martedì 11 aprile 2017

GRILLO COME ICHINO: MA MOLTO PIU' EFFICACE


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1. Mentre in Francia, sia pure nella visione ottimista "della volontà" propria di Sapir, si discute della plurale offerta politica "nuova" contrapposta a quella "vecchia", cioè quella che propugna la prosecuzione dell'€uropeismo della disoccupazione e della deindustrializzazione, in Italia le cose vanno peggio che mai.
Il leader dell'attuale maggior partito di opposizione, destinato nei sondaggi ad assurgere a primo partito alle prossime elezioni, si produce in una dichiarazione in cui, chiaramente, il neo-liberismo, (forse a sua insaputa), si esprime tipicamente nel modo dissimulato che caratterizza la sua forza comunicativa nell'era €uropeista: cioè, nel proporre come innovative idee che sono la consueta e suggestiva cosmesi ripropositiva di quelle vecchie, e restauratrici, del capitalismo sfrenato.

2. Le dichiarazioni in questione si basano su due proposizioni di principio essenziali:
a)  «Difendere il lavoratore significa anche promuovere forme nuove di democrazia e partecipazione sui luoghi di produzione, tagliando al tempo stesso i vecchi privilegi e le incrostazioni di potere del sindacato tradizionale»
b) «La presenza e l’incidenza del lavoratore nella governance della propria impresa va disintermediata»

Il Corsera, nel riportare la notizia, segnala subito una precedente presa di posizione, coerente e complementare, del 2013:  «Eliminiamo i sindacati — diceva nel 2013 a Brindisi durante il suo Tsunami tour — che sono una struttura vecchia come i partiti politici. Non c’è più bisogno di loro, le aziende devono essere di chi lavora».

3. Mettendo insieme questi principi emergerebbe questo schema fondamentale: poiché il sindacato si caratterizza(va) come organizzazione che trascende la singola azienda e propone soluzioni "collettive" estese a interi settori economici di contrattazione (appunto sindacale e perciò "collettiva"), e poiché questo tipo di azione esige un apparato che non è determinabile completamente dalla volontà dei singoli lavoratori di ciascuna azienda, limitiamo questa gestione accentrata e di settore a favore di un'azione di diretta partecipazione dei singoli lavoratori (parla infatti di "disintermediazione della presenza e incidenza del lavoratore") alla governance della propria azienda.  
Nell'antecedente del 2013 parrebbe altresì che questo sarebbe da accompagnare con un riassetto della proprietà delle imprese - che, rammentiamo, sono normalmente in forma societaria e, sempre più (nell'ambito della "ristrutturazione" propria delle politiche €uropee), di dimensioni tali da implicare un capitale (in azioni o quote) di cospicuo ammontare finanziario, seppure depresso nei valori dalla continua crisi indotta dall'austerità fiscale.
Ma questo discorso non entra in gioco nella "dichiarazione" (la realtà socio-economica è come se non esistesse: esistono solo le categorie del "vecchio" e del "nuovo", autolegittimate dalla forza della predicazione), sebbene rinvii ineluttabilmente al fatto che questo capitale diviene, sempre più, di proprietà estera.

4. Insomma, la condivisione della governance, cioè dei poteri effettivi di indirizzo e gestione aziendale, significa normalmente compartecipazione al capitale, cioè proprietà di quote significative - cioè tali da garantire la partecipazione alla maggioranza di controllo- di esso da parte di chi compone la governance. 
Ma è pensabile che il controllore nazionale, o, sempre più, estero, del capitale, sia disposto a cedere una parte della partecipazione di controllo che caratterizza la convenienza stessa del suo investimento?
Ed è poi pensabile che i lavoratori di una singola unità aziendale possano mai disporre del risparmio in misura tale da divenire compartecipi di controllo del capitale sociale, quando a malapena le retribuzioni attuali tendono a quel "livello di sussistenza" che è proprio della teoria del valore neoliberista mai come ora in auge?

5. Potrebbe ipotizzarsi che la dichiarazione attuale alludesse all'attuazione, in realtà finora mancata, dell'art.46 Cost.: 
"Ai fini dell'elevazione economica e sociale del lavoro e in armonia con le esigenze della produzione, la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende". 
Ma, anzitutto, se così fosse, ci sarebbe stata una opportuna, se non ovvia, citazione della base costituzionale del principio che si voleva affermare; ma questo richiamo è mancato del tutto.
E la cosa non sorprende poiché la Costituzione economica, nei suoi precetti specifici e nel suo senso sistematico complessivo, come sappiamo, è esattamente ciò che il paradigma €uropeo ha posto in stato di sospensione sine die, sicché l'intera politica rappresentata in parlamento, da anni, si fa un vanto di considerarla un orpello del passato e fa a gara nel disapplicarla in nome dei principi supremi dei trattati: liberalizzazione&privatizzazione e flessibilizzazione del lavoro-merce.

6. Ma ciò che esclude un'allusione alla previsione costituzionale è la connessione con la "eliminazione" dei sindacati: queste strutture "vecchie", che accumulano "privilegi" e "incrostano" il mercato del lavoro, con la loro azione in sede contrattuale collettiva e di tutela sulla sua applicazione, sono in realtà considerate, dalla stessa Costituzione, cumulativamente applicabili insieme con l'art.46
La partecipazione alla gestione dell'azienza, nelle modalità che leggi specifiche possono prevedere, è uno strumento in più, aggiuntivo rispetto all'azione sindacale, di "elevazione economica e sociale del lavoro", non l'unico ammissibile dalla "modernità" dell'ordine del mercato e della globalizzazione.

Ora, poiché il sindacato, il contratto collettivo, la vigilanza organizzata e stabile della sua applicazione, sono strumenti di tutela che i lavoratori hanno prodotto da soli, spinti dalla fame e dalla disperazione, come reazione alla pressione aggressiva dei proprietari dei mezzi di produzione, per poter arrivare ad avere "un'esistenza libera e dignitosa" (art.36 Cost.: legata alla condizione del lavoratore, non a quella di disoccupato provocata dalla flessibilizzazione totale del lavoro), la disattivazione dell'organizzazione sindacale e la concessione di una governance partecipata, ma senza la possibilità realistica di accesso alla proprietà del capitale, non paiono poter essere il prodotto spontaneo della volontà della classe lavoratrice. 

7. Piuttosto, la soluzione risulta, inevitabilmente, ascrivibile agli interessi della controparte, cioè della proprietà del capitale: intanto si elimini l'influenza del sindacato nei rapporti d'impresa (e la precarizzazione creata, ormai definitivamente, dalle riforme del lavoro e dalla liberalizzazione del capitale già, nei fatti, hanno in gran parte prodotto questo effetto, voluto, come evidenziava Galbraith); poi, magari si faranno dei referendum per ratificare scelte già operate da chi gestisce effettivamente l'azienda.

Insomma, il quesito tipico, ogni quesito, sarà sempre accompagnato da un'alternativa, la prima delle quali è fissa ed immutabile e la seconda una domanda retorica che vincola la risposta: 
"...sapendo che l'alternativa è la chiusura dell'azienda e/o il licenziamento (parte fissa ed immutabile), volete voi liberamente decidere di...Es;  aumentare gli orari di lavoro oltre i limiti stabiliti nel contratto di lavoro, o lavorare nei giorni festivi, ovvero accettare di lavorare in un'unità produttiva ubicata a grande distanza da quella presso cui si è stati assunti, o essere assunti, con un contratto ad inquadramento e retribuzione deteriori, presso un'altra impresa a cui viene esternalizzata parte della produzione?"

8. In fondo, Grillo, mostra di avere una maggior efficienza nel propugnare gli stessi effetti finali senza doversi sobbarcare di complesse analisi della obsolescenza del quadro costituzionale sulla tutela del lavoro e della "necessità" di evolvere l'applicazione dei trattati verso il massimo predominio del sacro principio della libera concorrenza che, naturalmente, avvantaggia "gli interessi dei consumatori e utenti", senza avere "il difetto di considerare gli interessi dei lavoratori" (! Sic).

In sostanza, non riuscendosi ad immaginare un diverso esito del modello che deriverebbe dalla "dichiarazione" in questione, si tratterebbe di ampliare la flessibilizzazione del lavoro, cioè la deriva neo-liberista propugnata dall'€uropa come realizzazione della piena concorrenza, benefica per "utenti & consumatori", (ma specialmente per i profitti del capitale finanziarizzato), sfruttando il fastidio e l'ondata di disaffezione moralistica che investono il sindacato allorché rimanga in mezzo al guado di una restaurata società ordoliberista e, perciò, la sua azione perda di pratica efficacia e divenga una semplice agonia tesa, miopemente, all'autoconservazione.
La reazione a questa tendenza, in verità, sarebbe spettata allo stesso sindacato, opponendosi all'invadenza del paradigma €uropeo dell'economia sociale fortemente competitiva che prevale sul modello costituzionale lavoristico: ma il sindacato non ha reagito e, anzi, considera l'€uropa, e la sua valuta unica, un mondo ideale irrinunciabile.

9. Insomma, ai fini pratici e prevedibili, la dichiarazione contro il "vecchio" sindacato appare l'inevitabile liquidazione finale di organismi che traevano la loro legittimazione all'interno della Repubblica democratica fondata sul lavoro: simul stabunt simul cadent.  
Con l'€uropa, prima o poi, questa caduta definitiva doveva verificarsi
E quindi espelliamo un sindacato, ormai (auto)neutralizzato dai nuovi rapporti di forza, dal suo ruolo di difesa dell'occupazione e della retribuzione, obiettivamente superato dalle dinamiche concorrenziali che si gestiscono a livello "micro", nelle singole unità produttive: meglio se svolge un ruolo consultivo residuale e di bandiera, sempre più caratterizzato da un pallido quanto inutile burocratismo, che ne contrassegnerà la progressiva estinzione.
Un risultato di tutto riguardo che anzitutto è imputabile alla "incomprensione"...incomprensibile dei trattati da parte dei sindacati e che poi, non può non condurre all'arrivo di un "nuovo" restauratore del libero mercato, con annessi referendum aziendali a risposte vincolate...dal paradigma €uropeo.

21 commenti:

  1. Ma sa che la nuova "Carta dei diritti del Lavoro" della CGIL contiene più o meno le stesse cose? La sostituzione dello "Statuto dei lavoratori" con lo "Statuto dei Lavori" è già indicativo. Uno dei giuristi che hanno partecipato alla stesura della Carta ha affermato che "il progetto della Carta dei diritti dimostra come il sindacato voglia farsi promotore di un nuovo modello di governo dell'economia e del lavoro".

    Carta: http://ow.ly/oR1a30aLDSA
    Commentario: http://ow.ly/Ado630aLEeL

    Se i 5stelle firmano la Carta CGIL direi che siamo a posto.

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    1. L'istinto di autoconservazione di un'organizzazione ormai priva della capacità di concepire, prima ancora che di raggiungere, i suoi scopi originari, è comprensibile: si preferisce un lungo (forse) e comunque rallentato declino al rimetterersi in discussione e alla ripresa di una lotta che si considera perduta senza speranza.

      Era già accaduto all'impero bizantino nel suo ultimo secolo di vita apparente.
      Ma la scomparsa può essere rallentata con una finzione rigeneratrice, non evitata.

      Quanto alla "nuova politica", da queste stesse visioni essa esce invece vivificata: uno Stato ormai praticamente ridotto allo status coloniale, può vedere l'ascesa al governo solo di forze che siano rigorosamente ortodosse rispetto ai valori dei controllori esteri...

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  2. il movimento fa fuggire Uomini come Marco Zanni ed invita "gente" come il segretario della Trilateral ,oppure uno schiavista come masi(i disoccupati devono lavorare gratis)o della rocca che parla di partecipazione dei lavoratori al tempo del job act.Al mio bar ,dopo le cinque,e dopo diversi campari gli avventori facevano discorsi più sensati

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  3. Ciao Quarantotto i vertici sindacali si sono donati, da almeno 40 anni, totalmente ed intimamente alla modernità per un modesto piatto di lenticchie. Alla base, formata ormai quasi esclusivamente da pensionati beneficiari di quel modello economico contenuto nella nostra COSTITUZIONE, è bastato vendere un fogno, quello di moralizzare il Paese corrotto. Da Gramsci a Davigo, da Togliatti a Di Pietro, questi sono stati i loro miti sostitutivi. Il conflitto sociale è un vecchio orpello del passato di cui è meglio non parlare, i veri nemici sono : Il debito pubblico, la corruzione e l'evasione.
    Poi ci sono i dipendenti sindacali, del carrozzone burocratico, per loro l'importante è mantenere il posto, tengono famiglia, mentre quelli che dovrebbero rappresentare no. Siamo sull'onda che la libera circolazione del capitale ha favorito il lavoro e se i lavoratori perdono dei diritti la colpa è loro perchè non sono combattivi come quelli degli anni 70.

    Il futuro del sindacato sarà quello di svolgere il compito della psicopolizia politica, quello di accertare se sei veramente povero (con l'Isee) per avere diritto al reddito di reclusione e conoscendo i mentecatti sono sicuro che lo svolgeranno con grande solerzia, via i furbi dal tempio del denaro pubblico.
    Un solo esempio per capire la base: sono riuscito a convincere una sola persona della base della fregatura dell'euro, per anni ha seguito il Blog di Bagnai, il tuo Quarantotto è troppo difficile, dopo tre anni di Bagnai, non di Gosmin, era ancora convinto che era meglio avere un disoccupato in più e un bidello in meno, piuttosto che un bidello in più e un disoccupato di meno, in quanto spesa pubblica improduttiva. Sono INEMENDABILI.

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    1. Sì: il quadro è chiaro e irreversibile.
      Per questo possono essere divulgate idee politiche come quella commentata nel post, senza colpo ferire e, addirittura, portando consensi crescenti a chi le sostiene.

      Per ricominciare a reagire avranno bisogno di molta miseria e molta sofferenza: ma per capire veramente che la causa di esse risiede nella loro proiezione identificativa nei valori degli oppressori, non gli basterà la vita che gli rimane.

      Come abbiamo già detto, una reazione cosciente verrà, semmai, da coloro che nasceranno proprio in questi anni e nei prossimi...
      Lo so che non è una prospettiva "allegra": ma allo stato dobbiamo prendere atto che le cose stanno così

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    2. Già negli anni ’20 A.Gramscispiegava la decomposizione alla quale si stava condannando il sindacato per via della non comprensione dei suoi scopi originari. Ma, come fa notare Mauro, Gramsci è stato da loro rinnegato:

      … Il sindacato nasce e si sviluppa, non per una energia autonoma, ma come una reazione ai mali che lo sviluppo del sistema capitalistico determina ai danni della classe lavoratrice. L'organizzazione sindacale si muove parallelamente al moto della organizzazione capitalistica come un riflesso di questo moto; accanto al processo di monopolizzazione degli strumenti materiali di produzione e di scambio si svolge il processo di monopolizzazione della forza-lavoro. Si tratta però di un fenomeno che obiettivamente non si differenzia dal fenomeno capitalista, e la realtà ha dimostrato quanto fosse assurda la previsione che, nella concorrenza, il monopolio della forza-lavoro avrebbe avuto il sopravvento, e la pura resistenza corporativa avrebbe fatto crollare il potere industriale e quindi il potere politico dei capitalisti. La realtà storica ha dimostrato che se la pura resistenza corporativa può essere, anzi è di fatto, la piú utile piattaforma per l'organizzazione delle piú larghe masse; essa però, a un momento dato, e cioè quando cosí piace al capitalismo, che possiede nello Stato e nella guardia bianca un potentissimo strumento di coercizione industriale, può anche rivelarsi come un fantasma inconsistente

      Le previsioni di carattere tecnico fatte dai sindacalisti sullo sviluppo del sindacato anch`esse si sono dimostrate arbitrarie e fallaci. I quadri delle organizzazioni sindacali avrebbero dovuto dare la prova sperimentale della capacità della classe operaia a gestire direttamente l'apparecchio di produzione. Lo sviluppo normale dell'organizzazione sindacale provocò risultati completamente opposti a quelli previsti dal sindacalismo: gli operai divenuti dirigenti sindacali perdettero completamente la vocazione laboriosa e lo spirito di classe e acquistarono tutti i caratteri del funzionario piccolo-borghese intellettualmente pigro, moralmente pervertito o facile al pervertimento. Quanto piú il movimento sindacale si allargò, abbracciando grandi masse, tanto piú dilagò il funzionarismo…
      (segue)

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    3. Il problema della disoccupazione è quello che maggiormente deve richiamare l'attenzione dei comunisti che militano nell'organizzazione. Il fenomeno della disoccupazione è l'espressione tipica della schiavitú proletaria in regime capitalistico; esso si manifesta in modo violento col sorgere del regime, coll'applicazione del processo lavorativo meccanico, ne accompagna come un male cronico lo sviluppo e scoppia con la fatalità di un contagio irreparabile nella crisi di dissoluzione finale. I caratteri della disoccupazione attuale sono cosí strettamente connessi alla crisi dell'economia mondiale devastata, che è naturale stabilire questa verità: il problema concreto piú importante che si presenti come campo d'azione dei sindacati è nello stesso tempo il problema di tutta l'economia mondiale, il problema le cui due soluzioni sono: dittatura borghese o rivoluzione proletaria. Poiché l'economia borghese non trova né può trovare la possibilità di un equilibrio, le oscillazioni nei quadri della produzione da essa diretta continueranno all'infinito, e a ognuna di esse corrisponderà uno spostamento nei quadri della mano d'opera, e cioè un nuovo fluire di disoccupati…

      Il fenomeno della disoccupazione è talmente connesso alla crisi del regime capitalistico che ha sconvolto in modo, oggi forse irreparabile, le basi stesse dei sindacati, sorti in seno a quel regime e sviluppati in funzione di esso. Quando l'impiego della mano d'opera diventa instabile come nell'attuale periodo, e questi margini d'instabilità si agitano intorno a una imponente massa che ha perduto definitivamente ogni possibilità di tornare ad un qualsiasi lavoro, il sindacato perde la sua funzione carat-teristica, la sua ragion d'essere tradizionale ed è colpito a morte, se non riconosce immediatamente la situazione che gli viene creata e non si sposta verso le nuove posizioni. Oggi il sindacato è in grado di offrire ai suoi aderenti ben scarsi vantaggi immediati; la sua funzione è utilissima nella misura in cui riesce a non lasciar sbandare le masse, a raccoglierle su un terreno possibile di lotta, e dar loro la sensazione della possibilità di uno sbocco alla terribile si-tuazione che vien loro fatta. Tutta l'azione di assistenza minuta a tipo contrattuale è utile, va continuata, ma evi-dentemente non offre piú ai sindacati una base sufficiente, non diciamo di sviluppo, ma di semplice conservazione…

      L'assistenza ai disoccupati e l'azione in loro difesa è squisitamente classista, perché tende a impedir l'isolamento dell'operaio e del contadino, il suo allontanamento dai suoi compagni, che hanno la fortuna di lavorare. Mantenere il collegamento tra disoccupati e quelli che non lo sono, cercare che sul terreno dell'offerta della mano d'opera non si combatta solo una serie di "singolari" tenzoni tra il singolo disperato e la fame, ma che il disoccupato senta che l'organo tradizionale della difesa dei suoi interessi, il sindacato, è rimasto "suo": ecco le esigenze che i comunisti presentano come essenziali all'azione sindacale. Se i sindacati operai riescono a portare la loro azione sul terreno concreto della difesa dell'operaio disoccupato si terranno in piedi; in caso contrario cascheranno come frutti fradici…”
      [A. GRAMSCI, Il partito comunista e i sindacati, 29 gennaio 1922].

      Ora è sufficiente un Grillo o un Ichino qualsiasi per accompagnare la caduta di un frutto fradicio

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    4. OT(?). Ma perché solo dittatura o rivoluzione? Ovvero, non basterebbe la repubblica fondata sul lavoro? O è forse quella la rivoluzione proletaria cui allude? A me, da ingenuo, sembra proprio così. E mi basterebbe tornare ai 30 anni gloriosi 45-75, che ora sembrano solo il frutto di una congiunzione di eventi unica e fortunatissima per il nostro paese. Non è forse, la Costituzione, non solo Keynesiana ma anche Marxista, nel senso che il Marx storico ne sarebbe fiero? E se è così, come si fa a evitare che succeda di nuovo quella deriva che è accaduta dopo il 75?

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  4. Grillo è ormai la bandiera del lavoro-merce mimetizzato, però, da infantile pseudo-democratico senza contatto con la realtà, e quindi non può che portare acqua al mulino di quell’altro galantuomo di Einaudi al quale, infatti, i sindacati proprio non andavano giù. Altrimenti come si farebbe ad aumentare la disoccupazione ed a diventare comp€titivi?

    Quando l’uomo socialista (o laburista o, nelle sue sottospecie deteriori, giustizionalista e simigliante varietà in ista) pensa ai monopolisti, il pensiero è ristretto ai monopoli detti capitalistici. Non si ha, invero, notizia di disegni di legge o di proposte o di campagne promosse dai socialisti contro i monopoli operai; non cadendo in mente ad essi che le leghe, o sindacati di lavoratori possano dar luogo a monopoli degni di essere controllati od osservati, al par dei monopoli detti capitalistici, per il danno che possono recare alla collettività.

    Eppure non v’ha ragione di escludere che leghe, sindacati od associazioni di lavoratori possano formare monopoli… Gli istituti della assicurazione contro la disoccupazione e della piena occupazione, quando superino il punto critico, sono invero arma potentissima per creare e saldare monopoli operai; ed in primo luogo l’assicurazione contro la disoccupazione. Se l’ammontare del sussidio contro la disoccupazione è tale che il lavoratore preferisca l’ozio al lavoro od il lavoro nascosto, o per frode non denunciato e non smascherato, al lavoro ufficialmente noto, quale probabilità vi è che il salario degli occupati sia quello di mercato, che si verificherebbe se non esistesse il sussidio artificioso dato a coloro che prediligono vivere senza faticare?

    Quale limite vi è all’aumento delle remunerazioni, se esiste un meccanismo grazie al quale le leghe operaie possono affrontare i rischi dello sciopero senza svuotare normalmente le loro casse di resistenza, perché l’onere di mantenere gli scioperanti è posto a carico delle casse di disoccupazione?...

    Se poi, in virtù della politica della piena occupazione la percentuale dei disoccupati scende all’1 per cento, ossia al disotto di quel 3 o 4 per cento della popolazione lavoratrice per l’esperienza dimostra necessaria per assicurare la mobilità del lavoro, ossia il trasferimento dei lavoratori dalle industrie decadenti a quelle progressive, qual limite vi è alle richieste delle leghe monopoliste? Se la legislazione sui minimi di salario fissa minimi siffatti da cancellare l’interesse dei lavoratori, contenti della sorte garantita dal minimo, a mutare stato, a cercare nuove e migliori occupazioni; non si provoca la cristallizzazione sociale e non si distruggono gli incitamenti a salire ed a migliorare?

    Ma, nel mondo degli uomini socialisti, esistono idoli che si chiamano unità della classe lavoratrice, conquiste di orario unico, conquista di diritti all’organico, vincoli alle migrazioni interne, diritto al posto, diritto alla occupazione, divieti di licenziamento, che in linguaggio volgare, equivalgono a monopolio di coloro che sono forniti di occupazione ed obbligo dello stato di sussidiare e dar mezzo di vita a coloro che dalle leggi e dall’opera delle leghe sono privati di occupazione. Tutto ciò vuol dire aumenti inutili di costo, diminuzione della produzione, riduzione della capacità di esportare, difficoltà di importare; creazione di miseria. Ma l’uomo socialista adora gli idoli popolari e l’uomo liberale è peritante nel denunciare monopoli supposti vantaggiosi ai lavoratori.

    In verità la lotta contro i monopoli dei lavoratori è ardua forse più di quella contro i monopoli degli imprenditori; ma la difficoltà di affrontare il problema non toglie il dovere di affermare la esistenza…
    ” [L. EINAUDI, Intervento statale nell’economia e lotta ai monopoli secondo “l’uomo liberale” e secondo “l’uomo socialista”, in La Tribuna, 5 maggio 1957, 10-19].

    Mi chiedo come abbia fatto Luigino ad imbucarsi in Assemblea Costituente…

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    1. L'hanno eletto.
      I veri fascisti (quelli cui il fascismo aveva tolto le castagne dal fuoco, non le camicie nere) hanno votato e fatto votare un vero fascista (liberalismo come fascismo che si preesiste).

      Serviva un virus, un'entità cancerogena in Costituente - e infatti vedila, la piroetta del De Gasperi a lavori finiti, lui e il suo quarto partito.

      Dio maledica i patrigni della Patria.

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    2. Ma godiamoci i dettagli: il "diavolo zoppo" (così lo chiamavano i suoi, absit iniuria) scriveva nel '57 e parlava di un tasso di disoccupazione che "l'esperienza dimostra necessario", individuandolo nel "3 o 4 per cento".
      Altri tempi. Oggi il tasso di disoccupazione è "naturale" e lo fissa l'apposito organismo europeo. Si sono scoperte, o magari riscoperte, una serie di leggi "inesorabili come quelle della fisica" ma stranamente flessibili. A comando.

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  5. ASSALTO FINALE ALLA DILIGENZA: IL DEF 2018

    Tra le bombe al fosforo bianco lanciate dal MSM (non il MetilSulfonilMetano ma il MainStreamMedia) che racconta di “Aigor il russo”, Morgan senza “amici” che lascia la vacantio a Saviano, di tre bombe di Dortmund e al Delle Alpi di Torino, casi CONSIP, scapigliature variegate del “biondo” parruccone, passa anche il DEF 2018 senza aumenti di tasse e l'anti-sindacalismo di “peppino”.

    BELLO CHE C.ZZ.O DI C..O: bravo il gentile, migliore d 'artri ora con il PierCarlo dalle mani slegate.

    Passa – ed è passato tra le riga del “metodo Junker” - quello che riserva al Bel Paese l'operazione CAPRICORN (non il nome in codice dell'indagine coordinata nel 2003 dalla D.D.Antimafia di Roma per reati di rapina, traffico di stupefacenti, detenzione di armi da guerra, ricettazione, riciclaggio etc. a carico del clan calabrese dei Tomasello) ma una volta ancora la CONNECTION delle alchimie di via XX settembre.

    L'operazione, attribuita e riscontrabile nel DEF 2018, TAGLIADEBITO attraverso le PRIVATIZZAZIONI con valori significati (0,5% del PIL per l'anno in corso per salire a 30-60 mld (n)€ gli anni successivi) e la finalità di “sforbiciare” di 10 punti il rapporto DEBITO/PIL del Bel Paese.

    L'oggetto – ancora una volta – ruota attorno alla Cassa Depositi e Prestiti (CDP) e alla sua “dotazione” delle partecipate quotate (ENI, ENEL, POSTE, FINTECNA, SACE, etc.) attraverso il conferimento ai meandri di veicoli finanziari da privatizzare in una seconda fase.

    con “audaci scorribande”.

    Gli attori la nuova governance insediata nel 2015:
    Claudio Costamagna, presidente (ex Goldam Sach, ex Salini-Impregilo)
    Fabio Gallia, AD e DG (ex Ersel Sgr – gruppo Giuderchia -, ex Capitalia, ex BNL Paribas)
    5consiglieri del CDA di cui spiccano Maria Cannata (direttore debito pubblico MEF, depositaria dei segreti dei titoli derivati detenuti dal Tesoro fin dai tempi del Mario), Carla Patrizia Ferrani (INTESA SANPAOLO), Stefano Micossi (Assonime, “azionista” della Borsa italiana), Alessandro Rivera (dirigente MEF), Andrea Sironi (ex rettore dell'università Bocconi

    E via, senza più remore e ipocrizie, in con “audaci scorribande”.

    Biblio:

    http://www.monreale.net/notizia.php?tid=243

    http://classeuractiv.it/news/il-tagliadebito-finisce-nel-def-201704070922586487

    http://www.cdp.it/Chi-Siamo/Dati-Societari/Bilanci-E-Cifre-Chiave/Anno-2016.kl

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  6. E riprendiamo allora un articolo di Caffè da cui avevo già citato in passato (e il cui incipit è non casualmente dedicato ad Hayek e Friedman): Giovanni Demaria, economista eponimo della commissione economica presso il Ministero per la Costituente, fornisce “indicazioni particolarmente precise e incisive sulla politica del lavoro nel nostro Paese, quella che oggi chiameremmo politica delle relazioni industriali.
    11. Egli distingue due periodi. Il primo abbraccia lo scorcio finale dello scorso secolo fino alla Prima Guerra Mondiale. Durante tale periodo, si realizzò (sono sue parole) un compromesso tra i princìpi di libertà, che studiosi, politici, classi infime seppero imporre contro i tempi (sovente in uno sforzo disperato) e gli interessi talora sordidamente intesi delle cerchie dominanti, preoccupate e inquiete soprattutto per paventate e in gran parte im maginarie spoliazioni che le potevano colpire e che per tanto, pregne a volta di spirito di intolleranza, non potevano con sincerità che opporsi all’attuazione dei di ritti altrui, ma non già lavorare con illuminata passione e con chiara coscienza per la formazione di un equilibrio sociale a tutti vantaggioso.
    12. Quanto poi alla politica del lavoro nel ventennio compreso tra le due guerre, ne fu tratto essenziale il processo involutivo attraverso il quale (sono ancora parole di Demaria) la crescente influenza delle masse operaie organizzate venne distrutta, mentre la reazione capitalista, rafforzata dalla costituzione del partito unico, ebbe il sopravvento.
    13. Né le antiche radici di questo spirito padronale furono troncate dalle vicende del secondo dopoguerra; se, in occasione appunto degli interro gatori in sede di Ministero per la Costituente, il massimo dirigente di una grande impresa automobilistica del nord ebbe ad affermare: «I singoli Ministri vedono qual è esattamente la situazione; ma collettivamente non prendono provvedimenti. A Roma ci si dovrebbe decidere a lasciare i problemi (economici) più in mani tecniche che politiche. I Ministri, anche se non sono distratti dalle elezioni, non potrebbero certo attendere a tali questioni come vi potrebbe attendere uno di noi».
    Ed eravamo nel 1946. Molto era cambiato, tranne, come si vede, l’impermeabilità dell’autocritica dei ceti padronali.
    14. Frattanto, l’imponente contributo dato alla ripresa economica del Paese dai lavoratori e dalle loro organizzazioni sindacali che si andavano ricostituendo non ebbe che riconoscimenti tardivi e isolati. E occorrerà ancora tempo perché, al di là delle polemiche contingenti, si comprenda in pieno il ruolo fondamentale che le masse operaie organizzate svolgono attualmente, a potente sostegno delle istituzioni democratiche in tempi difficili
    ”.

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  7. […] “Nel recente scritto di Galbraith che ho avuto occasione di ricordare e nel quale alle antiche codificate carenze e insufficienze del mercato, egli aggiunge l’analisi delle più recenti cause storiche del suo declino, non si manca di far menzione all’atteggiamento di coloro che – in luogo di prendere atto di tale declino – si propongono di arrestarlo con espedienti vari: che, a stretto rigore, dovrebbero includere la dissoluzione dell’associazionismo sindacale. Ma, egli aggiunge, con il sarcasmo che gli è consueto, di fatto non si giunge a tanto, perché «anche la banalità deve essere temperata dalla discrezione».
    Nella «fattispecie» che ci occupa (per mutuare un termine giuridico), la discrezione è stata superata dalla banalità.


    Quel che certo Caffè non poteva immaginare è che tale “banalità” - di cui, come osservava giustamente Galbraith, anche non pochi imprenditori hanno pagato e pagheranno il prezzo - avrebbe vestito i panni di una bambinesca retorica neo-futurista.

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    1. E sul piano storico del riproporsi ciclico delle medesime situazioni e reazioni, (o non-reazioni del sindacato-apparato), rinvio al Gramsci citato più sopra da Francesco

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  8. E ricordiamo allora anche il buon Spinelli, non solo nella generale concezione "anti-sezionale", ma specificamente sulla necessità di "evirare" i sindacati. Poi qualcuno nega che quest'Europa sia la sua!

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    1. E riproduco il tuo commento linkato per una più immediata percezione:
      "E regalino: saggio sulle idee economiche di Altiero Spinelli (pdf di 22 pagine). Niente che non avessimo più o meno capito da soli; d'altra parte lui stesso non nascondeva certo le proprie fonti, che sono Einaudi, Robbins e pure...Röpke (che mi mancava all'appello: ma ovviamente eccolo lì). Solo due citazioni.
      La prima sta in una lettera indirizzata da Spinelli a Garosci il 23 giugno del '48:
      "poiché esiste la libertà politica e i lavoratori vi partecipano e hanno i loro partiti, bisogna abolire i sindacati o quanto meno evirarli, proprio perché sia tolta di mezzo l'illusione che l'emancipazione si raggiunga mediante la loro azione [...] Solo liberando il socialismo dal peso morto del sindacalismo, cioè del classismo, si potrà superare veramente il "riformismo", cioè la lotta per i privilegi sezionali della classe operaia".
      Direi che si commenta da sé.

      La seconda è invece una lettera di Rodolfo Morandi, che, e sia lode a lui, era pure economista, a Spinelli. Morandi (siamo nell'ottobre del '43) accusa Spinelli di essere un "liberale" e di "camminare con cinquant'anni di ritardo sul progresso economico dei tempi":
      "L'influenza tradizionalista inglese, che voi in partenza accettate, vi destina a un ruolo di schietta reazione".

      Chiudo in bellezza, per così dire, con Einaudi: "Quando noi dobbiamo distinguere gli amici dai nemici della pace, non fermiamoci perciò alle professioni di fede, tanto più clamorose quanto più mendaci. Chiediamo invece: volete voi conservare la piena sovranità dello stato nel quale vivete? Se sì, costui è nemico acerrimo della pace.
      Siete invece decisi a dare il vostro voto, il vostro appoggio soltanto a chi prometta di dar opera alla trasmissione di una parte della sovranità nazionale ad un nuovo organo detto degli Stati Uniti d’Europa? Se la risposta è affermativa e se alle parole seguono i fatti, voi potrete veramente, ma allora soltanto, dirvi fautori della pace. Il resto è menzogna." ("Corriere della Sera", 4 aprile 1948). E più non dimandate.
      Ancora un caloroso saluto a tutti!"

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    2. Quel saggio di Masini è una perla di lavoro documentale.

      Ma per capire che Spinelli è infarcito delle idee economiche del giornalista a busta paga britannica Benito Mussolini, e per questo elogiato dalla finanza internazionale degli anni '20, è necessario sapere di cosa si parla.

      Ma i federalisti si dividono in due: fascioliberali e piddini, per definizione non dotati un numero di neuroni minimi per comprendere il paper che, in realtà, è solo poderosa pezza filologica all'ovvio.

      Tutto il resto, fuori da questo blog, è infimo dibattito della varia fenomenologia di piddinume.

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  9. I SINDACATI POST-MODERNI,
    sono arrivato in questo blog per caso. E' una vera miniera di preziose e ottime argomentazioni.
    Sono un piccolo rappresentante sindacale di pubblici dipendenti. Rappresento solo quelli del mio ufficio. Vi prego non incominciate a sparare a zero sulla mia categoria. Per circa 1300 euro svolgiamo un servizio essenziale con tante responsabilità e con un organico che non arriva neanche al 40% di quello previsto. Certo, per il momento abbiamo la preziosa sicurezza del posto di lavoro, ma le paghe sono da fame.
    I sindacati hanno preticamente perso ogni potere di forza.
    Nel privato i "padroni" sbandierano l'eterna minaccia di spostare la produzione all'estero. Spesso non c'è nenache questa minaccia e passano direttamente ai fatti, lasciando sulla strada intere famiglie.
    Nel pubblico ci sono le precettazioni e la giornatina di sciopero non fa più paura a nessuno.
    I sindacati non riescono a creare più diritti. Sono divenateti avvocatucci sulla vigilanza di norme già in essere o notai per la firma di contratti di solidarietà che, dietro la promessa di qualche posto di lavoro, svendono di fatto retribuzioni e diritti.
    E' ormai tutto un rito. L'assemblea, la giornatina di scipero e l'inutile manifestazione in piazza che non caga nessuno.
    Anche le RSU e RSA di fatto hanno indembolito la forza dei sindacati.
    Molti lavoratori nenache si iscrivono più. Si sentono rappresentati dalla RSU o RSA che di fanno non ha alcuna forza.
    Spero di trovare in questo blog ulteriori approfondimenti.

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    1. Caro Giovanni, non preoccuparti che qui i livorosi anti pubblico impiego, fondamentale colonna del conflitto sezionale, restano fuori. :-)

      In argomento ci sono diversi post che potresti leggere: te ne segnalo qualcuno, a partire da questo; poi questo; questo; questo sulla corruzione; questo per una ricostruzione degli andamenti della spesa pubblica e la confutazione di molti luoghi comuni. Tra post e link da leggere, e magari diffondere, ne hai...:-)

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  10. Grazie. Approfondirò. Sono nuovo qui. Devo legegre e studiare un gran massa di articoli e commenti veramente notevoli.

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