto stesso: il tutto, con la corredata sua "proiezione esterna" del disgusto accusatorio verso i greci - e tutti i mediterranei, senza troppo dover sottilizzare- che ti "rubano" i soldi che, altrimenti, andrebbero destinati al conto del welfare di beneficienza tipico dell'assistenzialismo concessorio (dall'alto) post-social democrazia (non costituzionalizzata, in Olanda come, appunto, in UK rispetto al Rapporto Beveridge).
Risultati confusi non potevano che conseguire a questa confusione di idee, seminata dai partiti detti "populisti", a partire da quello di Fortuin-Wilders, per finire al populista "sorridente" Thierry Baudet, fondatore del "Forum per la democrazia" che ha condotto la battaglia sull'ultimo referendum, risoltosi in chiave anti-UE, quello sul patto di libero scambio con l'Ucraina; il 61% degli olandesi hanno votato contro: praticamente la stessa maggioranza che oltre 10 anni prima aveva bocciato la Costituzione €uropea.

9. L'opinione prevalente sull'esito delle elezioni conseguente a questo quadro è che "non molto cambierà a parte un controllo più severo sull'immigrazione". 
Ma questo perché l'attuale reazione "populista" all'UE-M, si muove anch'essa proprio sul piano del controllo di ciò che gli uomini devono credere e di ciò per cui si debbano affannare; e quindi, a nostro parere, NON HA MAI POSTO UN PROBLEMA DI RIMESSA IN CONTESTAZIONE DEL PARADIGMA MERCATISTA OLIGARCHICO ALLA BASE DELLA CREAZIONE DELLA MONETA UNICA.
Di certo non in Olanda: i populismi si autosqualificano da soli, quando si limitano a scimmiottare la visione di fondo degli ordo-liberisti €uropei, cercando solo di contrastare gli effetti, e solo parte di essi, dell'applicazione del paradigma supply side e del lavoro-merce ma, in fondo, lasciando i propri seguaci fermi nel credere che non ci sia un altro mondo migliore di quello...

10. Non di meno, una cosa la si può affermare: il piano di sostituzione demografica dei cittadini europei, - e la conseguente "liquidazione del pregresso", per giungere a tappe forzate alla drastica realizzazione del mondo ipergerarchizzato che tanto piace ai seguaci di Hayek (per cui qualsiasi diritto verso lo Stato è un ingiustificato privilegio e, anzi, una sorta di corruzione legalizzata dal voto dei deboli parlamenti, clientelari e ossessionati dall'inefficiente ricerca del consenso)-, è stata un'esagerazione.
Un'esagerazione che rivela il carattere antiumanitario della costruzione €uropea e, al tempo stesso, l'arrogante mancanza di qualsiasi flessibilità politica con cui viene ormai perseguita.
Semmai dall'Olanda possa venire, in qualunque ipotesi di esito elettorale, un segnale, questo è che il collasso dell'€uropa può essere rallentato, da alchimie tattico-partitiche praticamente presenti in tutti i paesi dell'eurozona, ma non arrestato.
10.1. E in fondo per prendere tempo, i "populisti", in quanto xenofobi e dediti a combattere gli effetti e non le cause della mostruosa follia neo-liberista che percorre l'€uropa, fanno piuttosto comodo alla elite.
Se non altro aiutano, e molto, a far dimenticare l'idea, un tempo patrimonio comune della Nazioni europee, che la democrazia è, anzitutto, un metodo legalitario e pluriclasse di risolvere il conflitto sociale. Non di spiazzarlo sui conflitti sezionali.
Lo schema fondamentalmente è questo:


11. O, se volete essere più "teoretici", questo (e vale in tutta €uropa e anche sostituendo la locuzione partiti europeisti con quella "partiti anti-europeisti", o "populisti" che dir si voglia):
Non è rilevante che i partiti europeisti siano 5, 6, 7 o 8 (magari, differenziando l'offerta mediante scissioni, riescono ad allargare il "bacino di utenza"). 

Tanto si alleeranno comunque tra di loro. 

Anche se qualcuno di questi dovesse rimanere fuori dall'alleanza perché non si vuole..alleare o perché, magari, gli altri, messi tutti insieme, non hanno bisogno di spartire il potere e i suoi vantaggi anche con questo. Ognuno poi, si sa, ha un suo "altroeuropeismo", come operazione di marketing elettorale (privo di qualsiasi effetto concreto) e lo sfrutta come se fosse il brevetto su un prodotto offerto sul mercato elettorale.

...Quindi non è rilevante se si voterà con un tipo di legge elettorale o l'altra: ci sarà sempre, preventivamente o, più probabilmente, dopo le elezioni, una Große Koalition.

E questa esisterebbe, per una necessità di autoconservazione più o meno già implicita e consapevole, anche se non venisse dichiarata prima delle elezioni.

Chi oggi non ha già fatto autocritica sull'adesione all'euro e sulle politiche del piano inclinato verso la distruzione che esso comporta, sa di poter vincere la gramsciana "conta" (qui, p.3.1.), cioè le elezioni idrauliche orwellianamente mediatizzate, ma non di poter vincere il "dopo elezioni".

11 commenti:

  1. La “caciara” orchestrata dai sacerdoti mediatici per alimentare il conflitto sezionale sembra assomigli a quella che Basso, con interpretazione marxista e nell’ottica della rivoluzione socialista (cioè democratica-costituzionale), chiamava “la logica del sistema”:

    … Già Marx aveva messo in evidenza che il capitalismo per vivere è costretto a svilupparsi di continuo e che questo sviluppo si realizza, per usare un’espressione approssimativa, in una duplice direzione: la direzione intensiva e quella estensiva.

    Lo sviluppo intensivo del capitalismo si realizza al centro e si manifesta attraverso il forte progresso tecnologico, l’impetuoso sviluppo dei mezzi produttivi, la crescente concentrazione capitalistica, la riduzione dell’immensa maggioranza della popolazione alla condizione di lavoratore salariato, ecc.

    Lo sviluppo estensivo spinge invece il capitalismo ad allargare sempre più i propri confini verso zone geografiche o settori non ancora capitalistici (il commercio, la campagna, il mondo coloniale, ecc. ), introducendovi rapporti capitalistici e provocando ovunque sconvolgimenti e squilibri che fruttano larga messe di profitti all’imperialismo dominante ma provocano il fenomeno del sottosviluppo in una periferia sempre più estesa del capitalismo. Oggi noi sappiamo che sviluppo e sottosviluppo sono due facce dello stesso fenomeno…

    … si pone una domanda cruciale: se il capitalismo avanzato racchiude in sé veramente, come risposta matura, valida e anzi addirittura necessaria alle sue contraddizioni, la soluzione socialista, come mai, nonostante tanti preannunci di catastrofi e di crisi generali del capitalismo… il capitalismo vive tuttora e non accenna a volere sparire? Perché lungi dal prendere il potere in nome della rivoluzione socialista, le masse lavoratrici dei paesi capitalisticamente più avanzati, hanno al contrario tendenza ad integrarsi nel sistema capitalistico, e nei paesi più avanzati d’Europa la loro espressione politica maggioritaria è quella di un partito socialdemocratico che fa addirittura dell’integrazione al sistema la sua ragion d’essere?…

    Bisogna per questo rifarsi alla concezione marxista della società capitalistica come totalità, come sistema avente una propria logica interna… cioè come qualche cosa di simile alla “struttura”… Sistema vuol dire una totalità che non è semplicemente una somma di parti, di elementi, di momenti diversi e coabitanti, ma è un insieme coerente di parti e di processi, rette da un sistema organico di relazioni fra le singole parti e verso il tutto che risponde ad una logica interna, alla logica appunto del sistema... Perciò tutti i processi che si svolgono nella società capitalistica, i singoli momenti di essa, anche se visibilmente discordi fra di loro, sono tuttavia sempre subordinati alla logica del sistema, alla logica della totalità, la quale tende a ristabilire permanentemente il proprio equilibrio grazie ad una serie di meccanismi che il sistema stesso possiede, a scopo di autoregolazione, e che…esistono e funzionano indipendentemente dalla volontà degli uomini.

    È questo carattere di “totalità”, questa logica del sistema, che costituisce oggi la principale difesa della società capitalistica: è essa che opera autonomamente come forza d’integrazione, cioè come una forza che riesce a dominare e istituzionalizzare TUTTI I PROCESSI SOCIALI, e quindi ANCHE I CONTRASTI DI CLASSE, impedendo ad essi di rompere i confini del sistema, svuotandoli di ogni carica eversiva …e in definitiva obbligandoli ad adeguarsi e a coordinarsi alla coerenza interna della società, cioè alla logica del profitto.
    (segue)

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  2. L’integrazione della classe operaia, la politica socialdemocratica, non sono quindi un fatto soggettivo, ma rientrano nella logica del sistema, come meccanismi funzionali di autoregolazione. Allo stesso modo rientra fra i meccanismi funzionali di autoregolazione l’uso del potere politico che perde sempre più la propria autonomia e cessa di essere il semplice apparato costrittivo eretto al di sopra della società come tutore e garante dell’ordine borghese, ma s’integra alle strutture per assicurare il funzionamento quotidiano e regolare del meccanismo del profitto…

    È all’interno di questa logica che dobbiamo comprendere l’inanità delle due antiche strategie tradizionali del movimento operaio: la riformista e la rivoluzionaria, intesa questa parola ne senso tradizionale. Una politica di riformismo, cioè di riforme singole, staccate, isolate…è destinata al fallimento perché la riforma singola viene non solo facilmente “digerita”, o, come si dice oggi, “riassorbita” dal sistema, ma viene spesso addirittura razionalizzata ai fini del sistema, trasformata cioè in un elemento di rafforzamento del sistema stesso. Ma anche la politica rivoluzionaria tradizionale, intesa come conquista del potere, perde molto del suo significato in una società ordinata a sistema, dove il potere stesso non è più che un ingranaggio, un momento della totalità, non più isolabile perché radicato nelle strutture e inseparabile da esse…

    Per chiarire con qualche esempio il funzionamento di queste logiche, possiamo riferirci a tante rivendicazioni del movimento operaio che, dopo essere state a lungo contrastate dalla classe dominante perché contrarie alla logica capitalistica, sono state a un certo punto integrate nel sistema e sottoposte alla sua logica: basti pensare …in sede politica, al suffragio universale che, conquistato in alcuni paesi attraverso durissime lotte sostenute dal movimento operaio, è stato poi adoperato come un utile strumento di istituzionalizzazione dei conflitti e di integrazione del movimento operaio.

    Ma processi analoghi, e di segno contrario, si possono vedere messi in atto ad opera della logica antagonistica: si pensi p. es. al sindacalismo cattolico concepito inizialmente, in funzione di salvaguardia degli interessi del padronato e di conservazione dell’ordine sociale, addirittura come sindacato misto di lavoratori e padroni, costretto dalla logica della lotta di classe a diventare sindacato soltanto di lavoratori e poi a scendere anch’esso sul terreno classista... Tuttavia, mentre dal lato della classe dominante, vi è un uso razionale della logica del sistema, lo stesso non può dirsi del movimento operaio, che ha avuto quasi sempre atteggiamenti empirici, e quindi subalterni, magari sotto la veste di un dogmatismo adialettico.
    (segue)

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  3. Da quanto sopra si può concludere che, abbandonati alla loro spontaneità, questi processi contraddittori insiti nel capitalismo operano da un lato sviluppando continuamente le forze produttive e quindi le spinte socializzatrici, dall’altro riassorbendo continuamente queste spinte entro la logica del sistema attraverso una serie di compromessi, di nuovi equilibri…Operare nel senso della storia, operare nel senso della logica socializzatrice dello sviluppo delle forze produttive, significa battersi non per riforme isolate ma per un insieme organico di interventi, per riforme di struttura fra loro coordinate, per la conquista di poteri antagonistici (contropoteri), per spostare progressivamente in avanti nel campo economico-sociale le frontiere del pubblico restringendo quelle del privato, e al tempo stesso per introdurre processi di democratizzazione e di partecipazione, per sostituire la responsabilità individuale e collettiva all’autoritarismo e al burocratismo, in una parola per inserire e rafforzare all’interno dell’attuale società gli elementi antagonistici, gli elementi che sono espressione della logica delle forze produttive e che in essa possono trovare l’asse di cristallizzazione, il punto di riferimento attorno a cui ordinarsi per dar vita a un nuovo sistema…

    A misura che la classe operaia, i suoi partiti, i suoi sindacati e gli altri suoi organi di potere, assumono coerentemente la logica antagonistica come punto di riferimento di un sistema contrapposto che deve crescere e svilupparsi all’interno dell’attuale, a misura cioè che la struttura della nuova società, coesistente ma contrastante con la struttura del profitto, diventa una forza di coesione per i diversi momenti della vita sociale, la logica del profitto viene infirmata, la struttura capitalistica indebolita, al compromesso può sostituirsi l’esplosione del sistema: questo è il punto d’arrivo del processo rivoluzionario...”
    [L. BASSO, Sviluppo capitalistico e rivoluzione socialista, in Problemi del socialismo, novembre-dicembre 1969, n. 43, 1048-1081].

    Muoversi al di fuori dall’obbligatorio recinto della Costituzione comporta, per le masse, la legittimazione inconsapevole e mediaticamente supportata dei mercati sopranazionali: istanze pro (sono una risorsa) e contro (sono un pericolo) immigrati, favorevoli e contrari al reddito di cittadinanza, pro e contro i voucher, favorevoli o contrari all’utero in affitto o al matrimonio con il proprio cane, sono rivendicazioni particolaristiche di “gruppi-sezioni” (magistralmente eterodiretti) portati all’onore della cronaca da rilievi sondaggistici (tutto ciò €SSI, come già sappiamo, lo chiamano bonariamente “pluralismo”). Quand’anche fossero parzialmente accolte le isolate istanze, è utopia pensare che tali gruppi possano rappresentare (stando a Rodrik) un interlocutore delle elites che, infatti, per ora, continuano a ridere.

    L’alternativa costituzionale è spacciata come una remota e nefasta opzione (tacciata infatti di “populismo nazionalista”), fagocitata nel tritacarne dei micro-conflitti rubricati alla voce “confronto democratico”. L’imperativo è far barcamenare la gente in posizione subalterna all’interno della logica dello stesso immutabile €urosistema

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  4. Semi OT: questa iniziativa del sindco di Ferrara mi sembra un segno interessante anche perché viene da dove viene, una fede sì, ma anche una tradizione.
    Mi fa anche ricordare il crollo del cavalcavia lombardo di qualche mese fa, in cui nessuno voleva prendersi la responsabilità di chiuderlo, forse per non dover accettare le spese di riparazione.

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  5. Commento "ex-post".
    Alla fine, l'essersi "accartocciati" sul conflitto sezionale non ha pagato. Rutte (che comunque è di destra) è stato molto bravo a sfruttare a suo vantaggio la crisi con la Turchia (secondo me un grande "gioco delle parti": sia a Rutte che ad Erdogan conveniva "recitare" la propria per ragioni interne), ed ha capitalizzato la vittoria. Peraltro, anche se il partito del suo avversario fosse diventato il primo partito, non avrebbe mai potuto governare da solo.
    Resta, come giustamente osservato nel post (se ne ho ben inteso il senso), la problematica del dopo elezioni. Perché i problemi originati dagli squilibri economici lì erano e lì rimangono e non scompaiono per il solo fatto di non parlarne......

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    1. Mi sembra una vittoria un pò risicata. e molto meno utile ed effettiva di come venga sbandierata.
      Wilders non ha mai avuto alcuna possibilità di entrare nell'area di governo.
      Rutte ha perso un quinto dei seggi. i laburisti ne hanno persi i 4/5.
      Wilders ne ha guadagnato qualcuno.
      E il modo in cui Rutte ha mantenuto la barra dritta è stato con discorsi di propaganda assolutamente distanti dall'europeismo di casa nostra.

      Io la vedo che l'antieruopeismo cresce. non ha subito alcuna battuta d'arresto. certo non ci si poteva attendere niente di più in Olanda. Un Paese che ha sofferto la crisi meno di altri e in cui i partiti principali sono abituati a governi di larghissime intese da molti anni.

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    2. Aspettiamoci uno show simile anche altrove, allora.

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  6. Pensare che il controllo dell'immigrazione economica è sempre stato un ovvio corollario del controllo dell'offerta della forza lavoro da parte dei sindacati. Cito Fanno (dal lavoro che avevo già menzionato qui, punto 3.1), che parlando del Trattato di Roma ridimensiona le speranze italiane di farne strumento per liberarsi dell'eccedenza di manodopera via emigrazione: "Ma indipendentemente da ciò l’ammissione in un paese di lavoratori stranieri dipende oggidì più che dai bisogni e dalle decisioni dei datori di lavoro, dai sindacati operai del paese di immigrazione. È ammonitore al riguardo il caso recente dell’Inghilterra, dove la decisione del Governo Inglese di impiegare nelle miniere nazionalizzate di carbone poche decine di minatori Italiani, non potè avere esecuzione per l’opposizione intransigente delle Trade-Unions.". (Fanno, op. cit., pag. 199).

    Altra acqua calda che toccherà riscoprire.

    Calda? Forse nemmeno tiepida. Nel 1871 Marx rilasciò un'intervista a un giornalista americano; interpellato sui benefici per i lavoratori derivanti dell'appartenenza all'Internazionale il Moro così rispose: "To give an example, one of the commonest forms of the movement for emancipation is that of strikes. Formerly, when a strike took place in one country it was defeated by the importation of workmen from another. The International has nearly stopped all that.".

    Quindi, pensate un po', pare che Marx non fosse "no borders". Chi l'avrebbe mai detto?

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    1. Fantastico, no?
      Siamo regrediti a una cultura del lavoro, ex parte lavoratori, che è un arretramento rispetto agli anni '70...dell'800.
      Che poi Marx non potesse essere un no borders, un tempo lo si sarebbe detto: il fatto è che oggi non si "può" più dirlo.

      D'altra parte, l'argomento principale che vedo utilizzato nei talk quando si richiama qualche principio costituzionale, un tempo patrimonio di una cultura diffusa, è quello della "contrarietà a tendenze ormai sviluppatesi da decenni nella nuova legislazione (immancabilmente europea)".
      E questo quando vogliono essere più "tecnici ed eleganti" e non irridere direttamente l'interlocutore che richiama qualche "retaggio del passato ormai sepolto".
      Insomma: il fatto compiuto.

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    2. Mi fai venire in mente la Arendt. Nella sua analisi del totalitarismo sosteneva che tali regimi attuano le loro politiche, in particolare quelle più brutali, presentandole come "necessità oggettiva del processo naturale o storico", rispetto a cui la consapevolezza delle masse non solo non è richiesta, ma costituisce anzi un impaccio: "L'educazione totalitaria non ha mai avuto lo scopo di inculcare convinzioni, bensì quello di distruggere la capacità di formarne". (H. Arendt, Le origini del totalitarismo, Einaudi, Torino, 2004, pag. 640).

      Tutta roba vecchia, ovviamente: oggi c'è la d€mocrazia.

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  7. Strano, perché stando a recenti pronunce del corpo elettorale (tipo lo scorso 4 dicembre), la Costituzione pare sia retaggio attualissimo.
    Ma per molte "grandi menti" e per molti "padri nobili" pare che la sovranità popolare non faccia più testo......

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