giovedì 27 luglio 2017

VITALIZI KAPUTT: NON DISSOLVIMENTO DEL PRINCIPIO DI IRRETROATTIVITA' MA DEL LEGITTIMO AFFIDAMENTO


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1. Nonostante le tante lamentele sugli "sprechi" presunti e sull'intollerabile peso del debito pubblico, trasmesso immancabilmente alle generazioni future, nonchè sulla "enorme" spesa pubblica, l'intervento in funzione peggiorativa del trattamento pensionistico - ciò che si vuole costituzionalizzare per...costituzionalizzare l'euro-, non è considerato in sé illegittimo dalla giurisprudenza costituzionale, della Cassazione e anche amministrativa.
Si esclude infatti che tale intervento peggiorativo sia retroattivo allorché ci si trovi di fronte ad un "rapporto di durata", ove cioè la posizione soggettiva sostanziale (cioè il diritto a percepire la pensione) consista in un credito pecuniario, ma il suo adempimento da parte dello Stato, cioè il pagamento, si svolga nel tempo attraverso prestazioni (versamenti di denaro), di carattere periodico che si verificano nel futuro rispetto al sorgere del diritto alla prestazione.

2. Nell'escludere la retroattività come carattere delle leggi che dispongono il peggioramento del trattamento pensionistico (o di qualsiasi altro diritto di prestazione verso lo Stato, d'altra parte), detto in pillole, si distingue grosso modo (le formulazioni dottrinali e teorico giurisprudenziali sono tra le più varie e incerte) tra fattispecie generatrice della posizione giuridica di vantaggio (nel caso delle pensioni, il raggiungimento di una certa età e l'aver versato un certo ammontare di contributi per un certo numero di anni) ed effetti, protratti nel tempo, del rapporto giuridico (v. qui, in specie note 20 e 22: cioè il pagamento periodico, tendenzialmente mensile, di assegni pensionistici, sarebbe un autonomo effetto giuridico, scisso dal sorgere del diritto e, come tale, soggetto alla legge del tempo in cui verrà erogata, purché non si chieda la restituzione delle rate precedenti erogate sotto la legge vigente al tempo del collocamento in pensione). 
Se la "fattispecie generatrice" del rapporto di durata non è rivalutata dalla nuova legge, cioè diversamente regolata a posteriori (come ben definisce Luciani parlando di "dissolvimento della retroattività", sempre qui, nota 117),  - e in pratica, se non viene ridisciplinato ex tunc lo stesso sorgere del diritto, fino al punto che la legge successiva arrivi a escluderne il riconoscimento "ora per allora"-, considerando costitutivi del diritto solo i diversi requisiti di età e contributivi ANCHE per chi fosse già andato in stato di quiescenza negli anni passati (in base ai requisiti della precedente legge),  si arriva comunemente a sostenere che un "taglio" delle pensioni in godimento, non risulterebbe retroattivo.

3. Questo modo di considerare le cose, ormai assolutamente prevalente in Italia, pone dunque un unico limite per così dire "estremo" agli effetti di QUALSIASI legge peggiorativa in materia pensionistica, (al fine di non considerarla retroattiva): quello di negare gli effetti della precedente legge (in vigore al momento del "pensionamento") nell'aver GIA' dato luogo al diritto a pensione. 
Ma è anche da aggiungere (e se avete voluto leggere i links inseriti lo potrete approfonditamente constatare) che questo limite vale solo e sempre "dopo" la transizione del lavoratore nello stato di quiescenza: prima, durante la vita lavorativa del dipendente, in teoria, qualunque modifica della disciplina pensionistica sarebbe consentita, o almeno non incapperebbe nella qualificazione di retroattività, proprio perché, per definizione, non si è ancora perfezionata la fattispecie generatrice del diritto (alla prestazione).

4. Va anche ricordato che l'art.11 delle c.d. "preleggi" (preambolo al codice civile) prevede sì che "la legge non dispone che per l'avvenire; essa non ha effetto retroattivo": ma questa indicazione è un mero principio posto in una fonte legislativa, mentre la Costituzione esclude la retroattività della solo legge penale, cioè "punitiva" (art.25). Quindi, una legge "civile" (nel senso ampio di "non penal-sanzionatoria") successiva, che non intervenga in materia penale, non ha ostacoli a disporre in senso retroattivo e la retroattività delle leggi non penalistiche, in linea di principio, deve solo essere giustificata in base alla sua "ragionevolezza".
Per norme retroattive "peggiorative" della condizione di reddito e di patrimonio dei destinatari si cercherà normalmente una giustificazione in un qualche principio costituzionale che viene bilanciato con l'interesse pubblico che si intendeva tutelare con la legge "ampliativa" precedente, e che viene normalmente fatto prevalere su tale interesse (ormai, in modo generalizzato, in nome dei vincoli di bilancio con assunti con l'UE)..

5. Questo quadro presupposto, non esclude che la Corte, o molto più raramente, Cassazione e giudici amministrativi, possano rinvenire altri profili di illegittimità di discipline peggiorative di prestazioni erogate dallo Stato, o anche, cosa che dal punto di vista finanziario pubblico assume lo stesso significato, peggiorative di pagamenti in corrispettivo dovuti dai privati che si trovino in un rapporto (di diritto pubblico) "di durata" con l'amministrazione (ad es; i canoni pagati dagli assegnatari di pubblici alloggi o dai concessionari di beni demaniali marittimi). Ma non si tratta, appunto, di illegittimità legate alla retroattività in sè.
Con una considerazione molto empirica e soggetta a valutazioni caso per caso, che risentono moltissimo delle convinzioni extratestuali, rispetto al dettato costituzionale, determinate dal senso comune generato dal controllo mediatico e dal connesso indirizzo politico affermatosi di forza nei rapporti sociali, la Corte potrà giudicare certi peggioramenti legislativi della situazione di creditore dello Stato, entro rapporti a esecuzione periodica di prestazioni, come irragionevoli o "non consentanei". 
Cioè, secondo orientamenti ormai difficilmente prevedibili e sempre più restrittivi, la Corte potrebbe ritenere questi peggioramenti "eccessivi", perché troppo drastici o prolungati nel tempo: in genere si censura la non temporaneità del sacrificio, in quanto non commisurato alla durata dello stato di "emergenza" che lo giustifica, ovvero, si censura il suo incidere in una misura non sufficientemente graduata nel tempo.

6. La posizione attuale della giurisprudenza parrrebbe decisamente limitata ad affermare che "est modus in rebus": e dunque si orienta nel senso che la formula del "legittimo affidamento", che ha sostituito nella pratica quella della (esclusa) retroattività della legge peggiorativa della condizione, costituzionalmente tutelata, di lavoratori (e operatori economici in genere), operi essenzialmente come graduazione e attenuazione nel tempo della restrizione dei diritti sociali. Questa restrizione viene ritenuta, comunque, "finanziariamente" lecita in linea di massima, salvo temperamenti apportati caso per caso (per la pensione come per il pagamento di corrispettivi per il godimento di beni pubblici, sia pur essenziali secondo le norme costituzionali).
Ma questa moderazione quantitativa e questa gradualità sono affidate, per definizione, a un concetto di "legittimo affidamento" storicamente mutevole: ciò che ieri, o qualche decennio fa, poteva apparire un'irragionevole ed eccessivamente drastica, e non graduale, privazione di utilità economiche erogate dallo Stato, via via, fino ad oggi, muta di senso. 
Questo nuovo e inarrestabile "senso" si sviluppa sulla base della assoluta convinzione (anch'essa extratestuale rispetto alla Costituzione) che il risanamento finanziario dei conti dello Stato, imposto dalla benefica e moralizzatrice adesione agli obblighi imposti dalla partecipazione all'Unione europea, sia sempre più un obiettivo prevalente e assolutamente ragionevole, in quanto tale risanamento sia imposto dalla "scarsità di risorse" e dalla finalità di "promuovere la crescita".

7. Fatto questo riassunto preliminare di complesse questioni su cui i giuristi si affannano a trovare giustificazioni che si riducono a "quanto" sia prioritario il mantenimento dell'euro (ma per lo più senza rendersene conto), e rinviato alla lettura dei links relativi, nonché a (tutti) quelli sulle teorie espresse da Einaudi nel 1914 nel suo libro di scienza delle finanze, postateci da Francesco Maimone-, spero che un lettore in normale buona fede possa comprendere il quadro ideologico-economico che viene attuato, anzi accelerato, con la previsione del ricalcolo dei vitalizi (tendenzialmente pensionistici) dei parlamentari.
Siamo nell'ambito del perseguimento di un unitario disegno che considera in termini morali (come ogni rivendicazione anticasta, che si manifesta esclusivamente col pre-giudizio di immoralità dell'intervento dello Stato nel perseguimento dei suoi fini costituzionali essenziali), un problema di democrazia sociale: cioè ad un'esigenza di "rimozione degli ostacoli" che, anzitutto, si legava alla possibilità di tutti, anche dei meno abbienti, di partecipare effettivamente alla vita politica del paese: senza provvidenze mirate a coprire sul piano previdenziale chi si fosse dedicato a svolgere ruoli elettivi al servizio del paese, solo gli abbienti e coloro che siano i mandatari di questi potrebbero dedicarsi alla politica attiva (e all'elettorato passivo). 
E' anche ovvio che chi, tra gli eletti, come in concreto risulta dalla composizione professionale dei parlamentari (sempre più negli ultimi decenni, imprenditori, grandi professionisti e dirigenti d'azienza), disponesse di redditi e patrimoni di rilevante consistenza, non dovesse essere, in radice, destinatario di provvidenze, indennitarie come previdenziali, di cui non avrebbe altrimenti avuto alcun reale bisogno: o almeno avrebbe dovuto esserlo nella ridotta misura rapportata alla sua effettiva condizione economica.

8. Il fatto di aver affidato all'auto-gestione dei detentori del potere legislativo la fissazione della esatta e sempre crescente misura delle proprie provvidenze, come pure di ogni altra indennità per l'esercizio delle funzioni, e che ciò abbia dato luogo ad abusi, che urtano il senso comune, non esclude che permanga la validità di un sistema che tuteli la fasce sociali più deboli consentendogli di essere rappresentate nelle assemblee elettive.
Una correzione ragionevole degli eccessi che si sono accumulati nel tempo, purtroppo, non è resa possibile da questa situazione di radicale conflitto di interesse creato da decidenti che disciplinano i propri stessi interessi economici
Il "giochino", in compresenza della crisi finanziaria pubblica permanente (qualificazione insostenibile sul piano della corretta individuazione di cause/effetti, e di cui la Corte costituzionale stenta a rendersi conto per le ragioni sopra esposte) in cui viene gettato lo Stato a seguito dell'adesione alla moneta unica e ai vincoli fiscali conseguenti, è andato troppo oltre: ne discende una perdita di consenso che mette in pericolo la prospettiva di rielezione, per cui si corre ai ripari proponendo alla "gggente" uno scambio tra il "merito" di essere divenuti fanatici sostenitori dell'abolizione di privilegi (di cui non si riconosce più l'originaria finalità di democrazia sostanziale), e la riconquista della popolarità in quanto crociati moralizzatori.

9. Ma poiché si tratta di un unico disegno realizzato in "crescendo", - oltre a rinunciare a fare quello che sarebbe più logico, cioè rivedere secondo canoni di ragionevolezza e di attualità l'insieme delle norme auto-dettate che regolano i vari compensi dei parlamentari, magari fissando una volta per tutte criteri veramente trasparenti, che rendano tali disposizioni vincolate a oggettivi parametri esterni e determinati da soggetti terzi ed imparziali-, si genera un altro effetto.
E questo ulteriore effetto appare poi in effetti la "vera posta in gioco" di tutta la faccenda, rendendo la finalità della riconquista della popolarità nella veste di "pentiti della casta" un mero scopo esteriore e strumentale: e invero, si pone il precedente che l'applicazione di quasi qualunque drastica e non graduale riduzione dei diritti previdenziali sia accettabile, a maggior ragione se l'esempio è dato da chi sta per deliberarne di molto più estese e generalizzate per tutti i lavoratori.
Insomma, si pone una nuova frontiera nell'assottigliare, fin quasi ad azzerarlo, il "legittimo affidamento": la suggestione che ne risulta è del tutto irrazionale. 

10. Se infatti si era esagerato coi vari compensi dei parlamentari, la rinuncia ad una complessiva rimodulazione ed oggettivazione neutrale della materia, lascia il campo al solo criterio che, in effetti, si vuole affermare: ogni trattamento pensionistico, futuro o in godimento, può essere rivisto in base all'integrale calcolo contributivo.
La punizione subita, in nome della moneta unica e del pareggio di bilancio, da parte delle nuove generazioni (pp.10-11), va estesa a tutti perché l'abolizione dei "privilegi" realizzata "contra se" dalla classe politica elettiva, rilegittima quest'ultima a imporre a tutti-tutti i sacrifici imposti da L€uropa
 Poco importa se la composizione sociologica dei parlamentari, già da decenni, vede la prevalenza di soggetti economicamente privilegiati per propria privata condizione professionale, e se dunque, tale ri-legittimazione, a ben vedere, non abbia nulla a che fare con l'eguaglianza sostanziale nell'imposizione di sacrifici comparabili, nella misura, tra i diversi destinatari

11. E poco importa se l'idea di rideterminare in peius le pensioni in godimento o in procinto di essere maturate non sia conforme al criterio dell'adeguatezza che, l'art.38 Cost., imponeva di estendere e proseguire proprio rispetto alle "future generazioni", sicché far stare male, e progressivamente peggio, tutti i lavoratori non è un rimedio all'ingiustizia già perpetrata in nome de L€uropa, ma solo il perseguimento "militarizzato" e avallato dalla Corte costituzionale, dell'assetto sociale implicito nell'euro
Quell'assetto che Carli, pur principale ideatore e propugnatore del "vincolo esterno", sapeva essere scientemente perseguito dalla moneta unica in quanto ad effetti equivalenti al gold standard (qui, p.4) e che, appunto, Carli stesso descriveva così (p.8)
"...il ritorno alla convertibilità aurea generalizzata implicava governi autoritari, società costituite di plebi poverissime e poco istruite, desiderose solo di cibo, nelle quali la classe dirigente non stenta ad imporre riduzioni dei salati reali, a provocare scientemente disoccupazione, a ridurre lo sviluppo dell’economia".

9 commenti:

  1. "Il fatto di aver affidato all'auto-gestione dei detentori del potere legislativo la fissazione della esatta e sempre crescente misura delle proprie provvidenze...."

    E a chi altri allora?

    Al Governo? Una pezza peggiore del buco.

    A qualche altra magistratura dello stato? E cosa cambierebbe?

    Si potrebbe pensare di corrispondere ad ogni parlamentare un multiplo esentasse dell'imponibile dell'anno solare antecedente all'elezione (piu' un rimborso spese forfettario). Il parlamentare potrebbe poi decidere l'ammontare previdenziale ed il fondo in cui versare i propri contributi previdenziali.

    Il risultato pratico sarebbe pero' che a parita' di responsabilita' corrisponderebbero trattamenti economici anche molto diversi (in effetti accade proprio cosi' nel settore privato).

    La questione mi ricorda la scoperta delle antinomie in matematica da parte di Sir Bertrand Russel, cioe' che all'interno di un sistema formale possano esistere proposizioni indecidibili (tipo: sia A l'insieme di tutti gli insiemi che non contengono se stesso, A contiene se stesso?).

    K. Goedel dimostro' pure (teorema dell'indecidibilita') che neanche in un sistema formale semplice come l'aritmetica elementare si puo' escludere a priori l'esistenza di proposizioni indecidibili.....

    Chi debba decidere lo stipendio dei parlamentari a me sembra una questione indecidibile all'interno del sistema formale "ordinamento dello stato".
    Quindi tanto vale farlo decidere agli eletti.

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    1. Non è così semplice: il trattamento retributivo indennitario è affidato alla legge, e quindi, de facto al governo (che pure è in gran parte composto, tradizionalmente, da parlamentari, creandosi, in regimi neo-liberisti come quelli filo€uropei, già diversi profili di conflitto di interessi).
      Peraltro, istituzione e gestione delle altre voci, diarie e rimborsi vari, nonchè appunto il trattamento di vitalizio, è affidato a regolamenti parlamentari, strane fonti che hanno la peculiare caratteristica di non essere soggette nè allo scrutinio della promulgazione del PdR (in quanto norme para-primarie), nè al regime di visto della Corte dei conti, o a pareri preventivi di altro genere in funzione neutrale, in quanto in realtà assimilabili anche a normali regolamenti...

      Insomma, basterebbe una maggior trasparenza e l'assoggettamento alle stesse procedure che riguardano le altre fonti.
      Mentre la previsione di meccanismi di determinazione automatica del quantum OMNICOMPRENSIVO dei compensi(già oggi teoricamente prevista) viene aggirata col resto del bilancio "autonomo" delle Camere.

      Sarebbe abbastanza agevole assoggettare il trattamento fiscale e di quiescenza alle stesse regole osservate per la figura che funziona oggi da parametro di riferimento (1° Presidente della Corte di Cassazione), rendendo inoltre veramente omnicopmrensivo il trattamento economico.
      E questa è solo una delle possibili soluzioni, tra le più conservative del regime vigente...

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  2. Questo è il mio primo post qui, saluto tutti. Sono Ing. Civile, ma attualmente i miei unici impieghi sono due corsi di matematica a contratto presso università e qualche contrattino ogni tanto: il mio problema attuale è più lo stipendio della pensione, ma avendo tempo libero ho fatto una breve ricerca che condivido qui.

    Prendo spunto dal Th. di Godel, che afferma che ogni sistema di assiomi (che contenga l'aritmetica) contiene proposizioni indecidibili (è incompleto) o proposizioni sia vere che false (è inconsistente). Anche se non si può paragonare un sistema di leggi ad uno di assiomi, altrimenti si potrebbero sostituire i giudici con i matematici, preciso che un matematico si trova a suo agio in un sistema incompleto, ma non nella giungla di un sistema contraddittorio: un vaso di pandora in cui tutto è possibile.

    Se si scava a fondo, il nocciolo dell'irragionevolezza dell'intervento peggiorativo sta proprio nel pareggio di bilancio imposto da una moneta non nostra, la cui inconsistenza (irrazionalità-irragionevolezza) con i principi fondamentali della costituzione, sebbene non 'dimostrata' nelle sedi ufficiali, è fuori di dubbio per i lettori di questo blog.

    Con riferimento ad un sintetico comunicato del Codacons a sostegno del DDL Richetti, il quale cita la sentenza N. 316 anno 2010 della Corte Costituzionale, si evince infatti, come anche esposto da Quarantotto, che il legislatore può agire "sulla base di un ragionevole bilanciamento dei valori costituzionali", "col solo limite della palese irrazionalità" e "purché si rispetti il criterio della ragionevolezza".

    Resta da definire cos'è ragionevole. Dalla sentenza, uno dei principali elementi di ragionevolezza è tenere conto delle "concrete disponibilità finanziarie e delle esigenze di bilancio", "alla stregua delle risorse finanziarie attingibili" e che "incontra il limite delle risorse disponibili". "La soppressione annuale della rivalutazione automatica prevista a scapito dei titolari dei trattamenti medio-alti" trova ragionevolezza nel "loro sacrificio". Sempre lì si va a parare.

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    1. Hai usato (correttamente) un approccio fenomenologico :-)

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  3. Però anche Lei, Presidente, non gliene va bene una! In questo Paese tutti sono personcine morali con le terga altrui, come C.A. Ciampi:

    … L’aver servito la Banca d’Italia era stata per lui [Ciampi] una scuola di indipendenza morale, che gli sarebbe stata provvida anche nella successiva esperienza al Quirinale, poiché l’Istituzione veniva prima della persona, il che – disse – “ti insegna ad avere valori precisi, ti insegna a non accettare compromessi, ti insegna a tenere fermo il punto di fronte a chiunque prema. Ti insegna a non dipendere da nessuno, da nessun potere politico esterno” (in nota, A. Levi, Da Livorno al Quirinale, 118)…” [T. L. RIZZO, Parla il Capo dello Stato sessanta anni di vita repubblicana attraverso il Quirinale 1946-2006, Gangemi Editore, 2012, 232].

    La moralità dell’autoritarismo €urofascista

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    1. Ma anche Funari diceva: "onorevole Brodda, le volevo dì 'nna cosssa; ja'a'famo a entra' 'n'europa? Io dico che nun ja'a'famo. Sò taaanto preoccupato..."
      E invece sottovalutava Azelione nostro che vegliava sulla indipendenzadei suoi "valori" da qualsiasi indirizzo politico corrispondente all'INTERESSE NAZIONALE.
      "Na cosa brutta...ma brutta-brutta"" avrebbe chiosato Funari(-Guzzanti).

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  4. Qualcuno ha provato a spiegarlo in giro tutto questo? Gnente, castaccorruzzionekaputt, debitopubblicosalvo, anchelaka$tapiange (parlo per esperienza: "considerazioni" fresche fresche di un creditore BPVI, uno che "la mala gestione mi ha tolto i risparmi, ma io gli faccio causa" va con dios...)
    Il passo fondamentale è sostituire il livore invidioso con la solidarietà innanzitutto nella coscienza di chi ci sta attorno.
    Sarà un caso che il tutto è maggiore della somma delle parti? Deve centrare il moltiplicatore keynesiano...

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  5. A proposito di Ciampi (che non riuscivo a trovare): «Che poteri ha, quanta e quale sovranità possiede uno Stato, in regime di totale libertà dei movimenti di capitale? I mercati finanziari, i flussi di capitali determinano in misura significativa il prezzo del denaro, elemento fondamentale in una società moderna. Un paese, dunque, tanto più esercita la propria sovranità quanto più sa produrre il bene pubblico della credibilità e della fiducia. Si tratta di un bene immateriale, che però è ben misurabile in termini economici e politici. La fiducia e la credibilità contribuiscono ad abbassare i tassi di interesse, a fare affluire capitali esteri e a far rimpatriare capitali nazionali fuggiti, ad apprezzare il cambio, a moderare l’inflazione. In un regime monetario intemazionale che si basa sulla libertà dei movimenti di capitale, produrre fiducia significa migliaia di miliardi in meno di spesa improduttiva nel servizio del debito, migliaia di miliardi di minori oneri debitori per le imprese, migliaia di miliardi in meno per la rendita finanziaria» (C. A. Ciampi, Un metodo per governare, Il Mulino, Bologna, 1996, pag. 15).

    Gli stessi concetti esposti da Einaudi nel ’14. Impressionante questa imperterrita continuità. Ha ragione Berta a dire che per questa gente la storia dell’ultimo secolo è come se non fosse esistita.

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    1. Scorgo una coerenza esemplare in tutto ciò: e si basa sulla tecnica espositiva per cui mai e poi mai vengono presi in considerazione i costi (superiori) legati a questi (presunti) benefici (che inutilmente aveva ricordato Caffè).

      Peraltro, è tragicamente divertente come, in questi giorni, GLI STESSI CHE ANCORA SOSTENGONO QUESTE COSE (cioè i vantaggi di politiche rigidamente deflattive), si stiano pateticamente affannando a creare l'apparenza di una rinnovata sensibilità per "l'interesse nazionale".

      Poiché questo implicherebbe di tutelare l'interesse generale (occupazione, salariale, di partecipazione politica pluriclasse), e non solo quello di pochi a percepire interessi reali positivi, in realtà STANNO SIMULANDO: mentre gli interessi reali positivi svaniscono (più che altro per la fine generalizzata della solvibilità), e la crisi bancaria è praticamente inarrestabile, - il rapporto debito/PIL dilaga, pur riducendosi l'onere degli interessi, sicchè si vuole intaccare lo stock del risparmio (e non più solo il reddito)-, semplicemente non trovano più i vantaggi della perdita del "controllo" dell'offerta nazionale e dell'esclusione progressiva dall'appartenenza all'oligarchia di chi ha promosso questa "fiducia".

      Insomma, la "credibilità" è un servizio a favore degli investitori esteri che, alla lunga, inevitabilmente, fa svanire i vantaggi della "complicità" per chi l'ha promossa: contro l'interesse di coloro che pure, deliberatamente mal informati e fomentati, avevano fornito (ai complici pro-investitori esteri) il consenso elettorale.

      E si corre tardivamente ai ripari, quando ormai è lo stesso controllo mediatico ad aver perso gran parte della sua credibilità...
      Alla fine, il problema è tutto qui: quanto e fino a quando il sistema mediatico può arginare la perdita verticale di consenso?

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