lunedì 7 agosto 2017

SBARCO CONTINUO: IL NUOVO DIRITTO INTERNAZIONALE TUTELA LE "VITTIME" INCENTIVANDONE LA CREAZIONE


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1. Ribadendo quello che oggi viene dato troppo facilmente per scontato, le notizie sull'atteggiamento dei responsabili governativi della "questione immigrazione" e, per la verità, responsabili anche della sorveglianza e integrità delle frontiere territoriali italiane, forniscono una spiegazione al perché, nonostante la "stretta" sull'attività oggettivamente opaca delle imbarcazioni delle ONG, alla fine dei conti, gli sbarchi nei porti italiani debbano proseguire utilizzando le navi militari e delle forze di polizia italiane:
"Negli ambienti vicini al ministero di Porta Pia invece si sottolinea come le regole del soccorso debbano comunque tenere presente quelle del diritto internazionale in mare, che non sono derogabili e come nello stesso codice di comportamento delle Ong sia scritto che si debbano rispettare «le normative nazionali e internazionali, nell' interesse di salvare vite, garantendo nel contempo un' accoglienza condivisa e sostenibile dei flussi migratori".

2. L'articolo è del Corsera e prendiamo atto che ne viene rappresentata una curiosa equiparazione tra la dovuta, imparziale ed efficiente (art.97 Cost.), verifica delle condizioni di applicazione del diritto internazionale del mare compiuta dagli organi pubblici preposti alla difesa delle frontiere, allorquando agiscano direttamente in operazioni di salvataggio in mare aperto, e la mera indicazione contenuta nel "codice di comportamento delle Ong".
Quest'ultimo, infatti, è oggettivamente un mero richiamo all'osservanza della legalità internazionale (ma anche delle leggi italiane!) che avrebbe dovuto essere pleonastico in condizioni di corretto e lecito svolgimento delle operazioni legate alla missione "Triton". 
Ma proprio per tale sua natura, di "richiamo all'ordine legale" già vigente, non implica affatto che le Ong rispetteranno automaticamente il diritto internazionale del mare, ma solo che si obbligherebbero a farlo, nonostante...vi fossero già obbligate in precedenza, indipendentemente dal codice di comportamento stesso (che dunque nulla aggiunge agli obblighi legali, sanzionati penalmente, su di esse comunque gravanti).

3. Ma è poi vero che le regole del soccorso del diritto internazionale sono rispettate se ci si ritiene incondizionatamente obbligati, come Stato e, dunque, con le proprie navi "pubbliche", a prendere in consegna, da qualunque genere di imbarcazione privata, carichi di immigrati, senza svolgere immediati accertamenti non solo su questi stessi immigrati che intendono passare la frontiera nazionale, ma anche sulle circostanze concrete in cui sia avvenuta qualunque operazione di trasbordo, in particolare verificando se veramente si sia trattato di un "salvataggio" conforme al diritto internazionale stesso e se, in relazione al luogo di trasbordo dei presunti "salvati" fosse legittimo e inevitabile uno sbarco sul territorio italiano?

4. Su questo primo punto, già il ben noto regolamento (UE) N. 656/2014 (dalle cui previsioni non possono divergere le convenzioni attuative delle varie missioni nel Mediterraneo che vedono come "paese ospitante" l'Italia), già ai parr. 2 e 3 dell'art.4, (intitolato "Protezione dei diritti fondamentali e principio di non respingimento", disciplinando questa già di per sé controversa indicazione di priorità, sulla cui conformità ai trattati abbiamo detto qui, pp.10-11), dispone in questo modo:
"2.   In sede di esame della possibilità di uno sbarco in un paese terzo nell’ambito della pianificazione di un’operazione marittima, lo Stato membro ospitante, in coordinamento con gli Stati membri partecipanti e l’Agenzia, tiene conto della situazione generale di tale paese terzo.
La valutazione della situazione generale di un paese terzo è basata su informazioni provenienti da un’ampia gamma di fonti, che può comprendere altri Stati membri, organi, uffici e agenzie dell’Unione e pertinenti organizzazioni internazionali e può tener conto dell’esistenza di accordi e progetti in materia di migrazione e asilo realizzati conformemente al diritto dell’Unione e con fondi dell’Unione. Tale valutazione fa parte del piano operativo, è messa a disposizione delle unità partecipanti e, se necessario, è aggiornata.
Qualora lo Stato membro ospitante o gli Stati membri partecipanti siano o avrebbero dovuto essere a conoscenza del fatto che un paese terzo mette in atto le pratiche di cui al paragrafo 1, le persone intercettate o soccorse non sono sbarcate, costrette a entrare, condotte o altrimenti consegnate alle autorità di tale paese.
3.   Durante un’operazione marittima, prima che le persone intercettate o soccorse siano sbarcate, costrette a entrare, condotte o altrimenti consegnate alle autorità di un paese terzo e tenuto conto della valutazione della situazione generale di tale paese terzo ai sensi del paragrafo 2, le unità partecipanti utilizzano, fatto salvo l’articolo 3, tutti i mezzi per identificare le persone intercettate o soccorse, valutare la loro situazione personale, informarle della loro destinazione in un modo per loro comprensibile o che si possa ragionevolmente supporre sia per loro comprensibile e dar loro l’opportunità di esprimere le eventuali ragioni per cui ritengono che uno sbarco nel luogo proposto violerebbe il principio di non respingimento".

5. In base alle stesse regole €uropee (pur sempre di diritto internazionale da trattato), dunque, le "unità partecipanti", definizione che riguarda pure le navi delle Ong, sia battenti bandiera italiana che estera (come chiaramente implica l'art.2, n.5) del regolamento), non è affatto scontato che possano/debbano direttamente dirigersi verso le coste italiane e non osservare, omettendoli sistematicamente, i primari obblighi di identificazione e informazione che devono espletare prima di decidere verso quale porto effettuare lo sbarco.
In particolare, non pare lecitamente eludibile, da parte delle navi delle Ong, questa fase di preliminare osservanza di obblighi. E però, a maggior ragione, queste procedure dovrebbero essere seguite dalle navi militari e di polizia italiane.
Infatti, il principio di "non respingimento", - come regola che, rispetto al principio della sorveglianza delle frontiere e del contrasto al traffico di esseri umani, in base ai trattati stessi, dovrebbe essere complementare e non prioritaria-, non troverebbe alcun legittimo presupposto di applicazione per "salvataggi" operati, su autonoma iniziativa, al di fuori dell'area di intervento della missione €uropea (che notoriamente è estranea ai luoghi prevalenti di effettivo "salvataggio" iniziale: v. immagini sottostanti)

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http://www.istitutoeuroarabo.it/DM/wp-content/uploads/2014/12/foto11.jpg


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6. Dunque, la regola della "consegna" alle autorità di un paese terzo, e della previa corretta identificazione dei soggetti trasportati su navi oggetto di presunto "soccorso", in queste condizioni assolutamente prevalenti di ubicazione dei "salvataggi", dovrebbe, a rigor di logica e di diritto internazionale, ridiventare preferenziale.
Questa consegna a Stati terzi, infatti, risulta dal criterio del "porto più vicino", segnatamente quelli della Tunisia, di Malta o della stessa Libia (come si sta stranamente e contraddittoriamente riscoprendo ora), in corretta applicazione proprio delle norme di diritto internazionale generale (nel caso, in quanto dettate da una convenzione estesa praticamente all'intera comunità internazionale). Tra l'altro, va ribadito, queste ultime norme internazionali, costituiscono fonte superiore, e quindi ad applicazione prioritaria, rispetto a qualsiasi regolamento UE. 
Ne dovrebbe discendere che queste superiori norme di diritto internazionale sul salvataggio e sullo "sbarco" nel "porto più vicino", avrebbero applicazione preferenziale, e quindi automatica e indipendente, allorché, come accade sistematicamente nel "salvataggio" di immigrati su imbarcazioni provenienti dalla Libia, ci si muova da abbordi avvenuti al di fuori dell'area delimitata dalla missione "Triton"

7. Ed infatti, il diritto del mare applicabile correttamente in ragione dei luoghi dove vengono materialmente effettuati i salvataggi è quello della Convenzione del mare del 1982 (qui, p. 250, pubblicazione di marina.difesa.it):


In pratica: la residualità della consegna a uno Stato terzo ha senso ove il salvataggio, da chiunque effettuato, sia operato nelle acque rientranti nell'area di mare delimitata per la missione Triton, mentre al di fuori di tali acque, il criterio prevalente imposto dal diritto internazionale è quello della "prossimità"; e ciò ancorché ulteriori disposizioni programmatiche rientranti nella missione europea conforme al regolamento UE sopra citato, estendano l'area di ricerca e soccorso. 
Se tali disposizioni applicative della convenzione, a sua volta esecutiva del regolamento, prevedessero diversamente, lo farebbero in contrasto col diritto internazionale generale del mare e, perciò, dovrebbero essere disapplicate o, comunque, oggetto di legittima riserva da parte dello Stato italiano.
E questo a tacere del fatto che, in ogni modo, nessuna disposizione di diritto internazionale, di certo nell'ambito dei "minori" trattati europei "settoriali" ma neppure derivante dal diritto internazionale (tendenzialmente) generale, può essere in contrasto coi principi fondamentali dell'ordinamento costituzionale democratico repubblicano, come ha in effetti avuto modo di affermare la Corte costituzionale con una sentenza emanata proprio con riguardo a una convenzione di diritto internazionale "generale", ma a maggior ragione opponibile a previsioni di diritto internazionale secondario (cioè da trattato "speciale").

8. Per capire questo punto, in tutta la sua obliterata evidenza, poniamo l'una accanto alle altre la sentenza della Corte n.238 del 2014 e quelle sulla sovranità territoriale come principio fondamentalissimo di livello costituzionale:
"Non v’è dubbio, infatti, ed è stato confermato a più riprese da questa Corte, che i principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale e i diritti inalienabili della persona costituiscano un «limite all’ingresso […] delle norme internazionali generalmente riconosciute alle quali l’ordinamento giuridico italiano si conforma secondo l’art. 10, primo comma della Costituzione» (sentenze n. 48 del 1979 e n. 73 del 2001) ed operino quali “controlimiti” all’ingresso delle norme dell’Unione europea (ex plurimis: sentenze n. 183 del 1973, n.170 del 1984, n. 232 del 1989, n. 168 del 1991, n. 284 del 2007), oltre che come limiti all’ingresso delle norme di esecuzione dei Patti Lateranensi e del Concordato (sentenze n. 18 del 1982, n. 32, n. 31 e n. 30 del 1971). Essi rappresentano, in altri termini, gli elementi identificativi ed irrinunciabili dell’ordinamento costituzionale, per ciò stesso sottratti anche alla revisione costituzionale (artt. 138 e 139 Cost.: così nella sentenza n. 1146 del 1988)."
8.1. Questa serie di seguenti massime conferma la prevalenza del potere sovrano di difesa delle frontiere e di esclusivo diritto dello Stato di ammissione di stranieri sul proprio territorio come conforme allo stesso diritto internazionale consuetudinario, vale a dire "generale", assunto come fonte più elevata del diritto stesso (di fronte alla quale recedono, come illecite e inefficaci, eventuali norme divergenti di qualsiasi fonte europea):
 
9. Ma nel senso della legittimità, e anzi doverosità, di un diverso atteggiamento nei confronti delle operazioni di salvataggio fuori dall'area di (pseudo) sorveglianza di Triton (salvataggio sempre presunto, date le condizioni di contesto in cui si opera, su base regolare, ai confini e dentro le acque territoriali libiche), militano anche altre norme "cogenti" del diritto internazionale generale del mare (sempre assumendo come "dichiarativa" di tale "generalità" la convenzione di Montego Bay, sopra citata).
Partiamo dall'assunto, continuamente ribadito dall'Unicef e da altre sollecite organizzazioni umanitarie: il viaggio complessivo attraverso il deserto, e partendo dall'Africa sub-sahariana, (o da altre lontane provenienze geografiche), infatti, risulta in una sequenza di violenze e torture che contrassegnano i vari passaggi che culminano nelle "detenzione" in appositi centri-lager, gestiti sia dai vari governi libici (più o meno dotati di riconoscimento internazionale "effettivo": più meno che "più", secondo le regole del diritto internazionale sulla "effettività" dei soli Stati stabili e consolidati per un rilevante periodo di tempo e nella pienezza riconoscibile di funzioni publbiche essenziali caratterizzanti la sovranità). 
Ma tale detenzione, a sua volta, è preparatoria della consegna agli scafisti che, necessariamente, sono in stretto coordinamento con chi gestisce tale detenzione
Non è infatti pensabile che un attingimento costante di persone da questi centri di detenzione, destinato a riflettersi nell'attuale imponente e manifesta continuità di partenze dalle coste libiche, sia gestito dagli scafisti senza essere in una qualche forma di accordo stabile con coloro che raccolgono, nel passaggio dal deserto, e detengono negli appositi "centri", gli immigrati che sono in attesa di essere via via imbarcati.

9.1. Chi è nei "centri di detenzione" non viene rimpatriato (nello Stato di provenienza), a quanto risulta del tutto evidente: la condizione di queste persone disperate è quella di ostaggi in quanto costituenti "merce" per il lucroso tratto finale del viaggio che, nella catena industriale dell'immigrazione no-limits, è affidato agli scafisti. 
Ma questi ultimi, dunque, appaiono solo i gestori terminali di una complessiva attività, svolta con mezzi violenti e illeciti, di gestione delle complessive "tratte" di trasporto terra-mare, in un'unitarietà di organizzazione che non può che essere fondata sul reciproco e consapevole affidamento tra tutti i segmenti dell'organizzazione stessa. 
Abbiamo peraltro già visto come l'apposito "protocollo addizionale" ONU parli proprio di criminalità organizzata transnazionale via terra, via aria e via mare (qui p.3), dunque, non dovrebbero esserci dubbi sul carattere di "fatto notorio", rilevante anche ai fini giuridici (per tutti gli Stati aderenti al "protocollo"), di tale organizzazione. Ma abbiamo anche constatato come tale disciplina sia sostanzialmente inefficace per la genericità e inconcludenza delle sue previsioni.

10. E rimane il fatto che, nell'unicità oggettiva dell'organizzazione, ancorchè ascrivibile a più gruppi di criminali, con "compiti" e nazionalità differenziati, il metodo degli scafisti - ed è questo il punto importante- non può che essere omogeneo, nelle modalità di gestione dei gruppi umani immigranti, a quello di chi gli effettua la "consegna": le "vittime" cioè non avvertono una situazione di costrizione, minaccia e violenza, diversa da quella che subivano presso i centri di detenzione ove erano in attesa.  
Gli emigranti, sia in vista dell'imbarco che, come viene spesso testimoniato, nel corso della navigazione, sono ridotti alla condizione di prigionieri completamente in balia della violenza e dell'arbitrio dei trafficanti-scafisti.
Questi scafisti, quindi, sono come una nuova "banda" di sequestratori che continuano a lucrare, con violenza e minaccia continue, e dunque con azioni di totale rapina, sui "sequestrati" loro passeggeri.

10.1. Combattere solo gli scafisti, senza attaccare con adeguate misure di polizia, il resto dell'azione concertata di questi gruppi di criminali coordinati, già in sé, risulta evidentemente poco utile. Un po' come limitarsi ad arrestare i corrieri della droga, e i pushers all'angolo della strada - cioè i soggetti più facilmente sostituibili nella catena criminale-, e tralasciare ogni azione sugli organizzatori/finanziatori della coltivazione e della trasformazione, nonché prima distribuzione all'ingrosso, degli stupefacenti. 
Ma se poi, in più, si adottano modalità di ricerca e salvataggio che consentono agli scafisti un basso, o quasi inesistente, rischio nella loro attività, - dato che il "primo contatto" viene affidato alle Ong che rifiutano ideologicamente di partecipare alla repressione dell'odioso e disumano reato che si compie sotto i loro occhi, mentre la destinazione di "sbarco", anche da parte di navi "pubbliche", viene sempre individuata in modo da garantire agli scafisti, in ogni caso, il "buon fine" del loro traffico- ecco che parlare di contrasto alla "tratta degli esseri umani" diviene un mero flatus vocis
Un'ipocrisia che, oggettivamente, accetta il "rischio" di una pilatesca incentivazione de facto delle organizzazioni criminali, lasciate alla pratica impunità (sicuramente nei loro vertici finanziari e organizzativi), mentre dissimula ben altre finalità in chi si attiene a questo discutibile e inefficace quadro di "nuovo" diritto internazionale da trattato.

11. Perciò, se si volesse onestamente dare una soluzione al problema, occorre prendere atto che quello che non va è la soluzione più avanzata escogitata dalle varie convenzioni e protocolli del "nuovo" diritto internazionale.
Questo si impernia quasi esclusivamente sul traslare a carico dei paesi di destinazione una idealizzata tutela delle vittime  , mentre gli obblighi di prevenzione e di repressione, mediante un adeguato intervento di polizia, presso i paesi dove viene effettuato il reclutamento (ingannevole e sistematico) e il "passaggio" degli emigranti, sono meramente enunciati senza alcuna previsione di (seria) sanzione per i casi di mancata introduzione dei relativi reati prima e, poi, di omesso effettivo contrasto alla loro commissione
Basta leggere questo eloquente commento a tali convenzioni, dove ho enfatizzato l'evidente ratio normativa di spostare ogni onere del contrasto e del soccorso delle vittime a carico dei paesi di destinazione, sollevando quelli di partenza da qualsiasi serio impegno e ponendo vaghi obblighi di "campagne di informazione, sensibilizzazione e educazione al problema", con previsioni che hanno il sapore della beffa per paesi "di provenienza", che, altrimenti, FMI, World Bank e gli stessi paesi dominanti dell'UE tengono in condizioni economiche di miseria e di sviluppo impossibile, attraverso condizionalità improntate alla ideologia del libero mercato e della libera circolazione del capitale, da cui consegue l'austerità fiscale che impedisce qualsiasi intervento statale di promozione del benessere e che, invece, fa dilagare le condizioni di disoccupazione che inducono all'emigrazione (v. qui, p.9). 
Da notare che in mezzo a queste "non misure" di prevenzione, né formale-poliziesco né economico-strutturale, c'è l'istituzionalizzazione del ruolo delle Ong: come se, dalla cooperazione con queste peculiari entità private, potesse dipendere la fine delle politiche di condizionalità imposte dai padroni del mondo:
"Le norme sulle misure preventive e di cooperazione rappresentano il cuore operativo di questo strumento internazionale, e sono riprese piuttosto fedelmente anche dalla Convenzione di Varsavia e dagli atti comunitari più rilevanti in materia di tratta (58). 
Si invoca la necessità di progettare e realizzare da parte degli Stati contraenti politiche globali e programmi, finalizzati a contrastare la tratta di persone e a proteggere le vittime (in particolare, donne e bambini) dai rischi della cosiddetta 'vittimizzazione secondaria'. 
Si richiede inoltre agli Stati di intervenire in modo mirato per promuovere a livello mediatico la diffusione di corrette campagne di informazione, sensibilizzazione ed educazione sul problema, anche nell'ottica di favorire la cooperazione fra Stati diversi, e fra le istituzioni dei medesimi e organizzazioni non governative di vario genere e la società civile (59). 
Altrettanto decisiva è reputata la collaborazione fra le autorità di pubblica sicurezza e quelle di frontiera dei diversi Paesi, la quale presuppone che gli uomini e i pubblici ufficiali in questione abbiano ricevuto un'adeguata formazione (per identificare le situazioni tipiche cui la tratta è riconducibile, ed in particolare per le verifiche da svolgere sui documenti di viaggio) (60). Nei tre articoli successivi sono descritte alcune misure ulteriori che riguardano il presidio delle frontiere e la sicurezza e i controlli sui documenti.
La tutela delle vittime della tratta è distribuita su tre norme che compongono la seconda sezione del Protocollo. L'articolo 6, sull'assistenza e tutela delle vittime della tratta di persone; l'articolo 7, sulla "condizione delle vittime della tratta nello Stato di accoglienza"; e la norma successiva, intitolata "rimpatrio delle vittime della tratta di persone". 
Una notazione che accompagna spesso (61) l'esame di questa sezione, specialmente i primi due articoli, è che, sebbene la suddetta protezione sia teoricamente estesa ad un buon numero di diritti della persona oggetto del trafficking (diritto alla riservatezza, diritti di informazione ed assistenza nei procedimenti giudiziari, diritto alla fruizione di misure di recupero fisico, psicologico e sociale, diritto al risarcimento del danno), nella loro attuazione pratica le norme lasciano un ampio margine di discrezionalità agli Stati incaricati (62). 
..L'articolo 8 indica una serie di cautele che gli Stati devono tenere presenti nell'eventualità del ritorno delle vittime nel Paese d'origine o nel Paese di provenienza; in ogni caso pare esprimersi in questa sede la preferenza per forme di 'rimpatrio volontario' (63). 
In previsione dell'analisi della normativa antitratta comunitaria ed italiana, e, più precisamente, della descrizione della disciplina del permesso di soggiorno per motivi umanitari previsto dall'articolo 18 del d.lgs. 286 del 1998, deve essere riservato un cenno a parte all'articolo 7 (64), il quale prevede:
(1) Oltre alle misure di cui all'articolo 6 del presente Protocollo, ogni Stato Parte prende in considerazione l'adozione di misure legislative o di altre misure adeguate che consentano alle vittime della tratta di persone di restare sul suo territorio, a titolo temporaneo o permanente, nei casi opportuni.
(2) Nell'attuare le disposizioni di cui al paragrafo 1 del presente articolo, ogni Stato Parte tiene debitamente conto dei fattori umanitari e personali.

15 commenti:

  1. 1812: 450.000 soldati.

    1914: 1.000.000 di soldati.

    1941: 2.000.000 di soldati.

    2018 o 2019?: 2.000.000 di arruolandi da corridoi migratori (in corso) più 1.000.000 di truppe EU-NATO (in dispiegamento).

    Capito perché i corridoi migratori DEVONO restare aperti?
    Altro che esercito di riserva.

    Serve carne da cannone contro il milione e mezzo dell'armata rossa.

    Tanto ormai le atomiche moderne sono ecologiche....

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  2. Il finanziamento della tratta avviene grazie all' uso distorto del microcredito nei paesi di partenza ,le future rimesse rendono capienti e solvibili i destinatari agli occhi delle istituzioni finanziarie http://tempofertile.blogspot.it/2017/07/note-circa-leconomia-politica.html

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  3. Purtroppo @Luca mette il dito nella piaga: come ci siamo detti più volte in questi anni, la disoccupazione non è utile solamente come "esercito industriale di riserva" volto alla deflazione salariale. La massa di disoccupati, una volta che è abbastanza sradicata ed affamata, diventa "esercito di riserva militare".

    Ciò che poi fa notare @gilberto chiude il cerchio se unito con le ulteriori riflessioni che si traggono dal passaggio:

    « Un po' come limitarsi ad arrestare i corrieri della droga, e i pushers all'angolo della strada - cioè i soggetti più facilmente sostituibili nella catena criminale-, e tralasciare ogni azione sugli organizzatori/finanziatori della coltivazione e della trasformazione, nonché prima distribuzione all'ingrosso, degli stupefacenti. »

    Anche nel traffico internazionale degli stupefacenti, per motivi strutturali, i beneficiari ultimi (primi?) rimangono gli operatori del sistema bancario. Ci sono pure degli interessanti paper a riguardo.

    E ci sono le interessanti storiche inchieste e le testimonianze di come le basi NATO come quella storica di Sigonella o quella in Kosovo pare facciano "da corridoi" per quest'altro genere di business.

    Ora: possiamo ipotizzare che la mafia sia una ONG ante litteram?

    D'altronde anche la Cosa Nostra è sempre stata "non governativa" e liberisticamente in lotta contro lo Stato.

    Questo è il mondo e a questo porta la logica esclusiva del profitto/utilità liberale dell'economia di mercato.

    Spenta la TV rimane quello che gli illuminatissimi banchieri e rentier costruiscono: l'orrore.

    Il nazismo è stato, come concludeva Primo Levi, un semplice progetto pilota.



    (Ma sarà un orrore da cui nascerà un bellissimo mondo, ecologico e poco abitato, dove ci sarà chi nascerà geneticamente adatto per comandare e proporre nella più filantropica tradizione Etica ed Estetica, e chi nascerà un po' geneticamente a cavallo tra la bestia e l'uomo, e che sarà adatto a fare il servo: non si lamenterà, sporcherà poco e, quando non sarà più efficientemente produttivo, verrà smaltito.
    Un funzionalismo in senso classista e castale da far leccare le orecchie ai rentiers.
    Insomma, sarà una tirannia illuminata per il tiranno e una morte precoce o un inferno per gli altri.
    Povero branco di idioti sradicati per nascita che si fa appellare "élite": anche il caos può avere una sua estetica: come potrà mai da un susseguirsi di orrori crearsi un paradiso in terra anche per il tiranno rimane un mistero solo per chi non è sociopatico e non ha l'atavico terrore di guardarsi allo specchio negli occhi dell'altro.
    Le brutture degli ultimi secoli - crisi ecologica compresa - sono il riflesso estetico dell'etica dei dominanti. Costruire sull'orrore e sul terrore significa ciò che è: distruggere.
    Chi fa schifo può produrre solo abominevoli schifezze come il mercato dell'arte moderna insegna. Certo, ma è "razionale" rimuovere il passato dalle menti ed incolpare le vittime della propria inettitudine umana.
    D'altronde non ho mai visto un cancro recedere perché si rendesse conto di generare cellule non propriamente migliori delle altre...)

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    1. Il problema non è il cancro liberale, che razionalmente fa il suo interesse e bagna le mutande sognando sottopopolazione gerarchia e decoro, ma la falange di utili idioti che gli sta dietro.
      I commentatori del Post che invocano la riforma costituzionale perché il sistema retributivo è una truffa generazionale.
      Gli altri idioti che anatrano di immigrati che ci pagano le pensioni.
      I coglioni che tornano dalla Germagna e sbavano dei "pretsi onesty".
      È a questi "signori" che dobbiamo pensare. Gli eserciti sono fatti soprattutto di ufficiali inferiori e non è un caso che i golpes (libico, greco, portoghese...) siano guidati dai colonnelli.

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    2. In realtà considero "cancro" il pensiero elitista, in quanto antiumano (e antiestetico) per definizione.

      Cancerogeno, nella modernità, è l'impersonale capitalismo liberale.

      L'elitismo è un pensiero tumorale da sempre nella Storia, in quanto è promosso da persone psichiatricamente malate che non riescono ad accettare che è la Struttura ad essere pericolosamente deformata e, non casualmente, a permettere certi smodati privilegi; non sicuramente questi privilegi nascono massivamente da una qualche virtù genetica-spirituale-mitologica-religiosa-morale o da tutta quella sequela di cazzate che si sono prodotte nella sovrastruttura falsocoscienziale dei dominanti; forse già dagli albori dell'Età del ferro.

      Non darei così per scontato che la razionalità di fare i propri interessi materiali, o gli interessi del più forte", sia così "razionale". Lo definirei più... non so: animalesco, bestiale. In qualche modo disumano. Non sicuramente di prodotto di quell'intelligenza che contraddistingue l'essere umano nell'ecosistema e che lo fa "pricipe della noosfera".

      Il liberalismo attuale è la forma più avanzata di totalitarismo mai espressa nella storia, facendo proprio sia il liberalismo imperialista anglosassone, sia quello neomedievale e teocratico della scuola austriaca, sia il modernismo reazionario tipico del nazismo. Tutto strutturato demograficamente insieme al più feroce malthusianesimo e cosmetizzato in modo (geograficamente) globalista e (religiosamente) universalista nella più beceramente razzista e classista sussidiarietà di stampo cattolico-romano; riverniciata, poi, di moralismo modernista à la Soros (o à la Francesco...), tutto gay pride, aborti, eutanasia e distintivo. (Distintivo con la M di Malthus).

      Che poi siano le classi medie - "oscillanti", come definiva la "piccola borghesia" Lenin - a dover acquisire coscienza, bè, lo darei per assodato. Un struttura rigidamente gerarchica non può non essere costruita da una "falange di utili idioti" o parassiti in malafede.

      Credo che il contributo più "curioso" che potrei dare ora in questa discussione e riflessione, è che si potrebbe considerare il lavoratore del settore ICT il moderno proletario. (L'operaio del 2000, come lo definiva un mio carissimo amico).

      Le eccezioni di pensiero cosciente nella borghesia semicolta credo dovrebbero indirizzare i propri sforzi verso questo ceto di subalterni che mi par essere l'unico con caratteristiche "rivoluzionarie".

      (Questo Casaleggio pare lo avesse intuito: solo che era infarcito di liberalismo reazionario british-style fin sopra le orecchie... svolgendo quindi egregiamente la sua funzione di raccoglitore e sterminatore del dissenso)

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    3. Sapete che alcuni anarco-liberisti han fatto l'elogio della mafia?

      Leggere per credere:

      "Organized crime is essentially anarcho-capitalist, a productive industry struggling to govern itself; apart from attempts to monopolize and injure competitors, it is productive and non-aggressive."

      Firmato, Murray Rothbard.

      E giustappunto ecco spuntare la difesa anarco-liberista delle ONG. Sempre più surreale.

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    4. Non ce la posso fare....

      Finché non ho conosciuto te e il tuo puntuale riscontro filologico, caro Arturo, credevo di essere "flamer" e provocatorio...


      (Non è vero che la realtà superi la fantasia: ciò che è reale è razionale e ciò che è razionale è reale)

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    5. Beh, sei un po' flamer e provocatorio. PER QUESTO vi ho messi entrambi nel post successivo...

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  4. Ho visto alcuni mesi fa questo servizio :
    http://www.raiplay.it/video/2017/02/Ghana-stop-tratta-869b5ba9-27bd-40aa-9def-a01d890bc3fe.html .Il fatto che i Salesiani si adoperino per bloccare sul nascere la tratta ,facendo l' unica azione di contrasto al fenomeno efficace ed adeguata,mi fa pensare che le istituzioni di vertice della Repubblica non hanno osservato oltre che l'obbligo dell' uguaglianza sostanziale tramite i perseguimento dei diritti socioeconomici ,anche quello di una politica estera di "pace e giustizia tra le Nazioni"che è il presupposto esterno per la realizzazione di quanto ho sopra ricordato .Sono consapevole ,tra l'altro ,che la Chiesa per la condizione di proprietaria d' un immenso patrimonio ,per struttura mondialista ,per una visione basata sull'individualità nel perseguimento della buona sorte della comunità (spero che questa locuzione possa evitare i fraintendimenti che derivano dall' uso di"Bene Comune"),mal sopporta di trattare con gli Stati, intesi come enti che perseguono il "Bene Pubblico"della comunità che li ha costituiti.Eppure sia negli Stati (democratici)che nella Chiesa c'è un elemento di "volontarismo"che guida l' azione di entrambe le istituzioni :il diritto positivo per gli Stati con le Costituzioni come la nostra,e l' adempimento del disegno divino nel caso della Chiesa.(Non essendo ne' un giurista ne' una persona devota esprimo questo punto di vista con il timore di scrivere delle imprecisioni e se sbaglio "coregetemi")Questo aspetto si contrappone al naturalismo dell'istituzione mercato , almeno come descritta dai liberisti, che nella comunicazione dei media influenzati dal pensiero unico porta a rappresentare tutti i fenomeni sociali(dalla deflazione salariale all' immigrazione) come eventi naturali simili ai terremoti dissimulando le scelte strategiche con il corso"naturale"(mano invisibile) delle convenienze degli individui (i più forti) .Ora se le premesse fatte ,non sono il frutto d' un "pensare pieno di buoni propositi", gli Stati nazionali ,quali "individui dotati di volontà" nel perseguimento della "buona sorte"di tutte le comunità nazionali, potrebbero trovare una sponda in una istituzione mondialista ,come la Chiesa che segue un percorso dettato da una volontà trascedente.Ripeto non sono religioso e certamente potrei essere abbagliato dal desiderio d' invertire l' inerzia attuale ,ma ho sentito il dovere verso di me , verso l' autore e i lettori del blog di esternare questo mio pensiero

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    1. Non so se ho afferrato interamente il senso del discorso: ma mi pare che vada meglio considerato il fatto che, per la Chiesa, il libero mercato sia visto come una soluzione "naturale", cioè eticamente preferenziale, allo stesso modo in cui (in termini di teologia para-scientifica)la vedono i liberisti (in realtà i rationalia da cui entrambi muovono, se storicamente indagati a fondo, sono esattamente i medesimi e perciò non pare neppure corretto fare una distinzione tra due visioni diverse).

      L'unica differenza, rispetto ai liberisti "laici" (cioè tutti ma, per lo più, strumentalmente disposti a rifarsi a qualche forma di fondamento etico "cristiano"), è che la "natura", - id est il disegno provvidenziale divino-, per la Chiesa include anche il temperamento della carità attiva da parte di chi ritrae profitto dal libero mercato, in modo che, autolimitandosi eticamente, ciascuno per la sua parte (il ricco per l'eccesso di profitto, l'oppresso per il senso di ribellione), "ognuno abbia il suo" in osservanza di una giustizia "superiore".

      Il mercato, secondo la Chiesa, "deve" agire, dunque, secondo una complementarità di ruoli tra naturalmente "dominanti" e naturalmente "dominati".

      Di conseguenza la "volontà" ascrivibile al soggetto Chiesa (che essa però propone come "dichiarazione" del disegno provvidenziale divino), è (solo) nel senso di esortare costantemente a questa carità, il cui esito redistributivo è fondato sulla supposta inevitabilità dello spontaneo adeguamento dei singoli alla volontà divina.
      Non esistono dunque, per la Chiesa, "fallimenti del mercato", ma solo individui che deviano dal richiamo etico della Provvidenza, ribellandosi all'ordine equilibrato della società (in un senso o nell'altro, cioè verso il basso come verso l'alto).

      Non vedo perciò una possibile contrapposizione al "naturalismo" del liberismo: solo un diverso punto di vista sull'equilibrio socio-economico eticamente giustificativo del libero mercato.

      La volontà "correttiva" della Chiesa, talvolta, ma solo talvolta (altrimenti entrerebbe in contraddizione con la natura assiomatica dell'etica divina di equilibrio provvidenziale della società), può dunque esprimersi nel compiere il gesto di assistenza caritatevole AL POSTO degli attori del libero mercato.

      Ma soltanto quando questi non paiano ascoltare il richiamo provvidenziale e mettano in pericolo, in determinati luoghi e condizioni storiche, la sostenibilità, cioè la proponibilità stessa (si potrebbe parlare di "decenza"), di un fondamento etico dell'equilibrio predicato.

      Ma si tratta, evidentemente, di un'azione eccezionale e circoscritta a situazioni particolari in vista di una loro stabilizzazione (secondo le leggi "etiche" del mercato).

      E ogni eccezione conferma la regola: cioè la condivisione del sistema del libero mercato, l'avversione verso l'intervento redistributivo degli Stati, e la legittimazione etica dei "dominanti", contro cui non muoverà mai accuse diverse da quella di non essere abbastanza caritatevoli (ma sempre per propria "libera" volontà).

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    2. Mi sorprende, almeno in parte, la nettezza con cui assimila, nella sostanza, l'Istituzione Chiesa agli interessi ed al profilo "culturale" dell'elite, che è necessariamente liberista per motivi di autoconservazione...
      Non credo si possa negare che la Chiesa abbia avuto una storia che si è evoluta secondo altri principi, così come sappiamo che la Chiesa è da sempre osteggiata dalle organizzazioni lobbistico-massoniche di provenienza anglosassone e legate ad una cultura di stampo protestante.
      Nella stessa adesione diffusa al progetto europeo da parte degli italiani, come sappiamo spesso acritica ma secondo me non sempre in malafede, si ravvisa a mio parere comunque il tratto distintivo di una società di impostazione cattolica ove si riscontrano ancora elementi di solidarismo di stampo prettamente cattolico.
      L'afflato "unitarista" di molti ingenui sostenitori della UE e della moneta unica alle nostre latitudini, penso si possa inquadrare in un malinteso (e sfruttato dall'elite anglosassone, anche in termini comunicativi) senso di solidarietà e "progetto di fratellanza".
      Ne deduco che lei ritenga invece ormai compiuto il salto dell'istituzione Chiesa verso l'ideale darwiniano delle società nordiche. O sbaglio?

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    3. Non si sorprenda: cerchi sul blog i vari post in cui l'argomento è stato affrontato e approfondito con ampio dibattito incentrato su fonti dirette.
      Non vedo la necessità di alcun "salto" per la Chiesa: nel precedente commento è in dettaglio spiegato ciò che essa stessa teorizza.

      Avversare il darwinismo sociale, - ascrivibile peraltro ad una parte storicamente circoscritta, e ben connotata, non tanto delle elites ma dei loro "scienziati" -, in nome della carità, assunta come unica forza riequilibratrice "legittima", è un potente strumento di controllo dell'ordine sociale voluto dai "mercati".

      Anche su questo si trovano ampi svolgimenti nel blog. Basta cercarli e avere la pazienza di leggerseli con attenzione.

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    4. Lei Quarantotto ha compreso esattamente il senso del mio commento ,io non avevo compreso invece che per la Chiesa il dispiegarsi della "natura" nel campo dei rapporti umani è l' esplicarsi della volontà divina che deve essere temperata dalla carità.Il fatto stesso che ,nel video che ho segnalato ,i Salesiani non si rivolgano alle istituzioni statali ma a delle autorità tribali,è il dettaglio che spiega quanto i religiosi non riconoscano un autorità costituita a tutela dell' interesse pubblico.il motivo profondo del commento è la necessità di trovare convergenze "tattiche",nel percorso di recupero degli strumenti per realizzare l' interesse pubblico della nostra comunità nazionale nella forma dell' uguaglianza sostanziale attraverso i diritti sociali,indicato dalla nostra Costituzione.Purtroppo è un problema prematuro quello di possibili "convergenze tattiche" ,non essendoci all' orizzonte nessuna forza politica che abbia mezzi culturali , forza e visibilità da renderla in grado d' poter costruire un egemonia partendo dalla rivendicazione dell' attuazione della Costituzione

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  5. Segnalo alcuni refusi direi abbastanza importanti nell'articolo:
    "I trafficanti (MIGRANTI?), sia in vista dell'imbarco che, come viene spesso testimoniato, nel corso della navigazione, sono ridotti alla condizione di prigionieri completamente in balia della violenza e dell'arbitrio dei trafficanti-scafisti."

    "Perciò, se si volesse onestamente dare una soluzione al problema, occorre prendere atto che quello che non va è che la soluzione più avanzata escogitata dalle varie convenzioni e protocolli del "nuovo" diritto internazionale"
    Direi che c'è un "che" di troppo prima di "la soluzione più avanzata".

    Grazie mille come sempre per la profondità di analisi giuridica e politica.

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