martedì 25 aprile 2017

DESTRA ECONOMICA, AUTORITARISMO DEI MERCATI E DESTRA...PER LA PROPAGANDA


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1. Non esiste una destra che non sia destra economica: cioè che non sia ideologia del mercato propugnata dall'oligarchia del capitalismo finanziario e grandindustriale.
Una "destra" che non fosse economica, - e cioè che, più o meno apertamente, respingesse l'ideologia oligarchica del mercato, come entità riassuntiva di ogni dimensione sociale possibile, in quanto libera dalle interferenze dello Stato e perciò tesa all'efficiente allocazione delle risorse "scarse"-, non sarebbe distinguibile da qualsiasi altro partito democratico in senso sociale. 
L'eventuale "etichettatura" come destra perderebbe di qualunque coerenza e incorrerebbe in clamorose contraddizioni: perché chi, prescindendo dall'essenza "economica" della destra, volesse contrapporsi a un avversario politico che non fosse una reale espressione dell'oligarchia economica, finisce spesso ad adottare egli stesso le misure che imputa criticamente a tale avversario (v. alla voce "immigrazione").
Inoltre, ridurre l'essenza della destra, retoricamente e strumentalmente intesa, all'autoritarismo poliziesco ("law and order") è un criterio del tutto inaffidabile: ogni autoritarismo poliziesco, infatti, corrisponde alle scelte istituzionali della "legge", che determina l'oggetto e gli obiettivi dell'azione repressiva (l'autoritarismo poliziesco, per inciso, non è lo "Stato di polizia", concetto che M.S. Giannini riferiva al perseguimento, da parte dello Stato assoluto, "illuminato", di fini collettivi di promozione del benessere generale: servizi pubblici generali in forma di "aziende autonome", istruzione pubblica generalizzata, promozione dell'iniziativa economica, e cura pubblicistica dell'assistenza ai bisognosi).

2. Quindi, anche di fronte all'autoritarismo poliziesco, occorre vedere chi sia il detentore della sovranità, cioè della capacità di imporre incondizionatamente come diritto la propria volontà e i propri comandi. 
L'autoritarismo poliziesco, nella cultura politica e giuridica contemporanea, viene per lo più definito tale in quanto colpisca interessi maggioritari, privando cioè della libertà, e dei "poteri" che ne sono la proiezione speculare, la maggior parte degli appartenenti ad una certa comunità sociale (politicamente unificata dal vivere sul territorio che delimita l'ambito spaziale della sovranità).
Questo concetto "comune" dell'autoritarismo, non risulta mutato per il solo fatto che, all'interno delle democrazie, si postula sempre più come una priorità inderogabile la tutela di determinate minoranze (v. voce: diritti cosmetici): esiste un disegno implicito in questa tendenza, che è quello di "normalizzare" l'idea che, comunque, una minoranza debba prevalere sulla maggioranza in quanto ciò sarebbe espressione di un progresso necessitato: e una volta fissato tale principio, si rende ovvio, e moralmente incontestabile, che il prevalere delle esigenze di qualunque minoranza, ma, per naturale suggestione, principalmente di quella dei ceti economicamente dominanti, costituisca un'evoluzione positiva e un'affermazione di libertà contro l'oppressione statale (qui, p. 3 e anche qui).
 
2.1. Ma se, - al di fuori di questa strategia mirata alla delegittimazione delle democrazie sociali e preparatoria di un neo-autoritarismo affermato con abile gradualità-, l'autoritarismo poliziesco colpisce ed opprime la maggioranza dei cittadini, cioè gli sottrae libertà e potere (sempre perché la libertà "da" è potere "di"), esso è inevitabilmente l'espressione di una legge dettata a tutela di pochi: i pochi che si sottraggono, come detentori del potere, a quelle regole e a quella repressione. Cioè è l'ordinamento giuridico di un'oligarchia
Questo, d'altra parte, è il senso del primato della naturalistica "Legge" (v. p.7), predicato da Hayek e posto alla base del riassetto delle società democratiche europee voluto dai trattati: una libertà per pochi, e da pochi decisa, offerta come il bene supremo per tutti (mito della generalità della legge e dell'eguaglianza formale), da una Legge su misura per pochissimi ma "razionalmente" incontestabile per tutti gli altri (v. sempre p.7).

3. Quindi, l'autoritarismo poliziesco che oggi più comunemente si stigmatizza (ricorrendo alla qualificazione di "dittatura": ma solo quando non sia funzionale alla salvaguardia dell'ordine supremo del mercato) è strutturalmente legato al capitalismo oligarchico, perché nel reprimere il potere della maggioranza intende conservare ed accrescere quello di una minoranza in posizione di vantaggio (e nella sostanza assolta dal rispetto delle regole punitive)
Questa dunque è l'essenza della destra che si caratterizza, inevitabilmente, come "economica" in quanto, all'interno di un sistema produttivo capitalistico (qual è riscontrabile, nell'attualità, praticamente in quasi tutto il pianeta), i pochi che hanno compiuto un sufficiente accumulo di potere da essere, appunto, in grado di assicurarsene la conservazione, sono i proprietari dei mezzi di produzione.
Questi e solo questi, nei fatti, hanno il potere decisionale, di influenzamento, e le risorse finanziarie, che consentono l'incessante azione politica di controllo dell'opinione pubblica e di massa, v.p.10, onde arrivare alla formalizzazione, mediante la "legge", del valore di un assetto che considerano "allocativamente efficiente".

4. Se l'applicazione della legge e delle relative "sanzioni" (indice della giuridicità delle regole) non è rivolta verso/contro la (stragrande) maggioranza dei componenti della comunità sociale, bensì verso minoranze la cui azione è apertamente, e oggettivamente, diretta a limitare libertà e poteri della maggioranza stessa (e dunque al fine di eliminare un precedente sovraccumulo di potere antisociale), si potranno avere forme di autoritarismo, più o meno accentuate, - secondo la sensibilità comune del momento storico  nel concepire l'intangibilità dei diritti di ciascun individuo-, ma non una politica, cioè un assetto sociale, di "destra".

5. Beninteso, ogni autoritarismo è da condannare e da combattere: ma non ogni attività di repressione dell'azione di minoranze, che mirino a sovvertire libertà e poteri della maggioranza per fini di autoconservazione di una propria rendita di potere, è "autoritarismo". 
Lo può essere, in questo caso, se utilizzi come "giuridici" strumenti che, per il contenuto e le modalità delle sanzioni applicabili, tendono a negare il nucleo indeclinabile dei diritti umani. 
Cioè quelle posizioni di vantaggio riconosciute a tutti i cittadini in quanto tali (e agli stranieri, sia pure con il limite, universalmente accettato, della "reciprocità") che sono proclamate, a partire da un certo momento storico (in via approssimativa, a partire dalle rivoluzioni borghesi del XIX° secolo), come diritti propri della "cittadinanza", e che definiscono la egualitaria capacità giuridica dell'essere umano in quanto tale.
Ma, nel caso considerato, non si tratterebbe comunque di un autoritarismo di "destra" perché non avrebbe il fine di limitare e reprimere la maggioranza in favore della conservazione del privilegio economico e politico della minoranza, che reclami l'efficienza allocativa di tale privilegio.

6. Quanto ai contenuti che conducono al travalicare nell'autoritarismo, pur essendo storicamente variabile il nucleo dei diritti umani del cittadino in quanto tale (sarebbe una grave ipocrisia negarlo), il criterio discretivo è quello della "ripugnanza" della misura afflittiva consentita e prescelta dalle norme: la tortura, fisica, anzitutto, ma anche psicologica, la privazione del minimo vitale nell'alimentazione e nell'igiene, l'espropriazione arbitraria della proprietà, l'indifferenza alla condizione di debolezza dell'incolpato sottoposto alle punizioni della legge, la censura dell'espressione del pensiero in quanto essenza della condizione di persona, sono evidentemente strumenti ripugnanti, anche se corrispondessero alla (astratta) "legalità".
Quanto alle modalità di applicazione delle sanzioni (che sono l'inevitabile indicatore della normatività delle regole), queste divengono autoritarie quando si privi il cittadino, che ne sia destinatario, di ogni utile azione legale di difesa davanti a un giudice effettivamente imparziale ed indipendente: cioè terzo rispetto sia al potere esecutivo-poliziesco, che al potere legislativo che detta le regole. Un giudice, perciò, al quale sia consentito  di applicare soltanto le sanzioni previamente stabilite da una norma anteriore ai fatti contestati e anche di poter sindacare la "ripugnanza" delle sanzioni comunque previste rispetto al senso comune storicamente condiviso.
Entrambe le condizioni ("non ripugnanza" e "giusto processo"), possono essere "effettive", e quindi resistenti alla ragion politica che l'autoritarismo tende sempre ad affermare, quando esse (condizioni) siano stabilite in una costituzione che sia immodificabile, almeno in tale parte, dal potere legislativo: cioè da qualunque fenomeno politico contingente.

7. In assenza della predisposizione istituzionale, cioè costituzionale, delle regole invalicabili che garantiscano tali condizioni, anche un potere volto esplicitamente a tutelare gli interessi della maggioranza diverrà autoritario e poliziesco; con il che, possiamo anche verificare ciò che Rosa Luxemburg criticava nello stalinismo.
Ogni autoritarismo, in ogni modo, quale che sia il suo preteso "colore" iniziale, conduce inevitabilmente, in assenza di queste condizioni "costituzionali", alla incontrollabilità dell'apparato repressivo; e la incontrollabilità, a sua volta, all'autoconservazione personalistica del potere repressivo e alla perpetuazione degli arbitrari strumenti di cooptazione dei componenti di tale apparato.

8. Ma poiché un potere incontrollabile è naturalmente autoconservativo della posizione di chi lo incarna (se non altro perché passandolo ad altri si rischia la vendetta di coloro che ne sono stati arbitrariamente oppressi), anche un autoritarismo dettato dalla iniziale finalità di tutelare la maggioranza e di sanzionare i comportamenti antisociali di una minoranza, tenderà a degenerare in un regime oligarchico
E ciò non solo per la tendenza alla conservazione e personalizzazione del potere esercitato (fenomeno storico quasi inevitabile fino all'affermazione del moderno Stato di diritto), ma anche per l'abuso nell'appropriazione della ricchezza che a tale personalizzazione incontrollata si accompagna.
L'esito finale di ogni forma di autoritarismo, dunque, tenderà comunque a degenerare nella sua principale matrice: la destra economica e la predicazione autoritaria dell'assetto allocativo efficiente come conservazione del privilegio di chi è al potere.

9. Svolte queste premesse, non vedo come, - al di fuori del giudizio compiuto alla stregua di valori cosmetici (cioè propagandistici, illogici e manipolatori), che sono imposti per fini di controllo sociale dalle attuali oligarchie, cioè destre, economiche-, possa reputarsi "di destra" Marie Le Pen. Tantomeno di "estrema destra", sottintendendo che ella tenda a travalicare nel fascismo (suscitando variegati fenomeni di antifascismo su Marte) e, comunque, nell'autoritarismo.
Nessuna delle idee contenute nel suo programma (sotto riportato nella schematizzazione fattane dal Sole24 ore, e quindi a lei certamente non favorevole), risulta favorire l'oligarchia del "proprietario-operatore economico" per conservare l'assetto allocativo efficiente su cui si fonda il suo privilegio. Anzi: alcuni dei punti programmatici (ad es; quelli sotto evidenziati) dovrebbero essere già parte condivisa di una piattaforma programmatica comune a tutti i partiti, di tutta l'eurozona, che sostengano il lavoro e il ripristino della democrazia sostanziale.
Né risulta propugnare un processo decisionale e normativo che si sottragga al controllo della Costituzione e del voto popolare (propugnando tra l'altro il sistema proporzionale)
E né risulta volta a sottrarre ad un giudice imparziale e indipendente l'applicazione di sanzioni, meno che mai da considerare come "ripugnanti" anche secondo il senso comune dell'attuale momento storico:
"I principali punti del programma:
- Negoziare con l'Unione europea il recupero della piena sovranità monetaria (con l'abbandono dell'euro), territoriale (con la sospensione dell'accordo di Schengen), legislativa ed economica
-In caso di insuccesso, entro sei mesi referendum per l'uscita dalla Ue
- Superamento dell'indipendenza della banca centrale
- Adozione del proporzionale in tutte le elezioni (con premio di maggioranza alla Camera)
- Abolizione delle Regioni
- Portare dall'1,7% al 3% del Pil il budget della Difesa
- Assunzione di 15mila poliziotti
- Creazione di 40mila posti in più nelle carceri
- Tetto a quota 10mila per l'ingresso di nuovi immigrati
- Abolizione dello “ius soli”
- Stop al ricongiungimento familiare per gli immigrati
- Nuova tassa sull'assunzione di lavoratori stranieri
- Tassa addizionale del 3% su ogni prodotto importato
- Pensione piena a 60 anni (con 40 anni di anzianità contributiva)
- Abolizione della riforma del lavoro."

10. Additare Marie Le Pen, - e la sua lotta per la democrazia del lavoro, contro le oligarchie e la destra economica-, come "estrema destra", almeno fino alla prova di eventuali, e comunque futuri, atti di governo contrari ai diritti inviolabili previsti nella Costituzione francese, appartenenti alla generalità dei cittadini a cui si rivolge, si rivela come un affrettato e grossolano esercizio di propaganda, oggettivamente al servizio degli interessi a cui lei si oppone.

46 commenti:

  1. Troppo sottile come ragionamento.Aspettiamo dopo,dice lei,e casomai vedremo.Nel 1933 molti ebrei hanno ragionato in questo modo,e sappiamo com'è andata a finire.Certo, non ha scritto "Soluzione finale della questione ebraica",e questo dimostra che la ragazza non è scema.Ma che zoppichi da una certa parte lo dice ogni parte del suo programma,e lo dimostra tutta la sua storia.personale e politica.

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    1. Ecco, senza dover ripetere quanto risposto più sotto, la precomprensione (cioè l'attribuzione ad un testo di un senso anticipato rispetto a quello risultante dalla sua effettiva composizione logica e lessicale), finisce immancabilmente per "provare troppo". Nulla dimostra che "zoppichi" verso l'oligarchia capitalistica nel programma sopra esposto. Sulla "soluzione finale", la bomba atomica delle obiezioni che distrugge a priori qualsiasi interlocutore in base a arbitrarie attribuzioni di un pensiero immaginario (dell'accusatore), stenderei un pietoso velo.

      Si vede che la sovranità monetaria e il superamento della banca centrale indipendente, nei loro riflessi sulla realizzazione della democrazia sostanziale, sono ignorati: ma è facile. Basta intervenire in base al proprio permeismo, senza conoscere il blog...

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  2. "non vedo come possa reputarsi "di destra" Marie Le Pen"
    Se non vuole vedere, è un problema suo, ma se lo stato di polizia e coloniale (perchè questa vuol dire assumere poliziotti, aprire più carceri e raddoppiare il bilancio militare, punti 6-7-8 del programma, che "stranamente" lei si guarda bene dall'evidenziare) non è di destra, non so cosa lo sia. Per lei è di destra solo riaprire i lager?

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    1. Mi piace quando si obietta ad un post con la più ovvia delle "precomprensioni". E' rassicurante vedere come il resto del post sia ignorato: basta citare in qualunque modo la Le Pen per far scattare il riflesso condizionato.

      No: nessuna delle misure che lei cita sono di destra: al contrario, sono misure di investimento pubblico commisurato a interessi generali oggettivie particolarmente attuali (in Francia come nel resto d'€uropa): anche in Italia occorrerebbe ampliare l'edilizia carceraria, proprio per motivi umanitari e di decenza, e riprendere le assunzioni conformi agli organici delle forze dell'ordine.

      Ovviamente per un livoroso, statocorrottobrutto, è facile connotare queste misure di miglioramento di pubbliche funzioni nell'interesse della maggioranza, come repressione (cui neppure i liberisti intendono rinunciare, tranne che vorrebbero giungere al definanziamento pubblico per promuovere la privatizzazione di carceri e ordine pubblico in generale). La repressione, paludata di ipocrisia, è bella se la fa il mercato, producendo profitti privati: la civile gestione pubblica, e democratica, della difesa e della (già allarmante) situazione della pacifica convivenza è "di destra"

      Quanto ai lager si tratta di una deduzione illogica e maliziosa: ma i lager, de facto, li apre l'ipocrita mitologia (svalutativa del mercato del lavoro) dell'accoglienza, gestita in pareggio di bilancio.

      Ma questo ovviamente è il mondo "reale", non quello dei pregiudizi ideologici che derubricano le esigenze di un corretta gestione della funzione pubblica a stilemi acritici e immancabilmente funzionali alle mire ultime del neo-liberismo.

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    2. Cari Luigi ed Amaryllide, l'invito è a leggere fra le righe.
      Perchè non si può essere Europeisti (cioè per l'attuale UE) e Costituzionalisti (passatemi il termine per questa volta). E' il principio di non contraddizione di Aristotele: "Il principio più sicuro di tutti è quello intorno al quale è impossibile essere nel falso. Questo principio è necessariamente il più conoscibile,[...] e non ipotetico, perché non è una ipotesi il principio che deve necessariamente possedere chi voglia comprendere una qualsiasi delle cose che sono, e quando si vuole arrivare a conoscere qualcosa, è necessario possedere già ciò che si deve necessariamente conoscere per conoscere una cosa qualsiasi. [...] È impossibile che la stessa cosa insieme inerisca e non inerisca alla medesima cosa e secondo il medesimo rispetto; e si aggiungano tutte le altre determinazioni che si potranno aggiungere per evitare difficoltà di carattere dialettico.[...]Nessuno può ritenere che la medesima cosa sia e non sia, come alcuni credono che dicesse Eraclito. (Metafisica)".
      L'Unione Europea non può essere per la crescita, ma fare deflazione salariale. Non può essere per l'occupazione e mettere in campo politiche deflazionistiche e di pareggio di bilancio che esplodo in disoccupazione di massa. Non può mettere insieme un fronte comune per l'accoglienza e poi lasciare da soli i paese più colpiti perchè tanto "son c...i loro". L'UE per me NON è. Perchè la carta non "canta" ciò che nei fatti avviene. Nel caso della Le Pen invece c'è un dato di fatto: una campagna fatta a favore del lavoro e della sovranità costituzionale francese. Giusta o sbagliata che sia, questo è il fatto. La carta invece in questo caso si "lascia scrivere" nel modo più becero, additando la candidata come una "populista, fascista, nazionalista" e mettendo sullo stesso piano i cosiddetti "nazionalismi che ci hanno portato alle due guerre mondiali" (mentre le vere cause economiche del liberismo, laissez faire, liberoscambismo sono appositamente sottaciute) con la candidata "del popolo", mentre Macron, un ultraliberista di centro destra propagatore delle stesse identiche idee che ci hanno portato al disastro, viene additato quale salvatore della patria dallo stesso Hollande, un socialista!, e tutta la schiera degli sconfitti o quasi. Siamo all'apoteosi, al rovesciamento delle parti. Svegliamoci finchè siamo in tempo. Fermiamoli finchè ci sarà tempo.

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    3. Solo per confermare quanto sopra, tradotto: per il PC francese meglio un banchiere che la Le Pen...
      Si potrebbe poi parlare anche del discorso Alitalia, dove il PdC Gentiloni (PD) afferma: "il governo si sente impegnato a difendere lavoratori, utenti, contribuenti e cittadini per non disperdere risorse e asset della compagnia. Ci lavoreremo sapendo tuttavia che l'esito del referendum rende più difficile la sfida.". Cioè: abbiamo privatizzato Alitalia; siccome il tutto è andato a p.....e, abbiamo fatto fare il referendum ai lavoratori, sicuri che avrebbero detto NO, per cui gli possiamo scaricare addosso la colpa. E chi se ne frega se possiamo nazionalizzare salvando capra e cavoli, meglio un prestito ponte al prossimo "privato" che se la vorrà accaparrare, e se non arriva, la liquidiamo. Però difendiamo lavoratori e contribuenti, sia chiaro...

      Ma non sono gli stessi che ciarlano di Italia votata al turismo? Dove la maggiori catene alberghiere sono oramai quasi tutte in mano straniera, e dove l'unico vettore nazionale importante (l'unico che potrebbe attirare clienti dall'estero con prezzi competitivi) sta per sparire? E con cosa fai il "Turismo" senza alberghi e senza compagnia nazionale di bandiera? E questi non sarebbero nazisti?!?!? Altro che Le Pen, togliamo il prosciutto dagli occhi per favore.

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    4. Segnalo il blitz della Le Pen alla fabbrica di Amiens. Questa è politica! Entrata in gamba tesa nella tana del lupo!

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    5. c'è un dato di fatto: una campagna fatta a favore del lavoro
      Falso. Quando i francesi hanno manifestato in massa contro la "riforma" del lavoro di Hollande, che introduce la precarietà assoluta italiana in Francia la Le Pen si è schierata contro chi manifestava, in nome dell'ordine. CHi difende l'ordine, difende sempre e soltanto chi è garantito dall'ordine.
      E ripeto per la millesima volta, visto che ormai il virus del pensare "se sei contro Tizio allora sei per forza per Caio" che è una fallacia logica è ormai dominante sul web, che essere contro la Le Pen NON VUOL DIRE ESSERE PER MACRON. Fossi francese, andrei a votare con l'accendino. Che non userei solo sulla mia scheda elettorale.

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    6. L'obiezione è risibile: la Le Pen ERA ALL'OPPOSIZIONE, non certo colei che ha introdotto la legge e scatenato la rivolta.

      E poi non è affatto vero che MLP abbia osteggiato le manifestazioni contro la loi travail:
      "la leader della destra populista, Marine Le Pen, ha parlato di “grave attentato alla democrazia” http://contropiano.org/news/internazionale-news/2016/06/22/parigi-vietato-corteo-loi-travail-dietrofront-080756
      Parlando appunto di "brutalizzazione dei rapporti sociali" e di "aggressione al popolo francese":
      http://www.lefigaro.fr/politique/le-scan/citations/2016/05/25/25002-20160525ARTFIG00310-marine-le-pen-exige-le-retrait-de-la-loi-travail.php

      Tante altre fonti sono agevolmente rinvenibili, per chi non sia superficialmente legato ai propri pregiudizi.

      Comunque la legge lei la vuole abolire e si è conquistata la credibilità sul punto, con la COERENZA di una posizione mantenuta da anni e non opportunistica e tardiva. Il che per i LAVORATORI FRANCESI non è poco.

      Per il resto, poiché le repliche non sono consentite illimitatamente in questa sede, e quelle ulteriori contengono le consuete deduzioni arbitrarie fondate su pregiudizi e imputazioni di pensiero e di intenzioni del tutto arbitrari e immaginari, non perderò neppure il tempo a pubblicarle.

      Veramente: in una lotta finale per la democrazia, non c'è tempo per dare spazio a chi è rimasto irrevocabilmente indietro e non ha né il rispetto di studiare ciò che viene detto nei post, né la predisposizione a dialogare sulla base di cose effettivamente dette. E spiegate (inutilmente: appunto).

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    7. Se abolire la Loi de Travail non è "a favore del lavoro", come al punto del programma nr. 53, o non lo sia la re-industrializzazione o il sostenere le imprese beh, allora non so che veramente che dire... dispiace constatare naturalmente che a dirlo sia la Destra e qualche sparuto rappresentante della estrema sinistra... ma dalla sinistra francese (!) si alzano i toni contro il "pericolo fascista" della Le Pen, e così facendo si favorisce chi (non ho detto si vota, si favorisce, che è diverso) Macron, colui che non ha mai nascosto che uno degli elementi della sua politica presidenziale sarà una nuova legge sul lavoro, ancora più precarizzante della “Loi Travail” di Hollande. E questo va pure ad Amiens a parlare ai lavoratori i quali, giustamente, lo hanno deriso. La logica fallace del contro è quella che ha pervaso non noi del blog, bensì la corsa alle politiche francesi. Un po' come in USA, dove l'unico che poteva davvero fare qualcosa, Sanders, è stato fatto fuori non da Trump, ma addirittura dal fuoco amico!! Dal suo stesso partito (anche se lui era "indipendente"). Robe da pazzi. Nessuno qui è giudice di qualcun'altro, questo è chiaro e palese e lo è sempre stato, ma non possiamo nemmeno per l'ennesima volta passare per "populisti, fascisti, xenofobi" mentre l'establishment elimina uno ad uno gli unici candidati seri che possano, stando a quanto affermano nei loro programmi, imprimere la svolta che da oramai quasi 10anni (ma diciamo pure 30) ci si attende. Altrimenti ci ritroveremo a dover scegliere, come accade oramai da un trentennio, sempre fra gli Hollande ed i Macron. I Gauleiter.

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    8. @amaryllide: assumere più poliziotti, "costruire un'EU(ropa) che protegga" (sic) grazie alla creazione di un sistema di difesa (presumibilmente a costo zero, no?) con la Germania (nota per la sua benevola accoglienza dei "migranti"), 'spe dove l'ho letta 'sta roba? Ah sì!

      Quello che fa... sì! che fa... ecco! quello che c'ha un programma che si chiama... si chiama... sì!
      EN MARCHE!

      Ah no? No? Ma come, dite di no?
      Dite che quello lì non è Le Pen? Strano. Allora può essere solo il programma di .. di... di... ma sì! di Macron, pag. 15 e p. 21.

      Quanto meno, se è da queste cose che si misura il fascismo di qualcuno o meno, sono UGUALMENTE FASCISTI entrambi. Quindi, prima di strillare che tanto non volete dire di votare Macron, piantatela di urlare al lupo su 'ste basi perché l'argomento vi fonde tra le mani. Continuate solo a coprirvi di ridicolo: tutto il vostro ragionamento diventa semplicemente inconseguente.

      Lasciando in più il sospetto sempre più forte che si tratti solo di mera e consapevole propaganda filoUe, quindi filoliberista. Quindi irricevibile: si dice così, no?

      48, certo che questo posto è ben frequentato nelle grandi occasioni! :-)

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    9. [segue] Ah dimenticavo: En marche: la padronanza della lingua francese come criterio principale per l'ottenimento della cittadinanza, p. 19, più poteri alla polizia, aumento delle spese per la difesa fino al 2% del PIL, 15000 posti in più nelle prigioni, la creazione di una GUARDIA DELLE FRONTIERE di 5000 persone p. 15. Ecc.

      A questo punto meglio concentrarsi sul resto dei loro programmi che è esattamente quanto fatto su questo blog.
      Qui le differenze sono pesanti e sostanziali, perché includono le basi economiche strutturali della società. Da un lato gli interessi del grande capitale delle multinazionali, dall'altro un sistema sicuramente paternalistico, ma di difesa dei ceti medio bassi, di un'economia capitalista, certo, temperata dai servizi pubblici, di un'autonomia nazionale che permetterà di conservare i mezzi tecnici per salvaguardarli meglio, non subendo le costrizioni economiche dell'eurozona la cui conseguenza più lampante è la distruzione del diritto del lavoro.

      Piaccia o no, lottare contro la destra comunque la si intenda sarà più facile senza la loi travail che con. E della loi travail Macron ha scritto le premesse con le leggi che portano il suo nome, ripetutamente citate come esemplari nei rapporti UE, e dichiara di volerla ancora inasprire (En marche, p. 9). Le Pen è sempre stata contraria, perché vanno contro la sua base che non è formata dal gran capitale (come era quella del fascismo...), richiamando anche all'ordine su questo punto alcuni parlamentari del suo partito lo scorso anno.

      Prima ce ne si fa una ragione, prima si riuscirà a parlarsi, ammesso che interessi. Altrimenti continuiamo pure a dimenarci come il diavolo nella pila dell'acqua santa: il capitale è lì che si fa due risate. Ma il contesto è questo: farsi sfilare ancora più mezzi o utilizzare quello che gli accendini antifascisti, nella loro sconfinata capacità politica degli ultimi decenni, hanno (purtroppo) lasciato a disposizione.

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    10. Come sarebbe bello se rileggessi. Quando parlo di "base" del fascismo intendo base economica, interessi economici che rappresenta.

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  3. Per me gentili Luigi ed Amaryllide sbagliate.
    E' la sinistra (da sempre) ad essere una via utopica per la catastrofe.
    E chi non condivide l'utopia che non ha mai funzionato viene tacciato di "fascismo" o di essere di destra.
    In realta' si tratta solo di prendere atto che "cosi'" non funziona e bisogna fare "cosa'" .

    Vorrei aggiungere una nota che non ho trovato evidenziata (ne' qui ne' altrove) quando e' stata impostata l'Europa unita (anni 70 - 80 ) la Germania era divisa .
    Il problema nasce dalla riunificazione della Germania che ha assunto un peso non valutato prima.
    Come disse Andreotti: "Voglio tanto bene alla Germania che preferisco tenerne due" .

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    1. Abbi pazienza: questo non è il luogo appropriato per polemizzare con persone che svolgono attività di divulgazione del proprio pensiero e alle quali, in contraddittorio, sarebbe opportuno rivolgersi direttamente.

      C'è chi dichiara apertamente di essere fascista, a prescindere dall'esatta precisazione del senso storico-economico che attribuisce a tale etichetta politica, e che, magari, NON esprime le idee che stigmatizzi.

      E c'è chi NON dichiara di simpatizzare per il fascismo e magari esprime tali idee.
      In questo secondo caso, l'attribuzione di tale etichetta può risultare ingiuriosa nei suoi confronti.

      Ma, più ancora, nella stessa espressione delle tue critiche, puoi ben avvederti come risulti superfluo indicare personaggi con nome e cognome per mantenere la medesima efficacia espositiva.
      Ed anche senza connotare le qualifiche attribuite con colorite espressioni.

      Ripeto: la critica al pensiero di terzi, comunque impegnati in un'attuale attività di manifestazione del proprio pensiero, ancora in corso, è corretto dirigerla in modo diretto verso gli interessati per consentirgli di replicare, e non in questa sede. Ma sempre rammentando di mantenersi entro una cifra espressiva che non travalichi i limiti della correttezza e del confronto civile.

      Capisco il notevole disappunto, ed anche la personale insofferenza (ti conosco e so che nasce da una...sofferenza) che la situazione italiana può legittimamente suscitare: ma non posso fare a meno di richiamarti ai principi espositivi sopra detti.

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    2. Grazie per la comprensione del mio disappunto e della mia insofferenza, e anche per il richiamo.

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    3. Sapevo che avresti avuto la sensibilità di "recepire". Ma il tuo commento, al netto delle "personalizzazioni", è riformulabile e rimane (come sempre) interessante...

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    4. Sì, ho recepito e grazie per la stima che ricambio e ricambierò per sempre. Al netto di tutto, potrei così riformulare il pensiero nel modo più impersonale possibile: l'esportazione della democrazia (e della "giusta" religione) e la Guerra "Santa" verso le aree geografiche "da civilizzare" è l'altra faccia della medaglia dell'importazione degli schiavi-crumiri dalle stesse aree geografiche; è un tutt'uno coerente; finanziato e gestito dal grande capitale. Ma quegli attivisti de destra che sostengono l'esportazione della democrazia (e la conseguente e ineluttabile Guerra contro il Male religioso che minaccerebbe la cosiddetta Civiltà Occidentale) si dividono da quelli de sinistra che sostengono l'importazione degli schiavi-crumiri, e li vediamo sempre in conflitto tra di loro, divisi in due fazioni separate.

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    5. Avevo anche detto, a scanso di equivoci, che condivido totalmente il contenuto del tuo post e l'analisi di Marine Le Pen, che sembra essere diventata, anche per mezzo della sua consapevolezza ed evoluzione personale, la vera candidata di sinistra, e mi sembra che sfugga alla falsa dialettica di cui ho parlato sopra.

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  5. Caro Quarantotto, dopo settant'anni di antifascismo su Marte, il piddinume della sinistra neofascista si contorce nella sua livorosa dissonanza cognitiva, pur di non guardare in faccia il proprio fallimento politico, sociale ed umano. Ossia morale.

    Come ricordava Preve, avvelenato con il gregge della sinistra refugium sfigatorum, questi inabili al pensiero, prima di finire in una bara, « inquineranno tutti i pozzi »

    "Militanti" e "compagni di lotta" che non hanno mai capito una fava. Hanno vissuto di rendita grazie alle lotte, all'impegno umano e alla tensione morale dei loro padri che, della sinistra, del centro o della destra politica, erano convenuti ad una Weltanschauung comune, così come vergata in Costituzione.

    Ossia alla "sinistra economica"; ossia alla realizzazione del socialismo; ovverosia alla democrazia sociale.

    Per capire questi invasati a metà strada tra il settarismo cattolico e l'anarcocapitalismo, va capito cosa è stato il '68. Per capire cosa è stato il '68 basta guardare quale "rivoluzione" ha fatto il giovanilismo tutto Beatles e Rolling Stones: quella sessuale. Ossia quell'erezione della produttività che si innalza sul corpo steso della quota salari.

    Non sapendo cazzo sia il socialismo, non sanno cosa sia l'analisi marxiana, e, di conseguenza, sparano a raffica cazzate tutto lager, zingari ed ebrei.

    Eh, sì! I pregiudizi sui popoli!

    (Ma chissenefrega dei "pregiudizi", poi. La mia prole cercherò di sensibilizzarla sulla "precomprensione", questa sì veramente pericolosa!)

    Il potenziale "rigurgito fascista" della Le Pen, non sarebbe altro che portare avanti le politiche della U€. Ma per capirlo bisognerebbe avere quegli strumenti cognitivi e quelle categorie concettuali della migliore tradizione marxiana.

    Ma dei beoti che pensano che il nucleo negativo del "fascismo" siano stati "l'autoritarismo" e il "razzismo", non fanno altro che abbracciare moralismo e frame spinnato dai think tank neoliberali. Ossia gli antifascisti che sbraitano "Le Pen fascista!" non sono altro che liberali reazionari classici. Con l'aggravante di non sapere di esserlo e senza appartenere alla classe che può permettersi di esserlo.

    (Razzismo e lager sono stati sdoganati nell'800 dai liberali britannici impegnati nel free trade che porta la pace tra i popoli)

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    1. Riguardo il primo link che hai inserito, più che l'analisi del risultato elettorale del primo turno francese, è interessante questa risposta di Giannuli, che riporto integralmente di seguito:

      «può essere che il mio sia un riflesso pavloviano pero ricordo che il gioco di votare per i nazisti contro la socialdemocrazia lo fecero i comunisti tedeschi nel “referendum rosso” Dopo però andò piuttosto male. Vero è che la Le pen somiglia ad hitler come una lucertola ad un coccodrillo, io però certi esperimenti penso sia meglio non farli perche magari dietro la lucertola poi viene in iguana, dietro l’iguana i pirana e così via. Meglio non sdoganare certa roba»

      Che fine analisi politologica! Ritroviamo la stessa putt… lieve imprecisione del primo commento a questo post. Solo che essendo Giannuli un po' meno storico della Domenica pomeriggio, verso l'ora del tè, è costretto a correggere subito il tiro, precisando che il paragone fra Hitler e Marine Le Pen è improprio. Resta però nella mente del lettore il confronto coi nazisti, non la rettifica (che serve solo come alibi posticcio).

      Dobbiamo dedurre che, secondo il nostro, il Maccaròn franzeseenarca, ex banchiere d'affari, ex ministro dell'Economia, libero marchettaro pro-CETA, ardente €Uropeista pro-riforme strutturali, pro-immigrazione con la finalità di accrescere l'esercito industriale di riserva (nota 76, Macron : «L'arrivée de réfugiés est une opportunité économique»: «… et c'est aussi une opportunité économique car ce sont des femmes et des hommes qui ont aussi des qualifications remarquables»; trad.it: «… ed è inoltre un'opportunità economica, perché sono uomini e donne che hanno anche qualifiche eccellenti"»)— sarebbe socialdemocratico(!)

      Bisogna quindi temere il nazismo immaginato, che può arrivare, quatto quatto, al seguito di: una lucertola, un iguana, un piragna e così via. Lo squalo del liberismo reale, che agisce qui ormai da anni, perfettamente incarnato anche dal Maccaròn, non è un pericolo reale che giustifichi lo sdoganare certa roba.

      Di questa posizione abbiamo anche la sfumatura ponziopilatesca di Brancaccio: «Certo, se fossi un elettore francese al ballottaggio non andrei a votare [...] Le Pen e i suoi epigoni sono sintomi funesti, ma è Macron la malattia politica dell’Europa. Scegliere uno per contrastare l’altra è un controsenso». Ha quanto meno il merito di distinguere le cause dagli effetti.

      Questi sottovalutano i danni che causa il protrarsi di questa situazione: a furia di latrare al nazista! Al nazista! e rimanere paralizzati come fessi, alla fine può anche darsi che il nazista arrivi sulla scena; ma non in Francia, nella sua patria naturale.

      Che dire? Non ho parole… solo parolacce!

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  6. Il frame più nefasto, infatti, è il popperiano caposaldo del neoliberismo tutto Rothschild e distintivo, tutto Soros e Società aperte, spalancate: « liberalismo opposto autoritarismo »

    Bella puttanata: come tutta la letteratura storica che conta insegna - e non solo di impronta marxista! - il fascismo è stato storicamente niente altro che la rinuncia al metodo elettorale idraulico e alla cosmesi politically correct dei diritti concessi dalla Stato borghese per garantire la libertà del mercato, ovversia il potere al mercato, ossia alle oligarchie dei rentiers. Punto.

    Il controllo dei media garantito dalla libera stampa (ossia dalla stampa asservita agli interessi "pluralisti" dei proprietari dei mezzi di propaganda) non riusciva a contrastare efficemente le rivendicazioni della classe lavoratrice.

    Il liberalismo funziona se e solo se funziona la grancassa mediatica: il passo successivo è Pinochet. È il fascismo. Non è difficile da capire se non sei piddino dentro.

    Il piddino dentro, poi, crea il fenomeno più idiota che un subalterno possa introiettare: l'anticomunismo.

    Caro @a.masotti, la "utopia" è semplicemente una visione del mondo, un'idea del mondo ispirata da una convinzione etica.

    Antifascismo su Marte e anticomunismo (maccartiano, evoliano, ecc) sono due facce della stessa medaglia adialettica.

    Sono un conflitto sezionale (livoroso) tra subalterni incoscienti.

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    1. Questa tua analisi sul fascismo, secondo te, si può estendere anche al nazionalsocialismo tedesco?

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    2. Certamente.

      Ma bada bene: la tua domanda potrebbe presupporre un approccio filologico che può essere sviscerato, comparativamente, da un filologo del calibro di Arturo. Ma non è necessario.

      L'analisi storico-politica che ripropongo parte da presupposti filologici condivisi da tutta la letteratura che conta, quindi esclude quei think tank tipo MPS (di cui Popper era parte) che si sono occupati di riscrivere la storiografia a suon di slogan pop e frame da massificare tramite l'occupazione totalitaria dei media e dell'accademia.

      Sul rapporto tra Hitler, il gold standard, i lavoratori ed il mercato, Arturo ha fatto delle analisi eccellenti. Nei punti fondamentali, non ci sono differenze col fascismo. E non può non essere così.

      Le differenze tra il nazismo e il fascismo storico non impattano quindi l'analisi delle loro fondamenta comprensibili esclusivamente tramite il materialismo storico, ossia tramite l'analisi della storia politica come storia del conflitto tra classi, ovvero - più propriamente nell'epoca del capitalismo liberale - storia del conflitto distributivo, ovverosia la storia della distribuzione del reddito prodotto tra chi detiene il capitale (i mezzi di produzione, di propaganda o chi direttamente monopolizza la moneta ed il credito) e chi vive del proprio lavoro, magari salariato. Tra rentiers e lavoratori.

      Tutte le fonti storiche descrivono il grande supporto dei liberali al fascismo e i grandi apprezzamenti della finanza internazionale a Mussolini, nei limiti - come dà da intendere von Mises - dell'ingombrante statualismo ed dell'indipendenza politica di un totalitarismo che passa da un partito di massa a carattere populista.

      Già con Pinochet ed in genere con i colpi di stato dovuti all'eversione dei militari corrotti dai Servizi al soldo della finanza internazionale, il "mercato" stesso porta via il ruolo totalitario del "partito" agendo direttamente - lasciando, come diceva il primo Mussolini - uno Stato minimo che « [...] ci dia una polizia, che salvi i galantuomoni dai furfanti, una giustizia bene organizzata, un esercito pronto per tutte le eventualità, una politica estera intonata alle necessità nazionali. Tutto il resto, e non escludo nemmeno la scuola secondaria, deve rientrare nell'attività privata dell'individuo ».

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    3. Il totalitarismo della UE e degli USA non passa praticamente più dai partiti fascisti (ora di "sinistra", cosmetizzando di progressismo l'estrema destra, proprio come inizialmente la spia britannica Mussolini arrivava da l'Avanti!, dal socialismo e aveva un linguaggio da "pseudo-rivoluzionario". Proprio come Hitler e l'anticapitalismo idiota delle SA).

      Proprio come nella "grande società" di von Hayek, ossia il naturale esito della popperiana "società aperta", il costruttivismo liberale porta a destrutturare completamente le organizzazioni sociali, in modo che tutta la rigidissima struttura in classi risulti cosmetizzata da "un finto naturalismo darwinista", "multietnico", "meritocratico", in cui i centri decisionali reali risultano irriconoscibili e, quindi, totalmente deresponsabilizzati politicamente.

      La struttura sociale viene sfruttata "tecnicamente" per ottenere un ordine sociale distopico a favore della pace dei dominanti. L'ultimo mezzo di produzione, ossia la "macchina" per eccellenza, diventa la società umana stessa. Il trionfo del capitalismo e del positivismo.

      Come ricorda Trasimaco a Socrate, quando uno ruba viene in primis moralmente condannato come "ladro", "sfondamuri". Quando qualcuno ruba tutto, compresa la libertà delle persone, ossia fa tutti schiavi, viene acclamato da tutte le persone degli altri Stati.

      Quando il tiranno schiavizza tutta l'umanità, ecco: viene autoproclamato dai servi... "illuminato".

      La pace. Perché, cosa è la "pace"? la pace, come la "libertà", non ha senso se non definita e limitata rispetto al suo oggetto.

      Il federalismo porta sì alla pace e alla sicurezza: a quella dei dominanti che non si devono preoccupare delle rivendicazioni dei subalterni asserviti, schiavizzati e cosificati. Commoditizzati.

      È la pace del sonno del tiranno.

      Questo risultato lo ottieni indirettamente col nazifascismo (e con il rischio degli eventuali colpi di testa del duce o del fuhrer di turno) oppure col liberalismo classico nella sua versione internazionalista, spinelliana, federalista e, di conseguenza, imperialista. Come il nazifascismo.

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    4. Fascismi vecchi:

      … non avrebbe vinto il fascismo se non ci fosse stato, in ultimo, un ulteriore intervento delle forze sociali, in suo aiuto, e fu la Confindustria l’elemento decisivo che determinò la vittoria del fascismo. Fu che a un certo momento questo fenomeno, che prima era il fenomeno dei grandi agrari della Valle Padana, diventò anche il fenomeno, il movimento che interessava i grandi industriali, la grande finanza, il gran capitale. Questo accadde appunto…dopo la crisi del ‘21 che fu una crisi conseguente alla guerra, che si verificò in tutti i paesi, ma che ebbe un aspetto più evidente in Italia perché l’Italia, fra i paesi che si consideravano avanzati, era il meno avanzato, industrialmente il meno progredito…

      Ci fu in Italia - e in tutti i paesi - una certa difficoltà nel trasformare le industrie di guerra in industrie di pace. Prendete una fabbrica che ha fabbricato per anni cannoni, munizioni, e dite: “Adesso vi mettete a fabbricare aratri, automobili, camion”. Non è facile questa riconversione dell’industria di guerra in industria di pace. In un grande paese industriale la cosa era più facile, in un paese più ricco dove il mercato di consumo interno era più munito di possibilità, il fenomeno era più facile. In un paese più povero... Vi dovete immaginare l’Italia di allora: forse metà almeno della popolazione italiana non comprava niente sul mercato, era fatta di contadini che consumavano i prodotti della loro terra, che si facevano in casa il tessuto e i vestiti, che forse avran comprato qualche strumento di lavoro, una zappa... non so, qualche cosa del genere, ma non c’era un mercato corrispondente all’ampiezza della popolazione. In un paese di questo genere riconvertire l’industria di guerra in industria di pace diventò molto più difficile e creò delle crisi estremamente gravi. Le industrie che si erano lanciate nella produzione bellica si erano gonfiate durante la guerra per aumentare (come è normale che avvenga nella industria capitalistica) i propri profitti, si trovarono di colpo a non sapere che cosa vendere. I cannoni non li potevano più vendere e non erano in grado di sostenere la concorrenza straniera per esportare qualche altra cosa.

      Avrebbero avuto bisogno di uno stato che ordinasse locomotive invece che cannoni, vagoni ferroviari, rotaie. Le acciaierie, le industrie siderurgiche, meccaniche, si trovarono in condizioni gravissime. E in modo particolare avvenne che due tra le più grandi industrie italiane, la Ansaldo di Genova e l’Ilva di Livorno, si trovarono di colpo ridotte in condizioni di fallimento. La seconda delle grandi banche italiane, la Banca Italiana di Sconto” che era legata alla Ansaldo di Genova, si trovò anch’essa in gravissima crisi perché aveva finanziato questa industria e non era più in grado di rimborsare i capitali. E fino ad allora “la borghesia italiana - per usare l’espressione di uno storico della borghesia italiana che non era un uomo di sinistra, anzi fu un fascista, Nello Quirici - l’industria italiana aveva sempre vissuto nel bagnomaria delle protezioni statali”.

      Come viveva? Viveva perché lo Stato assicurava le commesse. Già allora c’erano gli scandali, (adesso sono molto più numerosi, quasi normali gli scandali delle forniture alle stato). Ci fu soprattutto lo scandalo delle acciaierie di Terni: risultò che il Ministro della Marina era in combutta con le acciaierie Terni per ordinare le corazze delle navi…
      . (segue)

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    5. Ma allora lo Stato si trovò tra i piedi questa situazione di crisi grave, con grandi industrie che stavano crollando, la seconda delle grandi Banche - la prima era la Banca Commerciale Italiana - che stava crollando, e che chiedevano allo Stato di intervenire con enormi somme per aiutarle. Il vecchio liberalismo italiano non concepiva questa funzione dello Stato. (Oggi il capitalismo non vive senza il continuo intervento dello Stato in suo aiuto, ma allora non esisteva questa forma).

      Giolitti rifiutò questo aiuto, come aveva rifiutato di intervenire quando gli operai nel ‘20 avevano occupato le fabbriche. Anche allora gli industriali avevano chiesto allo Stato di intervenire con la polizia per scacciare gli operai dalle fabbriche, e Giolitti aveva dato la risposta del buon senso, aveva detto: “Ma guardate che finché gli operai stanno nelle fabbriche non fanno la rivoluzione, la rivoluzione si fa quando si esce dalle fabbriche, quando ci si chiude nelle fabbriche non si fa nessuna rivoluzione, lasciateli stare, un certo giorno se ne andranno”. E così fu. L’occupazione delle fabbriche si sgonfiò da sé, però anche questo per gli industriali è stato un affronto, è stato un affronto alla santità della proprietà, la cosa più sacra che esista per il borghese, per il capitalista, la proprietà privata.

      Che gli operai avessero occupato le fabbriche nel ‘20 era già stato un affronto, ma che lo Stato nel ‘21, quando ci fu la crisi, rifiutasse di intervenire, tirar fuori quattrini, darli alle banche, alle industrie, questo fu un elemento decisivo.

      LA CONFINDUSTRIA…

      Fu a questo punto, verso la fine del ‘21, che si costituì la Confindustria: la confederazione degli industriali, che non esisteva ancora in Italia. Essa decise che il modo di uscire da questa situazione era che la Confindustria stessa, si impadronisse dello Stato e potesse governare, direttamente o per interposta persona obbediente, lo Stato.

      ...E IL FASCISMO DI MUSSOLINI

      E pensò che il fascismo di Mussolini potesse essere l’occasione buona. Le vostre generazioni, e in fondo anche noi, siamo abituati a pensare al Mussolini dittatore per vent’anni, ma allora Mussolini era un giornalistucolo ex-socialista che aveva inventato da poco questo fascismo, non era un personaggio. Era un personaggio che si era venduto alla Francia per diventare interventista, un personaggio che si comprava e che si pagava. Gli industriali si illusero, ma in realtà non si illusero veramente perché Mussolini, a parte alcune apparenze, servì gli industriali italiani come volevano, anche se ne mandò di quando in quando qualcuno al confini per dimostrare che il padrone era lui: ma la classe degli industriali la servì sempre.

      Gli industriali pensarono che se avessero appoggiato il fascismo e lo avessero mandato alla conquista dello Stato, avrebbero avuto finalmente a capo del Governo non un liberale di antico stampo come il Giolitti, che credeva in una certa funzione delle Stato, in certi diritti dello Stato, che non credeva che lo Stato dovesse obbedire al primo Agnelli che arrivava a dargli un ordine, ma un servitore obbediente. Come praticamente ebbero nel fascismo. È quando la Confindustria si decise a gettare il peso della sua forza economica, sociale, la, sua stampa, i suoi giornali, a passare dalla parte del fascismo, è da allora, dalla fine del ‘21, che il fascismo vince definitivamente la sua battaglia. Prenderà il potere poi nell’Ottobre del ‘22. Ma l’elemento che decide la vittoria del fascismo è il passaggio della Confindustria da quella parte
      (segue)

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    6. Infatti, Mussolini, quando arrivò al potere, fece immediatamente una serie di provvedimenti legislativi a vantaggio del grande capitale italiano. Ecco cos’è stata l’origine del fascismo, ecco perché ho detto che ci fu un fenomeno congiunturale: la crisi (se non ci fosse stata quella crisi probabilmente non avremmo avuto il fascismo; e ci fu un fenomeno strutturale, cioè la struttura dell’industria e dell’economia italiana) era tale che il capitalismo non era più capace, come era stato in passato, di superare da se stesso la crisi. Perché crisi economiche molto più gravi del ‘21 ce ne erano state in precedenza: c’era stata la crisi degli anni 1845-46-47, da cui era nata la grande rivoluzione del ‘48 che noi conosciamo anche in Italia. La crisi era nata allora da una malattia delle patate, in Irlanda; ma poi si era estesa in Europa poco a poco e da quella crisi tutta l’Europa subbuglia (‘48-49), però il capitalismo l’aveva superato da sé. C’era stata la crisi del 1857, gravissima, con fallimenti su larga scala, che venivano già superati. C’era stata quella che si chiama la “lunga depressione” che durò dal luglio 1873 fino al 1891-92, vent’anni di crisi, ma il capitalismo l’aveva superata. Ce n’era, stata ancora al principio del secolo, e il capitalismo l’aveva superata. Il fatto nuovo che determina il fascismo è che di fronte ad una crisi che non era certamente fra le più gravi, il capitalismo non ha più in sé la forza di superare la crisi e deve allora cominciare ad utilizzare lo Stato.

      SIMBIOSI TRA ECONOMIA E POLITICA

      In questo senso il fascismo italiano anticipa un processo che poi si generalizzerà: cioè la simbiosi tra Stato e capitalismo, fra economia e politica. A un certo momento per non tenere in movimento - in quel caso per rimettere in movimento il meccanismo del profitto che si era fermato, e oggi viceversa per mantenere costantemente in movimento il meccanismo del profitto - è necessario che ci sia questa simbiosi fra Capitale e Stato. Lo Stato diventa l’ausiliario quotidiano del capitalismo. Ormai il capitalismo non vive senza un intervento continuo dello Stato....

      Il fascismo creò l’IRI. Di fronte alla grande crisi del ‘29, quando minacciavano di crollare tutte le industrie italiane, l’Istituto della Ricostruzione Industriale, fu una specie di ospedale delle industrie, per risanarle, per aiutarle. Oggi tutti sanno che l’economia americana non vivrebbe più di sei mesi se non ci fosse questa simbiosi tra lo Stato e l’economia. Il fascismo italiano in questo senso fu un anticipatore, perché l’Italia era un paese a economia più debole e quindi questo aiuto era più necessario. Allora fu necessario perché c’era una crisi e lo stesso fenomeno si ripeté in Germania dopo la grande crisi del ‘29-31. Quella fu sì una crisi enorme, la più grande che il capitalismo abbia mai conosciuto, che lasciò milioni e milioni di disoccupati. Questi, ridotti a sottoproletariato, si rivolsero a Hitler, si rivolsero ai fascisti con una sola speranza, perché i partiti tradizionali e lo Stato tradizionale non erano in grado di dare una soluzione ai loro problemi di disoccupazione e di miseria.

      Quindi ANCHE IL NAZISMO TEDESCO NASCE DA QUESTA DOPPIA COINCIDENZA: UN FATTO CONGIUNTURALE - cioè una crisi economica, quella del grave ‘32 - E UN FATTO STRUTTURALE, la incapacità del capitalismo tedesco, che pur era il più potente tra il capitalismo dell’Europa continentale, di uscire dalla crisi senza impadronirsi dello Stato. Se voi andate a vedere e a studiare le origini del nazismo, vedete fenomeni analoghi, vedete ad un certo momento la confederazione degli industriali tedeschi decisi ad appoggiare Hitler, che sono allora i Krupp, ci sono gli Hintless, tutti grandi industriali della Germania che danno a Hitler i mezzi per armare le squadre, per fare quello che fece il fascismo italiano. Hitler fece tutto in scala molto più larga
      ” (segue)

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    7. E n€o-fascismi irenici e neo-colonizzanti:

      … il capitalismo deve essere padrone dello Stato. Questo è oggi il vero pericolo che minaccia il mondo e che ha dato luogo alle dittature militari dell’America. Perché noi abbiamo oggi un continente intero in cui sono aboliti i diritti dell’uomo, in cui gli operai non hanno il diritto di scioperare..., perché il grande capitale mondiale ha bisogno di avere queste forme di colonia che sono gli stati dipendenti dove si vanno a stabilite certe fabbriche. Un ingenuo, forse magari non ingenuo, dirigente di una grande fabbrica italiana, che è andato a stabilire una succursale di una grande fabbrica in Brasile a Belo Horizonte, in un’intervista a un giornale ha detto: “beh, abbiamo trovato nel Brasile un paese dove gli operai non possono scioperare, dove i sindacati sono fatti dallo Stato e non possono assicurare contratti di lavoro, dove non ci sono elezioni libere e quindi non si corre neanche quel terribile pericolo che è il centro-sinistra, neanche quello! E questo è il paradiso per una società multinazionale. Noi veniamo qui”.

      È chiaro che nella misura in cui queste grandi multinazionali, come oggi si chiamano, possono andare a stabilire fabbriche in questi paesi dove pagano poco la mano d’opera, pochissimo, perché gli operai non hanno mezzi di difesa, indeboliscono la classe operaia del loro paese per mettervi le grandi multinazionali americane o anglo-olandesi: la Shell, la Philips, la GM, la ITT, la IBM. Che forza ha la classe operaia e impiegatizia che lavora nella IBM italiana o nella GM tedesca? Può scioperare... Quando ha scioperato quelli chiudono la succursale italiana o tedesca, ma hanno nel mondo altre 15 o 20 fabbriche che lavorano, e se ne infischiano! Se ne infischiano perché quelli continuano a produrre e a vendere. Cioè l’esistenza delle multinazionali e l’esistenza di paesi sottoposti a queste forme di dittatura e di oppressione, indebolisce anche la classe operaia dei paesi più sviluppati…

      A mio parere oggi vedere il pericolo del fascismo più che nelle dittature che si devono combattere per carità, dobbiamo combattere le battaglie di ogni giorno contro i tentativi fascisti vecchio stile, le forme nostalgiche, dobbiamo combattere le aggressioni, tutte queste forme, le minacce di colpi di stato di generali golpisti, ecc. Ma C’È UN PERICOLO PIÙ NASCOSTO E, A MIO GIUDIZIO, PIÙ GRAVE CHE CI MINACCIA: LA TENDENZA DEL GRANDE CAPITALE MONDIALE A CONCENTRARE IL POTERE IN POCHISSIME MANI. Secondo gli economisti prima della fine del secolo le grandi compagnie, le grandi società multinazionali che domineranno il mondo non saranno più di cinquanta. Non saranno più di 50 i manager, i padroni, che nel chiuso dei loro uffici a New York oppure a Londra o a Francoforte o ad Amsterdam decideranno del destino vostro perche io probabilmente che ho 72 anni, non ci sarò più, ma voi ci sarete. Ognuno dovrà accettare di essere una rotella impercettibile di un meccanismo messo in essere da forze lontane ed ignote per produrre il profitto del grande capitale. Per permettere a questi 50 manager di aumentare in ricchezza e in potenza l’umanità dovrà subire la schiavitù più umiliante e più degradante che non è soltanto la schiavitù dello sfruttamento economico, ma è questa forma di schiavitù ancora maggiore che è lo svuotamento dell’intorno della coscienza umana. Gli uomini devono essere schiavi ed essere contenti di essere schiavi, ringraziare i loro padroni
      (segue)

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    8. C’è stato uno storico americano che ha scritto per spiegare la differenza di trattamento che negli USA hanno avuto i negri rispetto agli indiani, i cosiddetti “pellirosse” e ha detto: “I pellirosse non hanno capito che dovevano accettare di essere schiavi, i negri hanno capito. Se anche i pellirosse avessero accettato di fare gli schiavi avrebbero trovato dei padroni benevoli che li avrebbero trattati bene, paternalisticamente. Voi sapete quali padroni buoni e paternalisti hanno trovato i negri, come sono stati trattati, come sono trattati tuttora. Invece hanno voluto essere liberi e non c’era altro che sterminarli, che ammazzarli perché l’economia americana doveva andare avanti: o schiavi eliminati o complici di questo regime…” [L. BASSO, Le origini del fascismo, Savona, Centro giovanile, cicl., 10-45].

      Posto quanto sopra, i visionari del fascismo patafisico dovrebbero spiegare in quale punto del programma della Le Pen si avallerebbe la simbiosi strutturale tra capitalismo (globalizzato) e Stato

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    9. Grazie Francesco, stai diventando "peggio" di Arturo.

      Grazie per il supporto filologico del più grande studioso marxiano del'900, insieme a Gramsci.

      La sterminata cultura di Lelio Basso e la sua tensione morale sono state e rimangono modello per chi resiste a questa distopia incipiente.

      (Alla classe egemone italica va riservato lo stesso disprezzo e lo stesso odio che ha riservato storicamente agli italiani)

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  7. Vivo in una città,Ancona,nella quale si sente molto il peso dell' oligarchia ordoliberista che dall'accademia(la facoltà d' economia esprime nella giunta comunale diversi assessori e il sindaco ha come grande elettore un think tank legato all' ambiente dei docenti universitari)ha colonizzato il partito erede del vecchio Pci.S' abbinano,rafforzandosi vicendevolmente, due tipi d' elitismo nei comportamenti di questa oligarchia( il pd non supera nella mia città i 200 iscritti) a quello degli appartenenti,per via accademica, al"quarto partito"(copyrigth by De Gasperi) s' aggiunge quello ereditato dall' appartenenza alla dirigenza del partito di massa ,un urticante elitismo al quadrato.Con la scomparsa della ragion d'essere dei partiti di massa ne è rimasta infatti la loro burocrazia politica che ha gli atteggiamenti dei difensori degli interessi delle maggioranze (non quindi utopie ma interessi di classe)posti però ,ormai,al servizio delle minoranze portatrici degli interessi della classe prevalente ,cioè al servizio della distopia liberista.Infatti sono,nell' ambito locale, gli autori della privatizzazione tutto ciò che era pubblico.Concludo facendo notare che abbiamo un vantaggio rispetto alla Francia possiamo rivendicare il compito della Repubblica ,l' attuazione dell' uguaglianza sostanziale inequivocabilmente indicata nell' articolo 3:cè materia per fondare e far crescere decine di partiti

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  8. I'AM BLUE
    (otc .. per i diversa/mente europei: sono triste)

    Eh, si .. c'ero anch'io a leggere stampate sui cartelli a sfondo blu le menzogne più menzognere, tra le quali la "migliore" è COCO CHANEL PATRIOTA EUROPEA.

    C'ero anch'io e, senza aver bevuto l'acqua lisergica, ho avuto l'allucinante visione di vedere quella piazza profanata dai nuovi miliziani, compatti ascari - Basci Bazuk - assoldati da rentiers che se la godevano, ridacchiosi, sulle balconate.

    ..





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  9. Ottimo articolo, complimentoni!!

    Comunque, c'è anche da dire che al fatto che Macron abbia preso 1 voto su 4 non corrisponde il fatto che in Francia fra i percettori di reddito ( autonomo o subordinato ) 1 su 4 sia davvero benestante,insomma, per Macron hanno anche votato molti francesi appartenenti alla classe media che si sentono più sicuri con lo status quo e/o sono vittime della propaganda in negativo dei mainstream francesi nei confronti delle formazioni politiche cosiddette sovraniste!!

    Ovvio che se vincerà Macron e se poi dopo Macron ci sarà un altro Macron ( lui stesso o un altro molto simile ), faranno ( i francesi appartenenti alla classe media che votano Macron e simili ) la fine delle rane bollite!!

    Comunque, a titolo di possibile utile spunto integrativo da un punto di vista storico, di seguito un interessante articolo, eccolo arriva!!

    http://www.libreidee.org/2014/03/il-socialista-hitler-riusciro-dove-marx-e-lenin-fallirono/

    Cordiali saluti.

    Fabrice

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  10. I fatti sono ormai totalmente ignorati dal sistema mediatico dominante, conta solo la ‘narrazione’, e questa racconta da anni che Marine Le Pen è fascista, dunque invotabile, malgrado nulla nel suo programma giustifichi tale asserzione. Purtroppo la maggior parte delle persone, in Francia come in Italia, ha introiettato anni di propaganda euroliberista, e il risultato è che vota Macron che gli promette altri tagli al welfare, altra austerità, altre cessioni di sovranità. (Anche se a ben vedere le percentuali di voto per il banchiere non sono poi tanto impressionanti, se mai è il voto a Le Pen che è stato fortemente indebolito dalla pregiudiziale di cui sopra). A costo di andare O.T. (ma neanche tanto), vorrei poi condividere con 48 e i lettori la mia personale sensazione di scoramento e quasi di incredulità al vedere le foto dei manifestanti di Milano, che celebrano il 25 aprile vestiti di blu, mentre inneggiano ai successi dell’Europa dei banchieri, e festeggiano la distruzione dei diritti sociali scritti nella nostra costituzione, e la totale precarizzazione delle prossime generazioni, quindi dei nostri e dei loro figli. E sono certo che fra costoro non vi sono solo 'garantiti', ma anzi molti che sono o saranno vittime di quelle politiche che con tanta entusiasmo stanno celebrando. Devo dire che guardando quelle immagini mi vergogno per loro, ma nel contempo non riesco in alcun modo a giustificarli; se fossi credente mi verrebbe da pensare “perdona loro perché non sanno quello che fanno”, ma non lo sono e il perdono non fa parte della mia cultura, quindi spero solo che chi ha partecipato a quella triste pagliacciata osannante ai peggiori crimini sociali ed economici di questi ultimi vent’anni se ne possa un giorno amaramente pentire.

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  11. Una piccola riflessione dopo questo 25 aprile.

    Mai vista una carnevalata del genere. Sono capitato per sbaglio in una specie di festa buonista dell'accoglienza in cui c'erano TUTTI, giuro, proprio tutto l'assortimento con un effetto complessivo minuzioso e allucinato che sembrava di essere in un dipinto di Hieronymus Bosch.
    Ma questa è un'impressione "après ce que j'ai vu, avec ce que je sais" come cantava Aznavour.
    E qui ci sta la solita poesia di Brecht, che però scriveva quando certe cose erano ancora più evidenti.

    La Costituzione italiana ha lavorato bene per anni, la promozione sociale ed economica di massa c'è stata e le reti di sicurezza hanno fatto il loro lavoro... cedendo progressivamente, com'era inevitabile. Oggi si propone con entusiasmo di ridurle drasticamente, ma ce ne sono ancora.

    Che Marine Le Pen abbia camminato per anni nell'ombra di suo padre (da cui poi ha preso duramente le distanze) lo sappiamo tutti, grazie. Capire che "siamo ad appena un centimetro" da "rinunciare alla fase elettorale", come commenta 48 nel post precedente, richiede un maggiore lavoro di comprensione.
    Per tornare a Brecht, c'è ancora un sacco di gente cui "la vampa non strina le sopracciglia" - d'altra parte in Francia la mappa del voto al FN coincide bene con quella della disoccupazione. Da noi le famiglie (amorali, quando non sono dinastie) hanno accumulato un po' di risorse... che stanno consumando.

    È esasperante discutere con chi non vuol capire o spera di non capire, ma la situazione lavora, con le cattive, per fornire strumenti di comprensione a chi non è abbastanza "incentivato".

    Come dice Poggio, tiremm innanz.

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    1. Eh sì, confondere tutela del lavoro, fingendo che non esista il conflitto distributivo col capitale, con populismo nazionalista, e quindi fascista, guerrafondaio e xenofobo, porta alla delegittimazione permanente delle rivendicazioni del lavoro stesso.

      Questo non è un incidente di percorso, come appare ormai ovvio: è un disegno culturale preordinato.

      Dunque, se il corpo elettorale ha la colpa imperdonabile di rappresentare gli interessi occupazionali, e alla dignità esistenziale, di chi inevitabilmente ne compone la maggioranza, (che non è detto che, stante il frame mediatico dominante, si coaguli nelle urne, peraltro), le soluzioni cui perviene la strumentale accusa di fascismo alla Le Pen (che non è necessariamente la soluzione migliore, ma è certamente, dati i rapporti di forza e la desovranizzazione €uropea, l'unica soluzione sul tappeto), sono due:
      - o si abolisce...il corpo elettorale nella forma attuale (ritorno al suffragio limitato col metodo censitario);
      - o si abolisce il processo elettorale.

      Ad entrambe queste soluzioni aspira l'€uropa: divengono inevitabili quando il "livello di guardia" dello scontento sociale non renda più funzionale, di fatto, a entrambe le soluzioni, il dilagare dell'astensionismo (sintomo, scientificamente accertato, dell'essersi già instaurato un ordine liberal-liberista).

      Quindi, la linea di resistenza dell'€uropa si svilupperà nel reclamare sempre più l'irrilevanza dei voti nazionali: sarà probabilmente rafforzata l'istituzionalizzazione di regole che ne prevedano un'efficacia meramente consultiva, ma non più legata alla fissazione dell'indirizzo elettorale (cosa di cui sono traccia sia il programma stesso di Macron, sia le proposte, qui gà esaminate, di "riforma" dei trattati con l'istituzionalizzazione della trojka con l'ESM in funzione di euro-FMI dedito alla dettatura di "memorandum" dettagliatamente condizionali).

      Eppure l'insulation dei governi dal "parlamentarismo" elettivo era proprio la caratteristica propria del gold standard (secondo Eichengreen, mica Lenin); e i fascismi novecenteschi, come ha ribadito Bazaar, lo strumento di default escogitato alla bisogna dalle oligarchie capitalistiche.

      Se la Le Pen risulta l'ostacolo principale a questo disegno, e anzi, il motivo di un accelerazione della sua necessità (autoprotettiva delle elites mercatiste), non sarebbe il caso di dismettere l'antifascismo su Marte e studiare la Storia senza ipocrisie e in preda alla fregole della propaganda dei media-masters?

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  12. E’ grottesco constatare quanto, limitandoci pure al piano repressivo dell’autoritarismo, tralasciando, per quanto possibile, quello dell’assetto sociale complessivo (cioè del rapporto fra società civile e Stato, ossia la forma di Stato, dove va cercata in prima battuta la dimensione autoritaria anche del liberalismo), gli “antifa” finiscano col banalizzare il fascismo. E allora apriamo un attimo l’opera generale di presentazione del fenomeno scritta da quello che è forse il più insigne storico vivente del fascismo, nonché allievo prediletto di De Felice, cioè Emilio Gentile (Fascismo. Storia e interpretazioni, Roma-Bari, Laterza, 2002, pp. 71 e ss.) in cui il nostro elabora una definizione del fascismo che fa perno su una triplice dimensione: organizzativa, ideologica e istituzionale. In quella organizzativa, il fascismo esprime un movimento che "mira ad acquisire il monopolio del potere politico, usando il terrore, la tattica parlamentare e il compromesso con i gruppi dirigenti, per creare un nuovo regime, distruggendo la democrazia parlamentare".

    Su quello istituzionale il fascismo può contare su “un apparato di polizia che previene, controlla e reprime anche con il ricorso al terrore organizzato, il dissenso e l’opposizione”. Le operazioni di polizia contro oppositori del regime — terminate con arresti, sequestro di armi e opuscoli di protesta, chiusura di luoghi di incontro — in una settimana media normale del 1930 ammontavano a una cifra di circa *20.000* (De Felice, Mussolini, III, I, Einaudi, Torino, 1974, pag. 83). Solo per fare un esempio, però significativo, nel 1938 un fabbricante di bretelle napoletano schedato come comunista fu condannato a cinque anni di confino…perché aveva comprato un apparecchio radio a rate! Il sospetto che potesse usarlo per ascoltare le trasmissioni antifasciste che provenivano dalla Spagna, dati i suoi precedenti e le modeste condizioni economiche, fu ritenuto sufficiente per la condanna (notizia e relativi documenti in P. Spriano, Storia del partito comunista, III, Einaudi, Torino, 1970, pag. 185).

    Torno a Gentile, che individua un altro elemento chiave nell’analisi istituzionale: “Un partito unico che ha la funzione di assicurare, attraverso una propria milizia, la difesa armata del regime, inteso come il complesso delle nuove istituzioni pubbliche create dal movimento rivoluzionario; di provvedere alla selezione dei nuovi quadri dirigenti e alla formazione della “aristocrazia del comando”; di organizzare le masse nello Stato totalitario, coinvolgendole in un processo pedagogico di mobilitazione permanente, emozionale e fideistica; di operare all’interno del regime come organo della “rivoluzione continua” per l’attuazione del mito dello Stato totalitario nelle istituzioni, nella società, nella mentalità e nel costume”.

    Mi fermo qui, credo possa bastare per capire che si parla di un fascismo che forse esisterà su Marte; sulla Terra direi proprio di no.

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    1. Grazie Arturo, per le precisazioni esplicitamente limitate al versante dell'autoritarismo.
      Questo è un punto di vista noto: "ai miei tempi", era la definizione standard di totalitarismo statualista, più che di fascismo in sè.

      Un manuale, che sò, di diritto privato, come il Rescigno, aggiungeva a ulteriore immancabile connotazione, la qualità antilavoristica e monoclasse che caratterizzata l'intera operazione autoritaria (che, poi, sul piano giuspubblicistico era oggetto di trattazione solida e approfondita da parte di Mortati o Giannini).

      Anche lo stalinismo, per parte sua, poteva offrire tutte e tre queste caratteristiche istituzionali (ovviamente si può spaccare il capello in quattro relativamente al residuo "parlamentarismo" ed ai sistemi di selezione della classe dirigente). Ma fenomenologicamente, alla fine, siamo lì. Sul piano dell'autoritarismo...

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    2. Lo stesso Dewey, il grande e sincero democratico americano di estrazione "liberale", affermava già l'ovvio negli anni '30: « The reactionaries are in possession of force, in not only the army and police, but in the press and the schools. The only reason they do not advocate the use of force is the fact that they are already in possession of it, so that their policy is to cover up its existence with idealistic phrases—of which their present use of the ideas of individual initiative and liberty is a striking example. »

      Il limite del fascismo classico, per un elitista, è quello del populismo: diventa più difficile esaltare le folle dopo aver fatto i Bava Beccaris.

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    3. Elysium: in USA c'è chi la pensa come noi.

      Sempre più polarizzazione del reddito, sempre più neoliberismo, sempre più neofascismo internazionalista.

      « Increasingly it would seem they have to limit democracy -even further- to remain in power. So count on that happening too

      But don’t count on all these countries surviving as sovereign nations. The chasms are widening too fast and too much.
      »

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  13. “The liberty of a democracy is not safe if the people tolerate the growth of private power to a point where it becomes stronger than their democratic state itself. That, in its essence, is fascism.”

    - Franklin D. Roosevelt, speech to the Congress, 1938

    “We may have democracy, or we may have wealth concentrated in the hands of a few, but we can’t have both.”

    - Louis Brandeis, Supreme Court Justice, 1939

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