mercoledì 30 agosto 2017

LASCIENZA DI EINAUDI TRA VESCOVI AFRICANI E VESCOVI €UROPEI


https://i.ytimg.com/vi/jn-BdiAYugA/hqdefault.jpg

https://cdn-img-a.facciabuco.com/121/krhxkjlcfn-il-vantaggio-piu-grande-di-dire-la-verita-e-che-non-devi-ricordare-quello-che-dici_a.jpg

1. Avevo scritto un lungo post sulla questione dell'immigrazione e sulla sua effettiva finalità di instaurare il paradigma neo-liberista della "porta aperta": come abbiamo visto, tale paradigma conduce al lavoro-merce globalizzato che tanto piaceva a Einaudi, ma la cui instaurazione effettiva presuppone, preliminarmente e inevitabilmente, un vasto sistema illecito di traffico di esseri umani, accoppiato con l'eversione delle disposizioni fondamentali, di protezione delle frontiere degli Stati, attualmente derivanti dalle Costituzioni democratiche.
Se qualcuno avesse bisogno di chiarezza sulla consonanza di questa finalità con il pensiero di Einaudi, riporto le sue stesse parole, le prime pronunciate in sede di Costituente (nel dibattito preliminare sull'art.7 Cost. nella Commissione dei 75), le seconde, assolutamente chiare nella loro avversione alla democrazia pluriclasse (cioè inclusiva degli interessi della maggioranza dei cittadini), frontalmente contrapponibili alle ben specifiche esigenze che condussero invece alla fondazione dell'Internazionale socialista, come poi sotto evidenziato da due fondamentali contributi di Bazaar e Arturo (per la traduzione in italiano mi affiderei ai commentatori, o ci tornerò su in apposito post).

2. L'intervento di Einaudi è nella seduta del 23 gennaio 1947 (notare il riferimento a Lascienza "indipendente e sovrana" fatto dall'esponente della "scienza economica dell'800", in ciò acutamente redarguito da Ruini che, a sua volta, aveva sopportato, ben più di Einaudi, la repressione del fascismo a causa della sua appassionata difesa della democrazia economica):
Einaudi prende atto della fiducia manifestata dall'onorevole Moro che la disposizione dei Patti Lateranensi che aveva condotto al caso Buonaiuti in avvenire possa essere modificata, perché considera veramente che il caso Buonaiuti sia stato uno di quelli che hanno offeso di più la coscienza degli studiosi italiani. La scienza nel suo campo è per lo meno altrettanto indipendente e sovrana come la Chiesa e la religione e, quindi, quell'interferenza che vi è stata in quel caso dovrà, a suo parere, essere eliminata, attraverso una revisione bilaterale dei Patti Lateranensi.
Rileva poi che le considerazioni dell'onorevole Cevolotto, per quanto riguarda (ndr; la "contrarietà a", peraltro ineccepibilmente argomentata in diritto da Lelio Basso nella discussione plenaria) l'inserzione di disposizioni relative a trattati internazionali in una Costituzione, non lo hanno convinto, perché pensa che l'idea della sovranità dello Stato sia un'idea falsa, anacronistica, che deve essere abbandonata
Ritiene, quindi, che la disposizione in esame, caso mai, precorre i tempi e sarà un esempio che dovrà essere seguito. Si dovrà in avvenire nelle Costituzioni dei singoli paesi introdurre delle norme riguardanti trattati internazionali.
L'esistenza degli Stati sovrani non è più tollerabile nel mondo moderno
Quindi considera questa disposizione singolarmente felice (ndr; l'attuale, e in realtà ab initio contestatissima anomala formulazione dell'art.7), tale da aprire la via ad altre disposizioni del genere, per cui le Costituzioni vengano ad essere legate in forme durature a trattati internazionali.
3. Sulla "politica della porta aperta" propugnata da Einaudi, sintetizzo, in un passaggio significativo, quanto complessivamente riportato da Francesco Maimone:
"Le norme restrittive della emigrazione che vanno sorgendo nei paesi nuovi o vecchi SONO IL LIEVITO DELLE GRANDI GUERRE FUTURE, SONO LA NUOVISSIMA FORMA DI PROTEZIONISMO che si innesta sul vecchio protezionismo ad opera di quelle classi medesime che più gridano contro i dazi affamatori…. vi è un paese che dai dilettanti viene descritto come un paradiso terrestre, come il paese dove non si sciopera, dove la società socialista futura va a grado a grado attuandosi senza conflitti cruenti e senza inutili dibattiti dottrinali e che è altresì la terra promessa del nuovissimo protezionismo operaio. Quel paese, vasto come l’Europa, potrebbe albergare milioni di cinesi e di giapponesi, potrebbe offrire il campo, come lo dimostrano i rapporti dei nostri consoli e di inviati speciali del Governo nostro, alla colonizzazione proficua di molte centinaia di migliaia, per non dire anche di milioni, di italiani. Ma a tutto ciò si oppone l’esclusivismo gretto e feroce di un piccolo manipolo di genti, che in nome della democrazia ha messo l’ipoteca su un intero continente e vuol riserbarlo ai propri sperimenti di barbarie medioevale".

"Basti ricordare che (ringraziando come sempre Arturo): « The mainly English and French militants had come together in London firstly to rally solidarity with the various international liberation struggles underway, including that for Polish independence, Italian unification and support for the North against the slave-owning South in the American Civil War. Their second reason for forming such an organisation was because in a recent economic downturn attempts had been made by employers to play English and French workers off against each other through the use of immigrant labour to try and break strikes. Trade unionists on both sides of the Channel wanted to counter this blatant “divide and rule” strategy. »

Quindi le prime ragioni per cui fu fondata la Prima Internazionale furono l’appoggio a lotte per l’indipendenza nazionale e la prevenzione dell’uso di lavoratori immigrati in funzione antioperaia.

Andiamo avanti: « When tailors went on strike in Edinburgh and London in 1866 for example, the IWMA were able to prevent their masters bringing in strike-breakers from Europe and Germany.» (Fonte)
Ci fosse bisogno di conferme : « The conditions of the daily struggle (especially in such comparatively advanced countries as England and France) suggested to the workers the need of forming an international union of proletarian forces for a number of purposes. Among these may be mentioned: the sharing of experience and knowledge; conjoint efforts on behalf of social reform and improvements in the condition of the working class; the prevention of the import of foreign workers to break strikes; etc. Thus the needs of the industrial struggle gave an impetus towards the formation of the workers’ international. » (Fonte).
Che piaccia o meno rispetto alla propria personale ideologia, la via verso la democrazia è stata tracciata - in primis - dai socialisti. E va riscoperta tutta l'opera ripulendola dall'orwelliana falsa coscienza dei "liberali di sinistra e di destra"."

"Tornando, non casualmente, alle vicende americane, vale la pena citare dal rapporto del Comitato sull’immigrazione, interno al marxista e combattivo American Socialist Party, pubblicato nel 1908 (qui la fonte da cui citerò: pagg. 75-77).

Il Comitato raccomanda di vietare l’immigrazione, in particolare “from specific and definite nations. This exception refers altogether to the mass immigration of Chinese, Japanese, Coreans and Hindus to the United States. We advocate the unconditional exclusion of these races, not as races per se—not as peoples with definite physiological characteristics—but for the evident reason that these peoples occupy definite portions of the earth in which they are so far behind the general modern development of industry, psychologically as well as economically, that they constitute a drawback, an obstacle and menace to the progress of the most aggressive, militant and intelligent elements of our working class population.

The larger and more powerful elements of our ruling classes, the great capitalists, the real and effective opponents of the militant working class, are the real beneficiaries of immigration from those countries, and being well aware that these immigrants are accustomed to a much lower standard of living and do not easily assimilate with the other elements of our population, use every means, legal and illegal, to encourage the immigration of these peoples to a point where it becomes an effective competitor against the progressive elements of the working class, serves to lower their standard of living, and constitutes a formidable factor in perpetuating division among the workers by subordinating class issues to racial antagonisms and thus tends to prolong the system of capitalistic exploitation.

The exclusion of the above-mentioned peoples does not prevent the disintegration of the middle classes, but it does, on the other hand, assist the workers by lessening the unemployment, maintaining the standard of living, minimizing the number of possible strike-breakers and lessening the various race problems which tend to confuse and divert the working class in its struggle for final emancipation.
The Committee has arrived at this conclusion after several years of careful study of all available data. So far as the time limits of this convention permit, individual members of this Committee are prepared to state the general and specific reasons that have led them to the position taken in this report.

Naturalmente erano esclusi i rifugiati politici, di cui si riteneva doverosa l’accoglienza.
Ovvero, in generale: “L’unione dei “proletari di tutto il mondo” nel conflitto di classe interno a ciascuna nazione è inconcepibile, a meno di ipotizzare che i rapporti di forza tra capitale e lavoro siano sufficientemente omogenei nei diversi contesti geopolitici. Prima vengono i rapporti di forza all’interno delle singole nazioni e i loro esiti: se questi sono abissalmente diversi, allora nelle nazioni più sviluppate un conflitto interno alla classe lavoratrice, indigena e immigrata, è inevitabile, con conseguente indebolimento generale del suo potere contrattuale.” (Barba e Pivetti, La scomparsa della sinistra in Europa, Imprimatur, Reggio Emilia, 2016, s.p.).
Oltre ad essere fondati sull’esperienza, mi sembrano abbastanza lineari come ragionamenti. Aiutano anche a capire, ce ne fosse bisogno, dove sta, e da quali interessi è incarnato, il problema".
 
6. Tornando a quel "lungo" post citato all'inizio, riporto il solo punto 5, per delle ragioni che saranno chiare nel corso della successiva lettura (e sempre rammentando chi sono i beneficiari essenziali della "manovra migratoria" antisovrana):
Ignorare gli effetti complessivi del delitto di "tratta degli esseri umani" e anzi selezionarli arbitrariamente, e contro l'oggettiva realtà del fenomeno, in modo da individuare delle vittime da tutelare e delle vittime i cui interessi necessariamente coinvolti non sono invece considerati meritevoli di tutela, significa varie cose: 
5a) che l'organizzazione dei trafficanti viene miopemente circoscritta ai soli vettori ed esecutori materiali del trasporto: un ruolo del tutto simile a quello dei corrieri della droga, non prevedendosi, al di là di enunciati assolutamente generici e non operativi sul piano dell'azione di contrasto, la repressione dei livelli di ideazione, direzione e, soprattutto, finanziamento genetico, dell'attività criminosa;
5b) che il deliberato sacrificio, determinato dall'omissione di ogni previsione e possibilità di tutela effettiva, degli interessi delle ulteriori vittime, consistenti nelle (maggioritarie) fasce economicamente più deboli della comunità sociale che subisce gli effetti dell'immissione della forza lavoro aggiuntiva (oltretutto aggiuntiva a quella già disoccupata entro tale comunità), non può che corrispondere, simmetricamente, alla realizzazione dell'oggettivo interesse di coloro che hanno (anche solo culturalmente) propugnato, e quindi ideato, l'immigrazione di massa della forza lavoro transcontinentale, e che dunque sono gli oggettivi beneficiari degli effetti strutturali del fenomeno delittuoso: questo interesse elitario viene dunque, per converso, considerato necessariamente meritevole di tutela!
5c) esistono forse dei rimedi possibili a questa inammissibile falla relativa all'effettiva prevenzione e neutralizzazione degli effetti concomitanti, se non principali, dell'attività criminale organizzata. Allo stato della disciplina attuale (recepita dall'Italia), le vittime dirette, selettivamente considerate dalle norme, sono oggetto di tutela, abbiamo visto, ex post, mediante le provvidenze economiche ampiamente riconosciute dalla disciplina in questione, e ottengono comunque un beneficio nella permanenza de facto nello Stato di arrivo
5d) Ma il principale rimedio dovrebbe essere ovviamente quello di considerare prioritaria, anzitutto, come già nei delitti di mafia, l'identificazione e punizione, senza limiti territoriali, dei finanziatori in apice, ad ogni livello, e degli  organizzatori primi del traffico umano
Questi soggetti di vertice, infatti, ben possono non figurare mai come responsabili in base alle attuali possibilità di indagine e limitarsi a concertare "dall'alto", a livello planetario, attività di istigazione e finanziamento, in loco, di reclutatori, persuasori/induttori all'emigrazione, di vettori, dediti, già a livello esecutivo, ad un'attività indubbiamente coordinata via terra e via mare, e via dicendo.  
La struttura organizzatrice di vertice, oggi a contrasto praticamente impossibile (in base a quanto sopra evidenziato), compie un'attività fondamentale e, visti gli effetti attuali, da presumere altresì immancabile, evidentemente pianificata; per agire nella vastità di scenario e di numeri oggi evidente, essa presuppone una forte centralizzazione (prova ne è la sua simultaneità e accelerazione), una ghost institution che soprassiede all'intero fenomeno delittuoso e senza la quale esso sarebbe irrealizzabile nelle attuali modalità e dimensioni. 
5e) Sarebbe opportuno, a tal fine, prevedere che le Nazioni Unite, preso atto del fenomeno nelle sue reali modalità globali, stabiliscano un sistema di adeguati incentivi e di sanzioni effettive, a tutti gli Stati dai quali già risulta in essere un imponente flusso in uscita di popolazione, che sia inevitabilmente coinvolta in questo traffico organizzato e criminale, al fine di imporgli l'adozione di una disciplina che stabilisca come grave reato l'attività, univocamente preparatoria del traffico umano, di persuasione e induzione all'emigrazione, identificando ed arrestando, non solo gli operatori locali che si dedicano a queste attività di innesco dell'esecuzione del crimine, ma anche identificando, attraverso meccanismi premiali di attenuazione delle pene, coloro che li hanno dall'esterno finanziati e, comunque, riforniti di informazioni e tecniche comunicative diffuse di reclutamento degli aspiranti immigrati, nonché di strumenti concreti autorganizzazione coordinata;
5f) un secondo genere di rimedi, da adottare in concomitanza con quello appena indicato, è più politico-generale, ma risulta sempre affidabile alle previsioni operative delle Nazioni Unite, in applicazione concreta ed attualizzata (come sempre dovrebbe essere per previsioni di ius cogens di diritto internazionale generale), delle previsioni della dichiarazione universale dei diritti dell'Uomo, nonché dell'art.55 della Carta (v. p.9). Secondo tali previsioni, teoricamente supreme nei principi comuni alle "nazioni civili", la dignità del lavoro, svolto naturalmente presso la comunità sociale da cui si proviene, assume un valore primario ed inderogabile. 
Ora, un fenomeno organizzato e concertato di traffico di esseri umani di queste dimensioni, sfrutta necessariamente condizioni globalmente diffuse di profondo disagio sociale che, di per sè, agevolano, per il capitalismo free-trade globalizzato, l'azione centralizzata  e concertata di "prima organizzazione" del traffico sistematico di esseri umani
5g) Per capirsi, basta fare l'opposto di quanto oggi prospettano le organizzazioni economiche internazionali e gli Stati dominanti, che prevedono presunti "aiuti" finanziari a paesi in fase di sviluppo, ma accompagnati dalle consuete "condizionalità" che incidono solo sul mercato del lavoro e sul welfare di tali popolazioni. Questo intero sistema oggi prevalente si fonda sull'idea free-trade della libera circolazione dei capitali e, quindi, sull'esclusivo obiettivo di rendere appetibile a investitori esteri l'ambiente socio-istituzionale di questi paesi, vietando qualsiasi forma di autoprotezione democratica che consenta lo sviluppo, controllato da Stati effettivamente agenti nell'interesse delle proprie comunità, di un "infant capitalism". 
5h) Per definire il modello "in negativo" di cosa fare, basta avere riguardo alle condizionalità imposte dal FMI (qui, sempre p.9 e qui, pp.2-3) e dalla World Bank, (pp-2-3) e, di recente, non casualmente, dalla stessa Merkel (qui, p.2):
Nel tentativo di dare nuovo slancio a questa presenza, tra le misure proposte per incentivare investimenti privati in Africa vi sono garanzie di credito all'esportazione per le aziende tedesche e, al contempo, risorse finanziarie a sostegno dei governi africani che introducono riforme, soprattutto nel quadro normativo economico, incluso quello della tassazione, e agiscono con responsabilità, trasparenza e impegno".
Cosa sia il "Piano Merkel" per l'Africa è presto detto: da un lato 300 milioni di euro per programmi di formazione professionale e occupazione, destinati ai Paesi – si parte con Tunisia, Ghana e Costa d'Avorio, mentre Marocco, Ruanda, Senegal ed Etiopia potrebbero seguire – che si impegnano a rispettare i diritti umani, combattere la corruzione e garantire lo stato di diritto, creando così un clima economico più favorevole; dall'altro i "Compact with Africa", che puntano a incentivare le riforme sul posto, per attirare maggiori investimenti privati".

7. Sulla scorta delle premesse finora svolte, ci pare interessante sottolineare come le linee di intervento repressive del gigantesco traffico illecito di esseri umani qui suggerite, trovino una significativa eco in un documento del 2015 dei vescovi africani, almeno con riguardo all'analisi dello scenario di concertazione organizzata e di induzione dell'intero fenomeno. 
I vescovi che svolgono il loro apostolato proprio sui territori interessati, e che quindi sono testimoni effettivi di ciò che sta accadendo, paiono ben coscienti che proprio chi emigra non appartenga alla minoranza di coloro che fuggono dalla guerra e dalla fame, ma al contrario, appartiene ad una vasta platea di soggetti che "si aspettano e reclamano" ben altro, evidenziando che l'idea del "dovere morale di accoglienza" sia l'altra faccia della parte più insidiosa e propagandistica dell'organizzazione del traffico di esseri umani: e notare, specialmente se "convinti a emigrare in un paese in difficoltà come l'Italia":
"I vescovi africani, oggi, ai giovani:
C’è una prospettiva che di solito manca nella riflessione sugli attuali flussi migratori dall’Africa. Cresce la preoccupazione di come fare a mantenere centinaia di migliaia di persone che vanno nutrite, alloggiate, vestite da capo a piedi, se necessario curate; e che, per di più, si aspettano e reclamano televisori, reti wifi, mezzi di trasporto, sistemazione in centri urbani e, qualcuno, una occupazione all’altezza del proprio titolo di studio: perché molti vantano diplomi di scuola secondaria e persino universitari.
Qualcuno incomincia anche a domandarsi se sarà possibile assimilare una simile massa di persone culturalmente così diverse da noi e tra di loro. 
Ma nel complesso prevale l’idea che sia un dovere morale di accoglierli nel presupposto che si tratti sempre di persone salvate da morte certa per fame e violenza e che ospitarli sia indiscutibilmente bene per loro, utile, positivo: anche se sarebbe meglio “aiutarli a casa loro”, cosa che peraltro molti intendono solo nel senso che costerebbe di meno e semplificherebbe le cose.
Non si pensa innanzi tutto che il traffico di emigranti è un commercio fiorente, miliardario, anche perché, come per tutte le attività economiche, chi ci lavora non si limita ad aspettare che arrivino i clienti, ma li va a cercare, li alletta, crea nella gente lo stimolo e il desiderio di partire. Come? Prospettando e promettendo meraviglie. A chi? Soprattutto ai giovani: in maggioranza maschi, ma non solo, per lo più scolarizzati e residenti in centri urbani dove loro o i loro genitori sono emigrati lasciandosi alle spalle campi, pascoli, villaggi e miseria.
Ma l’esodo di centinaia di migliaia di giovani – ed ecco la prospettiva che manca – produce danni economici, sociali, culturali enormi, irreparabili ai paesi di origine, privandoli di parte della più importante risorsa di ogni comunità e di ogni nazione: il suo capitale umano. 
Peggio ancora se quei giovani vengono convinti a emigrare in un paese in difficoltà come l’Italia dove quasi il 6% delle famiglie vive in condizioni di povertà assoluta, per un totale di oltre quattro milioni di persone, dove il tasso di disoccupazione ha raggiunto il 12,7%, il 44,2% quella giovanile, dove sono ormai oltre 100.000 i cittadini che ogni anno emigrano (quasi metà di età compresa tra i 20 e i 40 anni): e dove quindi il destino di molti giovani immigrati è di essere sì provvisti di tutto, ma restando inattivi, assistiti in permanenza da cooperative, Ong e altri enti
Può apparire una discreta opzione, almeno nei primi tempi, quella di vivere senza lavorare e chissà che effetto fanno agli amici e ai parenti rimasti in patria i selfie che li mostrano con sneakers di marca, berretti con visiera, felpe con logo, smartphone e bicicletta.
Neanche l’eventualità che riescano a mandare del denaro a casa va considerata un successo. Si stimano in quasi 40 miliardi di dollari le rimesse degli africani all’estero. Ma in gran parte vanno a integrare i redditi dei parenti rimasti a casa: e sono spese in acquisti, in consumi, creando altre situazioni di dipendenza.
Si può immaginare il rammarico di chi lucidamente guarda al futuro di quei giovani e dei loro paesi. 
«Voi siete il tesoro dell’Africa. La Chiesa conta su di voi, il vostro continente ha bisogno di voi», ha detto rivolgendosi ai giovani Monsignor Nicolas Djomo, Presidente della Conferenza episcopale della Repubblica Democratica del Congo, nel discorso di apertura dell’Incontro della Gioventù cattolica panafricana che dal 21 al 25 agosto ha riunito a Kinshasa 120 delegati provenienti da 11 stati africani. 
«Non fatevi ingannare dall’illusione di lasciare i vostri paesi alla ricerca di impieghi inesistenti in Europa e in America – ha proseguito – guardatevi dagli inganni delle nuove forme di distruzione della cultura di vita, dei valori morali e spirituali. Utilizzate i vostri talenti e le altre risorse a vostra disposizione per rinnovare e trasformare il nostro continente e per la promozione di giustizia, pace e riconciliazione durature in Africa».

8. Da rimarcare, infine, come la posizione dei vescovi africani risulti, nella sua visione più pratica del paradigma sociale affermato, praticamente opposta a quella delle Conferenze episcopali delle Comunità europee (COMECE), affiancate da sempre al paradigma ordoliberista che esplicitamente appoggiano (qui, pp.2-5), citando Eucken e Roepke, come pensatori di riferimento per il grande temperamento dello Stato in nome della "sussidiarietà", e quindi della prevalente privatizzazione del welfare.
Potranno mai riconciliarsi queste visioni oggi così diverse dentro un'unica Chiesa?
(Ovviamente questa è una domanda retorica: nessuno è così ingenuo da credere che non si possa argomentare teologicamente una sintesi "dialettica" tra le due posizioni...avvalendosi di una poderosa tradizione in tal senso).

lunedì 28 agosto 2017

LA TRAPPOLA DELL'ODIO DEGLI "AGENTI DI INFLUENZA". LA MANOVRA DELL'ANTISOVRANO


1. C'è un concetto "base" che torna prepotentemente alla ribalta in questi giorni, di fronte al dilagare della sovraesposizione mediatica di accadimenti come gli sgomberi di immobili occupati commettendo illeciti penali non "giustificabili" secondo alcuna interpretazione costituzionalmente (cioè democraticamente) orientata, ovvero come la violenza sessuale di gruppo posta in essere da stranieri, probabilmente a loro volta illecitamente presenti sul territorio nazionale (e, nel caso, oltretutto, in danno di altri stranieri che invece erano più che lecitamente entrati come turisti, categoria di cui si esalta l'oggettiva utilità in termini di saldo attivo delle partite correnti dei conti con l'estero, salvo poi contraddire questa auspicata propensione produttiva del territorio italiano attraverso destrutturazione e degrado permanenti perseguiti con l'austerità fiscale che incide su ogni livello di gestione del territorio. Fenomeno che è il naturale corollario degli obiettivi intermedi di pareggio strutturale di bilancio e della privazione della sovranità monetaria imposti dall'appartenenza alla moneta unica).

E non vuole la democrazia (a meno che non sia "liberale", cioè ridotta a mero processo elettorale idraulico che azzera ogni reale possibilità di scelta popolare dell'indirizzo politico da seguire), perché (come dice Barroso, una volta per tutte, richiamando il ruolo imperituro de L€uropa nelle nostre vite quotidiane) la considera inefficiente dal punto di vista allocativo.
E ciò in quanto, appunto, le risorse (monetarie) sono limitate, corrispondono ad un dato ammontare di terra-oro come fattori primi di ogni possibile attività economica, e la titolarità, preesistente e prestabilita, della proprietà di questi fattori precede ogni calcolo economico: cioè legittima un equilibrio allocativo che riflette una Legge naturale a cui asservire ogni attività normativa e amministrativa dello Stato, e rende un diritto incomprimibile il ritrarre un profitto da questa titolarità incontestabile, anche a scapito dell'interesse di ogni soggetto umano che non sia (già) proprietario di questi fattori della produzione.
Il merito che si autoattribuisce il capitalismo è quello di attivare una capacità di trasformazione delle risorse (limitate) per moltiplicare i beni suscettibili di essere acquisiti in proprietà (questo sarebbe il dispiegarsi dell'ordine del mercato, fin dai tempi della teorizzazione ecclesiastica), essenzialmente oggetto di consumo, e di permettere, nel corso di tale processo, l'impiego lavorativo di moltitudini di esseri umani che, in tal modo, sarebbero in grado automaticamente di procurarsi i mezzi di sostentamento.

2. Di conseguenza, come trapela anche da autori (neo)neo-classici (cioè neo-liberisti) del nostro tempo, (eloquente in tal senso è "La nascita dell'economia europea" di Barry Eichengreen, che ho avuto modo di rileggere questa estate, non senza un certo disagio sulla disumana dissonanza cognitiva che ne emerge), il profitto è l'unico motore possibile della società e della sopravvivenza della specie.
Pertanto, i governi debbono esclusivamente preoccuparsi di garantirne la continuità (e ce ne accorgeremo presto, ancora una volta, quando si dovranno "fare gli investimenti" per risolvere la "crisi" dell'acqua), assicurando, nell'unica dialettica considerata razionalmente ammissibile, l'esistenza istituzionale di un mercato del lavoro che vincoli, a qualsiasi prezzo sociale, la massa dei lavoratori non-proprietari a condizioni di mera sussistenza.

3. La moneta gold standard, o qualsiasi soluzione similare, ed anche più rigida, come l'euro, che rendono le politiche di stabilità monetaria indipendenti da ogni altro obiettivo politico (qui, p.17.1.), sono perciò un totem irrinunciabile innalzato sull'altare dell'unico diritto possibile e legittimo, essendo tutti gli altri diritti degli odiosi privilegi clientelari frutto di clientelismo e corruzione, (come ci illustrano con alti lai indignati contro la "giustizia sociale", intesa come "corruzione legalizzata", Spinelli, Hayek e Einaudi).
E l'unico diritto legittimo è, naturalmente, quello al profitto derivante dalla "data" allocazione delle risorse limitate in capo ai pochi grandi proprietari; i quali, in termini di equilibrio allocativo ideale, dovrebbero anche essere gli unici proprietari.
Qualsiasi alterazione di questo equilibrio è considerata razionalmente intollerabile e pone in pericolo l'equilibrio allocativo efficiente che, dunque, è prima di tutto un assetto di potere politico.
Lo Stato che abbia deviato da questo assetto, ponendo in essere divergenti condizioni di redistribuzione di tali risorse, ex ante (o ex post: ma queste ultime sono dotate di un'ambiguità che le rende asservibili anche ad obiettivi del tutto opposti a quelli della tutela del lavoro, come ci insegnano Pikketty, qui, p.8, e l'Unione bancaria), deve "ricostruire", anche con ampi e notevoli interventi, prolungati per tutto il tempo necessario, la razionalità indiscutibile di questa Legge sovrastatuale e perenne.

4. Come si ricollega tutto questo agli episodi di reato (e di loro difficoltosa repressione) posti in essere da "immigrati" a vario titolo nel territorio nazionale?
In modo alquanto coerente con il funzionamento progressivo del sistema di ripristino, accelerato da L€uropa, dell'assetto allocativo efficiente.
L'euro costringe alla svalutazione del tasso di cambio reale e consente che ciò si realizzi unicamente attraverso la riforma incessante del mercato del lavoro-merce (come spiega benissimo Eichengreen parlando del gold standard), cioè al fine di porre in condizioni di progressiva "mera sussistenza", l'insieme dei soggetti non proprietari estranei al controllo dell'oligopolio concentrato e finanziarizzato (una condizione di "classe" che eccede di gran lunga quella del solo lavoratore dipendente, qui, p.4).

5. Il costo politico di tale continuo aggiustamento, in costanza di suffragio universale (condizione mantenuta obtorto collo e in vista di una sua definitiva e formale abolizione), può essere sopportato solo "sostituendo" le classi sociali impoverite, e in precedenza titolari delle aspettative di tutela sociale apprestate, (formalmente ancora oggi), dalla Costituzione, con un adeguato contingente di soggetti "importati", se e in quanto siano sradicati, per inconciliabile vocazione culturale, da questo precedente assetto sociale democratico.
Questi nuovi "insediati" sono dunque preferibilmente (cioè intenzionalmente) prescelti in quanto inclini a considerare la comunità di insediamento come un'organizzazione aliena, i cui precetti normativi fondamentali debbano, al più presto, cedere di fronte alla pressione numerica dei nuovi arrivati e delle loro esigenze primarie (rivendicate esplicitamente come le uniche da considerare, a detrimento di ogni situazione di crescente povertà degli autoctoni, che si lasciano governati dalla condanna a un senso di colpa inemendabile).
L'intera operazione di reinsediamento demografico è pianificata e incentivata attraverso organizzazioni - private ed espressione del perseguimento degli interessi dei grandi gruppi economici che dominano il diritto internazionale privatizzato- che inoculano e rafforzano, nei gruppi etnici reinsediati, questa idea di ordinamento giuridico arrendevole e di aspettativa incondizionata alla redistribuzione ex post di risorse in danno delle classi più povere e deboli in precedenza viventi sul territorio da "trasformare".

6. "Agenti di influenza" (NB: la fonte linkata è ufficiale dell'AISI-governo.it), appositamente predisposti sia all'interno del sistema mediatico dello Stato nazionale di "accoglienza", che operanti nell'organizzazione, reclutamento e agevolazione del reinsediamento, si preoccupano essenzialmente di rafforzare e rendere irreversibile l'idea che le leggi statali nazionali che vietano comportamenti incompatibili con l'ordine pubblico e l'interesse generale della comunità "ricevente", e da trasformare a tappe forzate, siano sostanzialmente immorali o troppo difficili da applicare e perciò oggetto di urgenti riforme (ad es; il cosiddetto ius soli), o, ancor meglio, di desuetudine: cioè di accettazione diffusa della loro inapplicazione in nome di un prevalente "stato di necessità" che si fonda sull'inevitabile "scarsità di risorse".

7. Senso di colpa indotto in via propagandistica dagli "agenti di influenza" e scarsità di risorse, come parametro ormai metanormativo e supercostituzionale, costituiscono un combinato tale che si ottiene anche l'effetto più ambito, come evidenziava Rodrik, da parte delle elites timocratiche che guidano l'operazione: lo scatenarsi del conflitto sezionale tra poveri importati, cittadini esteri, e cittadini impoveriti soggetti all'accoglienza in funzione di fissazione deflattiva dei livelli retributivi.
Il porre i vari pezzi di non-elite uno contro l'altro, scardina ogni senso di reazione alla manovra aggressiva di classe condotta dalle oligarchie cosmopolite, e alla sottrazione della sovranità democratica che, appunto, (così Luciani, p.7) si caratterizzava su una "concezione ascendente", cioè per la sua titolarità "di popolo", e sull'idea di Nazione; l'unica storicamente tale da individuare in senso coesivo e solidale una comunità sociale sufficientemente univoca per determinare gli interessi comuni che la sovranità persegue per sua natura (qui p.11.3 e, prima ancora, come rammentava Lord Beveridge, cfr; p.5 infine).

7.1. L'attitudine distraente del conflitto sezionale si manifesta, per la verità in tutto il mondo occidentale, in modo da amplificare il potere degli agenti di influenza delle elites che hanno buon gioco nello stigmatizzare quell'odio che hanno accuratamente infuso e alimentato nel corpo sociale delle non-elites: e questo fino al punto da delegittimare, nei fatti narrati in modo da forzare etichette di condanna ipocritamente "etica", quelle che sono esattamente le reazioni naturali, quasi meccanicistiche, che avevano inteso deliberatamente suscitare
Il senso di colpa, in precedenza diffuso a livello di preparazione mediatico-culturale dell'operazione, può quindi essere addebitato al corpo sociale aggredito in base a "fatti" che corrispondono anch'essi alla meccanica calcolata dell'intolleranza che si intendeva suscitare.

8. Il cerchio si sta chiudendo, dunque.
L'unica risposta rimasta è la consapevolezza. E la consapevolezza ci riporta alla rivendicazione della effettiva legalità costituzionale. Oltre di essa c'è solo il territorio di nessuno dello stadio pre-giuridico dei puri rapporti di forza, come ci avvertiva Calamandrei, rapporti imposti dall'ordine internazionale dei mercati.
Il conflitto sezionale che questo ordine mira a portare alle sue conseguenze estreme non deve essere l'inganno finale con cui si autodistrugge la sovranità democratica, in una trappola innescata da odiatori dell'umanità, tanto apparentemente astuti quanto, in sostanza, rozzi e primordiali.

8.1. Basterebbe rammentare due semplici passaggi. Il primo, già citato, è di Rodrik (qui, p.4):
"...riportiamo un significativo brano di Dani Rodrik che, sebbene riferito alle dinamiche dei paesi in via di sviluppo, per le condizioni create dal liberoscambismo sanzionato dal vincolo esterno "valutario", ci appare eloquente anche per la Grecia e, di riflesso (mutatis mutandis, in una sostanza però omogenea), per tutti i paesi coinvolti nell'area euro.
Da rilevare che questa spiegazione ci dà ben conto dei sub-conflitti "sezionali" (p.11.1.), in funzione destabilizzatrice della democrazia, che fanno capo ai "diritti cosmetici" e alle identità etnico-religiose-localistiche, conflitti che sono una vera manna per le elites:
"Le conseguenze politiche di una prematura deindustrializzazione sono più sottili, ma possono essere più significative.
I partiti politici di massa sono stati tradizionalmente un sotto-prodotto dell'industrializzazione. La politica risulta molto diversa quando la produzione urbana è organizzata in larga parte  intorno all'informalità, una serie diffusa di piccole imprese e servizi trascurabili. 
Gli interessi condivisi all'interno della non-elite sono più ardui da definire, l'organizzazione politica fronteggia ostacoli maggiori, e le identità personalistiche ed etniche dominano a scapito della solidarietà di classe.

Le elites non hanno di fronte attori politici che possano reclamare di rappresentare le non-elites e perciò assumere impegni vincolanti per conto di esse.
Inoltre, le elites possono ben preferire - e ne hanno l'attitudine- di dividere e comandare, perseguendo populismo e politiche clientelari, giocando a porre un segmento di non elite contro l'altro.
Senza la disciplina e il coordinamento che fornisce una forza di lavoro organizzata, il negoziato tra l'elite e la non elite, necessario per la transizione e il consolidamento democratico, ha meno probabilità di verificarsi.
In tal modo la deindustrializzazione può rendere la democratizzazione meno probabile e più fragile."
9. Il secondo è di Chang (qui, pp.8- 8.1.):
"I salari nei paesi più ricchi sono determinati più dal controllo dell'immigrazione che da qualsiasi altro fattore, inclusa la determinazione legislativa del salario minimo.
Come si determina il massimo della immigrazione? 
Non in base al mercato del lavoro ‘free’ (ndr; cioè globalizzato) che, se lasciato al suo sviluppo incontrastato, finirebbe per rimpiazzare l'80-90 per cento dei lavoratori nativi (ndr; oggi è trendy dire "autoctoni"), con i più "economici", e spesso più produttivi, immigranti. L'immigrazione è ampiamente determinata da scelte politiche. Così, se si hanno ancora residui dubbi sul decisivo ruolo che svolge il governo rispetto all'economia di libero mercato, per poi fermarsi a riflettere sul fatto che tutte le nostre retribuzioni, sono, alla radice, politicamente determinate."
...
I vari Paesi hanno il diritto di decidere quanti immigranti possano accettare e in quali settori del mercato del lavoro (ndr; aspetto quest'ultimo, che i tedeschi, ad es; tendono in grande considerazione).
Tutte le società hanno limitate capacità di assorbire l'immigrazione, che spesso proviene da retroterra culturali molto differenti, e sarebbe sbagliato che un Paese vada oltre questi limiti.
Un afflusso troppo rapido di immigrati condurrebbe non soltanto ad un'accresciuta competizione tra lavoratori per la conquista di un'occupazione limitata, ma porrebbe sotto stress anche le infrastrutture fisiche e sociali, come quelle relative agli alloggi, all'assistenza sanitaria, e creerebbe tensioni con la popolazione residente.
Altrettanto importante, se non agevolmente quantificabile, è la questione dell'identità nazionale.
Costituisce un mito - un mito necessario ma nondimeno un mito (ndr; rammentiamo che lo dice un emigrato)- che le nazioni abbiano delle identità nazionali immutabili che non possono, e non dovrebbero essere, cambiate. Comunque, se si fanno affluire troppi immigrati contemporaneamente, la società che li riceve avrà problemi nel creare una nuova identità nazionale, senza la quale sarà difficilissimo mantenere la coesione sociale. E ciò significa che la velocità e l'ampiezza dell'immigrazione hanno bisogno di essere controllate".
Stupri e occupazioni di immobili sono qualcosa che, dunque, corrisponde ad un effetto ben prevedibile dell'operazione che si sta ponendo in essere: l'obiettivo è proprio quello di "porre sotto stress le instrastrutture fisiche e sociali" della comunità statale "attaccata", per distruggerne ogni "identità nazionale" per mezzo di una ben preparata condanna mediatico-moralistica e, attraverso di essa, ogni "coesione sociale". 
E' questo valore, infatti, il principale ostacolo al pieno ripristino dell'ordine internazionale dei mercati (cioè dell'assetto allocativo efficiente che predica il solo diritto al profitto di pochi proprietari).

10. Riforme in stato di eccezione permanente, accoglienza illimitata, distruzione definitiva della legalità costituzionale sono tutt'uno, dunque, con la cinicamente calcolata diffusione dei reati commessi dagli immigrati. E con la loro enfatizzazione, intenzionalmente diffusiva dell'odio che intendono addebitarci, per poi reprimerlo anche con la forza delle armi. Armi di ogni tipo: il primo sono gli agenti di influenza che, secondo la teorizzazione che ne fa la stessa intelligence, sono destinati a influenzare e controllare l'azione dei governi presso cui tali agenti operano, rispondendo a interessi e direttive ostili alla Nazione infiltrata.
Non ci cascate.
Difendete la Costituzione democratica: con tutti i mezzi che essa offre. Il primo, però, e il più importante, è dentro di voi.

martedì 22 agosto 2017

SOLO UN BLOG...(ESSI AND US)


http://www.themandus.org/old_website/them_and_us_logo.gif

1. Sì, ammettiamolo: questo è un blog.
Per questo è scientificamente meno attendibile o approfondito dei testi accademici su cui si studia nelle università o nei successivi momenti di dottorato e di ricerca?
Come abbiamo precisato fin dal primo post in questa sede, questo è un falso problema. Ne rammento, del post, l'incipit:
"Questo blog nasce dall'esigenza di preparare un futuro ("migliore"? Vogliamo essere ottimisti?) per la democrazia. E fin qui, sembrerebbe quasi che non ci sia nulla di strano, dato che lo potrebbe sostenere, come scopo autodichiarato, qualunque "voce", pubblicazione, giornale, rivista o, naturalmente, partito politico. 
Ma il punto, che credo in molti "sentono" di sollevare in questo momento storico italiano e, inteso in molte possibili accezioni, "europeo", è: quanta parte della democrazia è ancora in vita?
Quanta strada può ancora fare la democrazia, quantomeno rispetto a quelle aspettative che in molti modi ci sono state trasmesse, quasi come un riflesso, da scuola, media (televisioni in testa), proposizioni politiche?"
 
2. Da quel momento di circa cinque anni fa, la democrazia ha fatto solo passi indietro, rispetto al punto di riferimento dell'applicazione, o meglio del ripristino, della legalità costituzionale.
E, perdurando il "vincolo esterno" dei trattati, non poteva essere diversamente (non metto links perché tutto il blog, e i due libri che ne sono scaturiti, sono rivolti a evidenziare questo aspetto: d'altra parte, un vincolo è un vincolo e finché perdura è una forza agente in moto uniformemente accelerato, come la caduta libera determinata dalla forza di gravità...).
Ovviamente questo è un problema che riguarda tutti i cittadini italiani, che formano quel "popolo" cui appartiene la sovranità nella Repubblica fondata sul lavoro.
Porsi il problema della democrazia e della sua corrispondenza al modello legale-costituzionale è anche un problema giuridico: tuttavia è proprio di un livello di diritto che appartiene alla coscienza "politica" di ciascuno che, come spesso ricorda Bazaar, è anzitutto coscienza morale. 
Ma è "morale" in senso non riduttivamente "sociale", in quanto, in ultima istanza, è volta a promuovere la vita umana come fenomeno di piena e libera realizzazione cognitiva: libera dall'oppressione materiale intollerabile esclusivamente indotta da altri esseri umani che reclamano il potere sugli altri. ESSI per l'appunto (che, per la verità, reclamano per se stessi una condizione sostanzialmente super-umana, ascrivibile a pochi, e, simmetricamente, sub-umana per tutti gli altri).

Non andrò oltre: mi basta precisare che per cogliere l'essenza di questo fenomeno di "coscienza" umana, e dunque (necessariamente) sociale, in partenza, ma cognitiva nel suo sviluppo (auspicabile), un approccio giuridico non sarebbe sufficiente, occorrendo, proprio nella fase iniziale necessaria alla de-socializzazione del condizionamento umano, una serie di solide conoscenze economiche e storiche. Unite dal comune approccio fenomenologico.
 
3. Su questo genere di problemi, soccorrono alcuni interessanti commenti svolti nel dibattito seguito al penultimo post.
Il primo è di Luca che, in termini oggettivi, coglie il limite di un approccio giuridico e anticipa un aspetto ideologico, cioè sovrastrutturale e dissimulante l'essenza strutturale del problema, che appare insito nelle conoscenze "giuridiche":
"...intendevo sottolineare che la tua precisazione è fondamentale per molti studenti che, inevitabilmente, subiscono gli "involontari strabismi" di docenti/autori dalle più o meno evidenti simpatie (neo)liberiste. 
Non so se poi è una mia esagerazione intravedere anche nostalgie dell'"ordinamento corporativo" (trattandosi spesso di autori coetanei ai miei nonni). Diciamo di liberali che in situazioni di progressiva manifestazione della conflittualità sociale ti sosterrebbero squadristi e quant'altro...ne abbiamo avuti un oceano e ne avete scritto spesso anche voi.
In altri termini: quanta parte dei giuristi è convinta che la costituzione repubblicana è antifascista in quanto anti-liberista?
Avevo prestato a qualche conoscente "La Costituzione nella palude" e al momento delle rispettive restituzioni parlavamo proprio del fatto che nei manuali universitari [almeno quelli più "frequentati" ai tempi: Rescigno, Mazziotti di celso, Bin-pitruzzella, Paladin, adottati per l'esame di pubblico nelle facoltà di economia, legge, scienze politiche, sociologia, filosofia, storia, scienze delle comunicazioni, statistica] non ci sono tutti questi appassionati "inviti" alla lettura dei lavori dell'assemblea (sì vabbè...c'è il link) né erano previste (stando a questo mio confronto con una decina di persone) letture integrative...nemmeno riguardo alla"la monografia del Prof da afffiancare al manuale...nessuno ha avuto mai assegnato un saggio di storia costituzionale fatto come Cristo comanda.
Ora però mi chiedo con che coraggio un docente possa far finta che questo blog non esista...serve davvero del fegato. Si è improvvisata, e purtroppo atomisticamnte, molta autodidattica.
Questo blog è militanza politica pura...lettura individuale e confronto collettivo. Ad avercelo avuto prima quando si aveva tempo di studiare!
Come si fa oggi a non indicarlo a tutte le matricole?"
 
4. Paolo Giusti risponde evidenziando un ulteriore aspetto che, per la verità, non mi pare contrapposto a quello delle "più o meno evidenti simpatie neo-liberiste" ma, anzi, strettamente complementare ad esso. E nel far ciò, indica le ragioni di questa oggettiva convergenza (di effetti interpretativi), forse involontaria, che pure accomuna approcci ideologici dei giuristi apparentemente opposti: le ragioni consistono nel "non saper nulla di economia" o, più precisamente, come evidenziava Alberto, nell'accettare talune verità economiche come postulati fideistici da cui trarre rilevanti conclusioni interpretative che, come abbiamo visto, guidano verso una diffusa disapplicazione della Costituzione, mediante costruzioni extratestuali (qui, v. introduzione) di cui non si sono mai verificati i presupposti (il che è l'opposto del metodo scientifico, anche nella forma applicabile al diritto, in cui le norme nella loro identità letterale e sintattica devono costituire comunque il punto di partenza obbligato):
"I redattori di manuali universitari, nonché di quelli molto più pericolosi di preparazione agli esami di Stato - che ti prendono maggiormente a "difese immunitarie calate" - non sono di simpatie liberali, ma sono in dissociazione cognitiva: grandi voli sui principi lavoristi e di democrazia sostanziale, alcuni addirittura osano osservare che la "costituzione" l€uropea è in aperto contrasto con i principi sociali della nostra Costituzione, però poi è tutto un debbitopubbblicobruttto, effficienza, pareggiodibilanciechecefatantobbene.
Il problema è che NON SANNO NULLA DI ECONOMIA (e alcuni se ne vantano...): uno può conoscere anche tutti gli atti dell'Assemblea Costituente, ma se poi non ha anticorpi al virus neoliberale - e ai suoi corollari, risorse finite, pareggio di bilancio, banca centrale indipendente, finanziarizzazione della spesa pubblica ecc... - non può salvarsi: i diritti sociali costano e il modello liberale è deflattivo, quindi...
Onore, anzi, al "merito" che non svaccano i principi costituzionali à la Corsera.
D'altronde, l'unico modo di risolvere una dissociazione cognitiva è comprendere la falsità di una delle due proposizioni in conflitto, ovvero andare oltre l'economia del "bar sport".
Aggiungo comunque, come chiosa finale, che questo blog è molto ben conosciuto ai professori universitari, ma: 
1. è un blog, "tipo quello di Grillo" cit. 
2. non è mainstream e hanno tutti una paura fottuta di finire a fare le pecore nere del branco accademico."
 
5. A chiusura di questa trattazione pongo uno spunto offerto da Francesco Maimone (in realtà all'inizio della discussione in cui si inseriscono i due riportati commenti), ma per come lo aveva già fornito in un commento a un post di esattamente un anno fa. Si tratta di una citazione (originariamente fornita da Arturo e, come molti sapranno, riportata ne "La Costituzione nella palude") tratta da uno dei maggiori giuristi italiani dell'ultimo secolo (invito peraltro ad andare sul link per poter leggere l'intero discorso di Lelio Basso poi riportato in una sequenza di ulteriori commenti di Francesco):
"...non riesco a capacitarmi di come sia possibile un tale livello di incomprensione del sistema €urista, soprattutto a livello di giurisprudenza costituzionale. 
E’ possibile che si tratti “solo” di ignoranza (economica certamente)? 
O per converso, può essere tutta mala fede? 
In entrambi i casi, dal punto di vista della puntuale analisi giuridico-economica riportata, il fenomeno presenta tratti di palese abnormità sconfinante nella patologia (tecnicamente, la psicopatia segnalata da Bazaar). 
Sono infatti gli stessi interrogativi che, mutatis mutandis, si poneva Lelio Basso allorchè, dopo l’entrata in vogore della Costituzione, denunciava l’incorporazione automatica di tutte le leggi fasciste nel nuovo Stato che avrebbe dovuto essere “democratico”. 
Basso, nel riportare il pensiero di Marx sul passaggio dal capitalismo al socialismo, articolando questo emozionante discorso sull’argomento “Giustizia e potere” (di cui riporto i passi salienti), forniva una tesi plausibile, riassumibile altresì in una citazione di Pietro Barcellona contenuta in “La Costituzione nella palude” (pag. 74):
…quando il potere è saldamente in mano alle potenti lobby degli affari e della finanza, dei circoli mediatici e della manipolazione delle informazioni, i giuristi si abbandonano al cosmopolitismo umanitario e si arruolano nel “grande partito” delle buone intenzioni e delle buone maniere; magari fornendo una INCONSAPEVOLE LEGITTIMAZIONE al mantenimento dello stato di cose esistenti”

In effetti, questo è solo un blog. Direi però che non assomiglia a quello di...Grillo. Parla di argomenti molto diversi: negarlo sarebbe una grossolana inesattezza.
Può poi senz'altro essere, invece, che la democrazia sostanziale e la legalità costituzionale non siano temi sentiti dall'opinione pubblica e da quella di massa.
Ed infatti non confido nel fatto che questo post sia trovato interessante da molti. Solo alcuni lo capiranno e capiranno quanto, al suo fondo, c'è un drammatico appello finale (che non pretende ormai più di essere ascoltato...).