domenica 12 novembre 2017

CAFFE', LA COSTITUZIONE DEL LAVORO, L'EFFICIENZA DEL MERCATO E LA FABBRICA DI FORMAGGIO DI KEYNES

https://www.ideesoluzioni.it/wp-content/uploads/John-Maynard-Keynes-La-difficolt%C3%A0-non-sta-nel-credere-alle-nuove-idee-ma-nel-fuggire-dalle-vecchie.jpg

1. Come sappiamo, per via della interpretazione "autentica" di Caffè e Ruini (il cui contributo al modello economico accolto in Costituzione è fondamentale) la Costituzione italiana, del 1948, è coscientemente keynesiana: questa scelta non è senza conseguenze, poiché il modello economico, e dunque l'assetto socio-politico, conformato in Costituzione ha valore normativo supremo, cioè intangibile (il che, in termini, normativi significa "non suscettibile di revisione neppure costituzionale"), e quindi ineludibilmente vincolante per il plesso Governo-Parlamento.

Per questo ci pare interessante richiamare il pensiero di Caffè (maestro dai troppi allievi che "prendono le distanze", con pensieri, parole opere ed...omissioni), in questi tempi oscuri, in cui le elites "cosmopolite" (finanziarie e grande-industriali) che dominano il mercato (internazionalizzato), e che sotto la sua facciata nominalistica, "governano" (qui, p.8.1.), cioè decidono per tutta la comunità nazionale, sostituendosi alla sovranità popolare, con il fine inevitabile e strutturale di proteggere e massimizzare le rendite oligopolistiche di cui sono beneficiarie.
E qui soccorre una prima citazione di Keynes, relativa alla stabilità dei prezzi, cioè al perseguimento di un'inflazione stabile e appostata su un target oggettivamente basso, con la giustificazione che ciò sia indispensabile per quel controverso valore che è la "stabilità monetaria":
"Entrambe [inflazione e deflazione] sono "ingiuste" e deludono ragionevoli attese; ma, mentre l'inflazione, alleviando l'onere del debito nazionale e stimolando le imprese, mette un contrappeso sull'altro piatto della bilancia, la deflazione non offre alcuna contropartita. (1975, p. 147).
...la deflazione comporta un trasferimento di ricchezza ai rentiers, e a tutti i detentori di effetti monetari, da parte del resto della comunità; così come l'inflazione comporta un trasferimento di segno opposto. In particolare la deflazione comporta un trasferimento di ricchezza da tutti i debitori (vale a dire: commercianti, industriali e agricoltori) ai creditori; dagli elementi attivi a quelli inattivi. (1975, p. 144).
Se dunque, il livello dei prezzi esterni è al di fuori del nostro controllo, dovremo accettare che o il livello dei prezzi interni o il tasso di cambio subiscano l'influsso esterno. E se il livello dei prezzi esterno è instabile, non potremo mantenere contemporaneamente stabili sia il livello dei prezzi interni sia il tasso di cambio. (1975, p. 148)".

2. Di questi tempi oscuri, appunto, Caffè aveva immediatamente riconosciuto gli albori, fino a denunciarne, alla vigilia della sua misteriosa e prematura scomparsa, gli esatti meccanismi politici di "instaurazione".
Riportiamo al riguardo un brano citato da Arturo e ne sottolineiamo i vari passaggi, via via, con una serie di citazioni tratte dall'opera di Keynes (in particolare da "Esortazioni e profezie" e dalla "Teoria Generale") che illustrano come, lungi dal rappresentare una novità, l'aspirazione al "governo del mercato", sia, nel corso degli ultimi due secoli (abbondanti), estremamente ripetitiva e addirittura monotona: nei nostri giorni, non basta quindi il pluridecennale espediente, di marketing politico, della denominazione come "costruzione €uropea" (che raccoglie "la sfida della globalizzazione"), a emendare la trita obsolescenza e di questa tendenza, tutt'altro che irenico-kantiana, delle oligarchie a soffocare la democrazia.

2.1. Il discorso di Arturo muove dalle critiche di Caffè alla svolta del PCI berlingueriano, tra la fine degli anni '70 e l'inizio degli anni '80 (così densi di traumi politici ma anche di un'inusitata accelerazione del "lo vuole l'Europa"), e ci fornisce un dettagliato quadro politico-economico dei suoi obiettivi. In sintesi, si può dire che "l'abbandono al suo destino" del modello, e della legalità, costituzionali, avviene proprio in quegli anni (che, non a caso, coincidono con l'inizio dell'incessante tentativo di ratificare la pretesa abrogazione della c.d. Costituzione economica, mediante l'idea di alchimie costituzionali definite come Grande Riforma):
"...quelle critiche di inizio anni Ottanta meritano di essere tirate fuori tutte, non solo il "famoso" Processo a Berlinguer.
Qui Caffè sta commentando un documento, elaborato dal Pci, “Materiali e proposte per una programma economico-sociale e di governo dell’economia”
E’ per motivi del genere che ho provato un estremo disagio, una sensazione di vero tradimento intellettuale, là dove si parla di «programmazione che agisca in un quadro... in cui operano le leggi di mercato»; o di imprese che «devono misurare la loro efficienza sul mercato»; o di rifuggire (sempre per assicurare una « politica di programmazione nell’ambito di un’economia di mercato ») da «vincoli troppo rigidi», «dal rischio di impiantare un sistema soffocante di norme e di procedure».
3. Dunque già si coglie come l'operare efficiente delle leggi del mercato debba implicare la limitazione del perimetro dello Stato, che determinerebbe vincoli rigidi e un sistema soffocante: ma soffocante di cosa? 
Vediamo cosa ne dice Keynes, cioè, in definitiva, il modello economico-costituzionale, dell'intervento socio-economico dello Stato, cosa da cui si intuisce quale sia il prezzo, in termini di crescita e occupazione, dell'ideologia che predica di rinunciarvi; aggiungerò, accanto alle principali proposizioni keynesiane, le norme costituzionali corrispondenti (quasi alla lettera):   
"L'agenda [le cose da fare] più importanti dello Stato non riguardano le attività che i singoli individui già svolgono, ma le funzioni che cadono al di fuori della sfera dell'individuo, le decisioni che, se non assume lo Stato, nessuno prende. Importante per il governo non è fare le cose che gli individui stanno già facendo, e farle un po' meglio o un po' peggio, ma fare le cose che al presente non vengono fatte per niente. (1975, p. 237).
"Ritengo perciò che una socializzazione di una certa ampiezza dell'investimento si dimostrerà l'unico mezzo per consentire di avvicinarci alla occupazione piena (artt. 1, 4 e 42-43 Cost.) sebbene ciò non escluda necessariamente ogni sorta di espedienti e di compromessi coi quali la pubblica autorità collabori con la privata iniziativa (art.41 Cost.). [...] I controlli centrali necessari ad assicurare l'occupazione piena (art.41 in connessione con l'art.4 Cost.) richiederanno naturalmente una vasta estensione delle funzioni tradizionali di governo. (1968)."
Mentre quindi, l'allargamento delle funzioni di governo, richiesto dal compito di equilibrare l'una all'altro la propensione a consumare e l'incentivo ad investire, sarebbe sembrato ad un pubblicista del diciannovesimo secolo o ad un finanziere americano contemporaneo una terribile usurpazione ai danni dell'individualismo, io lo difendo, al contrario, sia come l'unico mezzo attuabile per evitare la distruzione completa delle forme economiche esistenti, sia come la condizione di un funzionamento soddisfacente dell'iniziativa individuale (art.41 Cost., comma 2, in relazione, oggi più che mai, all'art.47 nonché all'art.45, comma 2.).
(Prosegue Caffè): "Non si può fare a meno di trasecolare che si diffondano tali convincimenti in un paese in cui, da parte di persone in posizioni di responsabilità nella politica economica, vi è stato di recente (tanto per fare un esempio tra i numerosissimi che sarebbero possibili) un esplicito riconoscimento della esistenza di forme di intermediazione finanziaria che non si riescono né a censire, né a regolamentare. Perché, in situazioni del genere, sostenere linee di pensiero che, sostanzialmente, forniscono un avallo ai ricorrenti addebiti della economia ingessata, soffocata da intralci e oberata dai controlli; quando, nella realtà, lo smodato arbitrio di ristretti centri di potere e l’arrogante impiego che ne viene fatto privano di ogni significato operativo la cosiddetta « economia di mercato »? Quale indicatore di efficienza può esso fornire e a quali sue « leggi » si può validamente far appello?
Keynes:
" Gli speculatori possono essere innocui se sono delle bolle sopra un flusso regolare di intraprese economiche; ma la situazione è seria se le imprese diventano una bolla sospesa sopra un vortice di speculazioni. Quando l'accumulazione di capitale di un paese diventa il sottoprodotto delle attività di un Casinò, è probabile che le cose vadano male. Se alla Borsa si guarda come a una istituzione la cui funzione sociale appropriata è orientare i nuovi investimenti verso i canali più profittevoli in termini di rendimenti futuri, il successo conquistato da Wall Street non può proprio essere vantato tra gli straordinari trionfi di un capitalismo del laissez faire. Il che non dovrebbe meravigliare, se ho ragione quando sostengo che i migliori cervelli di Wall Street sono in verità orientati a tutt'altri obiettivi."
"l'esistenza di possibilità di guadagni monetari e di ricchezza privata può instradare entro canali relativamente innocui, pericolose tendenze umane, le quali, se non potessero venir soddisfatte in tal modo, cercherebbero uno sbocco in crudeltà, nel perseguimento sfrenato del potere e dell'autorità personale e in altre forme, di auto-potenziamento. È meglio che un uomo eserciti la sua tirannia sul proprio conto in banca che sui suoi concittadini; e mentre si denuncia talvolta che il primo sia soltanto un mezzo per raggiungere il secondo, talaltra almeno ne è un'alternativa. Ma per stimolare queste attività e per soddisfare queste tendenze non è necessario che le poste del gioco siano tanto alte quanto adesso. Poste assai inferiori serviranno ugualmente bene, non appena i giocatori vi si saranno abituati. (1968)"
(Prosegue Caffè): Non intendo commentare ogni singolo punto di un documento vasto, complesso e, nell’insieme, costruttivo. Ho scelto solo un aspetto denso di pregiudizievoli ambiguità e che mi consente di sottolineare che, in un clima intellettuale pluralistico, le forze progressiste hanno il compito, mi sembra, di confutare con intransigenza le idee sostenute dalla rinnovata «saggezza convenzionale»; rinnovata nella influenza soverchiarne, ma ancorata a concezioni che rimangono retrograde, miopi, antistoriche.
Keynes: La saggezza del mondo insegna che è cosa migliore per la reputazione fallire in modo convenzionale, anziché riuscire in modo anticonvenzionale. (2006, p. 344).
Le idee degli economisti e dei filosofi politici, tanto quelle giuste quanto quelle sbagliate, sono più potenti di quanto comunemente si creda. In realtà il mondo è governato da poco altro. Gli uomini pratici, che si ritengono completamente liberi da ogni influenza intellettuale, sono generalmente schiavi di qualche economista defunto. (1971)
(Prosegue Caffè): Tra le cose che dovremmo lasciarci dietro le spalle vi è il pensare che un controllato moderatismo giovi ai fini della acquisizione di un maggiore consenso. Dovremmo aver ormai appreso che il gioco al rialzo, da parte dei fautori della « saggezza convenzionale » non ha mai termine; ed è un gioco che, qualora fosse ancora in grado di suscitare illusioni o acquiescenze, provocherebbe anche una netta dissociazione intellettuale da parte di chi non ritiene che giovi in questo campo alcun tipo di compromesso.”. (F. Caffè, Le preoccupazioni di un critico della efficienza del mercato, Politica ed economia, 1982).
Ed ecco Keynes, laddove il "gioco al rialzo", specie nel 1982, nel pieno della ipostatizzazione del nuovo "Statuto della moneta" e all'indomani del "divorzio", riecheggia la irresistibile tendenza al ritorno, in qualsiasi forma (resa in qualche modo accettabile), al gold standard e alla disciplina del riottoso lavoro mediante flessibilità e disoccupazione. Naturalmente, poi, il "rialzo" interminabile (oggi denominato le "riforme strutturali") riguarda la "moralizzazione virtuosa" della spesa statale e la "modernizzazione" del mercato del lavoro, troppo "ingessato" per corrispondere alle "esigenze delle imprese":
"[...] la disoccupazione si sviluppa perché la gente vuole la luna: gli uomini non possono essere occupati quando l'oggetto del desiderio (cioè la moneta) è qualcosa che non può essere prodotta e la cui domanda non può essere facilmente ridotta. Non vi è alcun rimedio, salvo che persuadere il pubblico che il formaggio sia la stessa cosa e avere una fabbrica di formaggio (ossia una banca centrale) sotto il controllo pubblico. (2006, p. 426)."
Se un determinato produttore, o un determinato paese, taglia i salari, si assicurerà così una quota maggiore del commercio internazionale fino al momento in cui gli altri produttori o gli altri paesi non facciano altrettanto; ma se tutti tagliano i salari, il potere d'acquisto complessivo della comunità si riduce di tanto quanto si sono ridotti i costi: e anche qui nessuno ne trae vantaggio. (1975, p. 107).
Il risultato sarebbe necessariamente un aumento sostanziale del numero dei disoccupati che riscuotono un sussidio ed un calo degli introiti fiscali in conseguenza dei minori redditi e dei minori profitti. Per la precisione, le conseguenze immediate di una riduzione del deficit da parte del governo sono esattamente l'opposto di quelli che si avrebbero se si finanziassero nuovi lavori pubblici aumentando l'indebitamento. (1975, p. 121)

15 commenti:

  1. E invece siamo messi più o meno così:

    “La stabilità della moneta non vive da sé. Viga il sistema aureo o quello della moneta regolata, affinché ad esempio il principio del mercato comune europeo duri, occorre (p. 172), come in passato per il regime aureo, non ricchezza o forza, ma solo la modesta nozionc che né uno stato né un popolo possono vivere al disopra delle «proprie condizioni ».”“Se si vuole che la moneta sia stabile, importa innanzitutto mettere in ordine la propria casa. Perciò l’Erhard è scettico rispetto al toccasana dell’europeismo se questo non è preceduto ed accompagnato dall’ordine interno (p. 169):
    In America vige una massima che suona: stability and converlibility begin at home (stabilità e convertibilità cominciano in casa). È proprio ciò che manca in Europa...
    Un paese membro può giungere ad essere maturo per l’integrazione soltanto quando è risoluto non solo a ristabilire il suo ordine interno, ma anche a conservarlo irremissibilmente...
    Si pensi, ad esempio, solo alla dottrina di Keynes, allo spendere per creare disavanzo, alla « politica del danaro a buon mercato » con tutti gli annessi e connessi.”
    Quindi Erhard è favorevole sì all’integrazione europea, ovviamente purché liberista:
    “Non sarebbe certo ragionevole concedere ai singoli paesi membri mano libera per regressi sulla via dell’integrazione, di modo che, presentandosi, ad esempio, difficoltà nella bilancia dei pagamenti, potessero venire impiegate clausole protettive, in virtù d’una propria sovranità, rimessa in vita per l’occasione.
    Né è buona soluzione che il paese in questione... possa venire successivamente costretto ad abrogare queste clausole protettive, qualora una decisione in tal senso venga presa da una maggioranza qualificata. Non c’è bisogno di molta fantasia per capire che una decisione del genere, costituendo un atto poco amichevole, non potrebbe, in pratica, essere quasi mai adottata.

    O il mercato comune sarà liberista o correrà rischio di cadere nel collettivismo (p. 208):
    Nel mercato comune... o si fa strada lo spirito del liberismo ed avremo allora un’Europa felice, progressiva e forte, o tentiamo di accoppiare artificiosamente sistemi diversi ed avremo perduta la grande occasione di una integrazione autentica. Una Europa dirigisticamente manipolata dovrebbe, per sistema, lasciar paralizzare le forze di resistenza contro lo spirito del collettivismo e del dominio delle masse, e illanguidire il senso di quel prezioso bene che è la libertà.
    La politica di armonizzare, uguagliare, compensare è (p. 208):
    quanto mai pericolosa... Lo sviluppo tendenzialmente inflazionistico in alcuni paesi (con rigidi corsi dei cambi!) è da riferire, non da ultimo, anche alla concessione di prestazioni sociali superiori alle possibilità di rendimento dell’economia nazionale. Poiché nel campo politico un adeguamento nelle prestazioni sociali non può avvenire mai verso il basso [che pessimismo ingiustificato!], ma solamente verso l’alto, ne deriva la conseguenza che anche quelle economie nazionali le quali avevano potuto finora conservare un ordine equilibrato, o vengono spinte per forza, a loro volta, su quella via rovinosa, o devono scontare la colpa altrui sotto la forma dell’applicazione di clausole protezionistiche da parte dei loro contraenti.”

    http://orizzonte48.blogspot.com/2016/06/germania-anno-zero-zero-reflazione-e.html?spref=tw

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    1. “Caffè aveva ovviamente capito che il progetto deflazionista era contra Constitutionem, che il rischio era la colonizzazione tedesca e che la “solidarietà” era solo una chimera:”

      Francesco Maimone13 settembre 2017 11:10

      E, per ultimo, un passaggio sul fogno €uropeo. Caffè aveva ovviamente capito che il progetto deflazionista era contra Constitutionem, che il rischio era la colonizzazione tedesca e che la “solidarietà” era solo una chimera:

      “… In questo studio, che ha come titolo A che punto siamo con l’integrazione economica europea?, il professor Rey pone in rilievo che quest’integrazione, per la parte in cui si è realizzata, è stata dominata dai grandi monopoli più che dai governi: i governi sono stati sostanzialmente a rimorchio degli interessi costituiti, presenti di frequente anche in forme e strutture diverse da quelle monopolistiche. Sono queste considerazioni che portano a introdurre degli elementi di riflessione critica che ho indicato come dubbi…

      Gli errori di decisioni prese sull’onda anche di un entusiasmo possono rivelarsi tali, nel senso di averne una consapevolezza più chiara soltanto a distanza di tempo. Il fatto positivo… è che i tempi di percezione dei possibili errori si sono enormemente accorciati nel periodo più recente. Risale agli anni Sessanta un articolo di un nostro collega, il professor Giorgio La Malfa, pubblicato sul periodico «Studi economici» dell’Università di Napoli. Egli, in via di pura analisi dei montanti compensativi e senza nessuna esperienza concreta del loro operare, già con molta lucidità vedeva tutti i pericoli cui avrebbero condotto. Vi è noto che i montanti compensativi come erano previsti dal Trattato istitutivo delle Comunità furono una creazione tecnocratica, che volle anticipare una moneta europea, sia pure limitatamente al settore dell’agricoltura. E non può dirsi che si sia trattato di un successo.

      Vi è poi un altro economista il quale una ventina di anni fa, quando si trattava appunto di scegliere tra il Mercato comune o una zona di libero scambio, prese posizione a favore della zona di libero scambio, perché questa avrebbe incluso l’Inghilterra…Questo autore segnalava due pericoli fra loro strettamente connessi: il predominio economico della Germania e un’accresciuta influenza, a livello europeo, di concessioni economiche poco favorevoli al sostegno dell’occupazione.

      http://orizzonte48.blogspot.com/2017/09/vademecum-per-la-difesa-della-sovranita.html?showComment=1505293852507#c1953865281502729768

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  2. « ...THEY see danger in the expansion of government, not least in state welfare, in the power of trade unions and business monopoly, and in the continuing threat and reality of inflation... »

    Ma se il pensiero "liberista" è a favore della concorrenza, perché è finanziato da oligopolisti?

    Se il pensiero "liberale" è avverso alla "statalista" pressione fiscale, perché i suoi finanziatori sono oligopoli elusori globali che sfruttano i paradisi fiscali?

    Riassumiamo cosa pensano i nemici della Costituzione democratica del '48:

    « 1 - The analysis and exploration of the nature of the present crisis so as to bring home to others its essential moral and economic origins.[c'è un relazione tra frame della propaganda, epistemologia ed ermeneutica/fenomenologia
    2 - The redefinition of the functions of the state so as to distinguish more clearly between the totalitarian and the liberal order.
    [già: opposti estremismi e, in mezzo, i liberali che, come si vede, sono "tolleranti e moderati"]
    3 - Methods of re-establishing the rule of law and of assuring its development in such manner that individuals and groups are not in a position to encroach upon the freedom of others and private rights are not allowed to become a basis of predatory power.
    [per questo si suoi fondatori suppoertarono Pinochet]
    4 - The possibility of establishing minimum standards by means not inimical to initiative and functioning of the market.
    [es, l'UE!]
    5 - Methods of combating the misuse of history for the furtherance of creeds hostile to liberty.
    [Questa non è fantastica? per chi si chiede perché in tutto il mondo si sta iniziando a eliminare monumenti e architetture tacciate di essere prodotte da pensieri "illiberali"?]
    6 - The problem of the creation of an international order conducive to the safeguarding of peace and liberty and permitting the establishment of harmonious international economic relations.
    [il Fogno...]»

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  3. Infatti, cosa vuole MPS? « Germany and others would need to rediscover the intellectual and moral values on which European civilization had originally been built – values such as the sacredness of truth, the importance of individual freedom, democracy and “opposition to all forms of totalitarianism, whether it be from the Right or from the Left.” » che poi, appunto, per "amor della verità", bisogna ricordare che pure la "democrazia non può limitare se stessa"...

    « In 1945 the German‐born political economist Wilhelm Röpke [il pen friend di Spinelli ed Einaudi], (later a leading architect of Germany’s postwar social market economy), also fearing the “mortal threat” of collectivism to Europe’s cultural inheritance » [un pensiero ai cretini che identificano la UE alla collettivista (ed immorale...) URSS ]

    « Some participants, such as Röpke and the Swiss academic and diplomat William Rappard, believed that liberalism had to be tempered by the contemporary human desire for security. Others, such as the Austrian economist Ludwig von Mises, feared that such concessions were the first step down the road to serfdom, and took a robustly libertarian stance. Indeed, during the session on income distribution, where some participants were expressing support for the idea of progressive income taxes, Mises famously got up and complained:“You are all a bunch of socialists!” »

    Voi vi chiederete, sono "liberali", sicuramente avrà preso il sopravvento l'ala "moderata"... no? si vede no?

    « There was more agreement on how history had been used as a weapon of illiberal propaganda » Bè, sul problema della Storia sono tutti d'accordo, invece.

    D'altronde, è un'emergenza: « The central values of civilization are in danger,” it warns. In some countries, freedom has disappeared entirely; in others it is “under constant menace.” Even freedom of thought and expression is being curbed [la libertà del ricco di imporre il proprio pensiero al povero]. Freedom is being sacrificed to “a view of history which denies all absolute moral standards” and “.” »

    Allarme, con la crisi potrebbero ricomparire idee socialiste!

    « the financial crisis made liberals realize the importance of developing and disseminating their ideas even more. By 2012, the Society had grown to 699 members »

    Sintesi: cosa è il modo di produzione capitalistico? È un modo che permette al primo nababbo oligopolista di supportare con risorse sterminate un branco di sociopatici che vorrebbero combattere il totalitarismo degli altri per imporre il proprio.

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    1. Lo scritto di Basso certifica un pensiero che si opponeva a quell'inevitabile "controllo delle istituzioni" che l'economia "monopolistica"

      "...oggi il settore monopolistico (usiamo questa espressione nel senso che essa ha oggi assunto nella polemica politica e non in senso rigorosamente tecnico-economico che suggerirebbe piuttosto l’espressione di ‘oligopolio concentrato’) non soltanto si appropria del plusvalore prodotto dai suoi operai, ma, grazie al suo forte potere di mercato, che gli permette d’imporre i prezzi sia dei prodotti che vende che di quelli che compra, riesce ad appropriarsi almeno di una parte del plusvalore prodotto in tutti gli altri settori non monopolistici: sia in quello agricolo, sia in quello del piccolo produttore indipendente, sia anche in quello delle aziende capitalistiche non monopolistiche, dove il tasso di profitto è minore e spesso, di conseguenza, anche i salari degli operai sono più bassi proprio per il peso che il settore monopolistico esercita sul mercato.
      Ridurre quindi, nella presente situazione, la lotta di classe al rapporto interno di fabbrica, proprio mentre la caratteristica della fase attuale del capitalismo è la creazione di questi complessi meccanismi che permettono di esercitare lo sfruttamento in una sfera molto più vasta, anche senza il vincolo formale del rapporto di lavoro, è perlomeno curioso...
      Una seconda tendenza destinata ad accentuarsi sempre più in avvenire è quella relativa all’interpenetrazione di potere economico e potere politico, cioè, praticamente, all’orientamento di tutta la politica statale ai fini voluti dal potere monopolistico.

      Abbiamo già accennato al fatto, che non ha certo bisogno di dimostrazione, che il capitalismo monopolistico ha eliminato i meccanismi autoregolatori che si sviluppavano in regime concorrenziale, ma non ha viceversa eliminato le cause di squilibrio che rendevano necessari quei meccanismi: al contrario, abbandonato alla sua spontaneità, esso esaspererebbe la contraddizione fra la necessità di mantenere un alto saggio di accumulazione per assicurare piena efficienza al sistema e l’impossibilità di mantenerlo per il venir meno, a un certo punto, del profitto che è la molla del sistema, cioè sarebbe soggetto alla più grave instabilità.
      Per evitarlo è necessario far ricorso ad un complesso di tecniche di previsioni e di tecniche di correzione capaci di ridurre continuamente l’ampiezza delle fluttuazioni e degli squilibri e di fornire quei rimedi anticiclici, che soli possono evitare la catastrofe.
      Ma queste tecniche richiedono una continua estensione dell’intervento pubblico nella vita economica, sia per facilitare e orientare gli investimenti (preparazione di infrastrutture, sussidi e incentivazioni, gestione di pubblici servizi, politica di sostegno dei prezzi, programmazione concertata), sia per sostenere la domanda (spesa pubblica, e soprattutto riarmo, redistribuzione di redditi per sostenere la domanda di beni di consumo, acquisto di prodotti eccedentari, ecc. ), senza parlare dei sistemi più tradizionali di intervento con la politica fiscale, creditizia, doganale, monetaria, e della politica internazionale che si può dire ormai interamente dominata da problemi di questa natura.

      segue

      http://orizzonte48.blogspot.com/2014/11/basso-caffe-il-controllo-culturale.html?spref=tw

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    2. In Italia, per non leggere ricostruzioni parziali e incomplete(anche i kabarettisti non sono coscienti della connessione genetica con l'ordoliberismo...via Roepke e tanti altri), si può solo leggere "La Costituzione nella palude".

      Interessante il passaggio (che sfiora soltanto la piena auto-consapevolezza storico-politica) sul pareggio di bilancio già nella Costituzione tedesca. Prima di Schroeder (altra cosa evidenziata criticamente solo su orizzonte48).

      Il finale mi trova pienamente concorde: anche se lo "passi" in televisione, non ci crederà nessuno.
      Ma in Italia, se non lo passi su una tv nazionale continueranno altri complottismi e altre intepretazioni di "controinformazione cosmetica" che attirano come le mosche il miele...

      Quindi, ad avercene di kabarettisti così! Invece, ci dobbiamo accontentare di Crozza (il resto non ne parliamo neppure).

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  4. "L'agenda [le cose da fare] più importanti dello Stato non riguardano le attività che i singoli individui già svolgono, ma le funzioni che cadono al di fuori della sfera dell'individuo, le decisioni che, se non assume lo Stato, nessuno prende."

    Quì è a mio avviso il nocciolo della questione, per lo meno dal punto di vista tecnico. In ambito matematico, la cosa è stata formalizzata da Nash. Tutto l'impianto neoliberista si regge sulla falsa ipotesi che l'equilibrio di Nash di un 'mercato' fatto di individui che tirano ciascuno acqua al proprio mulino sia anche ottimo di Pareto, cioè non migliorabile senza danneggiare qualcuno.

    E' in effetti difficile e controintuitivo allontanarsi da questo falso assioma. E' un po' come pensare alla terra rotonda e chiedersi come fanno a vivere gli australiani con tutto quel sangue alla testa. Però ormai tutti sanno più o meno come funziona la forza di gravità e non se lo chiede più (quasi) nessuno.

    La cosa è più controintuitiva di quello che può sembrare. Segnalo, ad esempio, il paradosso di Braess, che altro non è che una versione del paradosso del prigioniero (e che, per chi conosce la teoria dei giochi, non ha niente di paradossale). Pur aumentando le risorse disponibili (e.g. aumenta il PIL), se non si collabora (cioè senza uno stato che intervenga nell'economia) la situazione può peggiorare. Per tutti.

    Si veda anche il paradosso dei gelatai.


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    1. Le verità elementari ("chiare e distinte"), in economia, appaiono controintuitive perché i "fruitori" (pop, ma anche i discenti in sede accademica) sono costantemente affetti dalla narrazione di Munchausen.

      Voglio dire è facilissimo, in nome della "scientificità" (quale affermata da Einaudi..in Costituente!) radicare una serie di rationalia selettivi e omissivi da cui poi fare deduzioni concatenate apparentemente ineccepibili (quanto a criteri logici applicati).

      Dal punto di vista cognitivo, e dunque fenomenologico, si tratta di (diffondere la) "precomprensione", una delle prime spiegazioni ermeneutiche fornite da questo blog.

      Dal punto di vista dell'utilizzo su scala di massa, si tratta poi, della dissimulazione degli interessi dominanti tramite l'inversione dei rapporti causa/effetto.
      Per decodificare, fenomenologicamente, ci basta questo passaggio del soprastante commento di Bazaar:
      "...cosa è il modo di produzione capitalistico (ndr: direi più esattamente: la naturalità della Legge del mercato, secondo Hayek)?
      È un modo che permette al primo nababbo oligopolista di supportare con risorse sterminate un branco di sociopatici che vorrebbero combattere il totalitarismo degli altri per imporre il proprio".

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  5. Bel post, che offre solo l’imbarazzo della scelta di spunti.

    Ne colgo uno, la famosa questione dell’eutenasia del rentier. Poche righe dopo, Keynes aggiunge: “Considero perciò l’aspetto del capitalismo caratterizzato dall’esistenza del redditiere come una fase di transizione, destinata a scomparire quando esso avrà compiuto la sua opera. E con la scomparsa del redditiere, molte altre cose del capitalismo subiranno un mutamento radicale.” (J. M. Keynes, Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta, UTET, Torino, 2005, pag. 465).

    Mi pare che la radicalità di Keynes non sempre sia chiara a tutti. Ad alcuni sì, però: alla proposta di eutanasia un economista francese, Marcel Labordère, rivolse a Keynes un’obiezione che si può considerare un esempio concreto di quella più generale sollevata da Einaudi, secondo cui Keynes tendeva a risolvere i problemi “col solo punto di vista economicio”:

    The rentier, Labordere pointed out, was useful not only for his propensity to save, but because ‘stable fortunes, the hereditary permanency of families, and sets of families of various social standings are an invisible social asset on which every kind of culture is more or less dependent.’”. (Skidelsky, Keynes. The Return of the Master, Penguin, Londra, 2010, s.p.)

    E da qui si potrebbe ripartire in molte direzioni, iniziando, per esempio, da qui. :-)

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    1. Ma LOL!
      Hai fatto bene a rammentare questo filone, da te meritoriamente individuato, della cultura. In effetti, senza questa idea cialtronica (all'interno del capitalismo sfrenato), non esisterebbe la gran parte delle riviste e delle pagine culturali dei big-media. Basta vedersi le edizioni domenicali di FT e gli allegati al NYT (per non parlare di tutti i periodici ital-spaghetti liberisti a insaputa (?) dei relativi redattori).
      Un trionfo!

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    2. Leo Strauss proponeva il medesimo concetto nella salsa per cui solo chi "nasce già ricchissimo" poteva veramente e "disinteressatamente" occuparsi di filosofia e politica.

      E più in alto, ricordando alcuni paletti "ideologici" di MPS, si nota l'insistenza sulla tradizione "morale" (a differenza che sulla neutralità della "matematica", tipica dei neoclassici alla Pareto, che non si occupano di "propaganda" ma di incasinare le teste dei poveri studenti e di buttare nell'esoterico il dibattito scientifico): alla fine, alla morale - ossia all'etica e all'estetica dei costumi - corrisponde un determinato ordine sociale semplicemente perché la morale è il prodotto di quel determinato ordine sociale.

      Come diceva Hayek, il problema della democrazia è che "non sa limitare se stessa", quindi mette in difficoltà il rampollo dell'antica dinastia di redditieri che deve produrre "filosofia e politica" per tutti controllando "l'economia", ossia "il mezzo per tutte le nostre aspirazioni ed i nostri fini".

      Quando questo avviene, ossia Università e giornali di proprietà dei nostri ricchi rampolli non bastano per far funzionare il Truman Show, si finanzia un bel Benito Pinochet, un Adolfo Franco o un regime di Bava Beccaris.

      Ricordiamo: due morali in dialettica, quella dei servi per cui:

      1 - tutti gli uomini sono uguali e hanno ugual diritto di fronte alla società di veder rimossi quegli ostacoli materiali che di fatto negano la dignità e la possibilità di sviluppare al massimo la propria personalità;
      (Ogni vita umana non ha prezzo, ossia la tutela della vita umana non ammette eccezioni)

      Quella dei padroni:

      2 - esiste un "principio supremo" - che ha tanti nomi e maschere (Dio, Gaia, difesa dal Male, Bene comune, nemico esterno, terrorismo, ecc.) ma che rimane sempre e solo la "conservazione dell'Ordine" fondato sullo sfruttamento - per cui *tutto*, a partire da ogni vita umana, è sacrificabile.


      (Dire che ogni vita umana non ha prezzo, significa che non ha valore; significa che non è una merce, non è alienabile, non è un mezzo ma è un mero fine.
      Quando non si parlerà più di "valori" e di "libertà" significherà che sarà stata realizzata una democrazia che avrà abolito ogni forma di mercificazione e di schiavitù. Ed il processo di autocoscienza avrà possibilità di dare un senso all'esistenza umana)

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    3. In effetti, forse, i sociopatici hanno dimostrato di conoscere la natura umana meglio di chi, come Keynes e (molti) costituenti, ha provato a edificare un nuovo tipo di società, su altre basi che non fossero 'homo homini lupus'.
      La specie umana sembra si caratterizzi per lo spirito di cooperazione all'interno di piccole comunità e, al contempo, per l'elevata ostilità verso chi viene percepito come non appartenente alla comunità.
      E quindi, come sempre tutto sta nel (saper) dividere gli uomini, nel farli sentire isolati, inadeguati, ingranaggi sostituibili da un robot, da un migrante … o dal nulla (ottimizzazione dei costi).
      È ormai passato anche il periodo della “competitività personale”, dell’esaltazione dell’eroica intrapresa individuale sul duro ma meritocratico campo di battaglia del mercato.
      Una balla che si è potuta sostenere strumentalmente, in funzione antisolidaristica, finché le pance bene o male erano piene, quale ponte verso il modello sociale del formicaio ordoliberista.
      Un “socing 5.0” che richiama espressamente alcuni nomina dell’epoca medioevale, in un pentolone di “leggi naturali” dell’economia (scarsità, austerità, competitività tra sistemi-Paese/corporation/autonomia locale), quotidianamente riscritte e interpretate “a posteriori” (la mitica soft law…) dal sovrano occulto e legibus solutus, con la sua mano invisibile.
      Quando, come accade sempre, le cose non funzionano, il mancato superamento dell’ordalia determina un ulteriore giro di vite.
      La forza del sistema è che si rafforza nel fallire gli obiettivi (dichiarati). Il difficile, per loro, è stato (ri)avviarlo.

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    4. "Dire che ogni vita umana non ha prezzo, significa che non ha valore; significa che non è una merce, non è alienabile, non è un mezzo ma è un mero fine." (Bazaar)

      "La forza del sistema è che si rafforza nel fallire gli obiettivi (dichiarati)." (D. Tessadri)

      Altro che mero fine, la vera forza del sistema è che ha trasformato la vita umana nel suo bene di Giffen supremo!

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    5. “Marcel Labordère, rivolse a Keynes un’obiezione che si può considerare un esempio concreto di quella più generale sollevata da Einaudi, secondo cui Keynes tendeva a risolvere i problemi “col solo punto di vista economicio”:

      Ecco ricordiamo così per dire :

      Arturo18 giugno 2016 14:41

      Vorrei proporre quella che mi sembra un'esemplificazione di quanto osservava Bazaar nei commenti di cui sopra, raccordando le sparate moralistiche antikeynesiane di Einaudi riportate da Francesco e questa lettera del medesimo dell'8 novembre 1943 indirizzata a Rossi, in cui gli segnalava la presenza a Ginevra di Roepke (riportata in R. Faucci, Einaudi, UTET, Torino, 1986, pagg. 320-21), che a me pare chiarisca il senso delle citazioni di Francesco. Scrive Einaudi:

      "[Egli] non si occupa in modo specifico del problema della federazione, ma con [lui] vale la pena di discutere. Io l’ho in gran stima 1) perché sa l’economia; 2) perché, capendola, non è puro economista, e non pretende di risolvere i problemi col solo punto di vista economico, come fanno Keynes, tutta la banda dei cambridgiani ed i neo-comunisti anglosassoni appartenenti alla stessa scuola, i quali credono, avendo quasi tutti, credo, dai 16 ai 28 anni, e quelli che ne hanno di più, hanno letto solo libri, che sul serio agli uomini viventi in un regime comunistico effettivo sia lasciata libertà di consumo, di residenza e di lavoro; 3) perché, ma questa è una ragione non necessaria e dipende dalle prime due, sono quasi in tutto d’accordo con lui nelle soluzioni."

      (Prosegue poi Faucci: “La bordata un po’ gratuita contro Keynes e i keynesiani rispecchiava una convinzione comune a Einaudi e Roepke: che il keynesismo non fosse che socialismo mascherato. Nella citata lettera del 12 novembre 1943, Roepke aveva espresso la propria inquietudine per il fatto che l’« Economie Journal » diretto da Keynes fosse « infetto di socialismo da cima a fondo».”).

      Quindi, siccome risolvendo problemi economici con "la pura economia" si finirebbe nel “socialismo” (ovvero si altererebbe ”lo status quo per quanto riguarda l'assetto economico e proprietario”), le depressioni vanno risolte con la "morale". Insomma, penitenziagite che l'oligarchia ringrazia. Un po' credo l'avessimo capito. ;-)

      http://orizzonte48.blogspot.com/2016/06/riflessioni-varie-sul-calcolo-di-essi-1.html?showComment=1466253665332#c8362270382318264533

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