domenica 3 settembre 2017

LE INARR€STABILI RIFORM€: LA GARA A CHI CE L'HA PIU' PICCOLO, L'INDICATORE

http://www.eesc.europa.eu/sites/default/files/styles/large/public/resources/toolip/img/2017/07/17/17_299-eesc-csp2017-webbanner-extra_large-2.jpg?itok=qnhIZ6Ls

L'ottimo Poggiopoggiolini ha inviato un post sullo "stato dell'arte" delle mitologiche riforme strutturali: quelle che quando falliscono ogni minimo obiettivo, di crescita e di occupazione, sbandierato da decenni, sono sempre giustificate perché non se ne sono fatte ancora abbastanza...e gli effetti di lungo periodo, giustamente, sono comunque di volerci tutti morti.
Ho colto l'occasione di tale lavoro per acquisire anche la cooperazione di Arturo (che in materia ha dato contributi "imperdibili" e plurimi), utilizzando il prode Bazaar come coordinatore di ricerca...
Il risultato è un lavoro "comunitario-affettivo", che, peraltro, se aiutato dalla lettura dei links, consente un significativo ripasso a lettori accostatisi al blog più di recente. 
Un grazie a tutti gli esimi "contribuenti" e buona lettura.

RIFORME STRUTTURALI: STATE OF ART o STATO DELL'ARTE?
(otc , a quanti “l'euro è solo una moneta”)

1.    C’è chi pensa che storicamente gli anglosassoni siano sempre stati un passo avanti agli altri, fin dai tempi dell'occupazione della Britannia (V e VI secolo d.C.) costringendo, secondo alcune interpretazioni, la maggior parte dei suoi abitanti a fuggire in terra irlandese.
Secondo altre valutazioni, ci sarebbe invece stato un progressivo “assorbimento” della lingua e della cultura dei dominatori dopo l'invasione militare sassone in seguito alla ritirata dei romani.
Pratiche non particolarmente diverse da quelle usate da altri “germanici” che, con intensità e modalità diverse nel corso della storia - alcune “con presupposti che hanno terribili analogie con le attuali”[i] - hanno manifestato l'obiettivo di conquistare il continente europeo: prima con archi, frecce, asce, moschetti, baionette, panzer; quindi con gli strumenti dell'economia, della finanza, della cultura, dell'industria, con l’ausilio di dogmi  e assiomi ideali o moralistici depositati nel “Paese d'ordine” capaci di governare, guidare e “avvantaggiare” l'intero continente europeo.

2.    Anche la locuzione “stato dell'arte” è di origine anglosassone –  state of art –  cioè: “punto più alto raggiunto in un campo tecnico o scientifico in un determinato periodo storico” mentre, nella lingua di Dante (ndr, la locuzione appare nei dizionari del “cruschello” nel 2005), corrisponde al livello generale delle conoscenze raggiunte in ambito scientifico o professionale, con richiami al concetto di “regola d'arte” d'origine civilistica, ossia l'insieme di prassi e norme specifiche.

3.    Oltre al gioco creativo prodotto da una lingua che offre significative impressioni con le pieghe della trinità interpuntiva (punto, virgola, due punti) anche dopo la decadenza del punto&virgola[ii], ci si imbatte in un intrigante “working paper[iii] (ndr, per noi zotici “articoli di carattere scientifico in fase di recepimento delle osservazioni di altri studiosi specialisti nel medesimo settore”) pubblicato dal centro studi BCE: “When do countries implement structural reforms?” (A. Dias Da Silva, A. Givone,  D. Sondermann, n° 2078, giugno 2017); documento di lavoro che, appunto, analizza lo “state of art” delle mitologiche riforme neoliberiste imposte ai Paesi aderenti all’Unione Europea e, in particolare, a quelle dell’eurozona: le RIFORME STRUTTURALI.
Un working paper della BCE, interessante per il fine originale che si pone, ossia proporre una definizione e una misurazione “oggettiva” del grado di attuazione delle riforme nei Paesi dell'UE e UEM, con il supporto di una metodologia rigorosa per una definizione univoca – in un vero mare magnum – di cosa si debba intendere per RIFORME STRUTTURALI e per come possano essere misurabili, valutabili e comparabili le azioni di politica economica rispetto agli effettivi risultati a livello macroeconomico, istituzionale e politico indotti nel corso del tempo.
Che la proposta arrivi dal centro studi di una banca centrale indipendente non lascia (ovviamente!) dubbi sull'autorevolezza del metodo né, tanto meno, sulla validità delle conclusioni; conclusioni rigorosamente irrobustite da una serie di controlli econometrici su un vasto campione di analisi empiriche.

4.    Piuttosto futile è dichiarare le finalità delle riforme strutturali che, appartenendo ai desiderata di gruppi di interesse che hanno cancellato e raso al suolo ogni dialettica scientifica nell'Accademia e ogni confronto democratico nei Parlamenti, non possono che portare a ciò che è storicamente la pulsione sociale delle classi dominanti: redistribuire potere economico e politico verso le oligarchie.
Come non ricordare la rimozione e la tumulazione nelle lezioni universitarie del “fallimento del mercato” – sintetizzato in un intervento iniziale su Orizzonte48[iv]  come “IL” fenomeno e “IL” presupposto fondativo della teoria economica keynesiana – compiute, in particolare, dal pensiero monetarista di M. Friedman e dal seguito dei Chicago boys con le loro agghiaccianti “sperimentazioni sociali”
Quel Friedman, premio Nobel 1976 per l’economia, che ha (ri)proposto la correlazione tra inflazione e quantità di moneta, con il conseguente rapporto causa [l’offerta di moneta]  - effetto [impatto sul PIL], per cui si rinvia al post “Le ricette veloci di Giampiero Friedman” su Goofynomics, 2012,  oppure, sempre con oggetto la natura della moneta, a “Il flagello del monetarismo”, di Nicholas Kaldor, Loescher, 1984, un’opera che stronca dalle fondamenta l'intero impianto argomentativo su cui si fonda il monetarismo.
Riassumendo: le “riforme”, parte del paradigma neoliberista di cui il monetarismo è parte, favoriscono gli interessi di oligopoli industriali e finanziari dal momento in cui la stabilità dei prezzi e il controllo dell'inflazione vengono scaricate sul fattore lavoro, – ossia sulle retribuzioni – modificando artificialmente il “tasso naturale di disoccupazione” - aumentandolo! -  nel vano tentativo di riequilibrare gli sbilanci a monte delle crisi causate dai fallimenti del mercato.

Utile ricordare il post di Flavio “La banca centrale, l'inflazione e la piena occupazione: la grande truffa[v]che spiega come sia strutturalmente il reddito (e quindi l'occupazione) ad influenzare la quantità di moneta-credito e, quando si considera la moneta come fosse merce, si inneschi il presupposto che questa debba in qualche modo essere “scarsa”, rendendo quindi necessario richiamare le considerazioni che nel 1946 Michal Kalecki fece [vi] sui rapporti tra capitale, lavoro, occupazione e politica, da cui riprendiamo:
«Ogni allargamento dell’ambito dell’attività economica dello Stato è visto con sospetto dai capitalisti; ma l’accrescimento dell’occupazione tramite le spese statali ha un aspetto particolare che rende la loro opposizione particolarmente intensa.
Nel sistema del laissez faire il livello dell’occupazione dipende in larga misura dalla così detta atmosfera di fiducia. 
Quando questa si deteriora, gli investimenti si riducono, cosa che porta a un declino della produzione e dell’occupazione (direttamente, o indirettamente, tramite l’effetto di una riduzione dei redditi sul consumo e sugli investimenti).  
Questo assicura ai capitalisti un controllo automatico sulla politica governativa... Il governo deve evitare tutto quello che può turbare l’“atmosfera di fiducia”, in quanto ciò può produrre una crisi economica. Ma una volta che il governo abbia imparato ad accrescere artificialmente l’occupazione tramite le proprie spese, allora tale “apparato di controllo” perde la sua efficacia. Anche per questo il deficit del bilancio, necessario per condurre l’intervento statale, deve venir considerato come pericoloso. 
La funzione sociale della dottrina della “finanza sana” si fonda sulla dipendenza del livello dell’occupazione dalla “atmosfera di fiducia… La sovvenzione e i consumi di massa incontrano un’avversione ancora più aspra...
Ci imbattiamo qui infatti in un principio “morale” della più grande importanza: le basi dell’etica capitalistica richiedono che “ti guadagnerai il pane col sudore della tua fronte” (a meno che tu non viva dei redditi del capitale) … il mantenimento del pieno impiego porterebbe a trasformazioni politiche e sociali che darebbero nuova forza all’opposizione dei “capitani d’industria”. Infatti, in un regime di continuo pieno impiego il licenziamento cesserebbe di agire come misura disciplinare. La posizione sociale del “principale” sarebbe scossa, si accrescerebbe la sicurezza di sé e la coscienza di classe dei lavoratori. Gli scioperi per un salario più alto e il miglioramento delle condizioni di lavoro sarebbero fonti di tensione politica.  
E’ vero che i profitti sarebbero più elevati in un regime di pieno impiego, rispetto al loro livello medio sotto il laissez faire. Persino la crescita dei salari derivante dalla posizione più forte dei lavoratori verrebbe ad agire piuttosto in direzione di un accrescimento dei prezzi che di una riduzione di profitti e in tale maniera verrebbe a colpire soprattutto gli interessi dei redditieri.
Ma la “disciplina nelle fabbriche” e la “stabilità politica” sono più importanti per i capitalisti dei profitti correnti. 
L’istinto di classe dice loro che una continua piena occupazione non è “sana” dal loro punto di vista perché la disoccupazione è un elemento integrale di un sistema capitalistico normale.”…


Ci sono, ultima ratio regum, sempre soluzioni “tecniche” che portano senza discussione democratica al “confronto con le durezze della vita” e ad evitare ogni ricorso alle politiche ridistributive così come volute nelle costituzioni “keynesiane” del secondo dopo guerra.

5.    Gli obiettivi della BC “indipendente”(qui, p.5) risultano essere, quindi, stabilità finanziaria e dei prezzi attraverso il controllo dell'occupazione:
a)        la BC non finanzia-monetizza il deficit pubblico, il che comprime naturalmente il risparmio privato perché
b)        rende più costoso l’onere del debito ed induce a comprimere la spesa pubblica primaria (il che riafferma il valore ideologico del crowding-out, cioè della ipotizzata maggior efficienza dell’allocazione delle risorse ai privati, derivata dalla presunta elasticità degli investimenti rispetto al tasso di interesse);
c)        si ottiene così di sterilizzare progressivamente l’intervento pubblico e di avere una crescente disoccupazione, (non correggibile con espansione fiscale)
d)        la quale disoccupazione crescente (intesa come "naturale") diminuisce come tale il livello salariale e quindi l’inflazione.[E quindi il risparmio delle famiglie: quello "diffuso" di cui parla l'art.47 Cost...]
Il che dimostra che l'indipendenza dal confronto politico rimane essere niente più che uno strumento per mascherare la più pesante delle dipendenze: quella dal sistema bancario privato. Risulta esistere, di conseguenza, la finalità programmatica di preservarne il livello di redditività e, quindi, di incrementarne la quota profitti sul PIL a scapito dei salari, magari nel contesto in cui tale garanzia di profitto a favore del sistema creditizio possa implicare una deliberata creazione di recessione tramite la compressione dei consumi, per via dello smantellamento delle tutele lavorative (“flessibilità” del mercato del lavoro)  o per via dell'inasprimento della tassazione (“consolidamento” fiscale).

6.   Ritornando all'intrigante working paper della BCE potrebbe sorgere qualche dubbio sulla uroborica dichiarazione di tanta referenza ma,  naturalmente, “it should not be reported as representing the views of the Central Bank (ECB). The views expressed are those of the authors and do not necessarily reflect those of the ECB
Sebbene si dichiari una “navigazione a vista” (“l'identificazione delle riforme e il modello empirico utilizzato sono in linea con la letteratura precedente, sebbene ancora scarsa, sul tema”) viene evidenziato il ruolo centrale delle politiche monetarie e macroeconomiche che consentono di indurre pressioni sull'adozione delle riforme (ndr,  Il più grande successo dell'euro?).
Come ogni working paper degno di considerazione, la base dati è significativamente rappresentativa (40 Paesi, aree OCSE, UE e UEM), ampio il periodo preso in esame (dal 1975 al 2013) e analizzata con gli stessi indicatori prodotti con criterio e trasparenza e adottati uniformemente da tutti i Paesi del campione; uniformità che consente una comparazione significativa e robusti risultati adatti a supportare responsabilmente linee guida di politica economica che coinvolgono il benessere di milioni di persone.
(Poco importa, poi, che sia un Barbariccia o qualcun altro a guidare la decina, ci sarà sempre un Malcoda [ndr, un pilota automatico] a scegliere quale insieme di indicatori sia ritenuto più funzionale alla creazione di nuove norme volte a sterilizzare la resistenza di chi subisce le riforme: ci sarà sempre un supremo “vincolo esterno” a bloccare il timone e la rotta, quindi... avanti, march!)

7.    La misurazione del grado di applicazione delle riforme si produce attorno ai principali oggetti di analisi che costituiscono l’economia nazionale (lavoro, capitale, impresa, commercio) individuando indicatori idonei all'auspicata oggettività e comparabilità delle diverse realtà economiche nella loro dinamica storica.

7.1    IL MERCATO DEL LAVORO,  valutato dall'indice dell'OCSE come grado di protezione dell'occupazione, EPL (acronimo di Employment Protection Legislation, e non di Esercito Popolare di Liberazione, esercito composto dai maoisti colombiani) che misura regole e procedure che disciplinano assunzioni e licenziamenti dei lavoratori del settore privato; il mercato del lavoro viene composto da 21 fattori organizzati in tre aree (v. infra) scala 0-6 con flessibilità decrescente. Quindi più basso è l'indicatore più elevato è il grado di attuazione delle riforme...e, si suppone, anche, più grande l'enorme beneficio dell'alta disoccupazione strutturale e dei workink poors:
·        LAVORO A TEMPO INDETERMINATO (sotto-indicatore EPRC), licenziamento per motivi individuali o economici, esclusa la “giusta causa” (1-9)
·        CONTRATTI A TERMINE E INTERINALE (temporary-work-agency employment) (sotto-indicatore EPT) (10-17);
·        LICENZIAMENTO COLLETTIVO (18-21)

L'articolo “Gli indici di Employment Protection Legislation e alcune fallacie sul mercato del lavoro italiano”, (E Romano,  EticaEconomia, 2014[vii]) considera l'andamento dell'indicatore EPL nel periodo 1990 – 2013 nel perimetro OCSE e svela alcuni luoghi comuni.

Nel Bel Paese  avviene che l'indicatore segnala la significativa riduzione del 40%  nel periodo considerato (1990-2013) che, scomposto nei sotto-indicatori (lavoro indeterminato, EPRC e lavoro a termine, EPT), rileva l'impatto del “pacchetto Treu” (1997) e della “riforma Biagi” (2003) allo stesso modo di quello generato dalle “riforme Harzt” in Germania.

Altri Paesi, invece, si manifestano più restii all'applicazione delle “riforme”: avranno avuto, o hanno, doti nascoste o sistemi di resilienza superiori (ndr, viene da pensare , tra i numerosi esempi, all'offuscamento del frigio normanno).
Nonostante i sermoni rantolanti del clero espertologico che dai giornaloni bercia invasato di “apartheid a causa degli ipergarantiti italiani con contratti a tempo indeterminato che si prendono illecito vantaggio a scapito di chi è occupato con contratti atipici (i ggiovani!)”,  non sembra che l'italica patria sia caratterizzata da una normativa a tutela dei lavoratori più rigida rispetto ad altri Paesi.
Infatti, a guardare gli indici forniti dall’OCSE, Paesi come Germania, Danimarca e Svezia pare presentino codesta “apartheid” in quantità molto maggiore che in Italia.

In conclusione, sebbene questi studi presentino alcuni limiti (ad esempio non considerino durata ed incertezza delle procedure giudiziarie o il trattamento del lavoro autonomo) e vadano interpretati con cautela - si ricordi che, inizialmente, per errore l’OCSE inseriva il TFR come un costo di licenziamento, rendendo così molto elevato il valore dell’EPL italiano!-, gli indicatori EPL forniti dall’Ocse rappresentano uno strumento utile per effettuare confronti internazionali e sfatare alcuni “miti” (dalla generale scarsa flessibilità, all’eccessivo dualismo) che generalmente invadono il dibattito politico sul mercato del lavoro italiano.



 




7.2    IL MERCATO DEI PRODOTTI: indicatore OCSE per energia, trasporto e comunicazioni (ETCR);
·        il quadro italiano del ETCR  potrebbe essere rappresentato dal working paper (sottolineato che “the views expressed in the working papers are those of the authors and do not necessarily reflect those of the MEF and the DT”) “Deregulation and growth in Italy” (Cristina Mocci, Stefania Pozzuoli, Francesca Romagnoli, Cristina Tinti , MEF, n° 3, 2014) che evidenzia qualche controversia: alcuni “agenti economici hanno reagito positivamente alle riforme legate alla partecipazione statale (Poste, Telecom, Ferrovie) e alla semplificazione delle pratiche amministrative per le imprese di avvio.
Tuttavia, nei settori legati al commercio internazionale, all'apertura verso capitali straniere, alla riduzione dei controlli sui prezzi e alla trasparenza nell'amministrazione, il settore imprenditoriale sembrava essere meno reattivo per le riforme attuate.
Su questo ultimo punto, le autorità e le istituzioni italiane dovrebbero prestare maggiore attenzione alle attuali implementazioni e trasmissioni delle riforme progettando strategie efficaci di comunicazione mirate ai beneficiari nazionali e internazionali.
Il miglioramento delle informazioni delle parti interessate potrebbe anche ridurre il tempo delle riforme strutturali per svolgere pienamente i loro effetti sulla crescita economica”.

7.3    AMBIENTE IMPRENDITORIALE: indicatore World Business Bank (DBI), misura con 10 indicatori la facilità di fare business privato nei Paesi OCSE considerando i vincoli normativi nazionali di ciascuno (procedure, diritti, doveri, protezioni) e i fattori tempo e costi.
Una rilevazione diretta del grado di burocratizzazione degli stati e della correlata e immancabile “corruzione” la cui presenza getta un’ombra sull’affidabilità e obiettività degli indici che non si riferiscono ai temi di flessibilità del lavoro.
Lo studio “World Bank Doing  Business Project and the statistical method based on reank; the paradox of the time indicator” (Rivista italiana di economia demografia e statistica, 2014, Volume LXVIII, Issue 1, ideas.repec.org. Retrieved 2014-07-13[viii]) dimostra l'inattendibilità dell'indicatore (DBI) che, comunque, continua ad avere un grande impatto sui media, sul settore privato sia nel supporto decisionale volto all'indirizzo di politica economica.

7.4    INVESTIMENTI DIRETTI ESTERIForeign Direct Investment (FDI), ossia acquisizione di proprietà o controllo di attività produttive, commerciali e servizi da parte di soggetti esteri anche attraverso incentivi statali (fiscalità ridotta, tariffe agevolate, ecc.).
Un quadro italiano sui FDI (IDE) è offerto dalla pubblicazione “Gli investimenti diretti esteri  e le multinazionali”(BdI, Questioni di economia e finanza, n° 243, 2014[ix]).
Caratterizzati da vantaggi assoluti di costo, di differenziazione di prodotto, di sviluppo di economie di scala, di migliore remunerazione del capitale, gli FDI (IDE) svolgono funzione di controllo e di influenza del “mercato” nei Paesi ospitanti.

8.    Le finalità dell'intero impianto “scientifico” del lavoro svolto appaiono chiare ed evidenti nelle tabelle 1 – 2.  
NdQ: Notare che laddove l'Italia potrebbe rivelarsi piazzata sul podio dei "buoni riformatori" (dietro a Germania e Austria), non vengono stilate classifiche...

(Chart 1: Number of large reforms in labour and product markets in euro area countries over time)


Chart 2: Number of large reforms across all four areas in euro area countries





Con qualche sforzo “muscolare”, si potrebbero correlare gli aspetti quantitativi (numero di riforme nel periodo considerato)  e qualitativi (tipi di riforma) per i diversi Paesi EUM e, limitatamente al Bel Paese, all'influenza delle politiche monetarie dopo (1) l'accordo del serpente monetario del 1972, (2) lo SME del 1978, (3) le politiche di “convergenza” imposte in seguito al Trattato di Maastricht del 1992 per coronare (4) l'introduzione effettiva della moneta unica nel 1999; si potrebbe considerare il progressivo smantellamento della “scala mobile” (l'indicizzazione dei salari all'inflazione), il “pacchetto Treu” (1997) e la “riforma Biagi” (2003); riforme che germinano nel turbinio di avvenimenti degli “anni di piombo”,  dalla “cacciata di Lama” dalla Sapienza del ' 77 di casa nostra, al terremoto delle relazioni internazionali composto dal Nixon shock, dagli “shock petroliferi” e dalle “operazioni Condor”. 
I germanici, si sa, come confermano i precedenti grafici, sono un passo sempre più avanti: si preparano sempre prima, in modo rigoroso, efficiente ed efficace per non essere colti di sorpresa (vedi Agenda 2010 di G. Schröder e il  Hartz-Konzept).

9.    Considerato che gli indicatori prescelti, ETCR, DBI e FDI, risultano inattendibili e/o insignificanti e/o ridondanti rispetto alla misurazione proposta, occorre evidenziare che le classifiche al merito riformatore risultano univocamente correlate alla variazione dell'indicatore “principe”: EPL (Employment Protection Legislation). 
NdQ: Questo indice si chiarisce, come sopra accennato, nei suoi sottoindicatori, che danno luogo ad una classifica OCSE, sempre del 2013, nella quale l'Italia, avrebbe dovuto ormai aver fatto passi da gigante da allora: legislativi e giurisprudenziali. Ma su questi (non invidiabili) "progressi" non si ritrovano in rete tabelle aggiornate altrettanto sollecitamente divulgate!

https://pbs.twimg.com/media/C8PxtmoXkAEewL8.jpg







Per chiarire a zia TINA, nella neolingua liberista le RIFORME STRUTTURALI SONO LA COMPRESSIONE DEI SALARI, L'ABBATTIMENTO DELLE RETRIBUZIONI e LO SMANTELLAMENTO DEGLI STRUMENTI VOLTI ALLA TUTELA DEL LAVORO; tutto ciò in patente antitesi all'impianto lavoristico, pluriclasse, ridistributivo della Costituzione Italiana del '48.

10.    Gli obiettivi di ridistribuzione del reddito a favore del “capitale”, in base alle considerazioni espresse, risultano essere negli effetti il risultato delle linee strategiche operative portate avanti dalle politiche monetarie della BCE, ad esempio in Grecia, Irlanda, Portogallo, Spagna e Italia; con queste conseguenze:
·        stagnazione economica oramai più che decennale e ripetizione periodica dello slogan consolatorio per cui si potrebbero generare vantaggi in termini di crescita nel lungo periodo (ndr, quello in cui, oltre ad essere tutti morti, di particolari benefici è assai dubbio che potremo godere);
·        poiché queste riforme strutturali volte a favorire l'aggressione del capitale nei confronti della parte contrattuale debole – quella del lavoro – possono accelerare nei periodi di recessione in cui il tasso di disoccupazione tende ad essere più elevato, i governi devono tempestivamente intraprendere in tali “favorevoli” momenti (ndr, “aiutati” da politiche monetarie “indipendenti”) le necessarie riforme;
·        la pianificazione delle riforme strutturali da parte dei governi nazionali deve essere possibilmente supportata da programmi di assistenza finanziaria;
·        contrariamente a quanto affermato frequentemente, i bassi tassi d'interesse determinati dalle politiche monetarie delle banche centrali “indipendenti” (come nel caso della BCE con il quantitative easing), incentivano le riforme strutturali ammortizzando i costi relativi alla momentanea contrazione dei profitti dovuti alla compressione della domanda aggregata;
·        recessioni economiche troppo rapide non favoriscono l'impegno verso vasti programmi di riforme;
·        grandi maggioranze parlamentari favoriscono le attuazioni delle riforme mentre parlamenti composti dal tradizionale processo elettorale, con i relativi orientamenti governativi di carattere democratico, hanno scarsa efficacia nell'attuarle;
·        nei Paesi dell'area dell'euro i risultati suggeriscono che la dinamica della attuazione delle riforme è ampiamente assimilabile a quella dei paesi OCSE e dell'UE.

Viene quindi da considerare l'aforisma di Dani Rodrik, il “classico”: «la dottrina economica classica sta al liberismo ed al monetarismo come l'astronomia sta all'astrologia» e, aggiungiamo, quale rotta si voglia che navighi il vascello, ci affidiamo a bussola, effemeridi e sestante o famo 'na smazzata di tarocchi?
(tarocchi intesi sia dal punto di vista esoterico sia nel senso di falsificazione e contraffazione)
E infine, zia TINA, dove, come e con chi vuoi andare?



[i]
 

            ­        A.M. Rinaldi, Piano Funk, ovvero il vero inizio dell'Unione Europea, Scenari Economici, 2017 - https://scenarieconomici.it/piano-funk-ovvero-il-vero-inizio-dellunione-europea-di-a-m-rinaldi/

[iii]    Antonio Dias Da Silva, Audrey Givone,  David Sondermann,  When do countries implement structural reforms?, BCE 2017 https://www.ecb.europa.eu/pub/pdf/scpwps/ecb.wp2078.en.pdf?3084e94f2509c2fa4e65c5f8af9861e0

[iv]          La dottrina delle banche centrali indipendenti e la sua attuale evoluzione, marzo 2013, http://orizzonte48.blogspot.it/2013/03/la-dottrina-delle-banche-centrali.html

[vii]    Eleonora Romano, Gli indici di Employment Protection Legislation e alcune fallacie sul mercato del lavoro italiano, EticaEconomia, 2014, http://www.eticaeconomia.it/gli-indici-di-employment-protection-legislation/

[viii]  World Bank Doing  Business Project and the statistical method based on reank; the paradox of the time indicator”  https://ideas.repec.org/a/ite/iteeco/140104.html

18 commenti:

  1. Ho cercato sul mercato dell'usato “Il flagello del monetarismo”, di Nicholas Kaldor, Loescher, 1984 trovando invece in vendita "Il flagello del protezionismo" di Enzo Grilli e Enrico Sasson, Edizioni del Sole 24 Ore (naturalmente...) 1988. Ho il sospetto che sia la risposta al primo. Ci sarebbe da ridere se non ci fosse da piangere...

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Chissà cosa direbbe Kaldor di questo.

      Il Sòla porta già le mani avanti. Notare la velenosità...

      « Le Nirp saranno un episodio isolato, che ha caratterizzato il decennio della Grande Crisi? Sarà improbabile, se è vera la previsione per cui i Paesi industrializzati sono entrati in una fase di moderata crescita della produttività e dell’inflazione [aka stagnazione secolare de me nona]. Ma se si vuole un progresso nella gestione del sistema dei pagamenti, allora occorre andare verso delle economie in cui detenere contanti abbia un costo. Perché il vero limite della politica monetaria è che oggi l’unica moneta pubblica disponibile è il contante.

      Immaginiamo invece un scenario radicalmente diverso: la Bce consente a tutti noi di avere un conto corrente – per il deposito, non per il credito – presso di sé, emettendo moneta elettronica. Il contante continua ad essere emesso, ma solo in biglietti di piccolo taglio.

      In tempi normali, finirebbe il monopolio della moneta elettronica legale da parte delle banche, e si offrirebbe uno strumento alternativo a chi cerca oggi la moneta elettronica informale – i Bitcoin. Tutti i conti correnti dovrebbero essere lievemente remunerati, a differenza del contante. Ciascun cittadino potrebbe scegliere la composizione della sua liquidità tra contante, Euro Coin e moneta bancaria privata. La politica monetaria diventerebbe meno dipendente dai comportamenti delle banche, mentre i cittadini avrebbero più libertà di scelta.

      [perché ovviamente l'economia non langue perché la gente guadagna poco o nulla e non compra più niente: no, sono le banche commerciali cattive che non fanno credito! Diamo loro le monetine di oro finto!]

      Certo dalla situazione attuale allo scenario Euro Coin non si arriva da un giorno all’altro. Occorre una evoluzione, non una rivoluzione. Ma soprattutto, capire subito chi sono i possibili avversari della moneta [***]pubblica[***] elettronica. Sicuramente le banche potrebbero opporsi
      [soprattutto le banche d'affari che stanno progettando le loro!]. Ai politici invece dovrebbe piacere. Per ragioni nobili: sia ai partiti tradizionali che alle nuove formazioni – come il Movimento Cinque Stelle [grandissimi!] – una maggiore libertà individuale dovrebbe piacere. Ma anche per ragioni meno nobili: se la moneta elettronica viene sottratta al controllo indipendente della banca centrale, diviene una comoda tassa occulta per aggirare la disciplina dei conti pubblici. Esempi concreti: le proposte di moneta parallela che – in Italia come in Estonia – stanno fiorendo in questi mesi. Purtroppo. » Purtroppo!

      Ma dello "staff" di scenarieconomici.it che, insieme a Messora, pubblicizza acriticamente le criptovalute, cosa dobbiamo pensare?

      Chi ha orecchie per intendere intenda.

      Da Hayek a Malthus, da 1984 a Matrix...




      Elimina
    2. Ma sai che non capisco? Quale maggior libertà (individuale) deriva se il c/c è generato da un deposito da cui traggo poi la liquidità?
      Una moneta pubblica ancorché elettronica avrebbe pur sempre un corso legale (nel territorio dell'eurozona) e quindi esprimere in termini monetari costi e prezzi della produzione. A chi conviene che una tale moneta elettronica pubblica salga indefinitamente nella logica dell'investitore finanziario (opposta a quella del produttore-esportatore industriale)?

      Elimina
    3. Ci pigliano per i fondelli. È un bluff per far sparire il contante. Bastone e carota, carota e bastone.

      Non ha senso ciò che è scritto. Come non ha senso tutto il liberismo almeno che non lo si legga per ciò che è: cinico efficientismo per la massima estrazione di valore dagli schiavi.

      D'altronde tutto il paradigma liberale è liturgia dello sfruttamento.

      Il valore delle monete, poi, checché ne dica Savona, dipende dall'afflusso di denaro fresco che ne gonfia la bolla. Denaro vero, quello con cui si pagano le tasse.

      I Bitcoin piacciono perché permettono scambi senza intermediario istituzionale. Questa sarebbe la libertà. Compri e acquisti, ossia esegui transazioni eludendo facilmente le imposte come se fosse contante, ma lo puoi "bonificare" e puoi rimanere anche sufficientemente anonimo nonostante il libro mastro registri pubblicamente le transazioni.

      La "tecnologia" è pubblica, ma il controllo rimane "privato".

      L'idea è presa da von Hayek per esplicita ammissione dei (presunti) ideatori.

      Sono convinto che gli studi risalgano a non meno di vent'anni fa: credo che l'idea sia di far sparire al contempo contante e moneta fiduciaria che - se controllata da mano pubblica - permetterebbe l'espansione virtualmente illimitata dell'economia - con la scusa del « bene pubblico » superiore consistente nel difendere Gaia da quelle bestie voraci della plebe.

      Poiché la classe egemone globalista ha decretato il TINA: ossia morte genetica e spirituale dei subalterni per gettare definitivamente il sale sul terreno da cui può nascere il pensiero umanistico e progressivo - magari risolvendo in modo efficace le questioni relative alle esternalità negative dovute dall'industrializzazione, compreso lo sviluppo demografico - gli amici mondialisti pare vogliano convogliare in tante catene di sant'Antonio denaro "sovrano" per porre definitivamente in un lager materiale oltre che spirituale, i subalterni, lasciando che la schiavitù e lo sfruttamento sia gestito da una macchina, da algoritmi.

      D'altronde il trionfo del positivismo su cui è basato il neoliberismo è il trionfo dell'irresponsabilità della classe egemone verso l'umanità, nascondendo il proprio marciume morale dietro derivate, integrali e codici sorgenti. Dall'altro lato della Matrix, dove 'sto branco di animali crede di costruire l'Olimpo per la loro inutile progenie, si esaltano in riti esoterici e moralismo da salotto.

      Cosa vogliono? Moneta unica mondiale - d'altronde l'antisovrano è dialetticamente un sovrano, e poi un numerario ci vuole - e "monete parallele" lasciate circolare in concorrenza oligopolistica che seguono automaticamente le regole antieconomiche della parità aurea.

      (In un mondo senza popoli e nazioni, senza radici e cultura, ma composto da artificiali macroregioni governate da corporation delocalizzate in una logica offuscante come quella "multilivello")

      D'altronde la "credibilità" di queste monete (e quindi, il loro "valore di scambio") dipende da chi il "credito" lo dà: cioè chi ha la capacità di controllarne la distribuzione e di pubblicizzarne l'esistenza in giro per il mondo.

      Mal che vada, i grandi investitori rastrelleranno tutti i risparmi rimasti in giro appena scoppierà la prossima terribile crisi.

      (Magari, se fanno scoppiare qualche testata atomica, in tutto il mondo saranno felici di cedere sovranità ai banchieri... che ci garantiranno la pace. E un mondo più pulito)

      Elimina
    4. Il contante-elettronico è un argomento che mi sta a cuore da quasi 10 anni. Volenti o nolenti, entro qualche anno molti blog di economia dovranno occuparsene (le banche centrali di mezzo mondo hanno incominciato da poco a farlo ufficialmente). Sono convinto che i primi studi a riguardo risalgano allo sviluppo delle tecniche di crittografia a chiave asimmetrica degli anni 70.

      Chiamato anche 'Central Bank Digital Currency', sta (più o meno) agli attuali conti correnti come le banconote della banca centrale stanno alle note-di-banca emesse, soprattutto in passato, da banche private. Il nucleo del discorso è nell'art. 1277 del codice civile, la cui importanza è a mio avviso tale da renderlo degno di essere inserito in Costituzione.

      Nella situazione attuale, in cui la moneta-bancaria è la principale valuta usata, basti pensare allo stipendio della maggior parte dei lavoratori, c'è una contraddizione di fondo: essa non ha formalmente valore legale, ma il legislatore legifera come se lo avesse (nota: in un sistema contradditorio, tutto è permesso, soprattutto al più forte). Basti pensare al limite di pagamenti in banconote, o all'obbligo che si vuole imporre ai commercianti di dotarsi di POS.

      Inoltre la moneta-bancaria ha un comportamento pro-ciclico: crea bolle quando l'economia va bene, e drena liquidità quando va male, amplificando disuguaglianze e instabilità.

      Una moneta elettronica pubblica risolverebbe molti problemi, cambiando completamente il sistema. Non mi meraviglierebbe se, una volta usciti dall'Euro e nell'ambito di una teoria frattalica, ci fosse qui in Italia un referendum sulla sua implementazione, con conseguente assemblea per riformulare il sistema monetario. Ma cosa si deve intendere con 'pubblica'? Certamente significa emessa dalla banca centrale pubblica e accettata dallo Stato (sì: Bitcoin e simili sono una bolla Ponzi, non avranno seguito). Ma il sistema deve anche definire come viene scambiata.

      La direzione che sta prendendo il dibattito, purtroppo, spinge per le blockchain (o DLT), le stesse usate dal protocollo bitcoin, cioè un meccanismo di scambio basato sul P2P. La scelta viene spacciata per democratica, ma è in realtà ultra-liberista. Pur emettendo moneta, lo Stato non potrebbe, *nemmeno volendo*, avere controllo sui movimenti di capitale. Inoltre, anche se ognuno di noi potrebbe in teoria improvvisarsi 'nodo' della rete, la possibilità verrà riservata soltanto a quelli 'con il server più grosso'. E' indispensabile che in un sistema del genere gli scambi siano gestiti da un'autorità centrale completamente pubblica, o al massimo da una piccola rete di enti pubblici per necessità di ridondanza. Bitcoin è stato un test per il meccanismo di scambio, non di creazione di una nuova moneta.

      Il problema non è tanto il 'marchio 666' per poter commerciare: quello c'è già (provate a vivere senza conto corrente). Il problema è avere controllo pubblico completo sulla cosa. Sull'eliminazione del contante-carta, la mia preoccupazione sta solo nel fatto che quando non c'è campo o sto senza cellulare, gradirei comunque poter gestire i miei 'spicci', ma dubito si arriverà a tanto.

      Elimina
    5. Grazie dello sforzo profuso nella compilazione, di cui il "mondo di dopo" (se non si passerà dai cascatori di statue, direttamente, ai roghi dei server) vi renderà pariglia. Quindi grazie Bazaar, Arturo, e al padrone di casa, 48.

      Mi spiace aver perso di vista la trattazione negli ultimi cinque mesi, causa percorsi luttuosi: prometto che mi rimetterò a studiare, quanto prima.
      Sugli indicatori, mi permetto di aggiungere che tempo fa, non mi ricordo su quale testata, ma materiale assolutamente mainstream (poteva essere il tg2, a braccio...), si rivendicava il diritto dell'Italia "a una certa flessibilità di bilancio", dato il fatto
      che l'indicatore sulla liberalità del mercato del lavoro aveva avuto un'impennata positiva. Non ricordo di più, ma sarebbe interessante approfondire.

      Una curiosità e una nota, non potendo contribuire attivamente al dibattito per limiti culturali, mi piace capire quello che leggo:

      - Cosa significa Euroboro? Ho tentato un'ermeneutica un filino zozzona: "Euroborough"? tipo "villaggio europeo", in antitesi logico-dialettica "Villaggio Globale", o come rafforzamento dello stesso concetto in termini umoristici? Qui è la terza volta che lo incontro, e tutte le volte ho avuto problemi a capirlo, in base al contesto.

      - Noto con totale, assoluto, piacere, l'indicazione del problema demografico, come la vera bomba ambientale: rimettiamo il pozzo al centro del villaggio. La indefinita riproduzione di proletari, non ci si può aspettare che produca qualcosa di diverso dalla prole ( e una discesa del prezzo delle braccia, va da sé).

      Vi seguo con l'attenzione che la mia cassetta degli attrezzi mi consente, e che in buona parte mi avete messo a disposizione voi stessi. Emilio

      Elimina
    6. (E)uroboro: http://orizzonte48.blogspot.it/2015/10/luroboro-neo-liberista-il-salario.html

      Elimina
    7. Ma anche
      "Il discorso si concretizza, dunque, in una sorta di ragionamento euristico, in cui una norma di legge modifica il senso di una norma costituzionale al fine specifico di trovare in quest'ultima la sua giustificazione.
      E' evidente che la struttura simbolica cui si dà vita con un simile ragionamento, è quella del mitologico UROBORO. Che non a caso, in una precedente occasione, abbiamo ribattezzato €-uroboro neo-liberista".
      http://orizzonte48.blogspot.it/2017/01/uroboro-munchausen-legge-di-say-e.html

      Elimina
    8. @dargen

      La difficoltà per chi ha una forte preparazione tecnica è, appunto, quella di accettare un certo "positivismo" che produce falsa coscienza o, quantomeno, che distrae dal problema politico.

      La tecnica, di per sé, non cambia il conflitto tra classi: semplicemente è essa stessa che diventa un acceleratore di "disuguaglianze".

      Purtroppo la cultura "liberale di sinistra" americana ha aumentato tanto questa cattiva percezione.

      Cosa voglio dire?

      Che la crittografia "open source" e tutto il movimento "open source" sono contaminati dal liberalismo: basti vedere la differenza tra lo spirito di un progetto e l'altro.

      Lo statunitense vede nella crittografia un'arma di difesa della libertà dal governo-Leviatano, fino ad arrivare al pessimismo dell'Assange pre-politico (se mai oggi lo fosse, dotato di pensiero politico) che si può leggere nella sua ultima pubblicazione in cui vede liberi solo "hacker che, grazie alla loro peculiare intelligenza, sopravvivono alla Matrix come dei topolini che rubano qualche pezzo di formaggio dalla tavola imbandita dei padroni".

      La questione rimane sempre e solo la coscienza nazionale che fa nascere uno Stato guidato da una volontà politica unitaria, e dalla coscienza di classe dei subalterni che lottano per socializzare il potere politico racchiuso nel concetto di sovranità, una volta ottenuta l'indipendenza.

      Fare delle "armi intelligenti e libere" rimane inutile senza quella coscienza che permette di distribuirne il valore aggiunto - qualsiasi esso sia - ai ceti incoscienti ed asserviti.

      Altrimenti, come ci dice la Storia, il controllo di queste armi finisce nelle solite mani che non fanno altro che aumentare l'oppressione con minor sforzo, minori costi.

      La questione della « disoccupazione dovuta alla tecnologia » - come recita il mantra reazionario - è una manifestazione eclatante di ciò che sto provando ad esprimere: potremmo tutti lavorare meno ed essere molto più ricchi, invece rimaniamo disoccupati.

      È necessario capire cosa si intende per collettivizzazione e in quali forme si può procedere in questo senso: nella nostra Costituzione si danno direttive in merito anche per questo.


      (Comunque, come diceva chiaramente Husserl, l'unico vero pensiero "positivista" è la fenomenologia, per questo chiamata anche "empirismo radicale")

      Elimina
    9. La tecnica, di per sè, non è nè buona nè cattiva, è solo potente. La differenza la fa il come la si usa. Siamo effettivamente arrivati ad un punto in cui la posta in gioco nel fare l'apprendista stregone è altissima. Ma se scopro il ferro e ne faccio un aratro, sarà difficile che verrà usato come una spada. Ovviamente, quando ne faccio una spada, è bene che questa rimanga sotto il controllo dell'autorità pubblica.

      La crittografia open source la posso usare anche per firmare i verbali dei miei studenti.

      Per quanto riguarda il concetto di collettività (o Stato), io la vedo non solo come un meccanismo di redistribuzione della ricchezza, ma anche e soprattutto come un meccanismo per aggirare gli effetti negativi del paradosso del prigioniero. Se la strada principale della mia città è piena di buche, nessuno, singolarmente, ha interesse ad investire per riasfaltarla. Se lo Stato è debole, possiamo essere ricchi quanto vogliamo ma rimarrà con le buche. La collettività serve ad indirizzare le risorse verso obiettivi co-muni che generano più ricchezza e benessere della somma degli obiettivi dei singoli. E' così dai tempi in cui i Babilonesi, in co-munità, scavavano i canali per irrigare e difendersi dalle piene.

      Riprenderci la sovranità monetaria ci permetterebbe non solo di ridistribuire la ricchezza assumendo i disoccupati, ma anche di indirizzare gli investimenti verso obiettivi co-muni con 'moltiplicatore' più alto. La tecnica ci permetterebbe di farlo non solo con la banca centrale, ma anche con la moneta-scritturale elettronica, che da mera unità di conto diventerebbe a tutti gli effetti strumento legale di scambio, come anche auspicato su wikipedia (il nostro sistema 'funziona' al contrario).

      In quest'ottica, se devo prendere dei soldi in prestito per sviluppare la mia idea imprenditoriale o per comprare casa e mettere su famiglia, invece di andare in banca, andrò nel muni-cipio.

      [sicuramente gli etimologi storceranno il naso, ma, da ignorante letimologo, a me piace molto più vederla così]

      Elimina
    10. Dai sicuramente un sacco di spunti di riflessione; mi preme però l'aspetto coscienziale.

      « La tecnica, di per sé, non è né buona né cattiva, è solo potente. »

      Solo?

      Appunto.

      La Tecnica non è avulsa dalla Storia e non è indifferente ai rapporti di produzione: anzi, è parte fondante del modo di produzione stesso.

      In una società in cui il potere è concentrato perché il capitale raggiunge sempre più la sua massima concentrazione oligopolistica, la tecnica diventa un tale acceleratore di ulteriore concentrazione di potere che i mezzi di produzione "ad alta tecnologia" - ad elevato contenuto di "innovazione" e creatore di grande valore aggiunto - non dovrebbero essere di proprietà né essere indirettamente controllati da privati.

      È ovvio che, se posso, come "individuo" che usa le telecomunicazioni userò strumenti che mi garantiscono la maggior tutela dei miei dati sensibili e farò massiccio uso di crittografia e software il più possibilmente non chiusi; questa non è però coscienza "politica".

      Pensare che la "tecnica" possa in qualche modo risolvere un problema di natura politica, è tipicamente reazionario: porta a giocare nel medesimo campo degli avversari che per motivi strutturali son più forti.

      È un caso che il "potere fine a se stesso" e "l'accumulo" fine a se stesso che hanno portato a società sempre più classiste e diseguali, a deformazioni della struttura sociale che comportano rapporti di produzione sempre più inumani e volti al puro sfruttamento e in cui l'alienazione uccide sempre più lo spirito di dominati e dominanti, si chiami "Età del ferro"?

      Un senso ce l'ha.

      La Tecnica non è neutrale perché è calata nella concretezza dei rapporti sociali in un determinato momento storico.

      « L’efficienza tecnica è andata intensificandosi con un ritmo più rapido di quello con cui riusciamo a risolvere il problema dell’assorbimento della manodopera »

      La collettivizzazione dei mezzi di produzione e la cultura diffusa non specialistica sono - con il progresso scientifico sempre più incalzante - urgenze drammatiche affinché la democrazia come strumento di emancipazione e autocoscienza elevi gli esseri umani dalla condizione di bestie addomesticate.

      Elimina
  2. L'idea è presa da von Hayek per esplicita ammissione dei (presunti) ideatori”.

    Per quanto possa servire, segnalo che la BCE ha abortito questo papello sulla moneta virtuale in cui è confermato in modo espresso quali siano le radici teoriche ed i fini (almeno quelli dichiarati, che già bastano) di questa monnezza chiamata Bitcoin. A pag. 23-24, in particolare, spuntano i nomi di Eugen von Böhm-Bawerk, Ludwig von Mises, Friedrich A. Hayek e Rothbard (citati già da Bazaar nel suo post), cioè un potpourri di ordoliberisti e anarcocapitalisti.

    Teoria monetarista, inflazione brutta, denazionalizzazione della moneta e gold standard sono le solite parole d’ordine. Cioè nulla di buono se non per gli antisocratici piddini (in versione originale o pentastellata):

    Le radici teoriche del Bitcoin possono essere trovate nella scuola economica austriaca e nella relativa critica del sistema attuale di “fiat money” e interventi intrapresi dai governi e da altre agenzie, che, a loro parere, provocare esacerbati cicli di business e massiccia inflazione.

    Uno degli argomenti su cui è concentrata la scuola economica austriaca, guidata da Eugen von Böhm-Bawerk, Ludwig von Mises e Friedrich A. Hayek, è quello dei cicli economici. In breve, secondo la teoria austriaca, i cicli di affari sono la conseguenza inevitabile di interventi monetari sul mercato, per cui un'eccessiva espansione del credito bancario provoca un aumento dell'offerta di denaro attraverso il processo di creazione di denaro in una riserva frazionaria, sistema bancario, che a sua volta porta a tassi di interesse artificialmente bassi.

    In questo caso, gli imprenditori, guidati da segnali distorti sul tasso di interesse, si imbarcano in progetti di investimento troppo ambiziosi che non corrispondono a quel tempo al consumo intertemporale delle preferenze dei consumatori (cioè le loro decisioni per quanto riguarda consumo di breve termine e futuro). Prima o poi questo squilibrio diffuso non può essere sostenuto e conduce ad una recessione, nel corso del quale le aziende hanno bisogno di liquidare eventuali progetti di investimento non riuscito e riadattare (ristrutturazione) loro strutture di produzione in linea con le preferenze intertemporali dei consumatori. Di conseguenza, molti economisti della scuola austriaca invocano l’abbandono di questo processo abolendo la riserva frazionaria del sistema bancario e la restituzione di denaro basata sul gold standard, che non può essere facilmente manipolato da qualsiasi autorità
    . (segue)

    RispondiElimina
  3. Un’altra area in cui gli economisti austriaci sono stati molto attivi è quella della teoria monetaria. Uno dei nomi più importanti in questo campo è Friedrich A. Hayek. Ha scritto alcune pubblicazioni molto influenti, come denazionalizzazione della moneta (1976), in cui egli postula che i governi non dovrebbero avere un monopolio sopra l'emissione di moneta. Egli suggerisce invece che alle banche private dovrebbe essere consentito di emettere certificati di non-interesse-cuscinetto basati sui propri marchi registrati. Questi certificati (cioè valute) dovrebbero essere aperti alla concorrenza e potrebbero essere essere scambiati a tassi di cambio variabili. Qualsiasi valuta in grado di garantire un potere d'acquisto stabile eliminerebbe dal mercato altre valute meno stabili. Il risultato di questo processo della concorrenza e della massimizzazione del profitto sarebbe un sistema monetario altamente efficiente dove coesisterebbero solo valute stabili. Le seguenti idee sono generalmente condivise dai sostenitori del Bitcoin:

    - vedono il Bitcoin come una buona base di partenza per la fine del monopolio delle banche centrali nell’emissione di moneta;

    - Criticano fortemente il sistema di riserva frazionaria bancaria corrente per cui le banche possono estendere la loro offerta di credito al di là delle loro riserve effettive e, contemporaneamente, i depositanti possono ritirare i loro fondi nei loro conti correnti in qualsiasi momento.

    - Lo schema è ispirato da ex gold standard.

    Anche se le radici teoriche del regime possono essere trovate nella scuola austriaca di economia, Bitcoin ha suscitato profonde inquietudini tra alcuni degli economisti austriaci di oggi.La loro critica riguarda due aspetti generali: a) Bitcoin non hanno alcun valore intrinseco come l'oro; Essi sono semplici bit memorizzati in un computer; e b) il sistema non riesce a soddisfare il "teorema di regressione Misean", che spiega che il denaro diventa accettato non a causa di un decreto governativo o convenzione sociale, ma perché ha le sue radici in una merce che esprimono un certo potere d'acquisto…
    ”. (Mi scuso per la traduzione che fa pietà. Ma nulla in confronto ad €SSI).

    Un grazie sentito a Poggio, Arturo e Bazaar per questo post e per la loro minuziosa opera di ricerca.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Grazie a te, Francesco, esporatore infaticabile del mondo degli inferi :-)

      Elimina
    2. Raccontano talmente tante cazzate da così tanti secoli che ormai non si ricordano più dove ci sta la scienza e dove la più turpe delle filosofie morali.

      Che poi è stato il lavoro di Hayek, spiegare l'ovvio all'élite incolta mentre dava una base teorica e morale ai rentiers.

      Poveretti.

      A forza di seminare frescacce non ci capiscono più nulla manco loro: il problema di tutti gli adulteri.

      È proprio vero che la questione delle classi esplode con la famiglia borghese...

      Bisognerà ripensare al matriarcato e alla poliandria come Engels e i comunisti.

      Elimina
  4. “Cosa vogliono? Moneta unica mondiale” (cit Bazaar)

    Qualcuno ne ha parlato:

    [12] Otto anni dopo, nel 2012: «La mia visione è semplice – dice Mundell – abbiamo bisogno di una valuta globale, o di quanto più vicino ci possa essere a una valuta globale. L'euro è un pilastro di questo nuovo ordine monetario insieme al dollaro e allo yuan. Oggi l'economia globale poggia ancora su un ordine monetario che fa punto di riferimento sul dollaro. Ma è chiaro che è un sistema che riflette il passato, oggi siamo in un equilibrio economico molto diverso con un peso specifico dell'America sull'economia globale già molto ridimensionato».
    Mundell dunque vede delle ragioni strutturali e politiche che vanno al di là dell'Europa per la sopravvivenza dell'euro. Ma lo stesso vale per l'Europa: «La scelta di creare l'euro fu una scelta politica. Non fu l'evoluzione naturale di un fenomeno economico. E le ragioni politiche e storiche prevalgono. L'Europa ha costruito il suo futuro sull'euro. Ci sono litigi e differenze per come ci si posizionerà guardando in avanti. Ma mi colpisce la miopia dei mercati, o di coloro che parlano di caduta dell'euro: qui non stiamo parlando di numeri o di statistiche, stiamo parlando di una visione politica [il Fogno al cubo, ndr]. Chi scommette contro l'euro lo fa a suo rischio e pericolo»

    http://orizzonte48.blogspot.com/2016/03/esercitazioni-di-economia-monetaria-von.html?spref=tw

    RispondiElimina
    Risposte
    1. In un mondo multipolare una moneta internazionale unica NON TESAURIZZABILE (bancor) favorirebbe l'eliminazione dei deficit/surplus commerciali.

      Ma non credo che Mundell & co. si riferiscano a questo.....

      Elimina
    2. Bè… io non sono Bazaar, ma ho pensato a questo:

      “Una federazione mondiale con una valuta unica che faccia da regolatore degli scambi interregionali, e una serie di comode monete parallele private, in "concorrenza" tra loro, ma accumunate tutte dal dogma della parità aurea.

      Una banca centrale unica, al cui consiglio di amministrazione ci stanno i rappresentanti delle marche globali che amministreranno i vari "feudi".

      Sì, "amministreranno", perché senza Stati nazionali non sarà più necessaria la Politica: non più zoon politikon, ma concorrenza e sistema dei prezzi a regolare etica, gusto e legislazione: il trionfo della Legge.

      Non ci saranno più guerre fra Stati nazionali brutti: solo violenza tra individui sradicati e gruppi segmentati: i tecnocrati verranno gestiti psicologicamente, i subalterni verranno repressi poliziescamente da energumeni lobotomizzati e da spassionati droni.

      La vera guerra che vuole essere definitivamente risolta è, quindi, quella tra classi: e, con la moneta unica globale, il monopolio OGM delle coltivazioni, quello dei farmaci e della salute, gran parte del problema malthusiano è risolto.”

      http://orizzonte48.blogspot.it/2016/06/brexit-e-il-vizio-del-fate-presto.html?showComment=1465944687895#c8144877182345958114

      Elimina