lunedì 11 dicembre 2017

70 ANNI DI COSTITUZIONE DEMOCRATICA: DA CALAMANDREI AL JACQUATTALISMO (com'è potuto succedere?)





1. Vorrei, con questo post, iniziare a porre l'attenzione su un'importante scadenza, - o meglio. ricorrenza-, che, dal 1° gennaio del 2018, riguarderà tutti i cittadini italiani: i 70 anni della Costituzione ("del lavoro": ma tale soltanto per quelli che "ci credono").
Vedremo, poi, come questa ricorrenza possa costituire, in termini dialetticamente opposti, o l'occasione per una celebrazione della vitalità e della straordinaria attualità della democrazia costituzionale in quanto "necessaria"; ovvero, e più probabilmente, per una sorta di commemorazione di un "caro estinto", che si considera tanto illustre e degno di lode, quanto irreversibilmente abrogato da "eventi sopravvenuti"; e questo, secondo il metodo ermeneutico paradossale, per cui si constata l'abrogazione tacita di una norma in base all'accertamento dell'illecito consistente nella sua violazione, (rifiutandosi di applicare la sanzione legalmente prevista in base alla mera considerazione di "rapporti di forza" basati su una normatività extratestuale alla stessa Costituzione).   
Chi scrive, e più ampiamente, chi collabora attivamente a questo blog, si sta naturalmente organizzando per un'adeguata celebrazione scientifica, cioè giuridico-costituzionale e economico-istituzionale, di un anniversario dei 70 anni che rammenti "la vitalità e la straordinaria attualità della democrazia costituzionale", proprio come soluzione alla interminabile crisi italiana.
Presto vi faremo sapere il primo degli appuntamenti al riguardo, che sarà, con ogni probabilità, il 19 gennaio 2018.

2. Chi segue questo blog, e proprio per ciò è particolarmente cosciente del problema della legalità costituzionale infranta, rammenterà anche che, in questi giorni, è pure passato il primo anniversario del referendum che quella Costituzione democratica intendeva profondamente modificare in nome dell'€uropa.
Il nostro pensiero, che abbiamo più e più volte espresso, è che la vittoria del "no" non possa aver segnato una "pietra miliare" a favore del ripristino della legalità costituzionale. 
Chi ha voluto il no, in effetti, può, nella stragrande maggioranza, essere suddiviso tra coloro che della Costituzione volevano una riforma ancora più alterante il suo orginario modello socio-economico (imperniato sulla risoluzione del conflitto distributivo tra capitale e lavoro, ponendosi, una volta tanto nella Storia, dalla parte dei più deboli) e coloro che hanno rivendicato un costituzionalismo astratto e scollato dalla lettera e dalla sistematica della Carta del 1948 (proponendo poi, infatti, un indirizzo politico completamente in contraddizione con essa).

3. L'inganno principale è che si assuma la Costituzione come un sistema tra tanti ("possibili" e mai riscontrati nella Storia delle istituzioni del mondo civile e democratico) per la risoluzione del conflitto sociale, ovvero, simmetricamente, che, - pur riconoscendosi che il livello dello Stato-nazione sia l'unico che, in pratica, può garantire i diritti fondamentali dei cittadini senza degradarli illimitatamente in funzione del dominio dei mercati (e dei continui "stati di eccezione" che essi sono predisposti a generare come autoaffermazione della propria sovranità de facto)-, si tenti di riaffermare la versione "nazionale" della "democrazia liberale" (cioè un "altro" governo dei mercati ma che si suppone esercitabile dal lato dell'offerta nazionale).

4. La sintesi probabilmente più potente e suggestiva che funge da "frame" per affermare entrambe queste tendenze ci pare riassumibile nel c.d. jacquattalismo (qui, p.7), vocabolo dovuto alla felice definizione di Lordon, più volte citata in connessione col trilemma di Rodrik, e così riassuntaci dalla segnalazione di Arturo 8 aprile 2015:
"...questo articolo di Lordon, smonta il jacquattalismo, ossia l'idea "di sinistra" che "per risolvere i problemi della mondializzazione, sia sufficiente attendere la mondializzazione delle soluzioni" ("pour résoudre les problèmes de la mondialisation, il suffit d’attendre la mondialisation des solutions"), cioè l'idea che si debba "attendere armi al piede la sincronizzazione planetaria di tutte le rivolte prima di considerare qualsiasi cosa" (ossia qualsiasi azione politica operativa: "attendre l’arme au pied la synchronisation planétaire de toutes les révoltes avant d’envisager quoi que ce soit"). Ha anche ragione, Lordon, a sostenere che l'attrattiva di questa assurdità stia nella somiglianza col mito della rivoluzione mondiale (contrapposto al "socialismo in un solo paese"). 
5. Risultato pratico di questa abilissima versione "di sinistra", creata affinché l'internazionalismo capitalista possa presentarsi (cosmeticamente) come modo di essere socialista, - rimanendo però in una situazione di (perenne) attesa "armi al piede" fino al sopraggiungere della vagheggiata "sincronizzazione"-, è sedare le masse dei lavoratori, colpiti dal livello crescente di precarizzazione e disoccupazione, nell'attesa di un "evento" catalitico che, per definizione, non verrà mai, e quindi, agendo, durante l'attesa, solidamente a favore del capitale (naturalmente legato dal suo essere net-work internazionale). 
La risibilità contraddittoria di questa versione, era stata già confutata da Rodrik. La rinascita dell'indispensabile azione dello Stato-nazione, era stata da lui accertata (nel 2012) proprio come conseguenza operativa inevitabile della crisi finanziaria: l'internazionalismo €uropeo, poi, precisa Rodrik, si è risolto in sostanza in politiche fortemente contraddistinte dal perseguimento dell'interesse nazionale della Germania. In quanto "paese più forte" nella logica neo-liberista dei trattati liberoscambisti: in testa ai quali, quanto a stato di avanzamento, i trattati €uropei.

6. Quest'ultima elementare rivincita della realtà che si riconnette alle, pur scarne, possibilità di tutela delle comunità sociali dall'erosione democratica arrecata dal totalitarismo autoritario dei mercati, ci riporta alla Costituzione del 1948 e alla consapevolezza, esattamente di questi problemi, che avevano i Costituenti.
Ed infatti che, da sempre, nella storia economica, l'internazionalismo si risolva in  null'altro che nell'affermare l'interesse nazionale del più forte a scapito dell'interesse nazionale dei più deboli (id est delle loro classi lavoratrici), lo aveva già avvertito Calamandrei, in un libro in cui, fin dal titolo, aveva disperatamente cercato di confutare uno dei presupposti più suggestivi del malinteso internazionalismo post-moderno "de sinistra" sinergica col capitalismo sovranazionalizzato: 
Noi popolo-nazione di lavoratori, come ben aveva (pre)detto anche Lenin (qui, p.7); e, se per questo, come avevani anche spiegato i socialisti USA (prima che gli "internazionalisti-pacifisti" dei mercati no-limits, li distruggessero con un singolare apparato poliziesco-repressivo "liberale") come abbiamo visto più ampiamente nel  post INTERNAZIONALISMO, COSCIENZA NAZIONALE E TUTELA DEL LAVORO.

7. Ma poiché di Calamandrei tutto si può dire fuorché che fosse un socialista e un marxista, e che avesse inclinazioni antidemocratiche al "collettivismo", risulta particolarmente importante la sua analisi riguardo alla democrazia costituzionale nelle relazioni con qualunque "superamento" nell'internazionalismo. La riproduciamo perciò come riportataci da Francesco Maimone, 7 aprile 2016:
"rileggere Calamandrei a distanza di quasi 70 anni fa impressione per la chiarezza di pensiero e per la sua limpida preveggenza. In un intervento pubblicato su "Il Ponte" nel giugno del '50, titolato Repubblica pontificia, Calamandrei affermava:
" (...) In questo desiderio di verità e di chiarezza che porta non solo i politici, ma anche i giuristi non schiavi della lettera, a ricercare qual è oggi, non tanto sui testi stampati quanto nella realtà viva, l'ordinamento costituzionale che regge l'Italia, due indagini preliminari sono lecite: la Repubblica italiana è veramente una Repubblica democratica?
E l'Italia è veramente uno stato indipendente e sovrano? 
Intendiamo per repubblica democratica quella nella quale tutti i cittadini concorrono in misura giuridicamente uguale alla formazione della volontà dello Stato che si manifesta nelle leggi e in cui in misura giuridicamente uguale tutti i cittadini partecipano ai diritti e ai doveri che dalle leggi derivano  (...). 
D'altra parte, per aversi uno Stato sovrano ed indipendente è necessario che alla formazione della sua volontà concorrano soltanto, attraverso i congegni costituzionali a ciò preposti, le forze politiche interne: Stato democratico sovrano è quello le cui determinazioni dipendono soltanto dalla volontà collettiva del suo popolo, espressa in modo democratico, e non dalla volontà o da forze esterne, che stiano al di sopra del popolo e al di fuori dello Stato. (...) 
Le forme di limitazione di sovranità conosciute e classificate dai giuristi non sono tutte le limitazioni che operano di fatto nella vita degli Stati: non soltanto perché nelle relazioni tra Stati (come nelle relazioni tra individui) si fanno sentire di fatto preminenze di ordine economico e militare, per le quali gli Stati economicamente più deboli debbono rassegnarsi a essere meno indipendenti di quelli economicamente più forti; ma anche perché i canali di penetrazione attraverso i quali le imposizioni riescono a infiltrarsi nell'interno di un ordinamento costituzionale apparentemente sovrano possono essere molto più complicati e molto meno classificabili di quelli previsti negli schemi dei giuristi. 
Sicchè può avvenire che in uno Stato che si afferma indipendente gli organi che lo governano si trovino senza accorgersene, in virtù di questi segreti canali di permeazione, a esprimere non la volontà del proprio popolo, ma una volontà che vien dettata dall'esterno e di fronte alla quale il popolo cosiddetto sovrano si trova in realtà in condizione di sudditanza (...)" (Lo Stato siamo noi, 33-36). 
E pensare che eravamo pure stati avvertiti..."

26 commenti:

  1. Leggendo il discorso di Calamandrei mi è venuto in mente questo commento di Basso…non ricordo se l’ho già riportato di recente:

    Francesco Maimone

    “… Quello che la propaganda occidentale chiama il “mondo libero”… è un mondo - parlo dei paesi occidentali più avanzati, USA e Germania occidentale in testa - dove la libertà si è ridotta alla libertà delle microscelte, delle microdecisioni (scegliere il colore della propria automobile o il titolo del proprio giornale, magari il partito per cui votare), ma dove le macrodecisioni, LE SCELTE CHE CONTANO VERAMENTE SFUGGONO A QUALSIASI EFFETTIVO CONTROLLO E PARTECIPAZIONE POPOLARE (anche perché i partiti fra cui si può scegliere hanno quasi lo stesso programma) e anche gran parte delle stesse scelte private, il proprio modello di vita, sono predeterminate dal costume sociale o condizionate dalla pubblicità…. Praticamente fra l’essere individuale di questo uomo moderno e il suo essere sociale …si è rotto l’equilibrio e l’uomo ...tende sempre più a essere un uomo livellato e standardizzato.

    …. i partiti politici sono venuti meno al loro compito di mediazione fra la collettività statale e i cittadini… I partiti si sono sviluppati come organizzazioni elettorali intorno al sistema parlamentare e si può dire che nel mondo occidentale tutti i partiti abbiano come scopo principale della loro attività quello di conquistare seggi in Parlamento… Ora il Parlamento è stato un’istituzione rispondente alle esigenze dello Stato liberale … ma non aggiornato alle esigenze di uno Stato democratico moderno, che DOVREBBE DA UN LATO BASARSI SULLA SOVRANITÀ DELLE MASSE POPOLARI e dall’altro assolvere a compiti estremamente complessi che richiedono competenze particolari: ciò fa sì che in realtà il Parlamento (e tanto meno il sovrano da cui dipende, il popolo) non sia in grado di assolvere effettivamente ai compiti di direzione della vita pubblica e si lasci sottrarre LA MAGGIOR PARTE DEI COMPITI DA ORGANI DI DECISIONE EXTRA-PARLAMENTARI E SPESSO ANCHE EXTRA-COSTITUZIONALI (le grandi decisioni della vita economica sono in realtà prese al di fuori degli stessi organi costituzionali di direzione politica), riducendosi spesso di fatto a un organo di mera registrazione, a una facciata cioè di democrazia…” [L. BASSO, La partecipazione politica e i partiti in Italia, Tempi moderni, gannaio-marzo 1962, n. 8, 76-79].

    http://orizzonte48.blogspot.com/2017/05/la-manovrona-per-il-2018-sovranita.html?showComment=1496236142493#c1791796347732642964

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    1. Ma non è che è già stato incorporato in un post?

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    2. sinceramente non ricordo Presidente

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    3. a me il motore di ricerca intrno del blog non funziona... (non so perchè).... comunque l'avevo già riportato.... grazie comunque :)

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    4. Grazie anche a te Luca per i collegamenti ipertestuali che fornisci.

      Sul mio computer il motore di ricerca interna pare funzionare, anche se sembra che non faccia ricerche nei commenti. Ho provato il motore interno con Firefox ESR, Palemoon e TOR browser e mi funziona, prova a installare uno di questi e guarda se risolve il problema.

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    5. grazie.... ho provato ma niente.... comunque non è un problema... grazie ancora

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  2. Segnalo questo intervento della giurista Solange Manfredi sull'uso di tecniche di "guerra psicologica" per interferire dall'esterno con la nostra politica e sabotare la nostra sovranità, già a partire dagli anni '40.

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  3. "Come è potuto succedere?"

    Come nel 1914...

    (http://en.internationalism.org/internationalreview/201502/12081/1914-how-2nd-international-failed)

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    How could such a disaster happen? Karl Kautsky, once the Second International's foremost theoretician, blamed it on the workers: "who would dare assert that an order given by a handful of parliamentarians is sufficient to make four million class-conscious German proletarians turn right-about face within twenty-four hours, in direct opposition to their former aims? If this were true, it would, of course, be evidence of a terrible collapse, not only of our Party, but also of the masses. [Kautsky’s emphasis] If the masses were such a spineless flock of sheep, we might just as well allow ourselves to be buried”.3
    ....
    To this wretched, cowardly excuse, Lenin gave a stinging retort: “Consider: the only people in a position to express their attitude to the war more or less freely (i.e., without being immediately seized and dragged to the barracks, or the immediate risk of being shot) were a 'handful of parliamentarians' (who were free to vote, with the right to do so; they were quite able to vote in opposition. Even in Russia, no one was beaten up or even arrested for this), a handful of officials, journalists, etc. And now, Kautsky nobly places on the masses the blame for the treachery and the spinelessness of that social stratum of whose links with the tactics and ideology of opportunism Kautsky himself has written scores of times over a number of years!”.4
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    Qualche anno più tardi, al congresso di Baku, Lenin indicò chiaramente per nome i responsabili: "labour aristocracy'.

    Se la Costituzione è stata messa da parte la responsabilità maggiore è della 'aristocrazia del lavoro' nazionale.

    A valle di una guerra persa (oggi tra l'altro ricorre la data di dichiarazione di guerra dell'Italia agli USA nel 1941) era del tutto pacifico che l'impero vincitore cercasse di governare i vinti, quello che non era invece per nulla pacifico è stato il tradimento della Costituzione da parte di molti di coloro che avevano pure partecipato ai lavori dell'Assemblea costituente.

    E' anche curioso notare che la tesi dei moderni Kautsky (la colpa è in fondo dei lavoratori, che sono ignoranti, che non sono sufficientemente flessibili e che non comprendono la convenienza degli USE) risuoni assordante mentre le flebili voci dei novelli Lenin non le ascolta ancora quasi nessuno.

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    1. Se dobbiamo attribuire una rigorosa coerenza a Lenin (caratteristica in cui costantemente si contraddistinse) la "labour aristocracy" va individuata in "una manciata di parlamentari...di funzionari, giornalisti, (etc)".

      I calcoli odierni tornano perfettamente.

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    2. Credo però che differenze importanti col ’14 ci siano: il livello di rappresentanza del mondo del lavoro della SPD dell’epoca non è paragonabile a quello dell’attuale PD. Poteva esserlo del PCI degli anni ‘70/’80, ma credo comunque che l’analogia sia solo parziale.

      La differenza di fondo mi pare l’abbia colta molto bene Screpanti nel suo Imperialismo globale (pag. 91): “Le merci esportate da questi paesi [del Sud] nel Nord del mondo fanno concorrenza a quelle prodotte a costi più alti dalle imprese locali, le quali sono indotte a reagire delocalizzando gli investimenti. Ciò riduce l’occupazione industriale nei paesi avanzati e indebolisce i sindacati, cosicché i salari reali ristagnano anche qui e lo sfruttamento aumenta. Inoltre i governi dei paesi avanzati, per contrastare il deflusso di capitale e attrarre a loro volta investimenti diretti esteri, sono indotti a ridurre la tassazione sulle imprese e la ricchezza. Poi, per evitare di accrescere eccessivamente i deficit e i debiti pubblici, da una parte aumentano la tassazione sui salari, dall’altra riducono la spesa pubblica, di modo che i lavoratori vengono colpiti anche da riduzioni del salario indiretto e differito e dei diritti sociali.
      In altri termini, contrariamente a quanto accadeva nell’imperialismo coloniale otto-novecentesco, lo scambio ineguale con cui il Centro imperiale sfrutta la Periferia non genera consistenti aristocrazie operaie nel Nord del mondo. Al contrario, il crescente plusvalore estratto nel Sud affluisce solo nelle tasche dei grandi capitalisti e in tal modo contribuisce ad aumentare le diseguaglianze di reddito anche nel Nord. La disciplina commerciale, mettendo i lavoratori di ogni paese in competizione con quelli di ogni altro, serve ad aumentare lo sfruttamento dei lavoratori di tutto il mondo.


      Ovvero, all’epoca di torta da spartire un po’ ce n’era: il riformismo otteneva risultati, limitati rispetto alla condizione di esclusione sociale delle masse, ma non disprezzabili (poi naturalmente scontati tutti in trincea, ça va sans dire). C’era anche un nazionalismo, finanziato prima di tutto da un’industria pesante priva di sbocchi nel mercato privato e dalle banche con cui questa era indebitata.

      Oggi niente di tutto questo: né riformismo (in questi anni non s’è fatto altro che andare indietro), né nazionalismo (salvo forse nel paese su cui ricade l’onere di usare la forza militare nell’interesse del capitale mondiale, cioè gli USA).

      Tutto questo per dire due cose: la prima è che le proporzioni dell’odierno tradimento sono anche maggiori; la seconda che il terreno nazionale ha un significato molto più inequivocabilmente antiimperialista oggi di quel che poteva avere tra fine Ottocento e inizio Novecento. Infatti son tutti lì a mettercene in guardia.

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    3. Por supuesto...
      Però non mi vincolerei troppo al richiamo epocale al 1914 nei suoi termini storici e politico-strutturali; se non per evidenziare, come in effetti fai, che esistono più stadi in una progressione verso la più o meno formalizzata fine dei partiti di massa (dipende da quanto sia in stato avanzato lo schema di Rodrik, per capirsti, cioè "trilemma" e non-elite idraulicizzata e dispersa in conflitti sezionali).

      Quello che infine conta è l'essenza fenomenologica: quale che sia la composizione sociologica del voto e quali che siano i nominalistici interessi di riferimento di una presunta "rappresentanza", le istituzioni finiscono per non rispondere più a questi interessi (che teoricamente rappresenterebbero) e...deragliano: con "disciplina" filo-oligarchia e tanta propaganda mediatica a supporto.

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    4. Volevo solo dire che i socialisti nel ’14 si trovarono di fronte a scelte realmente drammatiche, forse tragiche (riassumo dal classico studio di Haupt): il timore che una possibile distruzione delle organizzazioni politiche e sindacali lasciasse soli i lavoratori non era pura retorica (tra l’altro i vertici sindacali capitolarono prima di quelli partitici), l’abilità del governo nel mettere rapidamente davanti a un fatto compiuto non previsto, la mancanza di alternative a una qualche forma di cedimento che non fosse un salto nel buio rivoluzionario a cui il partito non si era realmente preparato…sono attenuanti non piccole, di cui i nostri politici non godono affatto: non si chiedeva loro la rivoluzione nel giro di qualche settimana o mese, ma la difesa della legalità repubblicana giorno per giorno.

      Che poi più in generale il rischio che alla partecipazione al potere si accompagni la cooptazione dei vertici, esponendo i lavoratori alla “decapitazione” e “annichilimento” politici, per citare Gramsci, ossia la questione del trasformismo, sia il problema dei problemi della rappresentanza del lavoro, penso siamo tutti d’accordo…

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  4. Come è potuto succedere? L'impressione che ho e che il problema sia stato 'culturale'. E a più livelli.
    Sul piano giuridico, se si pensava che la rigidità costituzionale potesse, da sola, costituire un valido argine (o comunque un argine più solido della 'flessibilità statutaria'), all'insorgere di involuzioni autoritarie, è necessario ricredersi. L'approvazione, con una maggioranza bulgara tale da mettere le riforme 'al riparo dal processo elettorale' (espressione di Monti, se non ricordo male), del pareggio di bilancio in Costituzione parla da sola. E in ogni caso è non tanto un punto di partenza, quanto di arrivo: almeno trent'anni di precomprensione e di interpretazione forzata volti ad imporre la prevalenza di norme, ma ancora di più, di un sistema di valori diametralmente opposto a quello che la costituzione rappresentava alla fine si sono fatti sentire. E continuano a farsi sentire, dato che gli organi che la Costituzione pone a garanzia di sé stessa, come il Presidente della Repubblica e la stessa Corte costituzionale, si sforzano per contro di 'superare' l'esito del referendum del 4 dicembre 2016 come se, in sostanza, questo non avesse avuto luogo al posto di prenderne atto. Ma in ogni caso quello giuridico è un processo a valle.
    Il problema di fondo credo sia nel totale disgregamento della morale civile italiana, intuito da Pasolini all'inizio degli anni '70 e oggi definitivamente compiuto. Sì, è vero: il 'no' al referendum è stato quasi sicuramente 'di pancia', ma una società civile priva di valori, di morale e di buon senso solo così può, fisiologicamente, esprimersi. Eppure le istituzioni per costruire la società civile c'erano: questo fallimento, infatti, è un fallimento innanzitutto del sistema di istruzione. E non parlo solo dei professori figli ideologici del '68 e delle 'generazioni erasmus' dei nati negli anni '80 e '90. Già la mia generazione, quella dei nati negli anni '70, i quarantenni di oggi, è culturalmente bruciata almeno al 70 per cento e anche risalendo più indietro nel tempo si possono trovare molti individui 'figli dell'antifascismo e della resistenza' che ancora credono alle narrazioni della pseudosinistra odiena.
    Quelli della mia generazione e di quelle precedenti hanno avuto insegnanti per lo più 'vecchio stile'. Pure, quell'insegnamento non ha creato, o almeno questa è la mia sensazione, uno zoccolo culturale di fondo tale da far sentire propri determinati valori: gli editoriali dei giornali e le narrazioni televisive lo hanno quindi trapassato come una lama calda nel burro, inibendo qualsiasi spirito critico. Gli stessi intellettuali che scrivevano sui giornali si sono drammaticamente imbarbariti, rinunciando a qualsiasi osservazione critica della realtà (e sotto questo aspetto parabole come quelle di Scalfari e di Zucconi sono esemplificative). Eppure sarebbero dovuti essere proprio tra i primi a mettere in guardia, a esercitare, dalle pagine dei loro quotidiani, il senso di osservazione critica della realtà, stimolandolo nei loro lettori.
    C'è stato come un crollo verticale di tutto.
    Le poche righe che ho scritto sono insufficienti a porre il problema. Penso, o almeno intuisco, che l'indagine abbraccia molti aspetti della nostra società. Resta il fatto, a mio avviso, che i valori costituzionali non si sono, alla fine, ben radicati nella morale civile e questo scarto alla fine ha pesato. Che sia stata 'colpa' anche di non aver dato spazio a quella 'educazione civica', il cui libro, alle medie e ai licei, rimaneva sistematicamente intonso? Può darsi.

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    1. Il problema della apparente anomia è studiato dalla fine dell'800: per i sociologi conservatori è natural-fisiologico.

      Per i sociologi conflittualisti e progressisti è considerabile frutto della lotta che la classe egemone conduce per schiacciare quelle subordinate.

      Gramsci evidenziava come i media della comunicazione e, aggiungiamo noi, le istituzioni che permettono la carriera accademica, sono parte tanto della struttura quanto della sovrastruttura socioeconomica.

      Non solo l'immateriale ideologia dominante è influenzata da chi ha il potere di finanziarla: gli stessi mezzi di produzione che la diffondono sono giuridicamente di proprietà della classe egemone.

      È evidente che il grande squilibrio stia sociopoliticamente nella cultura in quanto campo in cui germogliano i semi della conoscenza e, in ultimo, della coscienza.

      Da Hayek alla P2 il programma si mostra banalmente essere una prova di forza del capitale consistente nello stringere la morsa intorno alla percezione del mondo e della Storia, seguendo a ruota la propaganda che già le strutture di intelligence producevano per conto delle oligarchie per motivi geopolitici ed imperialistici.

      Voglio dire che la questione sta "a monte": perché non si studiava bene educazione civica?

      La risposta, dopo le precedenti considerazioni, è intuitiva: per lo stesso motivo per cui in Grecia hanno rimosso dai programmi scolastici il greco antico.

      Il nodo da sciogliere è, dati i rapporti di forza, come (ri)costruire un'egemonia culturale? Come mantenerla?

      Come fare affinché lo spirito di scissione raggiunga tutti i ceti tramite l'energia propulsiva di gruppi di oppressi adeguatamente formati e consapevoli?

      Come mostrare pubblicamente che il modello di società che abbiamo in mente, e che è in Costituzione, è un di un intero universo migliore di quella che si sta edificando?

      Come dialogare con chi conosce solo il cieco uso della forza più brutale? fosse anche ricca di un ingegno che, di fatto, risulta assolutamente computistico e... privo di ragione?

      Come si fa a far comprendere ad un folle che ogni psicopatico pensa di essere in qualche modo "illuminato"? e che le istituzioni che permettono la dialettica politica nascono apposta?

      ESSI sono Legione.

      E così vanno trattati e gestiti.

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    2. Bellissima sintesi fenomenologica sulle ragioni sistemiche della "istituzione" oligarchica e sul suo metodo immanente di autoconservazione, classista e conflittuale (ricordando che la paralogica, intesa come logica applicata alla paranoia, predilige la guerra preventiva).

      Sul piano operativo, tuttavia, la stessa possibilità di "trattare e gestire" interlocutori del genere (il potere socio-economico allo stato più puro)rimane un interrogativo sospeso.

      Se non altro perché Gesù Cristo è morto (tradito prima e, svariate volte, "dopo"), Marx è morto; Lenin, per definizione è morto anzitempo; Gramsci naturalmente pure; Lelio Basso e Caffè non furono risparmiati da un oblio che giunse ancor prima della loro morte; e "tutto il resto" non si è mai sentito (nel senso di "udito") molto bene :-)

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  5. A proposito di Costituzione e di Lenin ho avuto un segno durante il convegno annuale di a/simmetrie.

    Nel dibattito sul "pilota automatico" tra Bagnai e Giacché per presentare il libro "Economia della rivoluzione" (sul pensiero economico di Lenin negli anni della rivoluzione), toccando temi che qui sono stati approfonditi ampiamente come gli "stati uniti d'Europa" che fungono da spartizione delle colonie, capitalismo di Stato, ecc., mi sono rimaste impresse le parole "dobbiamo avere un'idea di dove andare e dove non andare".

    Non ho potuto non pensare subito che nella Costituzione abbiamo effettivamente già scritto, nero su bianco, la direzione da seguire e quella da non seguire. Meglio, le direzioni da seguire e quelle da non seguire.

    Ma ho la consapevolezza che ho bisogno di maggiori risorse culturali per approfondire molte tematiche; colgo quindi l'occasione per rinnovare i miei ringraziamenti a Quarantotto ed a tutti i collaboratori/lettori del blog per il lavoro portato avanti ottimamente.
    (Non mi riferisco ad un Ottimo Paretiano! :D )

    Per il 19 gennaio 2018 non prendo impegni!

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    1. Il problema, poi, in effetti, caro Vittorio, è che ben pochi sono come te (intendo capaci di fare la connessione, invece di ridiscutere all'infinito i massimi sistemi)

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  6. Ieri leggevo questo post:

    Quanto alla manipolazione mediatica, di cui s’è molto parlato in questo blog, vorrei qui proporre un piccolo tuffo nel passato parlando di un personaggio tanto citato quanto frainteso: Gustave Le Bon. Letto e apprezzato da Hitler e Mussolini, di solito presentato come il malefico teorico del plebiscitarismo totalitario, la manualistica omette spesso (direi praticamente sempre) di ricordare che il nostro era… liberista, guarda un po’ tu.

    Leggere per credere:

    "Come la tradizione liberale, ai cui rappresentanti (Tocqueville, Macaulay, Spencer) fa spesso riferimento, Le Bon mette in connessione l’estensione del suffragio e il diffondersi delle idee socialiste che, violando le “leggi economiche”, pretendono di “regolare le condizioni dell’impiego e del salario”, diffondendo la “fiducia superstiziosa nello Stato provvidenziale” e l’attesa della soluzione di una presunta questione sociale mercé l’intervento legislativo nei rapporti di proprietà. Tutto ciò ha già avuto e può ancora avere effetti rovinosi: “le fantasie di sovranità popolare ci costeranno di sicura ancora più care (Le Bon, 1980, pp. 34, 125 e 224)"


    E poi: "Nella denuncia di questa «pericolosa chimera» che ha preso piede a partire dalla rivoluzione francese e di cui «invano filosofi e storici hanno tentato di dimostrare l'assurdità» (Le Bon, 1980, pp. 117 sg.), lo psicologo delle folle è d'accordo con Tocqueville (cfr. supra, cap. i, § 2), da lui più volte citato. Solo che ben diversamente si configura il rimedio suggerito, il quale ora è da ricercare non nel sistema elettorale di secondo grado o in qualche altro accorgimento per limitare o contenere il suffragio universale diretto.

    Quest'ultimo dev'essere, al contrario, portato a compimento perché il capo, senza essere ostacolato da barriere e diaframmi, possa agire sulle masse ricorrendo a strumenti di persuasione che vengono così descritti:
    L'affermazione pura e semplice, svincolata da ogni ragionamento e da ogni prova, costituisce un mezzo sicuro per far penetrare un'idea nello spirito delle folle.
    Quanto più l'affermazione è concisa, sprovvista di prove e di dimostrazioni, tanto maggiore è la sua autorità. I testi sacri e i codici d'ogni tempo hanno sempre proceduto per affermazioni. Gli uomini di Stato chiamati a difendere una causa politica qualsiasi, gli industriali che difendono i prodotti con la pubblicità conoscono il valore dell’affermazione. Tuttavia quest’ultima acquista una reale influenza soltanto se viene ripetuta di continuo, il più possibile e sempre negli stessi termini.
    Napoleone diceva che esiste una sola figura retorica seria, la ripetizione. Ciò che si afferma finisce, grazie alla ripetizione, col penetrare nelle menti al punto da essere accettato come verità dimostrata”.


    Per un verso, il sociologo e psicologo delle folle si richiama a Cesare o Napoleone, ai loro «pennacchi» e ai sogni di gloria imperiale cui aveva fatto riferimento anche Bagehot; per un altro verso, Le Bon pensa ormai sul modello della pubblicità commerciale la propaganda considerata adatta al regime cesaristico o bonapartistico da lui prospettato:

    Così si spiega la forza straordinaria della pubblicità. Quando abbiamo letto cento volte che il miglior cioccolato è il cioccolato X... ci immaginiamo di averlo sentito dire spesso e finiamo con l'averne la certezza (...). A furia di veder ripetuto su uno stesso giornale che A... è un vero mascalzone e B... un onest'uomo, finiamo con l'esserne convinti, a patto, naturalmente, di non leggere spesso un altro giornale di opinione contraria, in cui tali definizioni sono capovolte (Le Bon, 1980, p. 160).”

    http://orizzonte48.blogspot.com/2015/12/democrazia-federalismo-indipendentismo.html?spref=tw

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  7. Dalla lettura di questo blog ho capito che la parentesi di diffusione del benessere materiale e sociale degli Stati europei e in particolare dell'Italia dal secondo dopo guerra sino agli anni '80 è appunto una parentesi in un campo da sempre dominato da aristocrazie e oligarchie.
    Quindi nessuno stupore, sebbene tanta tristezza e rabbia, se questa parentesi la si è voluta cancellare dalla realtà e dalle coscienze del popolo. Sempre che nelle coscienze del popolo abbia mai albergato: la mia esperienza di scolaro e cittadino, nato nei primi anni '70 da famiglia benestante e di alto livello culturale, dice di no e che la mia coscienza storica e politica e quindi culturale l'ho dovuta rifondare in buona parte al di fuori di tradizioni familiari e di programmi formativi e informativi istituzionalizzati.

    Pongo alla vostra attenzione una riflessione suscitata in me dal confronto con persone più sensibili di me alla propaganda; riflessione che potrebbe valere anche come commento alla lettera dell'imprenditore recentemente pubblicata su goofynomics.

    Ho capito che colui che per indole personale è votato alla prassi difficilmente mette in discussione il campo su cui gli è dato di giocare o ne fa l'oggetto della sua riflessione perchè il semplice fatto di rifletterci sarebbe in contraddizione con la sua tendenza, appunto, all'azione.

    Sarebbe come pretendere che un bravo tennista, anzichè concentrarsi sulla tecnica e strategia di gioco, iniziasse a chiedersi se il campo in cui gioca viene accorciato di qualche centimetro ogni giorno, o reso più lento o più veloce: potrà anche accorgersene, potrà anche denunciarlo, ma la sua tendenza resterà quella a concentrarsi e dare il meglio di sè all'interno del perimetro che gli è dato, senza disperdere energie fisiche e morali verso altri obiettivi. Anche se poi infine non può giocare più perchè il campo non c'è più. Che poi è anche il tema dell'emergenza e della contingenza, personale e collettiva, vera o presunta, da cui ci lasciamo sempre privare del necessario tempo e voglia per riflettere e e allargare la visione.

    Così oggi, anche all'interno di classi onogenee per interessi, anche tra persone che per benessere materiale avrebbero ancora la possibilità di attingere a diverse fonti di informazione e di sapere non conformiste, la società si trova scissa tra i pochi che hanno recuperato la fugace e forse mai diffusa coscienza costituzionale e i molti che non possono e non vogliono farlo.

    A molti sarà capitato di avere il compagno di classe o il padre del compagno di classe che ci raccontava che la Storia non è esattamente come ce la raccontano a scuola e che mostravano precoci sensi di malessere verso la società come è costituita.
    A molti sarà capitato di avere un istintivo senso di rigetto verso costoro, a volte motivato dal sentore che in loro albergasse un certo velleiteraismo.

    È raro che il sapere di chi per sua indole coglie il nesso umano, politico ed economico reciproco tra le azioni di ognuno di noi, si unisca al sapere di chi per sua indole è votato alla sintesi e al fare, nelle varie forme.
    O almeno, la mia esperienza mi dice così.

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    1. Mi trovi assolutamente d'accordo.

      Era le medesima "riflessione sulle riflessioni" di questi imprenditori che facevo, e la mettevo in questi termini, che, però, richiedono il tipico processo di astrazione "filosofica" indispensabile per la politica:

      1 - il pubblico - istintivamente - ha riconosciuto dei frame in cui era impigliato l'imprenditore liberista: uno vagamente "antinazionale" e "antipatriottico" nella riflessione del made in Italy, un altro era sicuramente quello tipico che intona "c'è la globalizzazione, bisogna adattarsi e, se sei bravo e ce la fai, è ricca di opportunità"

      Insomma, il Bruno Leoni tramite la Lega ha fatto una strage di cuori in Veneto.

      2 - in realtà la cosa più grave che ha detto Brazzale riguarda la Costituzione, in quanto nell'empirismo-economicista spinto - anche di stampo keynesiano - vige il mito altrettanto neoliberale di Stato-grande-bello che consiste in quello di Stato-piccolo-bello.

      (Lo spettro delle macroregioni detto anche il lato oscuro dei noeuro)

      Lo Stato-nazione come dimensione culturale e geografica prodotta dalla Storia risulta non pervenuto.

      Tutto un'area valutaria ottimale e mercati efficienti: è il libero mercato, bellezza.

      (E ripeto, prima di imbattermi in quella parte di studio della Struttura che è il costituzionalismo divulgato in questo blog, la pensavo anche io)

      3 - chissenafrega di ciò che dice Brazzale: al limite il punto sarebbe, CHI glielo dice?

      Il liberismo è assolutamente una teoria pratica molto utile nel campo della sopravvivenza individuale, microeconomica: della prassi imprenditoriale.

      E un imprenditore si occupa, appunto, di prassi. Non è un teorico. Deve sopravvivere e, se è bravo come Brazzale, insegna come sopravvivere facendo bene senza essere degli spietati criminali.

      Ben venga Brazzale che dà il suo buon esempio, non è un teorico.

      Il problema sussiste quando il "liberismo" e l'individualismo metodologico vengono applicati a livello di politica economica.

      Unire il soggettivo con l'oggettivo, la moralità personale con l'etica sociale, è un compito che investe tanto la teoria quanto la prassi: in quanti nella Storia ne sono stati capaci?

      Quanti sono stati i "filosofi della prassi"? Che hanno unito, coerentemente e organicamente, l'impeccabilità personale con grandi capacità di astrazione ideale?

      Ecco: non si può pretendere dai "pratici" di essere bravi teorici, e non si può pretendere dai "teorici" di essere grandi uomini d'azione.

      Ma non perché non lo si possa fare: dovrebbe essere nel naturale percorso coscienziale umano: il punto è chiedersi se si è noi per primi a non venire dalla parte giusta, grazie a due imparaticci che ci sono rimasti appiccicati addosso...

      Voglio dire: un cattolico perfettamente praticante, magari in odore di santità, quindi di un'ineguagliabile impeccabilità morale, quasi sicuramente non avrà agito conformemente ad evangelica etica sociale, non avendo cognizione di come emancipare dalla sofferenza e dalla bruttura morale la comunità sociale per intero.

      Che dovrebbe consistere nel massimo "grado" di santità. Volta al divino.

      Paradossalmente un bestemmiatore, un ubriacone, un sacrilego, potrebbe far del bene all'umanità più di tutti i Santi messi insieme...

      In questo senso, anche i "santi laici" tra gli imprenditori danno il loro contributo :-)

      (Magari anche "finanziando"... sperando che finanzino chi vuole uscire dall'euro e non anche, prima o poi, chi vuole "denazionalizzare" l'Italia dall'interno...)

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    2. Come sempre, Bazaar, coglie nel segno. Ho passato ore a cercare di spiegare l'orizzonte umano di riferimento di questo blog fantastico a uomini che sapevo per certo essere di adamantina pietas cristiana, senza essere capito. Attenzione, non bigotti dogmatici, ma cattolici colti, dal cuore aperto al bene e al prossimo.

      Mi guardavano non comprendendo *perché* io stessi dicendo quello che loro stavano ascoltando. E la cosa che più mi ha sconvolto è che loro, mentre io mi accaloravo, non percepivano nemmeno il bisogno di capire. Era tutto strano quello che dicevo, quasi non umano. Descrivevo loro una natura umana che non gli tornava, che non aveva risonanza con il *naturale* vivere degli uomini.

      Le leggi di necessaria umanità a cui facevo cenno non c'erano nel loro orizzonte.

      "I poveri li avremo sempre con noi", mi ripetevano parafrasando il Maestro. Ecco, in quel momento mi è venuto in mente san Paolo, quando scrisse "scandalo per i giudei, stoltezza per i pagani". Quello che io andavo dicendo era per loro *stoltezza*, una eccentrica e bonaria stoltezza.

      Dopo avermi ascoltato, loro sarebbero andati a portare da mangiare ai barboni della stazione, io a farmi gli affaracci miei fumandomi un sigaro al caldo a casa mia.

      Ironie della santità.

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    3. Al solito: i poveri come "eucarestia sociale", come diceva La Pira.

      Spero tu non ti sia perso la discussione su Hegel nei commenti di questo post, Maurizio. :-)

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    4. Che poi "i poveri li avremo sempre tra noi", lo penso anche io: anche nel caso in cui si compisse sostanzialmente la democrazia.

      Solo che essere poveri sarà una scelta...

      Se si volesse interpretare letteralmente come una "profezia che si deve autoavverare" - e che la politica umana non cambi ciò che il divino ordine naturale ha imposto per Legge! - allora si dovrebbe interpretare letteralmente che "Gesù non sarà più tra noi"... ossia non è risorto.

      Misteri della dissonanza cognitiva.

      Certo è che, quando si guarda il tutto e ci si colloca nell'universo e nella Storia, si vive quel "lievissimo" senso di angoscia ed impotenza che porta ad inchinare la testa ad un Dio feticcio, ad un vitello d'oro... alla Natura. A Gaia: al Dio della morte.

      Perché questo è il Dio che adora il moralista: ed il moralista definisce ateo chi adora il Dio della vita e, in questo, quel povero diavolo di Nietzsche ci aveva ragione. Dionisio.

      Gli mancava giusto Apollo in cui ordinare sensatamente la sua spiritualità... per derelativizzare il soggettivo, e dare un senso "esistenziale" all'essenziale...

      Ma questo fa parte della sociopatia, dei disturbi di relazione: che senso ha avere un grandissimo dominio di sé se la propria energia è usata in modo insensato, nichilistico... scettico rispetto alle possibilità conoscitive? e di conseguenza scettico rispetto al mondo della vita stesso?

      Una persona sana, però, che si domina in funzione di una impeccabile morale individuale, serena, stanca per il lavoro quotidiano ma con una certa pace interiore, perché dovrebbe dare retta ad una persona inquieta, che si confronta con ciò che non può cambiare, così indignata e lontana nelle espressioni dal serafico sguardo del Santo o del monaco orientale?

      Perché assumere la pillola rossa? Per stare male senza comunque non poter risolvere nulla?

      Quante riflessioni che ci sarebbero da fare...

      Per ora chioso propenendo che il moralismo religioso e la religione moralista sono strumentali alla sedazione delle emozioni causate dall'anomia funzionale allo sfruttamento.

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    5. Bazaar, prendo come domande retoriche, e come tali disseminate di asserzioni ingannevoli (apparentemente sensate ma intrinsecamente contraddittorie) quelle che poni ironicamente in questo commento.

      Quella "pace interiore", cos' rigidamente e violentemente preservata (sì, con violenza: e che si può facilmente rivolgere contro gli altri, ove la si minacci) costa così tanto da rendere il processo della vita non-autoesplicativo e non autosufficiente: in pratica, una menzogna che domina spietatamente l'individuo finalizzandolo...ad ESSI.

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    6. Confermo l'agguato: « meglio satiro che santo »

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