domenica 28 gennaio 2018

LIBERALISMO E ANOMIA. DISINTOSSICARSI DAL RELATIVISMO

Questo post di Bazaar, nelle circostanze correnti, va considerato (come egli stesso suggerisce), un'occasione per "staccare un po'...". In apparenza può risultare impegnativo: ma, almeno per il lettore "seriale" del blog, molto probabilmente non sarà così.
Ve ne fornisco un abstract utilizzando quello fornito dallo stesso Bazaar:
"In realtà, dietro alla riflessione che allego, c'è il tentativo di creare consapevolezza sulla necessità di fondare fenomenologicamente le scienze sociali... anche solo come processo di "disintossicazione cognitiva".
Quindi cerco di dare qualche "stimolo enciclopedico" per capire il senso (e l'importanza) dell'epistemologia nel formare coscienza critica.
Gli assunti e la tesi sono semplici: 

1- la fondazione delle scienze sociali è legata "ad un atteggiamento etico" e ad una Weltanschauung. (la Costituzione è in questo senso chiarificatrice).  
2- per via riduzionistica possiamo individuare due grandi "atteggiamenti etici" e due grandi "paradigmi": quello "naturalista" (che porta all'alienazione e alla tecnocrazia) e quello "storicista" (che porta al Politico della tradizione umanitarista) 

3- il paradigma nelle scienze svolge quello che nel giornalismo è il "framework" 

4- I due grandi atteggiamenti morali sono: 

 (I)  "tutti gli uomini sono uguali nella sostanza" quindi il classismo è una stortura inumana (la vita umana non ha prezzo ed è inalienabile)
(II) "Tutti gli uomini sono uguali nella forma ma nella sostanza sono diversi": queste persone sono diverse per "natura", quindi l'ordine sociale deve "conservare" la sua essenza "naturale" (a qualsiasi costo)

5 - poiché i due grandi paradigmi difendono quelli che sono anche interessi materiali in dialettica, gli obiettivi per cui questi sono strumentali sono opposti e, quindi, le stesse proposizioni logiche fondamentali sono generalmente invertite: queste creano continuamente "relativismo" a tutti i livelli del pensiero umano.

6 - questo "relativismo" è un fatto sociale che porta al nichilismo e, in ultimo, come ci portano ad indurre sociologici moderatamente conservatori, porta al suicidio e all'annichilimento  

7 - Questa assenza di una precisa "normazione" che regola l'intersoggettività a tutti i livelli, si manifesta come dissonanza cognitiva (e disturbi psicologici di varia natura): si propone che l'agente primo di questo disturbo che diventa un fatto sociale sta proprio nel "paradigma", "nel framework" che è padre di qualsiasi "precomprensione" e distorsione cognitiva dell'attualità (e del mondo della vita in genere, creando le premesse per qualsiasi descrizione del mondo)

8 - in pratica questa "anomia" porta all'incomunicabilità tra individui atomizzati, irrelati e non rapportabili a causa della mancanza di un vero linguaggio comune: la solitudine esistenziale si manifesta come fatto antropologico e strutturale. Ossia una malattia dell'umanità stessa che trova nella "natura" la sua "alienazione" e, in definitiva, la morte".
Liberalismo ed anomia: riflessioni intorno al suicidio.
«Il presupposto di razionalità ha in materia economica un preciso significato. 
Secondo la teoria neoclassica, in particolare, un agente è razionale se, dopo aver considerato tutte le informazioni a sua disposizione, agisce in modo tale da massimizzare la propria funzione obiettivo
Si tratta di una razionalità di tipo strumentale: l'individuo definisce l'obiettivo da raggiungere e opera le proprie scelte per ottenerlo senza trascurare di utilizzare tutte le informazioni e le risorse disponibili.» [De hominibus oeconomicis...]

«Ma cosa era del sole? Quale giorno portava sopra i latrati del buio? Ella ne conosceva le dimensioni e l’intrinseco, la distanza dalla terra, dai rimanenti pianeti tutti: e il loro andare e rivolvere; molte cose aveva imparato e insegnato: e i matemi e le quadrature di Keplero che perseguono nella vacuità degli spazî senza senso[1] l’ellisse del nostro disperato dolore »

https://m.popkey.co/3e62e8/g6xkg.gif
« Ebbene sì.
Sono colpevole.
Non assomiglio per nulla all'agente razionale. »
« Sono colpevole perché non sono efficiente.
Sono colpevole perché ho sprecato le mie opportunità.
Sono un debole. Un perdente. Un fallito »

https://i.pinimg.com/736x/d3/00/6c/d3006c8477302b2947ae15c8dbd90fc9--top-sci-fi-movies-matrix-quotes.jpg

FENOMENOLOGIA DEL SUICIDIO COME FATTO SOCIALE
« […] la teoria diviene una forza materiale non appena si impadronisce delle masse », Karl Marx, “Per la critica della filosofia del diritto di Hegel”

1 – Uno scarto esistenziale
Secondo il fenomenologo marxista Cesare Luporini, la base coscienziale del socialismo – inteso nel  senso proprio di “pensiero volto alla realizzazione sostanziale della democrazia” – è individuabile in uno «scarto esistenziale», ossia in un «non completo identificarsi dell’individuo sociale nel ruolo o nella funzione sociale che lo definisce, gli imprime il suo carattere, ma unilateralmente lo limita», «potenzialmente acuto in quanto vissuto dagli oppressi e dagli sfruttati, ma che si riflette o retroagisce sui dominanti e sul loro produrre ideologia». Ovvero, «o si raccoglie in un qualche sforzo collettivo di ribellione» o «si disperde individualisticamente»

La mancanza di un qualsiasi partito di massa o di un’organizzazione strutturata che abbia una missione politica o sindacale di carattere socialista, e la pachidermica stazza, finanziaria e sociale, dell’industria dell’evasione e dell’intrattenimento che propina globalmente la sua cucina sedativa ai moderni lotofagi (come li chiamava Adorno) polverizza metodologicamente questo disagio, fatto di solitudine, inadeguatezza ed insicurezza.

Il liberale individuo astratto, l'agente razionale che microfonda gran parte del paradigma economico egemone, è tornato a sostituire la concezione umanistica propria del materialismo socialista, che identifica la concreta persona umana come centro di rapporti sociali.
E il rapporto sociale fondamentale, per motivi materiali e spirituali legati indissolubilmente all'antropologia stessa, è quello che si sviluppa nella forma del lavoro.
« Tutte quelle pellicole hollywoodiane... quelle promesse... i soldi, il successo, una casa spaziosa ammobiliata con raffinatezza borghese... una bella moglie... i bambini felici che corrono in giardino... le vacanze da sogno... la macchina, la carriera... il prestigio.

Exclusive
...
L'escluso sono io: comincio ad essere brizzolato e, da sempre, non ho una casa, non ho soldi per poter neanche portar a bere un aperitivo una donna... non ho la macchina... ho sempre lavorato a tempo determinato e non mi sono fatto una professione... i lavori più umili sono sempre più occupati da immigrati... ho recentemente provato a fare il lavapiatti, ma bengalesi per 25 euro al giorno soddisfavano ampiamente la domanda dei ristoratori... non posso avere una famiglia... avere una prole.

Mi è stata tolta pure la dignità di essere chiamato proletario.

Ora mi umiliano invitandomi a mangiar insetti e cibo scaduto...

Non mi sento di parlarne con nessuno. Mi vergogno. Sono solo »

2 – Definizione di anomia e alcuni spunti di riflessione
Il termine (etimologicamente “mancanza di norme”) « è stato introdotto nel linguaggio sociologico dal funzionalista É. Durkheim, il quale, nell’opera La division du travail social (1893), definì anomiche quelle società fondate sulla divisione del lavoro in cui non si dia solidarietà sociale. 
Per Durkheim una situazione di anomia è del tutto abnorme, potendosi produrre solo in periodi di grave crisi, ovvero di boom economico («crises heureuses»), durante i quali la rapidità del mutamento sociale non consente alle norme societarie di tenere il passo con le molteplici sollecitazioni e istanze emergenti nel sistema sociale, che lascia così senza direzione normativa i propri componenti o buona parte di essi ».[2]
In pratica, la mancata integrazione o l'impossibilità di dare un senso al proprio lavoro parcellizzato nell'ineffabile logica dei processi produttivi, lasciano l'individuo senza quei riferimenti morali della società, atomizzata ed incapace di indirizzare gli individui solidaristicamente e predisporne un atteggiamento volto all’inclusività, con la conseguenza di portare i lavoratori a seguire le proprie pulsioni senza freni inibitori: aumentano così devianza, agitazioni sociali, infelicità e stress.

Tutto ciò diventa estremo nel caso, ad esempio, di crisi economica, dove, secondo questa analisi dalla prospettiva funzionalista, l'inerzia ad adattarsi delle istituzioni non riesce a produrre un adeguato sistema valoriale che aiuti l'individuo ad adattarsi alla situazione sopraggiunta, tenendendo conto che – secondo questa prospettiva – non sono le istituzioni che devono fare in modo di adeguare la struttura sociale al lavoratore, ma è l’individuo che deve essere indirizzato affinché si adatti alla struttura sociale.[3]
Quanto appena descritto rimane comunque una situazione generalizzabile a qualsiasi grande cambiamento, durante il quale, anche in epoca o situazione di abbondanza, quest'abbruttimento tende a manifestarsi: «Più uno ha, più uno vuole, poiché le soddisfazioni ricevute semplicemente stimolano invece di soddisfare i bisogni» (Durkheim [1897] 1951, 248)

«Quando non c'è altro scopo se non superare costantemente il punto in cui si è arrivati, quanto è doloroso essere respinti! […] Poiché l'immaginazione è affamata di novità, e non governata, brancola a casaccio»(257).
«I desideri illimitati sono insaziabili per definizione e l'insaziabilità è giustamente considerata un segno di morbosità. Essendo illimitati, costantemente e infinitamente superano i mezzi sotto loro controllo; non possono essere estinti. La sete inestinguibile e costantemente rinnovata, tortura»(247).

«Nella misura in cui l'individuo è lasciato a se stesso e liberato da ogni costrizione sociale, è libero anche da tutti i vincoli morali»
L'anomia porterebbe alti tassi di comportamento egocentrico, di violazione delle norme e conseguente delegittimazione e sfiducia nei confronti dell'autorità. Secondo Durkheim, i desideri e gli interessi personali degli esseri umani possono essere tenuti sotto controllo solo da forze che hanno origine al di fuori dell'individuo.[4]


2.1 Prime riflessioni
Il significato di una condizione anomica è il medesimo per qualsiasi classe sociale?
Il rampollo di buona famiglia, che inizia la sua giovanissima carriera in qualche società di consulenza anglosassone in cui vige l'egomania metodologica, è sottoposto al medesimo smarrimento del precario, del sottoccupato o del disoccupato?
(La risposta è dentro ognuno di noi ed è probabilmente ovvia: meno a moralisti o a buddisti che producono saggezze del tipo « i sentimenti che vive il barbone scalzo, nel vedere il vicino con un paio di scarpe consunte, provocano il medesimo malessere che vive il finanziere che attracca in un porto di fianco ad uno yacht più bello e grande del suo » ...ecc...ecc... e via, con microfondazioni di rivoluzioni interiori e amenità varie)

Ora: dato poi il riferimento a queste necessitate “forze esterne” che dovrebbero raddrizzare, con la forza o meno, il comportamento considerato sregolato e deviante, la prospettiva paternalistica e, di conseguenza, intrinsecamente classista, emerge con tutte le sue potenziali conseguenze: la risposta a questo male sociale sarà tendenzialmente di carattere autoritario e punitivo.[5] Eventualmente con l'aggravante di un appesantimento di pubblica condanna morale, magari sospinta dalla motivazione per cui l’autorità intenderebbe colmare questa carenza di guida morale; guida morale a cui la società moderna, alle prese coi suoi ritmi frenetici, non riuscirebbe a rimediare.

Moralismo, colpevolizzazione e repressione possono diventare importanti strumenti di controllo sociale, di fatto funzionali al mantenimento dello status quo.
Questa è effettivamente stata prassi storica dello Stato liberale: quell’ordine sociale che è tornato prepotentemente con l'europeismo ed il globalismo finanziario e che, storicamente, ha condotto ai regimi fascisti.
Ciò può aiutare, quindi, ad intuire da quale paradigma di pensiero possa aver trovato supporto quell'oppressione fisica e morale che, tramite istituzioni e organizzazioni, è stata esercitata con violenza nei regimi totalitari.
(Non tendete con naturalezza alla funzione a cui siete stati predestinati? Lo Stato minimo, ossia lo Stato apparato, ci penserà lui a mettervi in riga, a rimettervi a posto: con tanto di omelia clericale, religiosa o secolare)

3 – Funzionalismo sociologico: Durkheim e Merton
«Un posto per ogni cosa, ogni cosa al suo posto »[6]
Se per  Durkheim la devianza è il prodotto  di questa incapacità delle complesse società moderne di fornire indicazioni etiche adatte alla realizzazione e all'inclusione dell'individuo, focalizzandosi invece sugli obiettivi mal formulati nella cultura di una società industriale, il funzionalista Robert Merton  modifica il concetto di anomia ponendo l'accento sull'incoerenza tra indicazioni etiche[7], mezzi materiali ed obiettivi.
Questa incoerenza, che porterebbe ad un diffuso “deragliamento morale”, tende nella fase descrittiva ad assomigliare di più a quello scarto esistenziale vissuto dalla persona umana che, a livello soggettivo, i teorici del conflitto[8] imputano all'alienazione dovuta allo sfruttamento classista. 

I mezzi istituzionalizzati per raggiungere gli obiettivi proposti da quella che, ricordando Guy Debord, possiamo definire la società dello spettacolo, sono il duro lavoro e la sudata istruzione. Di conseguenza è largamente accettato che, coloro i quali non ce la fanno, sono intrinsecamente pigri o in qualche modo inetti.[9]

Se le cattive condizioni sociali patite dai ceti meno abbienti diventano un fattore rilevante, i comportamenti devianti sono “necessari” (inevitabili) in quanto “funzionali” e, di conseguenza, diventa necessaria e funzionale la repressione poliziesca. (Una risposta che viene data da questa scuola di pensiero consiste nel suggerire il rafforzamento delle istituzioni “non economiche” come le chiese o la scuola pubblica; in definitiva per motivi di “indottrinamento”).

A causa del fatto che il successo economico e lo status sono gli obiettivi fissati dalla coscienza collettiva, come direbbe Durkheim, il sistema di giustizia penale (già nei regimi liberali) ha cominciato a cercare nell'ambiente sociale iniquo ciò che causa questa anomia, mettendo conseguentemente pressione affinché le autorità bilancino i mezzi attraverso i quali il “successo” sia effettivamente raggiungibile.  (“Deriva otto-novecentesca” verso il liberalismo sociale contro il quale i liberali classici, dalla rivoluzione marginalista in avanti, si sono scagliati con grande dispendio di mezzi).

4 – Premesse di carattere epistemologico
« […] in ogni campo i fatti osservati e rilevati acquisiscono un significato soltanto se organizzati e ordinati secondo un paradigma teorico » Carlo Cipolla, 1988

In questa riflessione non ci interessano quindi – in se stessi – il paradigma[10] e la relativa interpretazione di  Durkheim del fenomeno anomico, proprio in quanto sociologo “funzionalista” e, di conseguenza, epistemologicamente da relazionarsi all'organicismo naturalista del liberalismo respinto in Costituzione[11]. Ci interessa il suo lavoro in relazione al paradigma conflittualista accolto de facto nella Carta del ‘48, ci interessa la sua descrizione positiva, basata su una ricerca empirica del fenomeno dei suicidi, mentre, a livello teorico-coscienziale, ci interessano le categorie che possono essere aggiornate per comprendere il framework concettuale dell'attuale ruling class neoliberale.

Poiché nell'organicismo del funzionalismo sociologico, dato l'arbitrario atteggiamento[12] epistemologico, la devianza non è da imputarsi alla struttura sociale classista che genera oppressione, sfruttamento e conflittualità, ma è la conflittualità stessa ad essere una devianza, un “malfunzionamento” (della gestione politica?) di un ordine sociale che sarebbe naturalmente corretto e “giusto”, il problema da affrontare, quindi, secondo una logica di questo paradigma, non è la disfunzionalità ab origine[13] dell'ordine sociale esistente rispetto ai fini generali pubblicamente propagandati, ma è quello dei comportamenti devianti di gruppi sociologici che non riescono ad adattarsi accettando il loro posto ed il loro ruolo nella comunità.

In brevissimo: nelle scienze sociali che formano il paradigma “conservatore” – che trova fondamento nella morale elitista e nel naturalismo positivistala dialettica politica, tendendo a modificare in senso progressivo la società, è ritenuta una devianza da un presunto “ordine naturale”, da ciò che  Hayek chiama  kosmos.
Poiché l'attuale ordine è contraddistinto da una suddivisione concettuale che struttura la società in due grandi classi con interessi diametralmente opposti – quella dei proprietari dei mezzi di produzione in posizione di oligopolio e quella di coloro che esercitano qualsiasi attività o funzione per vivere – qualsiasi iniziativa politica volta a eliminare condizioni di svantaggio sociale, politico ed economico per nascita, è considerata innaturale, deviante.
Quest'ordine sociale, come per qualsiasi oggetto indagato dalle scienze naturali, non deve essere interpretato e significato, ma semplicemente descritto.
Poiché l'ordine sociale è dato – ovverosia non forgiato dall'Uomo che con la potenza del suo ingegno porta la Storia – dovranno essere le discipline che lo descrivono ad essere “interpretabili”, ribaltando soggetto con oggetto, il fine con lo strumento per raggiungerlo, la causa con l’effetto, significato con significante[14], portando nell'esperienza a risultati grotteschi dove il “positivo” stesso viene vilipeso insieme alla logica aristotelica, tanto che l'economia mainstream, ad esempio, viene diffusamente considerata una pseudoscienza.[15]
Poiché l’obiettivo ultimo della naturalizzazione dell’economico e del sociopolitico è gettare falsa coscienza intorno all’oppressione e allo sfruttamento, è consequenziale che lo stesso processo divulgativo e mediatico abbatta l’unico vero tabù di una comunità scientifica che si possa definire tale: il rispetto del dato empirico.

Quindi, poiché la Weltanschauung elitista porta ad organizzare il pensiero fondamentale in modo “tolemaico”, la dissociazione cognitiva sarà tendenzialmente pervasiva in relazione alla percezione di tutti i grandi temi sociali che trovano fondamento fenomenologico nell'Etica[16], rendendo strutturale l'anomia[17]. Poiché l'anomia stessa risulta essere funzionale, l'autorità potrà “intervenire sul problema”, a discrezione, sulla falsa riga del principio di sussidiarietà[18].

Che di questo scarto esistenziale la classe egemone ne sia assolutamente cosciente, e lo strumentalizzi e lo alimenti, lo dimostrano le analisi sulla struttura della propaganda sviluppate da Goffman, secondo il quale l'attualità viene mostrata dagli organi di informazione tramite framework[19]naturali” che identificano gli eventi come fenomeni fisici che letteralmente si verificano in modo naturale e a cui non viene associata la responsabilità di forze sociali nella loro causazione.

Dalla prospettiva funzionalista, segnatamente nella sua microfondazione liberale, tutto ciò che interviene, come lo Stato, a modificare (progressivamente) la norme sociali esistenti, è deviante, patologico, da contrastare; non ci sono norme “ingiuste” da cambiare, semplicemente queste non sono abbastanza impresse nella coscienza individuale.
Risulta così utile, quindi, inserire un altro concetto sociologico, riscontrabile nella teoria del controllo[20], per cui la devianza viene considerata il risultato di un'ampia esposizione a determinate situazioni sociali per cui gli individui si lascerebbero andare a comportamenti non conformi alle norme sociali. I legami sociali sarebbero usati – nella teoria del controllo – per aiutare le persone a non cedere a questi comportamenti devianti. (A non cedere alla “tentazione”...)

(Prestare sempre attenzione alla questione etico-epistemologica: se l'agente primo del malessere sociale non è da ascriversi allo sfruttamento di un ceto sugli altri, gli sforzi politici sono volti a sedare moralisticamente, religiosamente, mediaticamente, ipnoticamente, farmacologicamente gli sfruttati (v. Huxley); oppure a reprimerli poliziescamente (v. Orwell) – sfruttati che, al limite, possono essere riciclati per far lavori “sporchi”... non necessariamente in campi di lavoro forzato)
In questo esempio di tipicamente liberale funzionalismo sociologico, non vi è alcuna particolare considerazione che si articoli negli interessi contrapposti tra classi, viene semplicemente descritta una situazione in cui il legame tra anonimi individui e la generica società sono labili, non esiste un'attiva partecipazione istituzionale e i vincoli morali che trattengono l'individuo dall'agire in senso antisociale sono deboli. [21]

Tutto ciò che non è funzionale all'ordine naturale – il residuum umano – e che non si adegua tramite i sistemi di coercizione, viene gestito con le regole di ciò che l'epistemologia – in riferimento alla fondazione morale elitista e al positivismo organicista – può mostrare come scienza sociale parte del paradigma reazionario: la demografia di ispirazione malthusiana.
(Un anello di collegamento immediato per comprendere il legame paradigmatico di queste tre scienze sociali è, ad esempio, Herbert Spencer, (i) liberale  tra i padri fondatori della (ii) sociologia funzionalista che dai lavori di (iii) Malthus e Darwin diffonde il concetto di “darwinismo sociale”)[22]
La domanda fondamentale che da queste premesse si pone il sociologo funzionalista, risulta essere: cosa permette agli individui di conformarsi?[23]

4.1 Un diagramma e brevi riflessioni

Si noti come nel funzionalismo sociologico della teoria del controllo si dia per scontato che il mercato si autoregoli tramite il sistemi dei prezzi, la concorrenza e la quota di mercato sia, in definitiva, assegnata per legge naturale.
Il mercato si autoregolerebbe in modo provvidenziale grazie alla decentralizzata generosità (v. self-command) dei virtuosi agenti razionali del mercato. Lo Stato sociale può solo perturbare quest'ordine naturale. (Gli oligopoli privati non sono tipicamente contemplati per fede)[24]

Si noti anche come il clan control e il controllo burocratico siano applicabili sostanzialmente alle organizzazioni private, che, anch'esse, si dovrebbero autoregolare.
«Il programma del liberalismo […] se sintetizzato in un'unica parola, sarebbe da leggere: proprietà, che significa il diritto alla proprietà privata dei mezzi di produzione […]. Ogni altra istanza del liberalismo deriva da questa istanza fondamentale », Ludwig Von Mises [25]
E chi non è proprietario dei mezzi di produzione? È forse per nascita in un contesto più anomico che altri? L’unica socialità sarebbe da ricercare nell’appartenenza a organizzazioni private?

5 –  Durkheim: il suicidio come fatto sociale
Non è nostra intenzione studiare la correlazione in sé tra crisi economica e suicidi: questa è studiata dalle prime pietre miliari della sociologia moderna e, per la silenziosa brutalità del tema, si può presentare un percorso di crescita tanto a livello cognitivo, quanto umano, per l’estrema sensibilità che occorre raffinare per equilibrare quelli che sono i risultati di un’analisi essenzialista, scientifica e adatta a produrre una descrizione oggettiva, con ciò che ne è la sua interpretazione soggettiva.

L'obiettivo, per un umanista ed un democratico, rimane sempre e solo socializzare la coscienza critica.
Ci focalizziamo sul lavoro di Émile Durkheim perché propone la categoria di anomia in correlazione al suicidio come fatto sociale.

Egli raggruppa quattro diverse categorie: suicidio per anomia, per egoismo, per altruismo e per fatalismo.
Le quattro categorie possono essere anche utili nell'ambito della prospettiva del conflitto in quanto, come risulterà da subito evidente, queste non sono immediatamente applicabili a qualsiasi classe sociale, ma sono tendenzialmente funzionali – nella società nel suo complesso – a descrivere le dinamiche di quelle subordinate.
(Si noti il rilievo che si dà all'aspetto morale come pure avverrà nella prospettiva del conflitto weberiana: viene rimossa la centralità del conflitto distributivo in quanto motore materiale del divenire politico, e si pone staticamente, evidenziando con enfasi, ciò che nella teoria del conflitto marxiana si limita ad essere una “sovrastruttura” dei rapporti di forza originari dovuti alla struttura sociale: l'ideologia morale e religiosa)

5.1 – Il suicidio anomico riflette la confusione morale di un individuo e la mancanza di direzione sociale, che è collegata a drammatici sconvolgimenti sociali ed economici.
È il prodotto della deregolamentazione morale e della mancanza di definizione di aspirazioni legittime attraverso un'etica sociale vincolante, che potrebbe dare significato e ordine alla coscienza individuale. Questo è sintomatico di un fallimento dello sviluppo economico e della divisione del lavoro nel produrre la solidarietà “organica” (necessaria nelle società industriali, contrapposta a quella “meccanica” delle comunità sociali semplicemente strutturate), come definita da Durkheim. Le persone non sanno come inserirsi nelle loro comunità sociale. Durkheim spiega che questo è uno stato di disordine morale in cui le persone non conoscono i limiti dei loro desideri e vivono costantemente in uno stato di delusione. Questo può accadere quando le persone attraversano cambiamenti estremi nei livelli di ricchezza; sicuramente questi riguardano tanto lo scenario di rovina economica, quanto quello in cui sorgono grandi guadagni imprevisti - in entrambi i casi, le precedenti aspettative della vita vengono spazzate via e sono necessarie nuove aspettative prima che possa essere valutata la nuova situazione in rapporto ai nuovi limiti.

5.2 Il suicidio egoistico riflette un prolungato senso di non appartenenza, di mancanza di integrazione in una comunità. Deriva dal senso di suicidio per cui l'individuo non ha legami. Quest'assenza può causare insensatezza, apatia, malinconia e depressione.  Durkheim definisce tale distacco “eccessiva individuazione”. Quegli individui che non sono sufficientemente legati a gruppi sociali (e quindi a valori ben definiti, tradizioni, norme ed obiettivi), saranno lasciati con un limitato supporto e riferimento sociale, e saranno quindi più propensi a suicidarsi.  Durkheim ha inferito che il suicidio si verifica più spesso tra le persone non sposate, in particolare tra gli uomini non sposati,  relativamente ai quali ha concluso avessero meno legami e collegamenti a norme ed obiettivi sociali.[26]

5.3 – Il suicidio altruistico è caratterizzato dal senso di essere sopraffatti dagli obiettivi e dalle convinzioni di un gruppo. Succede nelle società in cui l'integrazione è molto alta, dove i bisogni individuali vengono considerati meno importanti dei bisogni della società nel suo insieme, ossia la situazione opposta in cui si produce il suicidio “egoistico”. Poiché l'interesse individuale non sarebbe considerato importante, Durkheim affermò che in una società “altruistica” ci sarebbero poche ragioni che incentivino il suicidio.

5.4 – Il suicidio fatalistico si verifica quando una persona è eccessivamente regolamentata, quando il suo futuro è impietosamente bloccato e le passioni violentemente soffocate da una disciplina oppressiva. È l'opposto del suicidio “anomico” e si verifica in società così oppressive che i loro abitanti preferirebbero morire piuttosto che vivere. Ad esempio, alcuni prigionieri in un campo di di lavoro potrebbero scegliere la morte piuttosto che vivere soggetti a costante vessazione e ad eccessiva regolamentazione.[27]


6 – Conclusioni (fondazione fenomenologica del Test di Orwell)

Il liberalismo – come pure l’anarchismo – influenzando la descrizione del mondo, la coscienza, in modo da far percepire il potere istituzionale e delle collettività organizzate (arché) come tendenzialmente  ingiusta limitazione di una presunta libertà naturale[28], e vedendo quindi nella regolazione un fattore non accentuativo ma limitativo delle libertà, produce anomia. Chiaramente, poiché anche la mancanza di una direzione morale è essa stessa già una forma di direttiva, rimane libero da ogni intralcio il potere sociostrutturale –  il kratos – espressione dei puri rapporti di forza derivanti dalla classe di appartenenza. Appartenenza che è tale per nascita o al limite per cooptazione.

6.1 – La legge di Hume
«In ogni sistema di morale con cui ho avuto finora a che fare [...] all’improvviso mi sorprendo a scoprire che, invece di trovare delle proposizioni rette come di consueto dai verbi è e non è, non incontro che proposizioni connesse con dovrebbe e non dovrebbe.
Questo mutamento è impercettibile, ma è della massima importanza. Poiché questi
dovrebbe e non dovrebbe esprimono una relazione o affermazione nuova, è necessario che […] si adduca una ragione di ciò che sembra del tutto inconcepibile, cioè del modo in cui questa nuova relazione può essere dedotta dalle altre, che sono totalmente diverse da essa » David Hume, A treatise of human nature, da cui la omonima Legge di Hume: «è logicamente impossibile passare dall'essere al dover essere, dedurre prescrizioni da descrizioni, valori da fatti».

Insomma, il giusnaturalismo liberale (e cattolico) sono, nella loro fondazione epistemologica, in pieno contrasto con la legge di Hume.
L'anomia può essere quindi considerata un portato stesso del naturalismo applicato alle scienze sociali. Non solo delle relative teorie che propongono l'individualismo metodologico alla Menger, Weber, Hayek o Popper: ma anche di chi, per quanto portatore di una visione olistica, analizza dalla prospettiva funzionalista come studiosi del calibro di Durkheim o Merton
In pratica la concezione naturalistica della società paluda con il positivismo un paradigma che, in realtà, si propone di normare l'organizzazione umana.

Questo capovolgimento di ciò che è dell'Uomo (dello Spirito), con ciò che è alieno all'Uomo (appartenente alla Natura)[29], ossia trattando ciò che è artificiale come se fosse naturale, porta ad una inversione dei rapporti causali dei fenomeni sociali e – dal punto di vista epistemologico – porta all'inversione degli enunciati nomologici.[30]

L'anomia può essere considerata una malattia sociale, una malattia del pensiero che conduce, in ultimo, a quella che è la sintomatologia della sociopatia; questa trova genesi negli squilibri generati dai rapporti di produzione, e i suoi vettori di diffusione – in quanto sovrastrutture di questi rapporti sociali che i ceti privilegiati lottano per  conservare – sono tanto le comunità scientifiche, quanto i mezzi di comunicazione di massa che permettono, non solo di divulgare acriticamente i differenti paradigmi relativizzando i punti di vista in base alle differenti teorie che concorrono a formare il dibattito scientifico, ma permettono di manipolare e relativizzare i dati stessi. 
Gli effetti sulla comunità sociale sono totalitaristicamente nichilistici, in quanto, oltre a paludare la violenza dell’oppressione e dello sfruttamento, destrutturano psicologicamente le persone aggredite, in perenne stato di stress psicologico e dissociazione cognitiva. Quindi l’anomia viene alimentata dal ribaltamento della verità fattuale, dal ribaltamento del gusto estetico proprio dell'arte e, in definitiva, dal ribaltamento dell'etica sociale secondo un'assiologia “luciferina”.

Il relativismo morale del liberalismo di cui il disagio anomico è espressione, può trovare per definizione unico limite nella sovranità dello Stato etico della tradizione democratica e sociale, non a caso sotto attacco dalla tecnocrazia economicistica, cosmopolita e globalista.
La spoliticizzazione e le relative liberalizzazioni e privatizzazioni, sono l’espressione del consolidamento di egemonie tiranniche che, per perpetuarsi con sicurezza[31], hanno bisogno di infliggere dolore psicologico, di cui il fatto anomico è la manifestazione più eclatante in contesti di radicali trasformazioni e ingegnerizzazioni sociali.

Fatto sociale che, considerato nel suo distopico parossismo, diventa fatto antropologico che porta con sé gravi ricadute deontolologiche, teleologiche e, in definitiva, dal punto di vista della storia universale, propriamente escatologiche.

Da questa riflessione emerge come l’emancipazione dei gruppi sociali in posizione subalterna, non sia semplicemente emancipazione di classe, ma – riconosciuta nel suo profondo intimo la dinamica storica – questa risulta essere emancipazione della specie umana nel suo complesso.
Lo stesso assunto elitista per cui esisterebbe un gruppo umano razzialmente superiore e destinato al godimento esclusivo del prodotto del lavoro, è un infondato atto di fede (tanto assolutamente, quanto banalmente,  interessato; per miopia, avidità e vigliaccheria).

Insomma, l'anomia può essere considerata il portato ultimo dell'elitismo che si materializza come suicidio dell'Uomo stesso.



[1]     « Destituiti di apparato sensorio e quindi di sensitiva. » [ C.E. Gadda, “La cognizione del dolore” ]
[3]     È immediato intuire che, se la struttura è naturalisticamente data, il darwinismo sociale (v. Spencer) trova il proprio senso nel momento in cui la partecipazione alla distribuzione del valore prodotto dipende dall’adattabilità dell’individuo alla società, non viceversa.  (Chiaramente, se al posto del liberale individuo astratto, si considera la persona umana come eguale nella sostanza a tutti i componenti della società umana, è evidente che ci sarà coscienza affinché sia la società ad adattarsi politicamente alla persona umana, in quanto la società ne risulterebbe lo specchio, il riflesso. Un riflesso che non sia la falsa coscienza del , ma la reale identità che si forma in un contesto intersoggettivo).
[4]     http://www.faculty.rsu.edu/users/f/felwell/www/Theorists/Essays/Durkheim1.htm: si noti come si ritenga l'individuo incapace di qualsiasi autocontrollo senza i limiti morali imposti dalla società. L'intervento dell'autorità non sarà quindi volto a eliminare le condizioni sociali che portano, ad esempio, a violare la legge; questa si impegnerà ad aumentare il condizionamento della propaganda e ad aggravare le sanzioni associate alle norme giuridiche.  Sarebbe quindi necessario un “SuperIo” istituzionalizzato? Un Leviatano? Un Grande Fratello che scruti impudentemente e giudichi l'adesione alla Legge come una divinità? La risposta totalitaria pare essere sempre l'inevitabile esito finale di questo approccio ai fatti sociali.
[5]     http://criminology.wikia.com/wiki/Durkheim%27s_Anomie_Theory: si noti in questo link segnalato come dagli albori della sociologia moderna venga riconosciuta una correlazione diretta tra grande immigrazione e insanabili conseguenze di carattere criminogeno.
[6]     « A place for everything, everything in its place » – Benjamin Franklin
[7]     Ovvero, non è che semplicemente non ci siano norme volte ad un maggiore benessere materiale e spirituale: queste ci sono ma sono controproducenti.
[8]     Il padre della sociologia secondo la prospettiva conflittualista è Karl Marx.
[9]     Nell'ideologia liberale va da sé che, se nell'esistenza individuale l'etica sociale non permette di raggiungere gli obiettivi posti in funzione dalla classe di appartenenza, Ha-Joon Chang ha chiarito pure come, analogamente, a livello internazionale, i ceti dominanti delle potenze egemoni « calcino via la scala » con cui si sono arrampicati in posizione di vantaggio: l'economista coreano spiega bene la dinamica a proposito del mantra liberoscambista con cui paesi colonialisti impongono i trattati free trade. Si può sostenere, quindi, che il liberalismo sia un'ideologia moralistica imposta come etica sociale dai ceti egemoni a quelli subalterni o da subordinare (come nei mercati coloniali). Ideologia che impone leggi morali valide solo per chi vive del proprio lavoro; ovvero  falsa coscienza che impedisce agli oppressi tanto di difendersi – inibendo la lotta per le rivendicazioni di classe – quanto di prendere proprio la consapevolezza stessa di essere sfruttati; il carnefice si presenta come “Natura”, come “Gaia”, come mano invisibile di Dio, incolpando moralisticamente le vittime:  se l'organizzazione umana non funziona naturalmente, allora sono le persone umane a non adattarsi a causa di comportamenti viziosi ed immorali. (Accidia, ozio, lussuria e riproduzione bestiale, irresponsabilità nel loro inquinare e riscaldare il pianeta, ecc.). Vizi di persone che non sanno stare al loro posto sotto la sedicente élite.  Il relativismo morale che si traduce nella tirannia dei valori dell'oppressore, è quindi tipico del capitalismo liberale che è anomico per definizione. L'unica legge è la Legge dell'impersonale Mercato. Quindi, secondo la logica predatoria e sfruttatrice, non è la Legge per l'Uomo, ma l'Uomo per la Legge. Il lavoro non è una vocazione della persona umana frustrata dal classismo, ma una chiamata della naturalistica struttura sociale ad essere responsabili. Ovverosia, ad esercitare una particolare funzione. (Nell’ermeneutica del codice di comunicazione “liberale”, responsabilità significa “accettazione totale dell’individuo all’impietosa irregimentazione in funzioni alienanti di subalternità”). Funzione che può essere anche quella di arruolarsi nell'esercito industriale di riserva o, semplicemente, come nel pensiero malthusiano, sparire dal mondo della vita se non “esiste un posto” funzionale all'efficientamento della società organizzata in classi.
[10]   Secondo Kuhn i paradigmi sono "strutture concettuali" che, condizionando il modo in cui gli scienziati guardano al mondo, non sono tra loro confrontabili in quanto privi di un comune dominio di problemi, soluzioni, entità ammesse, “fatti”, osservazioni e tecniche sperimentali.  Questi possono non avere “alcun termine teorico comune”, cosicché le rispettive comunità scientifiche avrebbero preclusa ogni possibilità di comunicare. Quine, con la tesi della cosiddetta "sottodeterminazione" (underdetermination) empirica delle teorie per cui, non essendo le teorie completamente determinate dai dati osservativi, teorie fra loro logicamente incompatibili e basate su assunti ontologici diversi possono spiegare il medesimo insieme di fenomeni e avere lo stesso importo predittivo (conseguenze osservative). Nota: balzando dal contesto scientifico per via analogica a quello psicosociale, Kuhn spiega, in pratica, anche il motivo per cui lo “spirito di scissione” comporta poi, a livello relazionale, un progressivo isolamento dal proprio gruppo sociale di riferimento della persona che acquisisce coscienza, descrivendo questa il mondo con un “paradigma” – e un linguaggio – del tutto diverso. Quine chiarisce invece come in economia – nonostante il paradigma di economia politica post-keynesiana e socialista sia, per gli interessi che di fatto difende, in contrapposizione con quello neoclassico e liberale – è possibile una discussione formale tra tutti gli studiosi, formando un’unica comunità scientifica internazionale, indipendentemente dal paradigma abbracciato (fenomenologicamente, il primo è un paradigma che de facto difende gli interesse del fattore capitale, mentre il secondo difende gli  antitetici interessi  materiali del fattore lavoro).   
[11]   Notare che un “conservatore” come Durkheim  fa emergere dai suoi lavori una sensibilità ed un atteggiamento verso i problemi sociali piuttosto diversi da sociologici della prospettiva funzionalista quali Spencer o Pareto: si noti che la sociologia funzionalista, basata sul positivismo, nasce comunque con una spinta intellettualmente più progressiva, in contrapposizione all’individualismo del liberalismo classico, con la concezione olistica ed altruistica di Auguste Comte.
[12]   L’atteggiamento, fondamento della morale individuale, è arbitrario per definizione. L’arbitrio viene considerato “libero” o meno rispettivamente in funzione della Weltanschauung “umanista e storicista” –  da cui l’impero della Politica – o “naturalista e determinista” (da cui l’impero della Tecnica).
[13]   Nella sociologia conflittualista di genesi marxiana, l'origine – l'agente primo – dei peggiori disagi sociali è da ricercarsi nei rapporti di proprietà e di produzione che provocano esclusione sociale; ciò avviene a causa, tanto della divisione del lavoro, quanto della rigida divisione della società in classi, in cui chi vive del proprio lavoro è in una condizione di totale subordinazione di chi è proprietario dei mezzi della produzione e controlla la vita economica.
[14]   A livello ontologico viene invertito il rapporto tra forma e sostanza.
[15]   L'inversione “Spirito/Natura” viene in questo lavoro proposta come fondazione fenomenologica dell'elitismo (per classe, religione o razza). (Come spunto di riflessione, si può pensare ad un capovolgimento simile nella storia della dottrina cristiana che, con la sua “clericalizzazione”, muove dalla ricerca del divino nell'evangelico “Gesù Figlio dell'Uomo”, a quello più prettamente medievale “Natura idest Deus”) .
[16]   Chiaramente il positivismo, per definizione, si disinteressa della propria fondazione in quanto si dichiara avalutativo e impegnato al mero “spiegare” i fenomeni sociali per via analogica a quelli naturali, senza un tentativo ermeneutico e critico come proprio dello storicismo (dove la Storia è fenomenologia dello Spirito e, ad essere relativizzati, non sono i principi assiologici, ma la concreta personalità storica che in via dialettica ci si confronta) . Inoltre, la microfondazione delle scienze sociali basate sull'individualismo metodologico porta, come fondamento dell'indagine sociologica, la psicologia. Notare che Pareto, per difendere questo atteggiamento epistemologico che si svincola da qualsiasi filosofia morale, deve ricorrere ad argomentazioni di filosofia morale, prendendo comunque una posizione di carattere etico (« anche per affermare che non è necessario fare filosofia è necessario fare filosofia », cfr. Aristotele). Come d'altronde lo stesso Nietzsche, che si definiva “filosofo immorale”, prescriveva la strasvalutazione di tutti i valori o, al limite, la loro soggettività, che, in definitiva, diventa la soggettività del più forte: il tiranno dei valori (cfr. Schmitt).  L'amoralità o l'avalutatività, nascondono sempre una valutazione ed un atteggiamento morale ed interessato. (cfr. Husserl riguardo al metodo scientifico)
[17]   Il liberalismo è apologia dell'anomia.
[18]   Si pensi al significato di sussidiarietà nell'economia sociale di mercato dell'Unione Europea, al textbook Keynesiasism o alla dottrina sociale della Chiesa. Il principio di sussidiarietà si può generalizzare come principio per il quale un determinato disagio sociale vuole essere coscientemente controllato ma non debellato. I fini della promozione del principio di sussidiarietà sono quindi strutturalmente classisti.
[19]   Si ricorda che i frame sono schemi di interpretazione all'interno dei quali i media inquadrano le notizie. Anche l'attualità scientifica viene trattata in questo modo, offrendo al lettore una prospettiva con cui accostarsi all'argomento trattato. E, come fa notare Habermas, « [i]l potere comunicativo [...] fa sentire i suoi effetti sulle premesse dei processi decisionali ». Queste strutture concettuali”, framework, paradigmi, agiscono come idee-guida,  "presupposizioni", che inducono tanto il consumatore più o meno critico di prodotti mass-mediatici, quanto lo scienziato, a ricondurre i fenomeni ad un preciso “modello dell'ordine naturale” (le osservazioni sono theory-laden, “cariche di teoria”). La precomprensione di testi e fatti si diffonde come falsa coscienza.  Kuhn fa notare come « gran  parte della ricerca scientifica svolta sotto l'influenza di un paradigma (la “scienza normale”) consiste così nel “forzare la natura entro le caselle prefabbricate e relativamente rigide fornite dal paradigma”, applicando il paradigma a settori sempre più ampi della realtà e spesso (secondo criteri non dissimili da quelli delineati da Quine) ignorando ciò che non si adatta ai suoi presupposti o introducendo ipotesi ad hoc tese a salvaguardarne i principi in presenza di fatti “recalcitranti” ». Nelle scienze sociali l'unica differenza consiste nel fatto che, viceversa, è il paradigma naturalista a  “forzare i fatti sociali entro le caselle prefabbricate e relativamente rigide fornite dall'ordine naturale”.
[20]   La conseguenza immediata è che la repressione poliziesca si baserà poi su un principio di reciprocità punitivo, dissuasivo ma non riabilitativo; privo di qualsiasi reciprocità di tipo solidaristico. L'esclusione sociale rimane funzionale mentre il soddisfacimento dei bisogni umani fondamentali diventa residuale.
[21]   Dalla prospettiva individualistica, stando con Adam Smith, il self-command, ovvero “il dominio di sé”, è tipicamente fondamentale nei negozi in economia di mercato, nei quali sarebbe necessario trattenere il proprio egoismo, il proprio amore di sé, il proprio narcisismo che porta a “stravincere”, in funzione del bene comune. (Poi ci pensa la cristianissima Provvidenza, la mano invisibile, a dare il massimo beneficio alla specie umana...)
[22]   Riflessioni simili di carattere epistemologico possono essere fatte anche nell'ambito del diritto, associando nel paradigma conservatore il costituzionalismo politico, il giusrealismo, o, in generale, l'ordinamento giuridico Common Law.
[23]   Si potrebbe affermare che, il conformismo e l'omogeneizzazione culturale a fini classisti ed imperialisti del capitalismo liberale, sono previsti dalla sociologia funzionalista: sono, in pratica, supportati “scientificamente”.
[24]   Si noti la corrispondenza nel grafico tra “sistemi di valori”, “sistema dei prezzi” e “amministrazione”: nel fantastico mondo ghematrico di von Hayek, se ogni rapporto con la società diventa feticcio e viene monetizzato/contrattualizzato, tanto la burocrazia amministrativa quanto l'hegeliana etica sociale, verrebbero ricondotti all' “ordine naturale” tramite il sistema dei prezzi. La durezza del vivere e l'affidarsi alla sorte sarebbero gestiti da impersonali “algoritmi” che in modo funzionale ed efficiente regolerebbero le piantagioni di esseri umani... Giusto per capire quale sia il comune senso della libertà per i liberali classici.
[25]   «[t]he program of liberalism [...] if condensed into a single word, would have to read: property, that is, private ownership of the means of production […]. All the other demands of liberalism result from this fundamental demand. »  LUDWIG VON MISES, LIBERALISM: THE CLASSICAL TRADITION 2 (Bettina Bien Greaves,
        ed., Liberty Fund, Inc. 2005) (1927). Chiaro? Il contendere tra liberalismo e socialismo non è il “possesso” o una generica proprietà: è la proprietà dei mezzi di produzione.
[26]   Si noti come dalla prospettiva del conflitto il suicidio egoistico sia in qualche modo direttamente ascrivibile all'anomia prodotta dal liberalismo se questa viene intesa come soprastrutturazione agli aspetti di carattere sociostrutturale, come le disuguaglianze economiche e la relativa esclusione sociale.
[27]   Anche in questo caso, dalla prospettiva conflittualista, la mancanza di normazione può trasformarsi dialetticamente in un “eccesso di normazione” come in quelle fasi geostoriche in cui il liberalismo non riesce ad imporsi in modo totalitario con l'uso esclusivo dei media di massa e necessiti, contestualmente, un intervento autoritario e repressivo che tuteli l'ordine liberale in essere. Ovvero un ordine in cui la proprietà privata dei mezzi di produzione in mano ai pochissimi rimanga sacra ed inviolabile.
[28]   “Tendenzialmente” in quanto la mano invisibile del legislatore (cfr. Lionel Robbins e, di converso, gli esponenti del pensiero ordoliberale) può attivamente intervenire a regolare l’economia se intende modificare in senso regressivo i rapporti di forza volti a consolidare la “libertà naturale”: quella di godere per nascita della possibilità di esercitare controllo politico tramite il controllo economico.
[29]   L'Uomo è oggettivamente parte della natura ma soggettivamente altro, quindi in dialettica con questa: il conflitto con la natura si manifesta tramite il lavoro, ovvero tramite la “trasformazione” di questa, in modo che l'esistenza umana sia la più piena, appagante e serenamente longeva. Il lavoro, con la sua spinta antientropica, può essere considerato come una battaglia contro la morte. La natura rappresenta quindi la morte.
[30]   A Marx veniva imputato da qualche bigotto di “invertire satanicamente l'ordine delle parole” (un po’ come ascoltare i dischi dei Led Zeppelin facendoli girare al contrario) riferendosi, ad esempio, al suo “Miseria della filosofia” in risposta alla “Filosofia della Miseria” di Proudhon: il punto è che gran parte della critica marxiana al “senso comune”, non solo quindi alle scienze sociali e alla celebre economia politica del Capitale, si avvale proprio del ribaltamento degli enunciati nomologici che organizzano l'ideologia della classe egemone. Questi spunti di riflessione volti a fondare fenomenologicamente le scienze sociali, spiegano l'origine di questa prassi analitica del padre delle scienze sociali moderne. Es. «  Non è la coscienza degli uomini che determina la loro vita, ma le condizioni della loro vita che ne determinano la coscienza », « l'uomo fa la religione, e non la religione l'uomo », « L'esigenza di abbandonare le illusioni sulla sua condizione è l'esigenza di abbandonare una condizione che ha bisogno di illusioni » oppure, rispondendo direttamente a Malthus che sosteneva che i proletari « sono poveri perché sono molti », Marx,  dopo aver empiricamente avuto accesso alle statistiche, constatava che i proletari « sono molti perché sono poveri ». 
[31]   Il mito irenico del cosmopolitismo federalista e liberoscambista – ovvero la retorica della pace – tipico della propaganda liberale, è da intendersi, nel suo reale obiettivo auspicato, come “serenità nel viversi il privilegio di classe”: ovvero come perseguimento della “pace sociale” per cui qualsiasi dialettica viene soppressa per “KO tecnico” dei ceti subordinati.

26 commenti:

  1. [Il 25 settembre 1946 la terza Sottocommissione della Commissione per la Costituzione inizia la discussione sul diritto di proprietà.]

    Taviani, Relatore, osserva che quasi tutte le Costituzioni contemporanee dedicano più di un articolo all'istituto della proprietà; mentre nelle Costituzioni del secolo scorso tale istituto era soltanto accennato tra i diritti della persona umana. Le Costituzioni contemporanee che non parlano della proprietà sono quelle che non trattano affatto i problemi economici, come quelle dell'Austria, della Turchia, della Lettonia, della Polonia. Altre Costituzioni trattano i problemi economici soltanto di sfuggita, e di conseguenza accennano brevemente al diritto di proprietà. Ha fatto questa permessa per chiarire che quella che può essere ritenuta un'eccessiva estensione dei tre articoli da lui proposti è dovuta al fatto che la Sottocommissione aveva deciso di trattare tutti i problemi economici, sia pure restando sul terreno dei principî. Non si può quindi fare a meno di trattare anche della proprietà, sempre sotto l'aspetto statico, perché trattandolo dal punto di vista del suo dinamismo si uscirebbe d'argomento per entrare nel tema trattato dall'onorevole Pesenti, riguardante più che la proprietà in quanto istituto, l'iniziativa privata o l'impresa.

    Gli articoli 1 e 2 del progetto di Costituzione, già approvati dalla prima Sottocommissione[i], affermano che la Costituzione ha come scopo l'autonomia, la libertà e la dignità della persona umana nell'ambito della vita sociale organicamente intesa, ed è per questo che, nel trattare il diritto di proprietà, ha voluto attenersi allo stesso principio ed ha così formulato il primo comma dell'articolo primo:

    «Allo scopo di garantire la libertà e l'affermazione della persona viene riconosciuta e garantita la proprietà privata frutto del lavoro e del risparmio».

    Si parla di persona e non di individuo; si parla cioè di un diritto della persona organicamente concepita nella società. Sul terreno dell'individualismo si potrebbe anche arrivare alla eliminazione dell'istituto della proprietà privata, mentre invece ne rimane il valore naturale, in quanto tende all'affermazione e alla garanzia della libertà della persona umana. Ritiene che, innanzi tutto, occorra stabilire che la proprietà viene riconosciuta dalla Repubblica italiana, e particolarmente la proprietà frutto del lavoro e del risparmio. Naturalmente su questo ci sarebbe da obiettare che vi sono altre specie di formazione del diritto di proprietà privata. Il Codice parla anche di accessione e di eredità. Per l'eredità il Relatore ha formulato un articolo a parte, ma per quanto riguarda l'accessione fa presente che essa è argomento particolare del diritto civile, e non è il caso di includerla in una Carta costituzionale.

    Affermato il diritto di proprietà e la garanzia di tale diritto, bisogna stabilire che cosa debbano sancire le norme della legge ed entro quali limiti il diritto di proprietà abbia una forma e un contenuto. Perché parlare di proprietà privata sic et simpliciter è troppo poco, in quanto la proprietà può essere sia quella assoluta del diritto romano, sia quella, limitata ai beni d'uso, della Costituzione russa. Il diritto positivo di proprietà è costituito dalla legge, dal codice, che stabiliscono le norme e inquadrano positivamente il diritto naturale di proprietà nei diversi momenti della contingenza storica; quindi il Relatore non si è limitato a fissare una garanzia e un riconoscimento del diritto di proprietà, ma ha voluto sancire che tale diritto ha i suoi limiti, e la sua precisazione nella legge. Sorge qui il problema vastissimo della conciliazione dei diritti e degli interessi del singolo con quelli della società.
    qui tutta la discussione http://www.nascitacostituzione.it/02p1/03t3/042/index.htm
    mi pare sia uno degli articoli meno compresi anche da chi sembrerebbe in buona fede

    RispondiElimina
    Risposte
    1. “mi pare sia uno degli articoli meno compresi anche da chi sembrerebbe in buona fede”

      Guarda che si tratta del solito “club dei polemici”… come lo chiama Bazaar … (e poi ti chiedi pure perché non ci va d’accordo).

      Comunque… e mi riferisco a twitter (per quanto riguarda la visibilità)…ma già ci sentiamo dopo le elezioni, che qualche sassolino dalle scarpe me lo tolgo con tutti:

      luca sant14 gennaio 2018 21:18

      Ormai ho veramente finito i giga per poter navigare (sto navigando a una velocità di 3Kb/s circa)

      Non so quando ci possiamo sentire (per una serie di motivi)… comunque Grazie di tutto 48… e grazie per questo (non mi stancherò mai di ripeterlo)… magari qualcuno anche dei nostri (senza virgole) capisce…. e magari capisce pure che dare visibilità ai “guardiani del male minore”…. non ci porta da nessuna parte (loro sono compatti.. noi NO…..lo dico in base al ragionamento di Bazaar…..vedi commento precedente)…. Questo è quello che penso….

      https://orizzonte48.blogspot.com/2018/01/e-venne-il-tempo-delle-competenze-la.html?showComment=1515961121274#c6082562247311976449

      e penso anche questo:

      E in fondo la questione dell'euro va vista solo su questo piano: uscirne per rimanere nel dominio incontrastatto dei "nipotini di Von Hayek" è un'operazione di facciata. Una beffa. Uscirne per ripristinare la sovranità dei diritti, costituzionale e universalistica, è la vera frontiera della democrazia.

      http://orizzonte48.blogspot.com/2013/11/il-rilancioliberoscambista-ue-usa.html?spref=tw

      aggiungo giusto la parte finale di questo commento di Bazaar, (e io sono d’accordo con lui):

      “Che poi tra "i nostri" (?) ci sia un branco di cretini ideologicamente antisocialista, quindi lontano dallo spirito della Costituzione che è ciò che ha unito e unisce gli Italiani, è risaputo ed è stato segnalato.

      Vedi, chi non si rifà coscientemente alla Costituzione, potrà essere parte del gregge sovranista e noeuro, ma non potrà mai essere democratico. Ossia rimarrà de facto collaborazionista ed eurista.”

      https://orizzonte48.blogspot.com/2017/09/cntri-di-irradiazion-vs-legalita.html?showComment=1504684280952&m=1#c6471139853260937586


      p.s. ma stiamo a vedere…. Io continuo a pensarla così… Quello che mi interessa è la Costituzione… tutto il resto son balle. PUNTO.

      https://orizzonte48.blogspot.com/2018/01/cio-che-lo-stato-fu-e-si-pensa-potrebbe.html?showComment=1516734963343#c7438363881746119904

      Elimina
  2. Interessantissimo post!!! Volevo solo chiederti Bazaar una opinione su un argomento che pure qui hai affrontato: umanismo. Dunque non so se conosci William James, uno dei maggiori esponenti del Pragmatismo, in um suo testo intitolato "Pragmatism: A new Name for some old ways of thinking", ad un certo punto nella 7a conferenza afferma che in accordo con Schiller(quello inglese del 1900 non omologo tedesco) le verità sono prodotti umani, dal momento che, stanti fattori di resistenza conoscibili esclusivamente tramite l'esperienza stessa,noi spezziamo i flussi della nostra esperienza a nostro piacimento creando i gli oggetti delle nostre proposizioni e solo le relazioni tra di esse possono avere valore di verità (ovviamente noi sceglieremmo quelle che crediamo avere effetti vantaggiosi per noi). Perciò risulta del tutto impossibile concepire realtà indipendenti dal pensiero umano. Credo che questo approcio sia esternamente efficace per smontare i surrogati sovrastrutturali che spesso e volentieri la classe dominante impone presentandoli come (ad es in materia economica) ineluttabili ed indipendenti dalle nostre volontà. Ovviamente ho esposto in estrema sintesi il punto. Quindi intendevo chiederti se ritieni la strada del pragmatismo come metodologia per permettere alle classi subalterne di emancipare le loro coscienze dal dominio culturale liberista (diciamo come anticamera per arrivare alla scoperta dei temi inerenti al materialismo storico, cui dubito in questa fase e in questo clima culturale qualcuno vi si avicinerebbe) efficace.

    Ps Potrei chiedere al curatore del blog di mettere tra i link a fianco magari una categoria con tutti i post di Bazaar o Arturo e simili?

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Francamente Williams James l'ho incontrato proprio facendo questa piccola ricerca.

      Vedo che ci sono degli studi per verificare il suo rapporto con la fenomenologia.

      Il punto è che la "fenomenologia" e il cognitivismo in genere non hanno di per sé una dimensione politica: l'esistenzialismo novecentesco ne è debitore ed è stato aspramente criticato dai marxisti per i risvolti reazionari.

      Voglio dire: il miglior allievo di Husserl - secondo lo stesso Husserl - fu Heidegger...

      Credo che gli strumenti forniti da Husserl possano essere fondamentali per un'avanguardia che si prenda la responsabilità di portare coscienza agli sfruttati.

      Innanzitutto perché la Società dello spettacolo sta raggiungendo il parossismo.

      Alla fine anche Lenin, che di prassi ne sapeva qualcosa, valutava tanto le varie scuole di pensiero filosofico quanto il pensiero contenuto nella grande narrativa (si pensi alle sue riflessioni sull'empiriocriticismo o su Tolstoij).

      Il punto è fornire al dibattito volto al pensiero collettivo strumenti efficaci per la formazione di coscienza critica.

      « Ruling out all dogmatic definitions of matter, Lenin repeatedly affirms that ‘the sole “property” of matter with whose definition philosophical materialism is bound up is the property of being an objective reality. . . .’ (ibid., p. 248); ,matter is a philosophical category denoting ... objective reality’ (ibid., p. 116). The basic significance of this ‘epistemological’, rather than dogmatic, conception of the primacy of existence over consciousness stands out even more clearly when Lenin underscores the ‘limits’ of this thesis: ‘Of course, even the antithesis of matter and mind has absolute significance only within the bounds of the fundamental epistemological question of what is to be regarded as primary and what as secondary. Beyond these bounds the relative character of this antithesis is indubitable’ (ibid., p. 134).

      Here, however, one might hesitate. Does Lenin’s emphasis on the ‘bounds of the epistemological question’ not justify a transcendental reflection á la Kant? More: is the analysis of what we have called the ‘implications of practice’ not reminiscent of an ‘analysis of essence’ of the Husserlian kind (an explanation of scientific ‘praxis’ as constitution; objectivity as an ‘intentional’ structure)? Undeniably, Husserl too contested the subjectivist, pragmatist, and empirio-critical interpretations of the great crisis of physics at the turn of the nineteenth century. Were not the struggle against dogmatism, the concern to provide a foundation for, and so save, the objectivity of the natural sciences, and the ‘description’ of scientific practice and its ‘claims’ among his major concerns? Manifestly, Husserl’s disciples could have found an echo of their doctrine in certain of Lenin’s formulations taken out of context.’
      »

      Semplicemente, se la filosofia della prassi non può che essere fondata su materialismo storico e materialismo dialettico, ciò non toglie che questa riflessione stessa è contenuta e deriva da una riflessione idealista e si fonda su un atteggiamento fenomenologico...

      Elimina
    2. Grazie Bazaar per lo splendido lavoro.

      @Andrea
      …ritieni la strada del pragmatismo come metodologia per permettere alle classi subalterne di emancipare le loro coscienze dal dominio culturale liberista (diciamo come anticamera per arrivare alla scoperta dei temi inerenti al materialismo storico, cui dubito in questa fase e in questo clima culturale qualcuno vi si avicinerebbe) efficace”.

      Le diverse fasi dell’irrazionalismo sono nate come risposte reazionarie ai problemi della lotta di classe…La svalutazione dell’intelletto, l’esaltazione acritica dell’intuizione, l’aristocratica gnoseologia, il ripudio del progresso storico-sociale, la creazione di miti sono i motivi che ritroviamo praticamente in ogni pensatore irrazionalista…

      Come in Germania, in quasi tutti i paesi che occupano posizioni preminenti nel periodo imperialistico l’irrazionalismo raggiunge forme altamente sviluppate. Ciò avviene con il pragmatismo nei paesi anglosassoni; con Boutroux, Bergson ecc. in Francia; con Croce in Italia…

      I bisogni ideologici affini, determinati come tali dall’economia imperialistica, provocano, in circostanze sociali concretamente diverse, varietà molto diverse d’irrazionalismo

      Per la sua essenza filosofica, il pragmatismo, di cui esamineremo qui brevemente soltanto il maggiore rappresentante W. JAMES, è di gran lunga più radicale in senso irrazionalistico…I predecessori diretti a cui James si ricollega in maniera polemica [sono i] cosiddetti hegeliani…questa unione della lotta reale CONTRO IL MATERIALISMO e dei finti attacchi contro l’idealismo assume un atteggiamento come se queste “nuova” filosofia s’innalzasse finalmente ad di sopra della falsa opposizione di materialismo e idealismo, come se con essa fosse stata scoperta una terza via della filosofia…

      L’irrazionalismo che nella dottrina di Mach è contenuto in modo implicito…IN JAMES APPARE GIÀ IN MODO ESPLICITO E PIENAMENTE DISPIEGATO…James elimina tanto dalla teoria che dalla prassi ogni rapporto con la realtà oggettiva, convertendo così la dialettica in un irrazionalismo soggettivo. James lo ammette anche apertamente, cercando di appagare così i bisogni ideologici del man in the street americano.
      Nella vita d’affari quotidiana si è costretti, pena il fallimento, a osservare bene la realtà (senza curarsi del fatto che la verità oggettiva, la sua indipendenza dalla coscienza è negata dal punto di vista gnoseologico), in tutti gli altri campi domina invece illimitato l’arbitrio irrazionalistico. Dice James: “Il mondo pratico degli affari è a sua volta in gran parte razionale agli occhi del politico, del militare, dell’uomo dominato dallo spirito degli affari…ma è irrazionale per il temperamento morale ed artistico
      ”. (segue)

      Elimina
    3. Appare qui con chiarezza un’importante funzione dell’irrazionalismo: uno dei suoi compiti sociali più importanti per la borghesia reazionaria è propriamente quello di offrire agli uomini un confort sul terreno della visione della vita, l’illusione di una perfetta libertà, l’illusione dell’indipendenza personale, della superiorità morale ed intellettuale, mentre il loro comportamento li ricollega continuamente, nelle loro azioni reali, alla borghesia reazionaria, e li mette incondizionatamente al suo servizio. James esprime questo pensiero con l’ingenuo cinismo dell’uomo d’affari americano vittorioso e cosciente di sé; egli soddisfa i bisogni ideologici del tipo Babbit. Coerente al pragmatismo [James] non adduce un solo argomento obbiettivo contro il materialismo; fa notare soltanto che come principio di interpretazione dell’universo non è affatto “più utile” della fede in Dio…” [G. LUKÁCS, La distruzione della ragione, Mimesis, 2011, I, 2-34].

      Più chiaramente:

      cogliere le contraddizioni reali, il movimento reale della società e trasformare in un fatto di coscienza, in un intervento soggettivo rivoluzionario che rompa la logica dei capitalismo opponendogli la logica del socialismo. Se, viceversa, l’intervento cosciente della classe operaia non c’è, se non c’è da parte nostra, da parte delle forze rivoluzionarie l’utilizzazione di questa logica antagonistica, allora l’integrazione si verifica necessariamente. L’integrazione non è qualche cosa di fatale, però è un fenomeno che esiste in continuazione, che opera permanentemente, che può essere benissimo respinto dall’intervento cosciente della classe operaia, ma se ciò non avviene esso annulla le conquiste dei lavoratori.

      Ecco perché io credo che una delle malattie più gravi dei movimento operaio, e chiedo scusa ai compagni inglesi, sia appunto IL PRAGMATISMO, L’EMPIRISMO, CIOÈ IL RIFIUTO DI UNA VISIONE GLOBALE DEI PROBLEMI, la ricerca isolata di una risposta a un problema, all’altro problema, senza una visione unitaria che permette di operare in seno rivoluzionario. L’empirismo e il pragmatismo, in ultima analisi, fanno il gioco del capitalismo, perché il capitalismo è un fenomeno che ha una grande capacità di trasformazione, e certamente il capitalismo di oggi è molto modificato rispetto a quello di cento anni fa. Il capitalismo può cambiare ancora moltissime cose nel suo interno purché tenga fermo il rapporto di soggezione e di sfruttamento dei lavoratori. Lasci quindi, con delle risposte puramente pragmatiche, che il capitalismo cambi di volta in volta soltanto qualche cosa, significa permettere al capitalismo di proseguire a mantenere in vita questi rapporti di dominio e di sfruttamento che ne costituiscono l’essenza
      ” [L. BASSO, Conclusioni di Lelio Basso, in Prospettive e strategia della sinistra in Europa, 26-27 febbraio 1970, Roma, 137-146]. (segue)

      Elimina
    4. Ed ancora:

      Se dovessi riassumere in una parola il motivo di fondo di questo dissenso [con la sinistra] direi che quel che io critico nella sinistra È LA CARENZA DEL SENSO DELLA TOTALITÀ, NEL SIGNIFICATO MARXIANO DI QUESTO CONCETTO. PER SPIEGARMI MEGLIO, DIRÒ CHE IL SENSO DELLA TOTALITÀ SIGNIFICA UNA VISIONE UNITARIA DEL PROCESSO STORICO-SOCIALE di cui tutti i momenti non solo sono interdipendenti e si influenzano reciprocamente, ma tutti sono coordinati in un insieme unitario, in un “tutto” che impone alle parti la sua propria dinamica. Tradotto in termini ancora più semplici, questo vuol dire che non si possono affrontare isolatamente i vari aspetti della società senza rendersi conto dei loro collegamenti con l'insieme e ,della serie di processi che si metteranno in movimento.

      Sempre semplificando si potrebbe definire pragmatica una politica che non abbia questo senso della totalità. Il pragmatismo può avere i suoi vantaggi a breve termine; può averli, anzi li ha senz'altro, anche a lungo termine per le forze conservatrici finché non si mettano in moto processi eversivi dell'ordine costituito; MA, A LUNGO TERMINE, HA EFFETTI NEGATIVI PER UN MOVIMENTO POLITICO CHE VOGLIA TRASFORMARE LA SOCIETÀ, perché ciò esige tutta una serie di sforzi convergenti e finalizzati, e quindi un programma d'assieme…
      ” [L. BASSO, Il senso della totalità, Il Messaggero, 15 gennaio 1977].

      Per tornare a Lukács, “non c’è nessuna Weltanschauung innocente”. Il pragmatismo, quale pensiero borghese, in netta antitesi con il materialismo dialettico e storico, non può (non vuole) cogliere le contraddizioni reali in quanto è privo del senso della totalità. E’ la tipica filosofia del riformismo, che non ha mai mirato ad una vera trasformazione radicale della struttura.

      … la dottrina del proletariato rivoluzionario, cioè a dire la dottrina della classe sfruttata che mira a rovesciare ancora una volta le condizioni economiche e sociali, per far sorgere sulle rovine loro l’umanità consociata” [L. BASSO, Un anno di critica marxista, Critica sociale, 15-29 febbraio 1924, n. 4, 58-61] è il marxismo

      Elimina
    5. E rammentiamo che di tutti i pragmatismi il più forte (culturalmente radicato), l'ambientalismo, è quello che non deriva, neppure casualmente, da una semplice prospettiva errata (o disorganica) delle forze progressiste, ma proprio da un accurato lavoro di irradiazione e di infiltrazione promosso dalle elites capitaliste.

      E questa valutazione può induttivamente estendersi a ogni altra bandiera della "soluzione pragmatica"; così i "vaccini", il femminismo inteso come "pari opportunità" avulse dall'eguaglianza sostanziale, come le unioni civili, o, più massicciamente, l'immigrazione (ipocritamente ridotta ad una dialettica "rifugiati"-immigranti economici, in totale alterazione degli iniziali concetti giuridici che, storicamente e letteralmente, caratterizzano la Convenzione ONU).

      Alla fine, non c'è quasi "problema" pragmaticamente affrontato in cui la versione "progressista" non sia una forma di accettazione implicita dell'agenda del grande capitale cosmopolita.

      Per dare a Basso una dimensione molto, molto attuale.

      Elimina
    6. Ma infatti, negando la totalità, in modo pragmatico si possono costruire tanti frame quanti sono gli interessi capitalistici del momento, scambiare la causa per l'effetto e viceversa ed intervenire "facendo".

      Vi rientra tutta la retorica del "fare" (la cultura del "fare", il Governo del fare, addirittura mi ricordo sotto l'esecutivo Letta un "Decreto fare"!). Conservazione e puntellamento reazionario.

      Alla fine, obnubilando e manipolando le coscienze, "si fa" sempre qualcosa. Ma a vantaggio degli oppressori

      Elimina
    7. @ Andrea: considera che in sostanza il pragmatismo è l'ideologia metodica alla base dell'attuale paradigma scientifico-culturale massmediatizzato. Mi sono convinto che la radice al fondo dell'attuale obnubilamento generale delle coscienze sta nel non (voler) riconoscere che la Verità esiste. Altro conto è l'affermare che in date coordinate spazio-temporali io, tu o William James possiamo conoscerla e divulgarla. Ma esiste, sì, eccome! Dire che ogni uomo si fa la sua verità in base alle proprie esigenze è il dare il "tana liberi tutti": chiaramente alla fine verrà fuori che i liberi saranno pochi; gli altri resteranno nella caverna platonica.

      È vero che si suol dire che ognuno può scegliere di che veleno morire, ma preferisco proprio tenermi strette le mie deduzioni e induzioni démodé piuttosto che ingollare le abduzioni di qualcun altro. Magari è perché sono un "continentale" e non un "analitico", ma, come diceva sempre Gadamer, ogni Ur-teil è un Vor-urteil, ma in quell'"ur" è già racchiusa tutta una tradizione che dispiega i suoi effetti. E sempre cara mi fu questa tradizione.

      @ Bazaar: penso che l'eteronomia funzionalista sia una diretta conseguenza del non vedere nell'uomo altro che materia, nel non volergli riconoscere quel quid in più, chiamalo spirito, o anima, o come preferisci, che lo contraddistingue all'interno del creato. È lì, un oggetto che occupa un posto e svolge un compito: tutto lì, "materiale umano" nella efficiente catena di montaggio della grande società funzionale. Muore e viene sostituito da qualcos'altro che gli è reputato pari. La logica concentrazionaria descritta e spiegata alla perfezione da Primo Levi.

      In tempi di presunte cavie umane, una chicca che ai lettori "seriali" del blog può essere presentata senza commenti (particolarmente interessante è l'ultima parte, in cui lo stesso autore dell'articolo si accorge delle "somiglianze" con l'assetto promosso dai trattati e cerca di disinnescarle, malamente, in partenza).

      @ tutti e a Quarantotto in particolare: un caro saluto e un caloroso abbraccio!

      Elimina
    8. @winston smith

      Che la Storia sia un portato dell'Uomo è autoevidente. (Quando troveremo documenti scritti di qualche altro animale, potremo allargare la riflessione).

      Il fluire, lo spirito, la coscienza, è tutto - per quanto difficile razionalizzarlo "a parole" - autoevidente.

      La convergenza tra etica "religioso-ideale" (di per sé vacuo "moralismo") e prassi politica - intesa come prassi della persona umana centro di rapporti sociali - è l'etica materiale che riconosce - almeno in quest'epoca - l'origine della (falsa) consapevolezza e della (falsa) morale nella struttura sociale.

      Chi non riconosce pari dignità agli uomini è banalmente in conflitto di interessi. Interessi materiali e di ceto.

      Il senso di questo sforzo di sistematizzazione "epistemologica" è volto a dimostrare che ogni distorsione della cognizione ha origine nella struttura sociale: la scienza che diventa pseudoscienza, la morale che diventa moralismo, la spiritualità che diviene religione, la politica che diviene spersonalizzata tecnica basata su algoritmi. La persona umana che cede la sua essenza vitale "ad altro da sé". Tutto ciò è materialmente originato da ciò che si manifesta come ordine sociale in classi: causa prima di ogni alienazione umana. Strumento volto allo sfruttamento e alla predazione dello "spirito dell'Uomo".

      La risposta a tutto ciò, la prassi materiale conseguente, è fonte di ogni morale e di ogni senso.

      Si vuole interpretare la Storia perché è la Storia ad essere interpretazione. Ossia è la coscienza il senso stesso dell'essere.

      L'ideale ed il "trascendente" trovano senso quindi nella prassi politica che ha, come precondizione e concausazione, la crescita individuale e spirituale.

      L'idealistica emancipazione da questo stato di cose, questo processo di autocoscienza, si forma su atti pratici, su azioni determinate i cui effetti sono misurabili. E l'interpretazione continua di tutto ciò si basa su "fonti" funzionali a normare l'agire con qualche "efficacia positiva". (Non è la "natura" ma la Storia ad essere Magistra vitae)

      Elimina
    9. Perché mi piace tanto il concetto debordiano di Società dello spettacolo? Perché sintetizza anche come mai i francofortesi abbiano spesso perso il punto di vista "strutturale" in favore di quello svrastrutturale e, di conseguenza, abbiano associato Freud a Marx. (Notare, "associato" come, volendo, si può "associare" qualsiasi scuola di pensiero ritenuta "utile", non come gli esistenzialisti che si dimenticano della "totalità" favorendo un onanistico individualismo post-borghese)

      Se i dominanti hanno dalla loro la forza (del lato oscuro della Struttura...), i dominati hanno dalla loro solo la possibilità della consapevolezza. Quindi per motivi di "totalità", mi risulta utile il cognitivismo di Husserl piuttosto che quello di Freud. (In questo aprirei un'eccezione alla sacrosanta critica di Lucaks).

      Perché?

      Perché la fenomenologia husserliana è volta alla "totalità" se la si considera nella sua strumentalità alle "fondazioni".

      Riflessioni di carattere epistemologico che vorrebbero essere volte a raffinare la coscienza critica.

      (Tutto ciò che è impolitico è "reazionario" fintanto che non viene utilizzato strumentalmente a fini progressivi...)

      L'importante è che se ne discuta perché, come giustamente osservi e come si discuteva ieri con Arturo, la competizione tra oppressori all'interno del partito nazista, tanto quella tra oppressi detenuti nei lager, è la medesima competizione dell'individualismo metodologico neoliberista che porta il funzionalismo al suo estremo.

      E, data questascelta politica, il darwinismo sociale seleziona funzionalisticamente le persone più adatte a questa organizzazione sociale.

      L'uomo "nuovo" che ne risulta è frutto di questa scelta morale e politica. Quali psicopatici traumatizzati da shock doctrine, guerre o fallimenti selezionerà l'assetto sociale voluto dal gregge cosmopolita? Quali nuovi Hitler, Goebbels o Eichmann ci sono già tra noi, selezionati darwinisticamente dal paradigma naturalista alla base tanto del nazismo quanto del neoliberismo cosmopolita ed hayekiano?

      Elimina
  3. Grazie Bazaar per il grande post.

    oppure, rispondendo direttamente a Malthus che sosteneva che i proletari « sono poveri perché sono molti », Marx, dopo aver empiricamente avuto accesso alle statistiche, constatava che i proletari « sono molti perché sono poveri ».

    e comunque come ben sai a tutto c’è un “rimedio”:

    Esattamente: i malthusiani-decrescisti evidenziano lo stock limitato delle risorse naturali e prendono la demografia come naturalmente data.

    Questo è, in realtà, il pensiero che fa tanto comodo alle elites, che non vogliono il welfare state, l'inflazione e tutto ciò che comporta una redistribuzione di reddito e potere.

    Le élite sono costrette a propagandare paradigmi infarciti di teorie socioeconomiche false o fallaci: se non fosse così la maggioranza asservita si coalizzerebbe compattamente per rivendicare i propri interessi a sfavore dei privilegiati.

    Nella funzione di produzione esiste il fattore tecnologico che può essere considerato un moltiplicatore della "resa" delle risorse scarse e del contenimento delle esternalità negative: se consideri la demografia come "data" allora il paradosso di Jevons è fondamentale, se invece consideri la politica economica ed industriale come determinante per la funzione di crescita demografica (ed è così, con buona pace dei rilievi di Jevons che viveva in un mondo organizzato in funzione del paradigma liberista che ha contribuito a rafforzare in ottica antidemocratica con il "marginalismo"), allora la stabilità demografica in funzione delle risorse disponibili trova equilibrio tramite la soluzione del conflitto distributivo per mezzo dello Stato sociale.

    Non tanto paradossalmente, si può assumere che un democratico sia propenso alla massimizzazione della densità di abitanti per km quadrato in quanto risultato del progresso scientifico e sociale.

    Il malthusiano che combatte la crescita demografica ottiene il contrario: massimizza il sovrappopolamento.

    «Lavoriamo ad uno scopo unico: ridurre i livelli demografici. O i governi lo fanno come diciamo noi, con dei bei metodi puliti, oppure finiscono nei disastri di El Salvador, Iran o Beirut. Quello demografico è un problema politico. Quando la popolazione è fuori controllo, occorrono governi autoritari, anche fascisti, per ridurla....»

    «Il modo più rapido per ridurre la popolazione è con la fame, come in Africa, o con le malattie come la peste. ... La gente si riproduce come bestie...»

    Thomas Ferguson, Ufficio affari demografici del Dipartimento di Stato, intervista del febbraio 1984

    Insomma, i crimini contro l'umanità sono commessi da un "pugno" di persone che cerca di perpetuare questo sistema ribaltando le cause con gli effetti.

    L'immigrazione non serve mai, così come il lavoro-merce.

    Serve solo ad ESSI per portare alle estreme conseguenze il delirio di potere della classe dominante.

    https://orizzonte48.blogspot.com/2016/01/la-questione-ambientale-il-controllo.html?showComment=1452166457184#c3359411278108321273

    RispondiElimina
    Risposte
    1. E in fondo l'ho pure già accennato: si potrebbe tranquillamente chiudere il blog fino a 5 marzo. Anzi: per rendere il tutto più succoso, anche qualche settimana di più...
      Ma in fondo, qua s'è sempre scritto a futura memoria.

      Elimina
    2. E sempre come ha detto lei….. basta leggere i post (più commenti ) che iniziano all’incirca dall’ottobre 2017

      Se uno/a vuole capire veramente

      Elimina
    3. Stamattina riflettevo sul fatto che il "materialismo storico" non è altro che la "fondazione materiale" dell'idealismo. Praticamente ribalta uno degli enunciati fondamentali del classismo elitista; come scrivevo recentemente ad un amico: « gli ultimi non sono ultimi perché sono sfigati, ma sono sfigati perché sono ultimi ».

      Il giudizio etico si ribalta. Dal punto di vista sociale, è da un assunto simile che si dovrebbe privilegiare un sistema di sanzioni volto alla riabilitazione piuttosto che un sistema meramente punitivo. E questa consapevolezza, dal punto di vista individuale, non può non avere un impatto sulla propria spiritualità.

      A ben vedere, questo assunto fondativo dell'atteggiamento morale verso la questione sociale, impatta il modo di vivere la spiritualità di qualsiasi religione o filosofia della trascendenza. Impatta qualsiasi riflessione etico-spirituale.

      Che dogmatica professione di fede ci può essere verso istituzioni che non chiariscono questa inversione luciferica ai membri delle rispettive comunità?

      Elimina
    4. La fede è di per sè un'inversione cognitiva che postula un dogma (pan-esplicativo e come tale epistemologia e predicato al tempo stesso). E le istituzioni ne sono la conseguenza: in quanto esista chi la forza di imporre il dogma (che è poi il problema della Grund-Norm a esistenza inevitabile, cioè immanente all'ordine sociale).

      Elimina
  4. "Il lavoro non è una vocazione della persona umana frustrata dal classismo, ma una chiamata della naturalistica struttura sociale ad essere responsabili. Ovverosia, ad esercitare una particolare funzione. (Nell’ermeneutica del codice di comunicazione “liberale”, responsabilità significa “accettazione totale dell’individuo all’impietosa irregimentazione in funzioni alienanti di subalternità”). Funzione che può essere anche quella di arruolarsi nell'esercito industriale di riserva o, semplicemente, come nel pensiero malthusiano, sparire dal mondo della vita se non “esiste un posto” funzionale all'efficientamento della società organizzata in classi."

    Si, sparire... come le decine di migliaia di lavoratori semi-forzati che hanno asportato qualche decina di centimetri di suolo contaminato da centinaia di chilometri quadrati di territorio, e poi lo hanno imballato e seppellito.

    Sono infatti spariti, oltre che dalla memoria anche dagli elenchi dell'anagrafe.

    https://www.reuters.com/article/us-fukushima-workers/special-report-japans-homeless-recruited-for-murky-fukushima-clean-up-idUSBRE9BT00520131230

    RispondiElimina
  5. Mi vengono in mente due esempi, uno per paradigma.

    Verbale della conferenza di Wannsee: “Ora, nel quadro della soluzione finale della questione ebraica e sotto la necessaria guida, gli ebrei devono essere utilizzati all'Est nei compiti lavorativi giudicati più opportuni. Inquadrati in grandi colonne e separati per sesso, gli ebrei abili al lavoro saranno condotti in quei territori a costruire strade, operazione durante la quale senza dubbio una gran parte di loro soccomberà per riduzione naturale.

    Il nucleo che alla fine sopravviverà a tutto questo, e si tratterà della parte dotata della maggiore resistenza, dovrà essere trattato in maniera adeguata, poiché rappresentando il frutto di una selezione naturale, qualora fosse lasciato andare libero, dovrebbe essere considerato la cellula germinale di una nuova rinascita ebraica (si veda l'esperienza storica).


    E appunto una “selezione” derivante da deportazione e lavoro forzato viene considerata “naturale”.

    Fatto forse poco noto: anche nell’art. 27 della Costituzione c’è lo zampino, o lo zampone, di Basso: “Altrettanto nuova era anche la concezione di fondo dell’articolo 2 della Relazione di Basso (parte del futuro articolo 27), nel quale accanto all’istanza garantista (manifestata in egual modo da La Pira) viene proposta una idea promozionale del diritto.
    Nell’ultimo capoverso dell’articolo si dice infatti che «le sanzioni detentive devono tendere alla rieducazione del colpevole» e che «non possono istituirsi pene crudeli». Quest’ultima formulazione viene difesa da Basso sempre nella I sottocommissione, con la motivazione che sia bene ribadire il concetto legato a uno spirito di rieducazione, soprattutto rispetto alla situazione concreta degli ordinamenti carcerari italiani nei quali egli sa, per personale esperienza, «che occorrerà del tempo prima di riuscire ad infondere» tale spirito. Ciò che invece, afferma, «si può ottenere da subito è che in nessun caso la sanzione arrivi alla crudeltà».
    Dinanzi al carattere frenante, repressivo o solo protettivo assunto dal diritto in passato, l’impegno di Basso è orientato a farne uno strumento di crescita collettiva, di valorizzazione degli elementi democratici e partecipativi del nesso che lega l’ordinamento giuridico alla sfera sociale, ritenuti terreni inscindibili e reciprocamente capaci di contaminazioni progressive.
    ” (C. Giorgi, Un socialista del Novecento, Carocci, Roma, 2015, pag.212).

    E in effetti mi pare i conti tornino.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Non è forse una sanzione inumana e diseducativa, la vita che ci fanno fare? Eppure è tentazione comune pensarci nel ruolo del carnefice, del dispensatore di vendetta / giustizia.
      Col moralismo hanno distrutto, dall'interno, il PCI (cos'era, in definitiva, la "questione morale" berlingueriana se non la scusa per dare il via alla "austerità"?) e poi la prima, e di fatto unica, Repubblica, con Tangentopoli.

      Elimina
  6. "(Prestare sempre attenzione alla questione etico-epistemologica: se l'agente primo del malessere sociale non è da ascriversi allo sfruttamento di un ceto sugli altri, gli sforzi politici sono volti a sedare moralisticamente, religiosamente, mediaticamente, ipnoticamente, farmacologicamente gli sfruttati (v. Huxley); oppure a reprimerli poliziescamente (v. Orwell) – sfruttati che, al limite, possono essere riciclati per far lavori “sporchi”... non necessariamente in campi di lavoro forzato)"

    Forse non tutti sanno che negli anni cinquanta del novecento il giovanissimo Stato di Israele prese la decisione politica di 'irradiare' di proposito circa centomila bambini ebrei (immigrati dal nord Africa in Israele) per finanziare il nascente programma nucleare (n.b. in parallelo Ben Gurion firmava analoghi protocolli occulti di finanziamento con il cancelliere tedesco Adenauer).

    I dati epidemiologici furono commissionati dal governo degli Stati Uniti, che all'uopo fornì i macchinari necessari per irradiare i bambini con potentissimi fasci di raggi X, e che in cambio dei dati epidemiologici fornì ingenti finanziamenti e 'know how' al programma nucleare israeliano.

    Alcuni dei funzionari israeliani che condussero "l'esperimento" erano sopravvissuti alle persecuzioni naziste, i quali ben conoscevano la natura degli analoghi esperimenti del Dott. Mengele!

    Le vittime di questi veri e propri 'centri di irradiazione' subirono da parte dell'elite ebraica al potere tutti e tre i trattamenti elencati all'inizio, ma in ordine inverso, cioè:

    1) 'lavoro sporco' (fare da cavia);
    2) repressione orwelliana;
    3) sedazione alla Huxley.

    Nel caso specifico il punto 3) (raggiunto dopo circa cinquanta anni dai fatti) e' ben riconoscibile nel taglio del documentario trasmesso dalla TV di stato israeliana.

    https://www.youtube.com/watch?v=vMp1tef4lg4

    Il documentario, ovviamente, come per le vittime del nazismo in precedenza, non entra nel merito del perchè dei fatti, tanto ben sintetizzato da Bazaar:

    "Lo stesso assunto elitista per cui esisterebbe un gruppo umano razzialmente superiore e destinato al godimento esclusivo del prodotto del lavoro, è un infondato atto di fede (tanto assolutamente, quanto banalmente, interessato; per miopia, avidità e vigliaccheria).
    Insomma, l'anomia può essere considerata il portato ultimo dell'elitismo che si materializza come suicidio dell'Uomo stesso."

    RispondiElimina
    Risposte
    1. una non trascurabile "conferma"...

      Elimina
    2. Non passa un giorno senza nuove 'conferme'...

      https://www.forbes.com/sites/eliseknutsen/2013/01/28/israel-foribly-injected-african-immigrant-women-with-birth-control/#83c203b67b88

      Elimina
  7. Ho trovato questo sulla timeline di Alberto.

    Perciò, le origini della scienza moderna non hanno niente a che fare con una filosofia “naturalista” nel senso moderno (materialista e antireligioso) del termine, bensì – come ha osservato efficacemente Amos Funkenstein – di “un modo nuovo ed originale di affrontare i problemi teologici, una sorta di teologia laica, secolare. … Galileo e Descartes, Leibniz e Newton, Hobbes e Vico, non erano degli ecclesiastici … eppure trattarono ampiamente di problemi di natura teologica. La loro era una teologia secolare, anche nel senso che era orientata verso il mondo terreno”. La nascita della scienza moderna non è stata la discesa di un gruppo di extraterrestri atei e naturalisti in un mondo di bigotti che l’ha prontamente perseguitato: è stata piuttosto il risultato e la germinazione di un lungo processo di riflessioni filosofiche, teologiche e religiose (inclusi gli aspetti mistici di queste ultime) in una forma di teologia secolare, volta a scoprire le leggi del disegno divino di costruzione della natura.

    Con quale paradigma interpreta il mondo, Israel?

    (E l'Estetica che ruolo ha in tutto ciò?)

    RispondiElimina
    Risposte
    1. ma anche se non vogliamo farne una questione semplicemente evolutiva di un atteggiamento epistemologico (che avrebbe un'essenza immutata e in cui la "metodologia" è solo un aggiustamento logico-funzionale all'emergere di nuovi "oggetti" teoretici), storicamente questa spiegazione non persuade.

      Non spiega infatti il vero punto: cioè perché, quegli "oggetti", in un certo momento storico, divennero via via la parte centrale dell'indagine cognitiva, e QUINDI dovettero, inizialmente, essere contestualizzati nell'epistemologia dominante, fondata sulla speculazione teologica.

      E in realtà, la spiegazione è alquanto semplice...

      Elimina
    2. Il "monoteocentrismo" arché di ogni alienazione?

      D'altronde, lo stesso passaggio dal sistema tolemaico a quello eliocentrico, bè, diciamocelo, è stato un pretesto per rafforzare la visione anti-antropocentrica...

      La parte più importante, credo, dell'epistemologia, è quella che si occupa di "fondazioni". Husserl lo ha fatto con grande coerenza, e la sua fenomenologia rimane un unicum. Infatti il nostro non viene mai citato in quest'ambito.

      Da una parte Israel si rende conto che i progressi cognitivi si producono da sempre in ambito laico: dall'altro non ne trae le estreme conseguenze....

      Elimina