martedì 9 gennaio 2018

LA GRANDE ASSENTE. E LA "PIANIFICAZIONE" DELLA SCARSITA' DI RISORS€.


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Nessuna delle principali forze politiche in competizione pare essere culturalmente in grado di richiamarsi ad essa, in termini che anche solo vagamente assomiglino al modello di democrazia e di economia pluriclasse che essa ha disegnato: anzi, abbiamo l'interpretazione autentica di come questa democrazia "necessaria" (in assenza della quale la democrazia semplicemente "non è", come aveva avvertito Mortati) - anche se in qualche modo riaffermata dall'esito del referendum - sia invisa e inaccettabile per i leaders più rappresentativi che guidano le maggior coalizioni formatesi in vista delle prossime elezioni:

Ed è una non-novità rigorosamente pluri-partisan e accomunata dall'idea che comunque il valore cardine della Costituzione sia, in base a fantasiose accettazioni del fatto compiuto, quello della "governabilità" in rapporto alla "scarsità di risorse".
La questione della legalità costituzionale, in questa campagna elettorale, si sposa, paradossalmente, con la ricorrenza dei suoi 70 anni di vita e di vitalità (oggi più che mai):
Sia ben chiaro: il paradosso di questi 70 anni sarà, per tutti i cittadini italiani che abbiano ancora la cultura e la sensibilità per farlo, l'esigenza di doversi accingere, proprio adesso, ad una strenua difesa finale - della democrazia sostanziale, della democrazia necessitata del lavoro-, in contrapposizione con astratte "commemorazioni" che, ignorandone ostentamente il vero significato, moltiplicheranno le pressioni per un suo superamento, riprendendo il cammino delle devastanti proposte intese a distruggerne il senso più profondo. 
Il paradosso, dunque, nascerà dal fatto che, adottandosi una tattica comunicativa che tenderà, questa volta, a presentare la disattivazione della Costituzione entro una facciata nominalistica di fede nei suoi valori,  (valori che ci si sta già preoccupando di rivisitare e "adattare"), si troverà il modo cosmetico per celebrare in sordina "le esequie frettolose di una Costituzione ancora viva" e, consentitemi di dirlo, che più che mai "lotta insieme a noi".
3. In questo quadro di segnali allarmanti, ci pare giusto ricordare, ancora una volta, in cosa avrebbe (!) dovuto consistere questa legalità costituzionale nel campo delle politiche economiche, di bilancio e, naturalmente, industriali, che pure, con ogni evidenza, sono al centro delle dispute programmatiche del gioco elettorale. Ma tutte orgogliosamente portate a ignorare il dettato costituzionale in base ad ideologie autorefenziali in cui il discorso sulla Costituzione assume un sempre più preoccupante sapore di rimozione definitiva o di richiamo asistematico e strumentale.
Lo facciamo, di ricordare, ricorrendo ai chiarimenti ben documentati che ci forniscono questi commenti di Francesco Maimone:

3.1. Il “comunismosocialismobrutto”… anch’esso su Marte, ovviamente. E si finisce per delegittimare l’art. 41, comma III, Cost. (non a caso fatto oggetto di attacchi violenti. Persino proposte di legge costituzionali per eliminare l’inciso “fini sociali”). Ed allora meglio sentire i nostri Costituenti:

Cosa vuol dire questa pianificazione? Si devono fare delle ferrovie o delle strade? Si deve sviluppare l'industria cinematografica o l'industria turistica? L'industria della siderurgia o della tessitura? Quale di queste industrie, di queste attività economiche deve avere la precedenza? 
Questa è la pianificazione che deve fare lo Stato: È LO STATO CHE HA LA VISIONE GENERALE DEL PAESE, NON LA PUÒ AVERE IL SINGOLO INDIVIDUO, PERCHÉ OGNUNO VEDE IL PROPRIO EGOISMO E NON VEDE L'INTERESSE DELLA COLLETTIVITÀ. Se voi domandate agli industriali tessili, essi vi diranno che l'industria più importante è quella tessile; ma se vi rivolgete ai siderurgici, vi diranno che è la siderurgia.

Ma è lo Stato che deve avere la nozione esatta di quello che conviene alla collettività, cioè allo Stato; e deve quindi chiarificare quella che è la sua attività, il suo concorso ed il suo incoraggiamento per sviluppare una industria piuttosto che un'altra. Dovremo sviluppare per esempio le industrie dei beni di produzione o le industrie dei beni di consumo? È un problema che deve essere esaminato dallo Stato, non dai singoli individui. Ecco perché l'economia liberale individualistica va verso la morte. Ha ragione l'onorevole Corbino quando dice che l'economia liberale non c'è.

Non c'è più perché è fallita, ed è fallita perché ha provocato una serie di guerre che hanno ridotto l'economia mondiale nelle condizioni in cui si trova.  
Ora VOGLIAMO LASCIARE QUESTE FORME DI PIANIFICAZIONE AL CAPITALISTA MONOPOLISTA? 
Il capitalista ha la sua pianificazione. Se domandate alla Montecatini, essa ha la sua pianificazione. Ma dobbiamo lasciare nelle mani dei privati, di elementi incontrollati, al capitalista monopolista la pianificazione in modo che essa sia diretta verso soluzioni di difesa dei loro particolari interessi, o deve invece intervenire lo Stato per chiarificare, per indirizzare questa pianificazione verso un risultato rivolto all'interesse dello Stato? Questa è la domanda che ci dobbiamo fare... [L. D’ARAGONA, Assemblea Costituente, seduta pomeridiana del 9 maggio 1947].

3.2. Ed ancora:
… Mi si consenta di dire che il fatto che la nostra Costituzione consacri il principio che il regno beato del beatissimo e totalitario laisser faire è finito per sempre, mi sembra non soltanto costituzionalmente legittimo ed esatto, ma anche praticamente opportuno.
…voglio formalmente precisare che l'inserzione dell'accenno ai piani nel nostro emendamento non ha mai avuto e non avrà mai lo scopo di volere porre all'Assemblea una perentoria alternativa fra sistema liberale e socialista, fra iniziativa economica privata e coercizione burocratica di Stato, fra capitalismo nella sua forma pura e pianificazione integrale. La portata del nostro emendamento ha un valore che supera questa alternativa…: esso invece vuol soltanto portare il tema sopra un piano di praticità, di realtà, di attualità e di attuabilità.
… nessuna alternativa è posta all'Assemblea tra libertà economica e vincolismo esasperato di Stato; ma soltanto disciplina di quegli interventi od interventismi di Stato che oggi campeggiano in tutti i paesi

ASSUMERE QUINDI, ONOREVOLI COLLEGHI, IL SOCIALISMO COME LO SPAURACCHIO, o come un voluto sottinteso, contro o a favore della pianificazione, è inesatto. Ci può essere molta pianificazione e poco socialismo, come può darsi molto socialismo e poca pianificazione. Tutto consiste nel saper distinguere i fini cui si tende, ed i mezzi che sono stati proposti come necessari a raggiungere lo scopo.

È SUL PIANO DEI FINI (che nel socialismo sono fini etici) e dei mezzi posti alla base di ogni pianificazione, che si può stabilire un parallelo tra socialismo e pianificazione
Senza questo aspetto fondamentale, si ha soltanto un metodo, onorevoli colleghi, ed è precisamente un metodo che abbiamo voluto fissare …. Un metodo che balza dalla stessa impostazione del problema fondamentale, che è uguale in tutti gli ambienti giuridici sociali, e cioè in tutte le parti del mondo odierno, e che si enuncia in questi termini: distribuire un complesso limitato di risorse tra i vari possibili impieghi, in modo che i bisogni degli individui siano soddisfatti nel miglior modo possibile.

Sono i fatti, sono le esigenze nazionali ed internazionali, sono i bisogni, le privazioni, le sofferenze degli uomini e delle comunità organizzate, che hanno imposto questo metodo. Non è qui la sede per esaminare se tutto questo sia frutto della guerra o di quel tracollo della economia liberale di cui, con la sua riconosciuta e simpatica onestà scientifica, parlava l'onorevole Corbino, o forse di entrambi insieme. Certo è, onorevole Corbino, che IL TRACOLLO DELL'ECONOMIA LIBERALE SOVRASTA COME UN'OMBRA QUESTI NOSTRI DIBATTITI SUL TITOLO TERZO. Può darsi che sulle rovine di questo tracollo già cominci a spuntare la nuova economia di domani, e non sarà un male se sarà la pianificazione a tenerla a battesimo…
” [G. ARATA, Assemblea Costituente, seduta antimeridiana del 13 maggio 1947].

Se i fini vengono stabiliti a vantaggio delle oligarchie capitalistiche, si chiama libertà.
Se i fini (art. 3, comma II, Cost.) vengono posti a vantaggio dell’interesse collettivo (cioè del Popolo sovrano, art. 1 Cost.), riemerge lo “spauracchio” del totalitarismo. La narrazione liberista.

3.3. “L’economia di piano non funziona” – parlo dell’Italia - semplicemente perché in realtà una vera programmazione economica globale (l’art. 41, comma III, parla di “programmi”, termine che sostituì poi quello di “piano”, nel senso sopra inteso dai Costituenti) non è mai avvenuta:
… Dopo gli anni della ricostruzione, caratterizzati dal declino delle ipotesi di programmazione globale e dal predominio delle concezioni liberiste, gli anni della legislatura degasperiana (1948-1953) sono segnati dalla costruzione di una serie di “programmazioni di settore” ispirate ad obiettivi riformisti. E’ una fase nella quale il tratto dominante può essere riconosciuto al “decreto”; sono i meccanismi della rappresentanza politica e del governo ad assumere il peso prevalente nel processo di acquisizione del consenso e nel processo di assunzione delle decisioni.

Il mantenimento dell’asse portante del sistema politico attorno al binomio decreto-mercato negli anni del “centrismo debole” (1954-1962), accantonata ancora una volta la strada della programmazione globale (piano del lavoro della CGIL, e “schema Vanoni”) è ottenuto attraverso una estensione dell’intervento pubblico mediante programmi di settore, attraverso un certo grado di “GERARCHIZZAZIONE” NEI RAPPORTI FRA SISTEMA POLITICO E ORGANIZZAZIONE DEGLI INTERESSI (il legame corre fra partito di maggioranza relativa, Confindustria, Confcommercio etc) attraverso l’accantonamento definitivo dell’attuazione costituzionale degli artt. 39 e 40 e quello (provvisorio) dell’attuazione dell’ordinamento regionale.
La forza trainante del mercato nella fase del miracolo economico (1958-1962) garantisce, a prezzo di nuovi “squilibri” territoriali e settoriali, il compromesso “decreto-mercato…
” [M. CARABBA, in Enciclopedia del diritto, voce Programmazione economica, XXXVI, 1987, 1127-1128].

3.4. Non riporto nemmeno i commenti di Lelio Basso sull’affossamento del Piano o Schema “Vanoni”, il primo tentativo di programmazione economica (globale) seria nel nostro Paese (ah, il Quarto partito!). 
Si recuperò un pò il tempo perduto negli anni del primo centro-sinistra (1963-1972); ma negli anni ’70, complice anche la crisi (che la Robinson annoverava già nella lotta di classe), l’inflazione-brutta (dovuta agli acquisiti diritti dei lavoratori conseguenti alle lotte) ed il piano delle élites internazionali (quello Werner incluso), annegarono sul nascere ogni ulteriore velleità. Tutta storia narrata in modo certosino su questi schermi.

Quanto detto trova puntuale analisi in un libro di L. Barca-G. Minghetti del 1976, dal titolo “L’italia delle Banche”, dove si critica proprio l’indirizzo di politica economica dei 15 anni precedenti (ed in particolare, la mancanza di programmazione ex art. 41, comma III, associata alla politica monetaria. Non è un caso che Mortati individui nella norma citata il pilastro strumentale della “Costituzione economica”) che ha permesso il dominio del capitalismo finanziario. A danno delle stesse imprese che, evidentemente, avevano altri programmi.

Chissà se un giorno riusciremo a vedere una programmazione economica globale attuata secondo Costituzione. Anche solo per capire l'effetto che fa...

43 commenti:

  1. Che post… vorrei ricordare questo grande passo di Basso:

    La necessità, che attualizza, alle condizioni di sviluppo industriale e sociale della struttura economica italiana, le indicazioni di Gramsci, si compendiano in questa più ampia "profezia" di Basso, ormai avveratasi, che segnala la via della Costituente e, prima ancora, del ripristino del cammino attuativo incessante della nostra Costituzione e di cui riporto il passo saliente (rinviando naturalmente alla lettura integrale...per chi abbia più "motivazioni"):
    "Quali siano queste trasformazioni di struttura abbiamo già più volte indicato: esse vanno dal superamento dell’economia di concorrenza alla conseguente distruzione della produzione indipendente, cioè non legata a gruppi (v. p.14), sia essa piccola, media o relativamente grande, dall’abbandono di certi tipi di produzione industriale alla trasformazione delle culture agrarie in relazione alle direttive dell’imperialismo americano e alle sue esigenze di sfruttamento di un solo grande mercato europeo, dalla cartellizzazione e cosiddetta “razionalizzazione” dell’industria, alla modificazione delle abituali correnti di traffico, dall’abbandono di difese doganali alla rinuncia a sovranità nazionali, dalla subordinazione dei poteri pubblici alle direttive dei monopoli fino alla creazione di un sistema di sicurezza del grande capitale capace di garantirgli la tranquillità del profitto e di socializzarne le perdite.
    Tutto questo processo è evidentemente destinato ad accrescere la disoccupazione operaia, ad aumentare il livello di sfruttamento delle masse contadine, e, in misura forse ancora maggiore, a sgretolare e pauperizzare i ceti medi, a soffocare ogni libertà di pensiero e ad avvilire intellettuali e tecnici al rango di servi dell’imperialismo.
    Non importa se i nostri avversari si riempiono la bocca di formule altisonanti di democrazia: la loro politica, più ancora di quella di Hitler, è la minaccia più grave che abbia fino ad oggi pesato sulle possibilità di sviluppo democratico dell’uomo moderno.
    È chiaro perciò che la politica della classe operaia deve essere una politica capace di interessare non soltanto gli operai stessi, ma altresì tutti quei ceti - e sono l’immensa maggioranza della popolazione - che la politica dell’imperialismo distrugge od opprime sia economicamente sia spiritualmente (sempre qui, p.4 e peraltro nel solco di una precedente visione di Gramsci e Rosa Luxemburg) e coi quali noi dobbiamo ricercare i mezzi e le vie per creare un nuovo equilibrio di forze sociali che rovesci quello oggi in via di consolidamento.
    Dev’essere chiaro per tutti che le forze, che oggi si sono insediate al governo del nostro paese, non hanno alcuna possibilità di tornare indietro dalla strada su cui si sono avviate (qui, pp. 7-8 e qui) e che è la strada del domino totalitario dello stato per conto dei grossi interessi capitalistici; e che perciò la sola possibilità offerta a chi non vuole soggiacere a questa nuova edizione del regime fascista che si profila, è di opporvisi con tutte le proprie energie, non per tornare indietro o per stare fermi, ma per allearsi con tutte le forze decise a creare un nuovo equilibrio che segni un passo avanti sulla strada della democrazia e del progresso."
    Ciclo totalitario (3), «Quarto Stato», 1-31 lug.-15 ago. 1949, n. 13/14/15, pp. 3-6.

    http://orizzonte48.blogspot.com/2017/11/luxemburg-gramsci-basso-e-caffe-la-via.html?spref=tw

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    1. Comunque a rileggere 'ste lucide e stupefacenti parole di Basso, mi rendo conto che se le avessi sentite solo venti anni fa le avrei giudicate come espressione della "solita retorica marxista", quella che Keynes stigmatizzava come "catastrofista".

      Infarcito dalla nascita di idiozie da produzione hollywoodiana, mai avrei compreso fino in fondo la realtà della considerazione per cui "gli angloamericani siano un pericolo peggiore per l'umanità rispetto ai nazisti".

      Se un paio di anni fa ricordare che Hitler aveva come modello di (mostruosa) prassi politica quello dei Britannici, mi sembrava un messaggio "forte", ora si può dire che sia negli occhi di tutti. Salvo dissociazione cognitiva.

      Più rifletto sulla tecnica "capitalistica", che permette di esercitare un potere, controllare e sfruttare disumanamente masse sterminate di persone, maggiormente mi rendo conto di quanto potrebbe essere diverso il mondo della vita.

      Da questo punto di vista, non è un caso che i gruppi sociali che hanno portato al parossismo questa creazione sociale, siano al contempo contraddistinti per non aver praticamente mai dato un contributo all'Estetica. Che rimane monopolio della classicità.

      Cosa c'è che non funziona nella mente di persone che propongono come unica via senza alternative l'unica via che porta da nessuna parte?

      Come andare al casinò e puntare tutto sullo zero: l'unico numero in cui il banco vince sempre.


      (...)


      (voglio dire, pensando ad Hayek, questo se ne va in giro per un secolo a predicare di adoperarsi per la libertà del Mercato che è una istituzione talmente impersonale da essere considerata "Natura", cioè quell'oggetto ontologico che combatte da sempre l'umanità facendola soffrire e portandola alla morte. Insomma, libertà a ciò che è altro dall'uomo, e schiavitù alle persone... per « salvare la "civiltà" »... what's wrong with you?)

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    2. Va però aggiunto che lo stesso Basso "del 1949" si evolve in una visione, successiva, e che abbiamo più volte riportato, in cui si rende conto che parlare di "classe operaia" come fulcro della contrapposizione fondamentale del conflitto risulta in parte fuorviante (o politicamente meno spendibile).

      La saldatura di tale classe con gli interessi di "tutti quei ceti - e sono l’immensa maggioranza della popolazione - che la politica dell’imperialismo distrugge od opprime sia economicamente sia spiritualmente", si evolve infatti nell'analisi della struttura oligopolistico-concentrata del capitalismo promosso dalle "elites cosmopolite" (la rinascita del liberoscambismo istituzionale e del neo-colonialismo finanziarizzato, Basso la preconizzò, la intuì; ma non ne vide appieno l'orrore applicativo. Diciamo post- Washington Consensus).

      L'irrompere dell'apparente benessere consumistico di massa e il conseguente sistema "pop" di controllo sociale, che infatti Basso denunciò (Luca potrà ritrovare i brani anticipatori di tali aspetti), infatti, impone un continuo adeguamento della coscienza politica di cui le classi oppresse devono farsi portatrici.

      Lo dico perché, oggi più che mai, siamo in questo diffile frangente: e, come abbiamo visto nei commenti, persino in questo blog, la falsa coscienza incentrata su attacco alla proprietà e collettivismo espropriativo della "libertà", diffusa dalle elites ridivenute dominanti nell'Occidente a capitalismo maturo, si rivela essere il fronte di maggior importanza su cui combattere la lotta di resistenza della democrazia.

      D'altra parte, la tua intuizione sugli informatici (e in generale lavoratori in settori ITC e servizi) come nuovo lumpenproletariat (o meglio, come proletariato tout-court ma in condizione vetero-ottocentesca) è senz'altro fruttifera e degna di un'elaborazione che evolverebbe ulteriormente le analisi di Basso (e non solo).

      E questo, in fondo, al di là delle celebrazioni-quotes, e dell'impulso emotivo che ci consegna la grandezza di precedenti pensatori socialisti, è il compito teorico che questo blog ha assunto (unico nel suo tentativo di svolgerlo).

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    3. Presidente… questo commento di Francesco?

      “… Quello che la propaganda occidentale chiama il “mondo libero”… è un mondo - parlo dei paesi occidentali più avanzati, USA e Germania occidentale in testa - dove la libertà si è ridotta alla libertà delle microscelte, delle microdecisioni (scegliere il colore della propria automobile o il titolo del proprio giornale, magari il partito per cui votare), ma dove le macrodecisioni, LE SCELTE CHE CONTANO VERAMENTE SFUGGONO A QUALSIASI EFFETTIVO CONTROLLO E PARTECIPAZIONE POPOLARE (anche perché i partiti fra cui si può scegliere hanno quasi lo stesso programma) e anche gran parte delle stesse scelte private, il proprio modello di vita, sono predeterminate dal costume sociale o condizionate dalla pubblicità…. Praticamente fra l’essere individuale di questo uomo moderno e il suo essere sociale …si è rotto l’equilibrio e l’uomo ...tende sempre più a essere un uomo livellato e standardizzato.

      …. i partiti politici sono venuti meno al loro compito di mediazione fra la collettività statale e i cittadini… I partiti si sono sviluppati come organizzazioni elettorali intorno al sistema parlamentare e si può dire che nel mondo occidentale tutti i partiti abbiano come scopo principale della loro attività quello di conquistare seggi in Parlamento… Ora il Parlamento è stato un’istituzione rispondente alle esigenze dello Stato liberale … ma non aggiornato alle esigenze di uno Stato democratico moderno, che DOVREBBE DA UN LATO BASARSI SULLA SOVRANITÀ DELLE MASSE POPOLARI e dall’altro assolvere a compiti estremamente complessi che richiedono competenze particolari: ciò fa sì che in realtà il Parlamento (e tanto meno il sovrano da cui dipende, il popolo) non sia in grado di assolvere effettivamente ai compiti di direzione della vita pubblica e si lasci sottrarre LA MAGGIOR PARTE DEI COMPITI DA ORGANI DI DECISIONE EXTRA-PARLAMENTARI E SPESSO ANCHE EXTRA-COSTITUZIONALI (le grandi decisioni della vita economica sono in realtà prese al di fuori degli stessi organi costituzionali di direzione politica), riducendosi spesso di fatto a un organo di mera registrazione, a una facciata cioè di democrazia…” [L. BASSO, La partecipazione politica e i partiti in Italia, Tempi moderni, gannaio-marzo 1962, n. 8, 76-79].

      http://orizzonte48.blogspot.it/2017/05/la-manovrona-per-il-2018-sovranita.html?showComment=1496236142493#c1791796347732642964

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    4. C'è dell'altro, più strettamente riguardante la struttura dei mercati e il suo riflesso sulla democrazia...ma. da non trascurare, in gran parte contenuto già in dei post

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    5. Forse questo:

      Ma C’È UN PERICOLO PIÙ NASCOSTO E, A MIO GIUDIZIO, PIÙ GRAVE CHE CI MINACCIA: LA TENDENZA DEL GRANDE CAPITALE MONDIALE A CONCENTRARE IL POTERE IN POCHISSIME MANI.
      Secondo gli economisti, prima della fine del secolo, le grandi compagnie, le grandi società multinazionali che domineranno il mondo non saranno più di cinquanta.
      Non saranno più di 50 i manager, i padroni, che nel chiuso dei loro uffici a New York oppure a Londra o a Francoforte o ad Amsterdam decideranno del destino vostro perche io probabilmente che ho 72 anni, non ci sarò più, ma voi ci sarete.
      Ognuno dovrà accettare di essere una rotella impercettibile di un meccanismo messo in essere da forze lontane ed ignote per produrre il profitto del grande capitale.
      Per permettere a questi 50 manager di aumentare in ricchezza e in potenza l’umanità dovrà subire la schiavitù più umiliante e più degradante che non è soltanto la schiavitù dello sfruttamento economico, ma è questa forma di schiavitù ancora maggiore che è lo svuotamento dell’intorno della coscienza umana. Gli uomini devono essere schiavi ed essere contenti di essere schiavi, ringraziare i loro padroni.

      C’è stato uno storico americano che ha scritto per spiegare la differenza di trattamento che negli USA hanno avuto i negri rispetto agli indiani, i cosiddetti “pellirosse” e ha detto: “I pellirosse non hanno capito che dovevano accettare di essere schiavi, i negri hanno capito. Se anche i pellirosse avessero accettato di fare gli schiavi avrebbero trovato dei padroni benevoli che li avrebbero trattati bene, paternalisticamente. Voi sapete quali padroni buoni e paternalisti hanno trovato i negri, come sono stati trattati, come sono trattati tuttora. Invece hanno voluto essere liberi e non c’era altro che sterminarli, che ammazzarli perché l’economia americana doveva andare avanti: o schiavi eliminati o complici di questo regime…”
      [L. BASSO, Le origini del fascismo, Savona, Centro giovanile, cicl., 10-45].

      http://orizzonte48.blogspot.com/2017/04/capitalismo-fascismo-tra-la-marcia-su.html?spref=tw

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    6. Cari Quarantotto e Luca, credo che il primo grande borghese che abbia intuito ab origine l'importanza di tutta l'esperienza socialista sia stato proprio colui che più aspramente l'aveva criticata, nei contenuti economicistici, ideologici e partitici, ossia Keynes: « Until recently events in Russia were moving too fast and the gap between paper professions and actual achievements was too wide for a proper account to be possible. But the new system is now sufficiently crystallized to be reviewed. The result is impressive. The Russian innovators have passed, not only from the revolutionary stage, but also from the doctrinaire stage. There is little or nothing left which bears any special relation to Marx and Marxism as distinguished from other systems of socialism. They are engaged in the vast administrative task of making a completely new set of social and economic institutions work smoothly and successfully over a territory so extensive that it covers one sixth of the land surface of the world.

      Credo che la riforma di struttura più prorompente sarebbe l'abolizione delle banche centrali, segnando una ferita mortale alla dialettica politica e allo sviluppo democratico dell'uomo.

      (Trovare un umanista che ami i numeri è raro, trovare un esperto di ICT abile nelle scienze umane e sociali, è ancora più raro...)

      (Comunque, il termine ottocentesco "proletario", lavoratore che ha come unica autonomia vitale quella di vivere attraverso la prole, rimane, a differenza del termine "operaio", nome di una categoria esemplificativa: quando l'élite con il malthusianesimo si scaglia contro la natalità, la famiglia, la rimozione delle cause sociali che portano all'aborto, ecc., ovverosia si batte per non permettere ai lavoratori di riprodursi liberamente, autonomamente, diventa chiara e manifesta la natura trascendente che ha la materialissima lotta di classe)

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    7. Direi che Basso fece anche più che intuire: l'attività del tribunale Russell da questo punto di vista è molto importante e, purtroppo, profetica.

      Le questioni di cui si occupò furono due: il Vietnam e le dittature neoliberiste latino-americane. Ne spiegò le ragioni su Rinascita (20 ottobre, 1972, pagg. 11-12, ora in L. Basso, Scritti scelti, Carocci, Milano, 2003, pagg. 295-6):

      "Ritirare le truppe era quindi urgente, ma non si trattava semplicemente di sostituirle con mercenari vietnamiti che sarebbero stati facilmente sconfitti, bensì di sostituire la guerra convenzionale con una guerra fortemente automatizzata, basata su nuove applicazioni elettroniche, la cui ampiezza e efficacia distruttiva è stata soltanto in parte illustrata (soprattutto da testimoni che erano addetti proprio a queste apparecchiature). In questo modo il Vietnam è diventato per gli Stati Uniti quello che fu la Spagna per Hitler: un campo di sperimentazione di nuove tecniche belliche, che potrà essere domani impiegato dovunque. Non dimentichiamo che la distruzione di Guernica è stata la prova generale della distruzione di Coventry e di altre città inglesi e non illudiamoci pertanto che la guerra del Vietnam riguardi solo i vietnamiti. Sotto questo aspetto riguarda tutti i popoli della terra."

      "E' stata una spinta violenta alla presa di coscienza del pericolo che incombe oggi su tutta l’umanità. Il cancro si è formato lentamente, in silenzio, ha proliferato senza dar cenno di esistenza e ora che ne abbiamo davanti la radiografia completa siamo tentati di dire: “è troppo tardi! ”. La collusione tra i centri di potere economico e i centri di potere politico, che è alla radice del dramma che devasta tutto il continente latino americano, ha prodotto dei mostri che minacciano anche noi. Due anni fa, alla prima sessione, udimmo la voce dei torturati; un anno fa, alla seconda, ascoltammo la denuncia del sistema economico dipendente che è alla radice dei sistemi repressivi, e i misfatti delle società multi-nazionali furono messi sotto accusa anche da relatori studiosi e testimoni di tendenze politiche moderate; nei giorni scorsi, alla terza sessione, sono stati rivelati i meccanismi di funzionamento del sistema imperialista, con tutte le loro incredibili ramificazioni.".

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    8. Ho trovato anche questo commento…. Ma non un post:

      Francesco Maimone3 novembre 2016 16:12

      Oggi invece il capitale finanziario italiano È IN FUNZIONE DELLA POLITICA DEI GRUPPI AMERICANI CHE LO DOMINANO. Non si tratta più di conquistare e difendere il mercato italiano, ma di inserire i complessi italiani nella vasta manovra del capitalismo americano, il quale tende a creare dei grandi spazi, per avere larghi mercati di sbocco ai prodotti americani o ai prodotti delle industrie ch’esso controlla negli altri paesi. Questo significa che devono essere lasciate cadere le industrie che non interessano il capitale americano e che sono in concorrenza con altre industrie americane o europee ma sotto controllo americano: sono soltanto pochi grandi gruppi monopolistici (Fiat, Snia, Montecatini, Pirelli, ecc.) che possono attrarre capitale anglosassone ed entrare così nel gioco della finanza di Wall Street. La smobilitazione volontaria o lo schiacciamento delle altre industrie è una conseguenza di questa politica, che mira anche, per espresse dichiarazioni dei grandi esperti d’oltre Oceano, A CREARE NEI PAESI EUROPEI UNA MASSA DI DISOCCUPATI SUFFICIENTEMENTE VASTA PER DARE AL MERCATO DEL LAVORO QUELLA ELASTICITÀ CHE PUÒ INTERESSARE I CAPITALISTI CHE VENGONO QUI ALLA RICERCA DI PROFITTI PIÙ LARGHI DI QUELLI CONSEGUIBILI NEL PROPRIO PAESE (ove l’accumulazione del capitale segue un ritmo più celere delle possibilità di investimento), e che in Italia, per garantirsi questi profitti, giocano soprattutto sullo sfruttamento di una mano d’opera più a buon mercato.

      È chiaro che una politica di questa natura non può più poggiare su parole d’ordine nazionalistiche o imperiali, ma al contrario su parole d’ordine cosmopolite: L’UNITÀ DELL’EUROPA, o addirittura, la civiltà cristiana o LA CIVILTÀ OCCIDENTALE SONO I NUOVI MITI CHE IL CAPITALE MONOPOLISTICO ADOPERA PER LA CONQUISTA DELLE MASSE. Tuttavia, anche sotto questa nuova forma, anzi ora più che mai, il capitale monopolistico ha bisogno del DOMINIO INCONTROLLATO DELLO STATO: l’opinione pubblica non può essere ammessa a conoscere e a discutere i reali rapporti di sudditanza verso l’America, e d’altra parte le manovre finanziarie che comporta questa politica, onde allineare il nostro paese secondo gli schemi elaborati a Wall Street sono infinitamente più complesse di quelle che erano necessarie nell’altro dopoguerra. Senza contare che è più facile ubriacare e mobilitare l’opinione pubblica in favore di una politica di potenza che di una politica di asservimento …” [L. BASSO, Ciclo totalitario in Quarto Stato, 30 maggio-15 giugno 1949, 3-8].

      https://orizzonte48.blogspot.com/2016/11/accentramento-del-potere-nellesecutivo.html?showComment=1478185978005#c2375444216999732550

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    9. http://orizzonte48.blogspot.it/2014/11/basso-caffe-il-controllo-culturale.html
      Trascuri forse la partenza del discorso: nei post :-)

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    10. @Bazaar: mi sa che non...mi sono spiegato bene

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    11. @Quarantotto

      Altroché.

      Mi pare tu sostenga la necessità di adeguare le categorie al linguaggio (per questioni "emotive" dovute al marketing emozionale della propaganda atlantista-liberale) e, soprattutto, alla nuova struttura sociale, facendo riferimento allo stesso Basso che riteneva "curioso" come questo non fosse stato fatto tra i Sessanta ed i Settanta, quando era evidente che la lotta di classe vista come scontro tra operai e proprietari di fabbrica aveva perso qualsiasi senso "strutturale", visto che la finanziarizzazione totalitaria aveva reso possibile alle grandi concentrazioni oligopolistiche di appropriarsi del plusvalore delle mediopiccole ma anche grandi imprese.

      Il capitalismo, costruendo livelli di astrazione su livelli di astrazione per nascondere "la banalità di se stesso", fa sì che il conflitto di classe (il riconoscimento del nemico) sia sempre più spersonalizzato e difficilmente individuabile politicamente.

      Per questo facevo riferimento a come l'informatizzazione abbia aumentato tanto a dismisura la complessità e i livelli di astrazione quanto modificato la composizione dei ceti subalterni "all'avanguardia" nella conquista di autocoscienza e personalità storica.

      Finiti i partiti di massa dovuti all'antagonismo operaio permesso dalle "grandi fabbriche", nell'atomizzata, anonima, anomica e alienata società dei servizi, i lavoratori del terzo settore ed in particolare del settore ICT, appaiono essere il nuovo "proletariato" nel senso di "nuova classe operaia". Gli "operai del duemila", come li definiva un mio caro amico ingegnere del settore.

      Semplicemente riflettevo a latere sulla apparente obsolescenza del termine "proletario" in riferimento al malthusianesimo e riflettevo poi sul lavoro di ricerca fenomenologica che nasce dalla Weltanschauung della Carta del '48 secondo una solida e coerente filologia, così come vuole l'analisi economica del diritto, "positiva" e non "filosofeggiante", per ignoranza o malafede.

      Questo lavoro ha portato ad un filone di ricerca multidisciplinare, epistemologicamente organica e coerente, proprio in questi spazi di discussione - un unicum non solo in Italia, che io sappia - volto alla rielaborazione e alla riattualizzazione delle lotte e del pensiero socialista in quanto fondamentali per la realizzazione dei Principi costituzionali in cui tutte le forze politiche democratiche sono convenute.

      (Un probabile "unicum" anche per il semplice fatto che la nostra Costituzione rimane un "unicum" al mondo, rendendo l'ermeneutica della Carta estremamente proficua per l'organizzazione del pensiero)

      In tutto ciò ragionavo sulla complessità di questa mistura di astrazione digitale ed economicistica con cui è necessario fare i conti quando si cerca di portare coscienza ai "nuovi operai" e ai lavoratori in genere.

      Relativamente a quanto fosse importante, poi, la teoria e la prassi del socialismo, nella sua dinamicità e nella sue migliori prassi in funzione della concretezza della situazione storica, ci conforta ricordare la posizione di una figura come quella di Keynes.

      Se ti avevo capito, ho provato a rifletterci a margine.

      (La Società - pop - dello spettacolo, trova il suo parossismo nel tempo e nel denaro alienati nella realtà virtuale della digitalizzazione)

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    12. Potrebbe essere il Lelio Basso citato nei commenti in questo post (“Le radici del malessere” del 1974).

      Anche i seguenti, quanto a descrizione del “sistema”, possano essere pertinenti:

      … Marx, parlando di contraddizione fra forze produttive e rapporti di produzione, non ha limitato solo al rapporto salariale la contraddizione rivoluzionaria, bensì l’ha estesa all’insieme della vita sociale: non nella fabbrica soltanto, ma nella società dobbiamo cercare le manifestazioni di questa contraddizione che possono provocare la ribellione. E sembra a me chiaro che il problema centrale del capitalismo sviluppato sia la crescente alienazione e disumanizzazione degli uomini

      Tutti ormai sono inseriti in rapporti capitalistici che non sono soltanto i rapporti di lavoro salariato: anzi la crescente terziarizzazione del capitalismo avanzato sposta fuori della fabbrica la maggioranza della popolazione il cui lavoro è però sempre comandato da quel Leviatano oscuro e implacabile che è il “sistema” nel suo complesso, di cui lo Stato non è oggi che un meccanismo che svolge un lavoro essenziale per garantire la continuità del profitto, ma subordinato a esigenze che lo trascendono. In queste condizioni il “sistema” produce sulla massa una serie di conseguenze che possiamo qui soltanto limitarci a riassumere.

      In primo luogo ogni uomo è ridotto a un semplice congegno, a una rotellina insignificante, il cui ambito di autonomia e di responsabilità si restringe sempre di più, perché tutte le macrodecisioni sono nelle mani dei massimi centri decisionali …

      I centri del potere effettivo si allontanano sempre più dai cittadini (non solo dagli operai salariati, ma anche dagli uomini di cultura, dagli scienziati, dai tecnici, dalla massa del cosiddetto “ceto medio” ) che non possono neppure conservare l’illusione di partecipare a quei centri di potere attraverso gli strumenti della cosiddetta “democrazia”, come il parlamento e simili.

      Chi conosca la situazione reale anche del nostro paese sa per esempio che molte delle decisioni più importanti che ci riguardano sono prese al di fuori degli organi istituzionali: l’Italia fa parte del MEC, le cui decisioni sono obbligatorie per il nostro paese, senza che neppure il parlamento italiano sappia perché sono state prese; si sviluppa ormai una quantità di società multinazionali che sfuggono a qualsiasi controllo interno, e dominano sempre più la vita economica;

      … siamo infine inseriti in una rete di rapporti monetari, economici e politici mondiali, che fanno capo all’imperialismo americano. E ciò senza contare che in tutto il mondo, e quindi anche in Italia, i parlamenti hanno ormai perduto molta della loro importanza anche per le decisioni interne al paese, in quanto si è venuto realizzando un potere sempre più oligarchico rappresentato da grandi capitani di imprese private o pubbliche, da grandi burocrati e da una ristrettissima cerchia di politici, le cui decisioni i parlamenti sono poi chiamati a ratificare.

      In altre parole il “sistema” ha delle esigenze di vita che non intende abbandonare né al controllo né, tanto meno, alla fantasia di organi democratici...
      ” [L. BASSO, Speranze socialiste, I problemi di Ulisse, settembre 1971, 145-151]. (segue)

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    13. E per prosperare e lasciarsi accettare, l’imperialismo economico dei poteri apolidi ha bisogno “dell’imperialismo culturale”:

      L'imperialismo economico, cioè il dominio sul mercato mondiale, che è oggi indispensabile alla sopravvivenza del capitalismo, non potrebbe a sua volta sopravvivere se non fosse accompagnato da un dominio culturale e scientifico. Dominio del mercato mondiale significa possibilità di vendere ovunque i prodotti delle corporazioni supranazionali, e per ottenere questo risultato è necessario far accettare a tutti i popoli della terra i modelli di vita e di consumo che obbligano questi popoli a consumare quei prodotti. E poiché la produzione capitalistica, ai livelli oggi raggiunti, ha bisogno del consumismo, cioè di un ciclo rapido di consumo, di successione rapida di mode, essa ha bisogno anche di poter esercitare un controllo continuo sul modo di pensare e di vivere dei popoli che vuole sfruttare.

      Qui entra in gioco uno degli apparati più formidabili dell'imperialismo: il controllo dei circuiti d'informazione. Si tratta di un fenomeno ben noto, tanto che i paesi non allineati hanno dato vita a una propria agenzia di informazione, ma il problema ha dimensioni immensamente più vaste.Non si tratta solo dell'informazione giornalistica: i messaggi che arrivano attraverso tutti i mass media costituiscono una pressione massiccia che soffoca ogni giorno di più l'autonomia degli uomini…

      Lo scambio di messaggi autentici, cioè il dialogo immediato fra gli uomini e fra i popoli, è sostituito da questo circuito artificioso d'informazione prefabbricata per fini di dominio e di oppressione. La quale è tanto più grave per il fatto che l'imperialismo non si limita in questo modo a imporre solo prodotti commerciali, ma anche modelli di regimi politici: l'artificiosa esportazione di regimi non adatti ai popoli di nuova indipendenza è stata una delle più clamorose manifestazioni di questo imperialismo, che sa come attraverso l'imitazione di modelli politici si possa contrabbandare l'imitazione di idee, di abitudini, di criteri di giudizio, di modelli di comportamento…

      E, per colmo di ironia, la forma di asservimento così introdotta in ogni parte del mondo è stata battezzata "mondo libero", cioè il mondo della libera concorrenza in cui vince il più forte, l'impresa multinazionale . A questo modo l'imperialismo arriva a "smorzare" le differenze fra le culture dei vari popoli, che ne rappresentano l'originalità, viene annullata la specificità e la molteplicità dei modelli di vita che costituiscono la ricchezza dell'umanità per sostituirvi il grigiore uniforme dell'anonimato: un popolo solo di servi dell'imperialismo che pensa, che legge, che mangia, che veste, che si diverte come gli viene imposto di pensare, leggere, mangiare, vestirsi, divertirsi senza che nulla di tutto ciò sia espressione della propria personalità….
      ” [L. BASSO, Introduzione a L’imperialismo culturale, Milano, Franco Angeli, 1979, 9-17].

      La Matrix. Con struttura e relativa sovrastruttura

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    14. Mi permetto di aggiungere alla categoria, insieme ai lavoratori dell’ ICT, tutti i “creativi”, designer, grafici, scrittori, e quanti mandano avanti lo spettacolo essenziale per la sopravvivenza della società, così come gli startupper, i ricercatori e i venditori e in generale tutti quelli che hanno idee. Le partite iva, i giovani professionisti senza ordine, anche loro sono “operai”.

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    15. @mrsme

      Diciamo che l'operaio (proletario) che nel passato era il lavoratore "cosciente", l'avanguardia, aveva posibilità di esserlo in quanto la Struttura in fase di industrializzazione e urbanizzazione prevedeva la "grande fabbrica" e la possibilità di dialettica, sindacalismo e formazione in ambito politico sul posto di lavoro.

      Quindi la natura degli "spazi" necessari per gli obiettivi (geo)storici dello sviluppo capitalistico, permetteva il formarsi di questa avanguardia che si concretizzava nel movimento operaio e che premeva per i propri spazi politici nello Stato borghese. Questi stessi spazi materiali messi a disposizione dalle pance delle grandi fabbriche, erano la premessa per la formazione dei partiti di massa.

      Ora questi spazi non ci sono fisicamente più: si è deindustrilizzato e delocalizzato i grandi complessi industriali in Paesi privi di lavoratori coscienti.

      Si sono aperti, però, sempre a causa della dialettica dello sviluppo storico del capitalismo in questa fase, degli spazi "virtuali".

      Noi stessi studiamo, discutiamo, divulghiamo avendo come punto d'incontro questo che non è altro che uno spazio virtuale.

      E per accederci abbiamo bisogno di strumentazione che deve essere presente e facilmente usufruibile dove passiamo la maggior parte del tempo: a casa e, appunto, sul posto di lavoro.

      Saper usare con perizia gli strumenti informatici, oggi, fa parte della prassi rivoluzionaria...

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    16. “Questi stessi spazi materiali messi a disposizione dalle pance delle grandi fabbriche, erano la premessa per la formazione dei partiti di massa.”

      Ciao caro Bazaar…. correggimi se sbaglio:

      Inutile dire che, in una corsa contro il tempo, ciò vale anche per l'Italia, sebbene, in termini assoluti, in misura minore, ma non meno insidiosa. Se non altro perchè non compresa dal settore sociale, le PMI (sveglia!), che porta il peso del residuo manifatturiero italiano.

      Su questo tema riportiamo un significativo brano di Dani Rodrik che, sebbene riferito alle dinamiche dei paesi in via di sviluppo, per le condizioni create dal liberoscambismo sanzionato dal vincolo esterno "valutario", ci appare eloquente anche per la Grecia e, di riflesso (mutatis mutandis, in una sostanza però omogenea), per tutti i paesi coinvolti nell'area euro.
      Da rilevare che questa spiegazione ci dà ben conto dei sub-conflitti "sezionali" (p.11.1.), in funzione destabilizzatrice della democrazia, che fanno capo ai "diritti cosmetici" e alle identità etnico-religiose-localistiche, conflitti che sono una vera manna per le elites:

      "Le conseguenze politiche di una prematura deindustrializzazione sono più sottili, ma possono essere più significative.
      I partiti politici di massa sono stati tradizionalmente un sotto-prodotto dell'industrializzazione. La politica risulta molto diversa quando la produzione urbana è organizzata in larga parte intorno all'informalità, una serie diffusa di piccole imprese e servizi trascurabili.
      Gli interessi condivisi all'interno della non-elite sono più ardui da definire, l'organizzazione politica fronteggia ostacoli maggiori, e le identità personalistiche ed etniche dominano a scapito della solidarietà di classe.

      Le elites non hanno di fronte attori politici che possano reclamare di rappresentare le non-elites e perciò assumere impegni vincolanti per conto di esse.
      Inoltre, le elites possono ben preferire - e ne hanno l'attitudine- di dividere e comandare, perseguendo populismo e politiche clientelari, giocando a porre un segmento di non elite contro l'altro.
      Senza la disciplina e il coordinamento che fornisce una forza di lavoro organizzata, il negoziato tra l'elite e la non elite, necessario per la transizione e il consolidamento democratico, hanno meno probabilità di verificarsi.
      In tal modo la deindustrializzazione può rendere la democratizzazione meno probabile e più fragile."

      http://orizzonte48.blogspot.com/2015/02/la-condizionalita-2-da-chang-rodrik.html?spref=tw

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  2. Grazie Quarantotto.

    Temo che i riferimenti alla Costituzione più usati (nel dibattito politico e mediatico) si riferiscano spesso (implicitamente e cosmeticamente) ad una "nuova costituzione"(economica). Come e perché si possa ignorare ed accettare come fatto compiuto la disattivazione della democrazia costituzionale è un'ottima domanda da porsi.

    In un passo del libro di Sabino Cassese, noto ai lettori del blog, su "Lo Stato del benessere (dalla metà agli anni '70 del secolo XX)", credo di trovare collegamenti al post ed un indizio sul "pianificatore della scarsità di risors€"(corsivo e grassetto aggiunti da me):
    "Il terzo principio fissato dalla carta costituzionale consiste in quella che negli anni '40 fu chiamata «funzionalizzazione» della proprietà e dell'impresa. La sua origine è la seguente: si è pensato che le facoltà che compongono le situazioni giuridiche soggettive costituzionalmente garantite non potessero essere lasciate alla autonomia dei privati, se non al prezzo di gravi costi per la società. Di qui la predisposizione di limiti non di carattere esterno o negativo, ma di carattere interno o positivo, con i quali l'autorità pubblica stabilisce finalità e modi di uso di un bene o di una impresa, modificando la struttura del diritto soggettivo (questa norma costituzionale, peraltro, è ora - secondo l'interpretazione prevalente - superata dalla normativa dell'Unione europea, d'impronta liberista)."
    [S. CASSESE, la nuova costituzione economica, 2012]

    Ecco, la difesa della democrazia sostanziale e dei principi fondamentali della Costituzione è ora più che mai da esercitare.

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    1. Ma ti rendi conto di quel "superata" messo lì da un accademico (e non solo) che raggiunge migliaia e migliaia di studenti e giuristi in formazione, che si abituano così a un discorso in cui i concetti giuridici vengono fatti saltare con nonchalance dalla vaghezza di una "interpretazione prevalente"?

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    2. Sì, il problema è notevole.

      Poi mi chiedo (rimanendo alla citazione): ma se la "norma costituzionale è superata" allora vuol dire che "le facoltà che compongono le situazioni giuridiche soggettive costituzionalmente garantite [possono] essere lasciate alla autonomia dei privati, [...] al prezzo di gravi costi per la società"?

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    3. Si…. da leggere anche i commenti precedenti:

      Quarantotto20 settembre 2017 18:56

      Invece un fondo irriducibile di verità c'è in quello che dice (paradigmatico di ciò che assume non solo sull'euro ma su tutte le questioni che affronta): LUI non ha la più pallida idea delle conseguenze dell’una e dell’altra scelta, sul breve, medio e lungo periodo.

      Ma perché poi dovremmo tornare sulla sfera di competenze (macroeconomiche e giuridico-costituzionali) dei "giovani" filosofi che si occupano di scienze sociali?

      Mi pare francamente gli si attribuisca un eccesso di legittimazione - e di rilevanza- che non merita una perdita di tempo nella sfera fenomenologica.
      E' molto più utile, pragmaticamente, occuparsi di Cassese, poiché non è la categorizzazione teorica dei vari attori sociali che ci interessa, ma la dialettica concreta della comunicazione e cioè dell'esercizio del potere all'interno di questa struttura. Che ben sappiamo come si autodefinisce, che Losurdo lo afferri o meno, ESSI si autodefiniscono in modo veritiero e coerente con la loro prassi tangibile!
      Ergo: l'analisi critica va fatta sulla struttura, cioè sull'esercizio del potere che si manifesta come autoconsolidamento: perché è già prassi di restaurazione della democrazia.

      Poi i "filosofi" (politici o morali: la distinzione, lo sai bene, è del tutto oziosa, in un ordinamento capitalista neo-liberale quasi "puro") continuassero a dire ciò che vogliono: il loro dire serve ad alimentare un mestiere che, peraltro, ha senso ormai solo come sovrastruttura di conservazione dell'assetto di potere.

      Liberiamo noi stessi; forse libereremo pure loro (e il loro ostentato "non avere idea"), in soldoni.

      https://orizzonte48.blogspot.com/2017/09/lincubo-del-contabile-e-vivo-e-lotta.html?showComment=1505926574914&m=1#c3071362437437548202

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    4. “Ecco, la difesa della democrazia sostanziale e dei principi fondamentali della Costituzione è ora più che mai da esercitare.”

      Non so se il commento è OT…….. Qui Basso quando parla dell’articolo 3:

      Ed ecco allora il senso del secondo comma dello stesso art. 3 da me introdotto:

      “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del paese”.

      Messo immediatamente di seguito al primo, questo comma ha un netto significato polemico: la Costituzione stessa riconosce che un principio fondamentale, come quello dell’eguaglianza, non è e non sarà rispettato in Italia finché non muteranno radicalmente le condizioni economiche e sociali.
      Ma la stessa polemica si rivolge, può dirsi, contro tutta la Costituzione: nessuna libertà è effettiva finché sussistono le attuali condizioni; il voto dei cittadini non è uguale finché perdurano ostacoli di ordine economico e sociale che limitano di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini; la stessa sovranità popolare, base della democrazia, è un’illusione se non tutti i lavoratori possono partecipare effettivamente all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
      Da ciò discende un’altra conseguenza importante.
      L’ordine giuridico è stato sempre edificato a difesa dell’ordine sociale, per impedire o punire i tentativi di modificarlo; ora, per la prima volta, abbiamo nell’ordinamento giuridico una norma che condanna l’ordine sociale esistente e impone allo Stato di correggerlo.
      In altre parole se nella concezione tradizionale la pretesa di modificare l’ordine sociale costituiva un’offesa all’ordinamento giuridico, oggi è vero il contrario: è la volontà di conservazione dell’ordine sociale che costituisce un’offesa allo stesso ordinamento giuridico. Non dirò naturalmente, che la prassi di questi trent’anni si sia conformata a quest’ordine costituzionale. Ma l’affermazione rimane e sta a noi esigerne l’applicazione, anche con il voto del 20 giugno. La Costituzione - diceva Lassalle agli operai tedeschi - siete anche voi perché siete una forza e la Costituzione è, in ultima istanza, un rapporto di forze.»

      http://orizzonte48.blogspot.com/2017/09/cntri-di-irradiazion-vs-legalita.html

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    5. Peraltro basterebbe avere coscienza del fatto che esiste una gerarchia delle fonti molto chiara, come è molto chiaro cosa debba, in teoria, succedere in caso di contrasto tra fonti, per rendersi conto immediatamente che un'interpretazione prevalente del genere sia da considerarsi sbagliata senza alcun dubbio, quand'anche fosse vero (e mi è difficile crederlo, anche se il nostro tempo ci ha insegnato a non dare più niente per scontato) che la maggior parte dei giuristi considerino possibile che una fonte sottordinata possa superare la fonte suprema del diritto che è la Costituzione.

      Certo, nonostante oggi in molti manuali venga proposta una gerarchia fantasiosa in cui il diritto dell'UE compie due salti superando prima il diritto internazionale e poi la costituzione, credo che ancora non esista nessuna legge che abbia imposto questa interpretazione, mutando di fatto la vera gerarchia delle fonti. Senza contare il fatto che un provvedimento del genere evidentemente sarebbe incostituzionale per manifesta illogicità, se posso usare quest'espressione.

      Il problema vero degli studenti e dei giuristi in formazione a mio parere, che ben potrebbero accorgersi di queste cose, è l'indole con cui approcciano lo studio, quella per cui il fine ultimo del loro percorso è l'utilità economica che dovrà derivare da una sistemazione lavorativa tale per cui lo studio viene visto soltanto come un noioso passaggio obbligato che può risultare più facile e breve soltanto se affrontato senza approfondimento, in modo mnemonico e acritico, accettando come vero a prescindere, solo perché scritto su un libro, tutto ciò che si legge, senza fermarsi mai a ragionarci su o a verificare se qualche passaggio su cui si riesca comunque a nutrire un dubbio sia vero, per non dire giusto (e a tal fine la costituzione dovrebbe essere sempre il "metro" di cui servirsi, il faro per ogni giurista) e concentrandosi solo su quelle specifiche conoscenze che saranno funzionali a svolgere un certo tipo di lavoro al quale si ambisce, rinunciando a sviluppare una visione di insieme non solo delle varie branche del diritto ma anche, più in generale, delle scienze sociali e di altre discipline come la storia o la filosofia, che sono necessariamente interconnesse.

      Dunque perché non nasca l'esigenza di conoscere, approfondire, connettere e in ultima istanza sviluppare la passione politica che potrebbe culminare nella candidatura a occupare un posto nelle istituzioni per servire al meglio il proprio Paese, con onestà e competenza come le abbiamo intese su questo blog, è sociologicamente spiegabile tenendo presenti le condizioni e l'ambiente in cui oggi mediamente un ragazzo cresce: un contesto generale in cui la propria famiglia fatica sempre di più da un punto di vista economico con tutto quel che ne deriva, una scuola che non forma più ma informa soltanto, e sempre più nella logica dell'utile-necessario (l'alternanza scuola lavoro di Renzi ne è l'emblema) e un ambiente in cui le frequentazioni a cui si ha accesso sono portatrici sempre più di svantaggi che di benefici, sul piano dello sviluppo della propria personalità, del proprio carattere e delle proprie inclinazioni in una direzione conforme all'idea di uomo che avevano i nostri Padri costituenti (spiegata bene in un'intervista di messora a scardovelli, che consiglio a chi non l'abbia vista), a causa del degrado sempre crescente a cui ci condanna il dominio attuale del liberalismo. Perchè oggi il mondo vada in questo senso lo sappiamo, e lo abbiamo imparato anche grazie all'opera divulgativa di questo blog. A noi pochi non ci resta che continuare a "resistere" studiando e divulgando a coloro che frequentiamo, per diventare sempre di più.

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    6. Bravo Dario.
      La prima parte del tuo commento, in modo particolare, è un segnale confortante.

      Rammentiamo pure l'elaborazione di Crisafulli sulla gerarchia delle fonti come "sistema di garanzia" democratico nella sua essenza più importante di tutti.
      Come tragicamente appare ormai dimenticato. Ma ai massimi livelli giurisprudenziali: laddove si teorizza ormai obliquamente il contrario. Con nonchalance.

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    7. Grazie presidente, parte del merito va anche a lei per la sua attività divulgativa che per me è stata ed è decisiva per approcciare lo studio del diritto (ma anche la lettura di un libro su questi temi, di articoli o l'ascolto dei talkshow e dei Tg) in modo costituzionalmente orientato, cioè nel modo giusto, riuscendo a individuare subito le "pillole avvelenate" e le menzogne che ci vengono propinate nei libri, sui giornali e in TV.

      A dar retta ai libri, o ad aspettare che i professori spieghino bene cose come la gerarchia delle fonti da intendere come sistema di garanzia democratico o, ancor peggio, che a farlo sia qualcuno in TV, considerando il bombardamento mediatico quotidiano in senso contrario, a quest'ora sarei un "incosciente felice", liberale ed €uropeista. Per questo la ringrazio.

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    8. Mi azzardo a dire che è ormai l'intero ordinamento giuridico a non essere più tale, cioè ordinamento.

      In primo luogo, se la gran parte delle norme viene creata al livello comunitario, cioè fuori dalla sede naturale del Parlamento, la Costituzione perde necessariamente quel ruolo di guida dell'attuazione del programma economico sociale in essa iscritto.
      Potrà al più, anche senza negarne formalmente il ruolo di fonte sovraordinata, fungere da parametro esterno in base al quale operare il consueto controllo ex post, eventuale e "a risorse vincolate", da parte della Corte Cost., di singole 'pezzi normativi' di un indirizzo politico determinato da organismi internazionali, che ovviamente non contemplano, né sono tenuti a farlo, il programma economico costituzionale.

      Altro aspetto, strettamente conseguente, della dissoluzione dell'ordinamento sta nella mancanza di tassatività delle norme, il cui contenuto generico e indeterminato trova un chiarimento o talora una specificazione adatta soltanto "al caso concreto" nelle normazioni "secondarie" recate dagli organi dell'esecutivo.

      Un terzo aspetto, anch'esso ampiamente trattato sul Blog e correlati agli altri, si verifica con il supino riconoscimento del carattere giuridico vincolante erga omnes a 'norme interne' degli operatori privati in posizione dominante a livello internazionale.
      Che siano le norme di Basilea, giù giù fino ai mille protocolli e attestazioni di qualità su processo aziendale e prodotto.

      In tutto ciò, il legislatore italiano non tocca palla, e nemmeno ne avrebbe le capacità. Infatti, in un circolo vizioso a velocità crescente, l'assenza o la perdita di capacità 'interna' (in tutti i poteri costituzionali e settori della società) legittima e rende necessitato il ricorso "allo straniero".

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    9. @Duccio Tessadri
      Potremmo dire che oggi l'Italia è in Europa un vero e proprio territorio annesso, considerando l'attuale assetto giuridico-economico che si è venuto a instaurare. Non credo che si possa neanche parlare di un rapporto sul modello Stato(Europa)-Regioni(Stati membri), lo troverei troppo "concessivo", direi invece proprio un rapporto di Impero-Province. Gli ordinamenti interni, concordo, di fatto non esistono più, salvo quello della Germania, e l'esercito europeo su cui oggi si spinge molto costituirebbe il passo finale perfezionante di quest'annessione.

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  3. Il controllo culturale dell' accademia da parte delle e a cascata dei media ,pianificato da decenni come descritto in diversi post degli ultimi tempi ,ha tolto dal senso comune l' idea d' interesse pubblico .E' disperante vedere che "scarsità di risorse"e sottomissione al "mercato" siano comuni a tutti i 3 contendenti alle prossime elezioni ,come se i fatti sociali non fossero una creazione umana governabile da norme ma un processo naturale come la fotosintesi .Disperante la pochezza culturale indotta ,a mio avviso,da una pochezza delle persone che ho constatato parlando con eletti del Movimento che ho sostenuto:l' argomento "Non possiamo parlare di unione europea ,euro ,sennò non ci capirebbero "sta a significare che per quelli che patiscono la deflazione salariale indotta dal paradigma liberista non c'è neanche la possibilità d' una rappresentanza .Quindi zitto e a testa bassa ,chissà per quanto tempo

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    1. qui un'interessante articolo sull'istruzione negli Stati Uniti http://www.unz.com/runz/the-myth-of-american-meritocracy/

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  4. Faccio i miei più vivi complimenti a Bazaar per la sua analisi e aggiungo che l'Europa comincerà a cambiare quando ricoprirà le sue radici classiche.

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  5. Allora sarà questo…. Se no mi arrendo :)

    Ecco le profetiche analisi e soluzioni offerte da Basso nel 1949 (!):
    "La nostra analisi non sarebbe compiuta da un punto di vista marxista se non cercassimo di trarne le necessarie deduzioni sull’atteggiamento che il movimento operaio deve assumere di fronte a questa tendenza totalitaria in atto del mondo capitalistico.
    Ora il punto di partenza per trarre utili deduzioni deve essere questo appunto, che noi non siamo in presenza di un fenomeno involutivo particolare all’Italia e spiegabile con motivi particolari tratti dalla nostra storia, e, meno ancora, dalla nostra educazione politica o dalla nostra psicologia (v.qui, p.10, qui e qui), bensì di una tendenza generale del mondo capitalistico, che, quanto più procede verso forme monopolistiche e di alta concentrazione (qui, p.4), tanto più diventa incompatibile con un regime democratico, e sia pure di democrazia borghese.
    Le forme democratiche possono sussistere, ma sono svuotate di ogni contenuto e di ogni reale efficacia, in quanto il potere politico tende ad identificarsi sempre più col potere economico e ad essere sempre più espressione degli interessi dei pochi gruppi monopolistici.

    Questo processo, che si verifica in tutti i paesi capitalistici e naturalmente si inserisce nelle particolari situazioni sociali e storiche (per cui se il fenomeno in se stesso non è spiegabile con motivi particolari dei singoli paesi, questi motivi particolari diventano importanti per capirne e combatterne gli aspetti determinati e le espressioni diverse che esso assume nei differenti paesi), si trova oggi coordinato su scala mondiale dalla guida dell’imperialismo americano, che tende ad unificare il mondo, sia i paesi coloniali che i paesi a economia capitalistica, sotto una comune norma di sfruttamento, adattata alle più diverse circostanze.
    Ne consegue che, in ogni singolo paese, politica internazionale (e cioè vincoli di subordinazione verso l’America e di inserimento nel “grande spazio” dello sfruttamento americano), politica economico-sociale (tendente a favorire i gruppi monopolistici più forti e quindi, in via normale, quelli di portata internazionale, garantendone i profitti a scapito del tenore di vita dei lavoratori e dei ceti medi e a scapito dell’indipendenza delle piccole, medie e talvolta anche relativamente grandi imprese), e politica interna (tendente ad escludere le classi lavoratrici da ogni reale influenza sul potere e successivamente ad eliminare ogni serio controllo parlamentare e di opinione pubblica, asservendo i sindacati, la stampa, ecc.) sono in realtà tre aspetti di un’unica politica, che non possono essere considerati e combattuti separatamente.

    http://orizzonte48.blogspot.com/2017/10/lunica-possibilita-la-profezia-di-basso.html?spref=tw

    però…. dopo il post continua con il primo commento che ho postato

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  6. "Cosa c'è che non funziona nella mente di persone che propongono come unica via senza alternative l'unica via che porta da nessuna parte?" (cit. Bazaar)

    Tempo fa mi fu suggerito proprio da Orizzonte 48 di appofondire il lavoro di Thorstein Veblen, che per primo parlò di 'idle curiosity' nel contesto del suo approccio evoluzionista allo studio dell'economia e delle istituzioni.

    https://en.wikipedia.org/wiki/Thorstein_Veblen

    Per rispondere alla domanda di Bazaar mi sono ricordato che per Thorstein Veblen uno dei motori primari del liberismo/capitalismo è l'istinto predatorio ("predatory phase" of culture in the sense of the predatory attitude having become the habitual spiritual attitude of the individual).

    Ora il problema stilizzato di capire l'evoluzione nel tempo della popolazione delle prede e dei predatori fu studiato per primo dal matematico Vito Volterra (1860-1940).

    https://en.wikipedia.org/wiki/Lotka%E2%80%93Volterra_equations

    Se per semplificare identifichiamo i lavoratori come prede dei capitalisti (i.e. quarto partito e rentier nel ruolo dei predatori, in quanto rendita e profitto sono salario non corrisposto al lavoratore), e diamo una occhiata al grafico dell'andamento nel tempo delle popolazioni nel link precedente, è facile vedere delle oscillazioni ed i periodi di guerra (in cui cala sia la popolazioine delle prede che quella dei predatori).

    Se fosse vivo oggi immagino che Thorstein Veblen, osservando la storia del novecento, direbbe che:

    - il liberismo/liberalismo persegue, evoluzionisticamente parlando, la minimizzazione del numero di predatori, postulando che vi possa essere stabilmente una abbondanza relativa di prede;

    - il socialismo democratico, sotto l'influenza della 'work aristocracy' di leniniana memoria, vagheggia invece l'aumento illimitato dei predatori nel centro dell'impero (tendenzialmente tutti predatori in patria e prede solo nelle colonie, lontano dagli occhi, lontano dal cuore);

    - il socialismo persegue l'azzeramento dei predatori e l'aumento delle prede (che senza predatori cessano di essere predate e quindi evolvono 'ipso facto' ad uno status superiore).

    Personalmente osservo invece che, dal punto di vista evoluzionistico, la Costituzione contempla una variante mai vista: lo Stato democratico pluriclasse come predatore dei predatori (cioè che secondo necessità nazionalizza, interviene in economia, tassa, pianifica e regolamenta per ostacolare l'eccesso di predatori, che altrimenti condurrebbe alla guerra ed al calo della popolazione totale).

    Chiudo osservando che pur nella estrema semplificazione e semiserietà di questo ragionamento (o sragionamento, se fosse fatto all'osteria) probabilmente non esiste un solo cammino verso 'la verità' (sempre ammesso che esista).

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    1. La sociopatia è un'espressione di psicopatia... e una persona si può considerare veramente sana solo quando impara ad amare. (Gli psicopatici invece, al contrario, pretendono di essere amati "per sindrome di Stoccolma"... il potere è infliggere dolore!)

      Direi che in una Costituzione democratica lo Stato cessa proprio di essere Leviatano in quanto semplicemente è esponenziale del popolo stesso. Direi che rappresenterebbe la comunità sociale che tutela se stessa dal comportamento "anarchico-liberista" delle cellule cancerogene: sarebbe in primis un sistema immuno-umanitario.

      (Al limite lo proporrei come Behemot che schiaccia il vero Leviatano, il Mercato... almeno stando sulla scia di Terra e Mare di Schmitt arrivando a Dugin...)

      Già dividere favolisticamente in predatori e prede gli esseri umani, che sono tutti diversi in forma e capacità, ma uguali nella categoria sostanziale (l'Uomo: astenersi esistenzialisti e liberalharendtiani, ecc.; l'elitismo si basa sull'inversione assiologica, quindi sull'inversione tra forma e sostanza, tra contenuto - significato - e contenitore, ossia significante, ecc.)

      È curioso che a differenza dell'italiano, dove il termine "amore" ha un richiamo diretto a quello passionale ed esclusivo tra uomo e donna, i termini "love", "liebe", "lubov", condividono l'etimologia che deriva proprio da quella da cui nasce la parola "libertà", nel suo senso proprio: ossia quello che, salvo imprecisioni, dovrebbe derivare alle origini "dallo spazio che trova il seme per fiorire"...

      ("Amare" significherebbe "rimuovere gli ostacoli di ordine materiale che di fatto non permettono al seme di fiorire e di partecipare pienamente al mondo della vita"...)

      Stando con Hegel, la Verità è il "cammino stesso"... a proposito di boccio, fiore e frutto :-)


      (Alla fine non c'è da inventarsi nulla, i problemi di oggi sono solo supercazzole dei medesimi a cui si è già trovato risposta e rimedio secoli fa. Solo che ce lo siamo dimenticati e siamo meno consapevoli degli uomini preistorici)

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    2. Grazie Bazaar.
      Eppure, parlando all'infinito di questa benedetta Costituzione, avevamo così tanto sottolineato, - a partire dal discorso in costituente di Basso citato in "Euro e/o democrazia costituzionale" (per capirsi: laddove pone fine, dimostrandone la strumentalità al dominio oligarchico capitalista, all'equivoco della voluta continua contrapposizione tra ogni singolo cittadino e Stato)- che la democrazia costituzionale è un processo di coscienza di massa che, come aveva precisato Rosa Luxemburg, assume il carattere di "pressione ininterrotta".

      La democrazia, appunto, NECESSARIA, quella disegnata nella NOSTRA Costituzione: «perché solo in essa, nella lotta per la democrazia, nell’esercizio dei suoi diritti il proletariato può diventare cosciente dei propri interessi di classe e dei propri compiti storici».
      Entia non sunt multiplicanda.

      Però, mi si consenta, Veblen, un uomo di acutissima e "ribelle" intelligenza, lo avrebbe compreso e, probabilmente, apprezzato.

      Se non lo fece esplicitamente, nell'arco della sua vita (che terminò alle soglie prodromiche della crisi del '29), è perché, in definitiva, la sua stessa esistenza, consisté in una lunga e personalissima lotta difensiva contro il dominio politico-accademico del potere WASP e la sua "etica". Che a lui piaceva deridere.

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    3. A proposito di sociopatia, riporto quanto pensava il Luigino nazionale sul progetto Vanoni (e quindi sulla programmazione):

      …Il piano Vanoni risponde alla necessità di fare intervenire lo stato a fare nel decennio 1955-64 ciò che è necessario affinché il reddito nazionale, il risparmio e gli investimenti crescano in modo che al finir del decennio siano assorbiti i quattro milioni di disoccupati che nel decennio si produrranno.

      Il problema da lui posto non è quindi di intervento dello stato per smussare le punte all’insù e dei cicli economici; ma di previsione delle variazioni le quali dovrebbero verificarsi nelle quantità economiche se si intende assorbire i 4 milioni di unità di lavoro che si prevede saranno offerte, nel decennio dal 1955 al 1964, sul mercato in più di quelle che nel 1954 erano occupate. Non si discute come provvedere ad una disoccupazione temporanea; sibbene COME CRESCERE PERMANENTEMENTE LA OCCUPAZIONE DAL TEMPO ATTUALE AL TEMPO FUTURO

      quando lo stato, mosso dal buon cuore, ordina agli agricoltori di occupare dieci lavoratori dove basterebbero otto, od ai datori di lavoro di USARE PREFERENZE A MUTILATI, EX COMBATTENTI, REDUCI, non è forse cagione di incremento di costi e quindi di limitazione nelle vendite e perciò nella produzione e nella occupazione? Quando, con dazi protettivi, incoraggia le imprese le quali lavorano a costi alti; QUANDO CON I VINCOLI ALLE MIGRAZIONI INTERNE FALSA I LIVELLI DEI SALARI, tenendoli qua più bassi e là più alti di quello che sarebbe il livello corrente normale, forseché non limita la produzione e non cresce la disoccupazione?...

      l’istinto naturale dell’uomo in cerca del profitto ha ragion di prevalere sulle prediche del dovere verso il bene della nazione, verso l’interesse collettivo. NESSUNO SA CHE COSA SIANO I BENI E GLI INTERESSI NAZIONALI O COLLETTIVI; e sarebbe ora di finirla con l’affettato disprezzo per la ricerca del profitto come cosa repugnante e dannanda
      . (segue)

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    4. E venuto di moda commiserare e quasi lodare chi perde e guardare con sospetto chi guadagna; laddove la perdita è indizio di imperizia od avventatezza ed il profitto di capacità e di inventività. CHI PERDE DEVE ESSERE ELIMINATO E CHI GUADAGNA ESALTATO… Fa d’uopo però non condiscendere all’andazzo di guardare di massima al profitto con ribrezzo, quasi si trattasse sempre di roba rubata. Volesse il cielo fossero molti coloro i quali, dopo aver pagato i salari normali ai lavoratori, l’interesse corrente ai fornitori di capitale, le remunerazioni dovute ai dirigenti ed a se stessi come organizzatori dell’impresa, ancora si trovano in mano un profitto! Vorrebbe dire che molti sono coloro i quali sanno vedere quali e quanti siano i bisogni degli uomini e li sanno soddisfare al costo minimo. Purtroppo la razza di cotali uomini è troppo poco prolifica, e non è tanto numerosa quanto occorrerebbe perché i profitti scompaiano presto a causa della moltiplicazione dei beni prodotti a costi e prezzi ribassati…

      Tutto sommato, in fatto di risparmi e di investimenti privati, il più che può chiedersi allo stato… sembra ridursi all’osservanza delle antiche tradizionali regole: MONETA STABILE, IMPOSTE NOTE E CERTE, legislazione mutabile solo in seguito a seria pubblica discussione, irretroattività delle leggi, libertà di associazione per lavoratori e datori di lavoro, sistemi di assicurazione, di assistenza sociale, e di istruzione i quali garantiscano a tutti uguaglianza nei punti di partenza …Trattasi di principî ovvi ed universalmente accettati, per cui non occorrono piani di massima, né progetti esecutivi. Basta, come per i dieci comandamenti, osservarli…
      ” [L. EINAUDI, Prediche inutili, Di Ezio Vanoni e del suo piano, Torino, Einaudi, 1956, 89-130].

      Come un soggetto dichiaratamente darwinista - che non ha mai saputo cosa sia “l’interesse nazionale e collettivo” - abbia potuto giurare sulla Costituzione, è mistero sempre più doloroso. (segue)

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    5. … Come ha avuto occasione di osservare il compianto nostro amico Piero Calamandrei, la chiave di volta per intendere lo spirito della Costituzione è data dal capoverso dell’art.3: “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.

      Il significato di quest’articolo è chiaro. Esso dice che la democrazia non ha soltanto un aspetto formale ma uno sostanziale, che non si tratta semplicemente di far funzionare alcuni ingranaggi, come il suffragio universale, ma che è necessaria l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica economica e sociale del Paese, perché questi ingranaggi acquistino un reale contenuto democratico…

      Ben si comprende quindi che esso incontri tanti ostacoli da parte delle classi dirigenti italiane, ostacoli sia di ordine giuridico-politico (mancata attuazione degli ordinamenti costituzionali dopo dieci anni dall’entrata in vigore della Costituzione stessa e progressiva clericalizzazione del Paese), SIA DI ORDINE ECONOMICO-POLITICO (PERSISTENZA DELLA DISOCCUPAZIONE STRUTTURALE ED ABBANDONO DI OGNI REALIZZAZIONE DEL PIANO VANONI, persistenza dei fenomeni di analfabetismo, dello squilibrio Nord-Sud, ecc., aggravamento della collusione fra i grandi interessi privati e i pubblici poteri, ecc.), che praticamente sbarrano la strada all’effettiva democratizzazione del Paese.

      Dev’essere però altrettanto chiaro, per una seria analisi della situazione italiana e per una seria valutazione delle forze sociali e politiche che in essa operano, che la persistenza di queste condizioni ostative allo sviluppo della democrazia non è frutto di una maledizione che pesi sul nostro Paese e comunque di una condizione di cose indipendenti dalla volontà dei dirigenti, ma è invece espressione della politica tradizionale della nostra classe dirigente, è, cioè, una condizione di cose che scaturisce dalla stessa origine storica dello Stato italiano e dalla debolezza della sua borghesia capitalistica…
      ” [L. BASSO, La via pacifica al socialismo e la realtà italiana di oggi, Nuovi argomenti, settembre -dicembre 1957, n. 28/29, 1-38].

      (Einaudi non deve avere l’ultima parola)

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    6. @Francesco

      sei l'ottavo nano della "miniera"

      un abbraccio ..

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    7. Ciao Poggio! Spero tu stia bene. Un abbraccio a te

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  7. cari tutti, mi interessa approfondire il Piano o Schema “Vanoni”, potete darmi qualche indicazione? grazie

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    1. sperando di non violare le norme sui diritti d'autore... http://www.svimez.info/images/PUBBLICAZIONI/MONOGRAFIE/m_48.PDF

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    2. @ mrsme

      Sullo “schema Vanoni” segnalo il libro di Gianni Marongiu, scaricabile qui anche in pdf, versione più economica, nonché il libro di Varni - Barca, edizione Franco Angeli, ordinabile qui

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