domenica 7 gennaio 2018

LIVORE & ELITISMO: LIVORE E' ELITISMO PER F€SSI (SPESAPUBBLICAIMPRODUTTIVA = NO-POPULISMO)

1. Tagliare la spesa pubblica, si sa, è segno di virile credibilità di fronte ai mercati e a l'€uropa. D'altra parte, invece, gli investimenti effettuati con spesa pubblica, spesso unificati nella categoria (sempre di spesa pubblica) "misure supply side", risultano virtuosi. E quando c'è la virtù, come ben sanno gli innamorati, "le dimensioni non contano".
La spesa pubblica totale in percentuale del PIL e di quella al netto degli interessi passivi e degli investimenti sono caratterizzate da un trend nettamente crescente dal 2000 al 2009. Il picco massimo della spesa totale viene raggiunto nel 2009 con una percentuale sul PIL pari al 51,1% (il dato è quello successivo rispetto alla revisione del Pil di settembre 2014). Il Documento di economia e finanza prevede cali consistenti nei prossimi anni, mentre le spese correnti primarie scenderanno al 40,1% nel 2020.
 
 La spesa totale in conto capitale in Italia è stata superiore alla media dell’area euro dal 2000 fino al 2008. Dal 2010 le politiche di contenimento della spesa pubblica hanno comportato una maggiore riduzione della spesa in conto capitale rispetto alla media UE. Il divario tra le due aree è spiegato soprattutto dall’andamento della componente degli investimenti.

1. E niente: non si fa in tempo a scrivere una serie di post in cui si cerca di offrire il quadro fenomenologico entro cui comprendere (e non pre-comprendere) il ruolo residuo del processo elettorale all'interno di una democrazia divenuta liberale, - cioè monoclasse-timocratica a forza di vincolo esterno e diritto internazionale da trattato "privatizzato", e quindi in economia aperta liberoscambista e che desovranizza a colpi di gerarchie mercatiste indotte dai vantaggi comparati- che l'offerta politico-elettorale italiana "che conta" si scatena a dare conferme che vanno al di là delle più "rosee" previsioni (in termini di esattezza millimetrica delle analisi proposte).

2. La palma d'oro va indubbiamente a Prodi che nella sua conflittuale comprensione dello Stato di diritto costituzionale (una vera sofferta ma, purtroppo per lui, e più per noi, irrisolta elaborazione teorica la sua, considerato il numero di volte che deve aver compiuto il giuramento di osservanza della Costituzione) ci sforna un editoriale tutto post-ideologie, economie di mercato aperte e, dunque, facciamocome, e governabilità come supremo bene tecnocraticamente "consegnato" alle masse inerti e ottusamente arroccate sulla idea balzana di dover essere rappresentate (cliccando sull'immagine del tweet l'intero trionfale excursus polititologico e di teoria dello Stato dovrebbe risultare pienamente godibile).. 


Una ostentata certezza istituzional-costituzionalistico-materiale in piena consonanza con l'elaborazione del suo successore Barroso. E successore sia alla Commissione Ue che nei rapporti di consulenza-collaborazione con Goldman Sachs:

2A) Barroso a Goldman Sachs, il contratto dell’ex presidente Ue con la banca d’affari sotto la lente di un comitato etico

Barroso a Goldman Sachs, il contratto dell’ex presidente Ue con la banca d’affari sotto la lente di un comitato etico



Il politico portoghese è stato nominato a luglio presidente non esecutivo della filiale europea. Ora Bruxelles verificherà se c'è conflitto di interessi e se ha rispettato il requisito di tenere "un comportamento integro e discreto" dopo la fine dell’incarico [Ndr: notammo già, a suo tempo, che il conflitto di interessi andrebbe principalmente commisurato all'integrità del suo comportamento istituzionale DURANTE IL MANDATO. Ma tant'è...]. Il successore Jean Claude Juncker al mediatore europeo: "Quando viene alla Commissione sarà trattato come un normale lobbista".

"Certo, Goldman Sachs è sempre stata molto abile nel fenomeno cosiddetto delle revolving doors, porte girevoli: il passaggio di un professionista dal ruolo di legislatore o regolatore a quello di membro dell'industria che prima regolava e viceversa. Il caso più celebre è quello di Hank Paulson, ex amministratore delegato di GS diventato nel 2006 ministro del Tesoro nel governo di George W. Bush. In Italia il percorso di solito è opposto: dalla politica alla banca. Gianni Letta, Mario Draghi, Romano Prodi, Mario Monti. Sono stati tutti advisor, ovvero consulenti, di Goldman Sachs. Un lavoro che consisteva nell'aiutare la società sfruttando la loro rete di relazioni. Il core business di Goldman Sachs sono i grandi clienti come Eni, Fiat, Enel e anche il governo italiano. O aziende più piccole ma globali, come Prada.
...
Quando Letta tornò a Palazzo Chigi nel 2008, poi, come consulente venne scelto il commercialista Enrico Vitali, partner dello studio di Giulio Tremonti. Il primo fu Prodi, che entrò nella banca Usa nel 1990, dopo sette anni da presidente dell'Iri.
I "complottisti" sostengono che Goldman Sachs abbia organizzato il colpo di Stato nei governi in Europa e avrebbe piazzato i suoi uomini di fiducia, come Mario Monti o Mario Draghi alla Banca centrale europea. Claudio Costamagna, ex Montedison, ex Citibank e oggi presidente-fondatore della società di consulenza on-line Advise Only, è stato anche capo dell'investment banking in Europa di Goldman Sachs.
In un intervista al Corriere della Sera del 2011 contestava le tesi del grande complotto: "Monti è un esperto di Antitrust, Prodi è stato per noi di Goldman, e stiamo parlando del 1991, una sorta di pioniere e biglietto da visita: in Italia non ci conosceva nessuno, o quasi, e la banca d' affari conosceva poco il nostro Paese". 
E quindi, lucidamente, pacatamente:
https://aramcheck.files.wordpress.com/2016/06/senza-titolo.png?w=590&h=446

3. Ma la versione più semplificata, e come tale suggestiva, dello stesso paradigma, si ritrova nel prepotente uso elettorale della formula della spesapubblicaimproduttiva che va estirpata per ridurre il debitopubblicobrutto come soluzione di tutti i mali (e quindi a qualunque costo, fosse anche la democrazia costituzionale)). 


4. Naturalmente, il concetto di spesapubblicaimproduttiva deve rimanere un mistero, non indicandosi chiaramente in cosa consista (gli...sprechi e le consulenze e le pensioni d'oro non giustificate da corrispondente contribuzione, ammontano a quaranta punti di PIL, se ne deve dedurre): basta contrapporlo alla formula magica degli "investimenti pubblici", che è altrettanto bene non indicare in cosa possano consistere, sebbene nei lavori della nostra assemblea costituente in realtà il problema fu ampiamente affrontato e persino risolto. 
Ma fu risolto in modo del tutto diverso dall'idea che lo stock di capitale necessariamente finalizzato all'erogazione delle utilità pubbliche verso i cittadini (bazzeccole come ospedali, sale operatorie, edifici scolastici e loro minime pertinenze, infrastrutture fondamentali di trasporto, viabilità e energia), - utilità corrispondenti a una serie di diritti sociali che parevano, agli ingenui costituenti, dei diritti fondamentali per garantire l'effettività della democrazia e che così scrissero in Costituzione- possa essere costituito separandolo dal flusso della spesa corrente che ne è, in definitiva, la conseguenza operativa (ad es; pagare medici e insegnanti, manutenere strade e patrimonio immobiliare pubblico e farlo sul serio, senza far degradare il territorio in condizioni di disastro permanente da paese post-bellico) e quindi separandolo dal momento pratico e concreto di erogazione del servizio e della funzione pubblica che rende effettivo il diritto fondamentale sancito in Costituzione.
Ovviamente, il concetto stesso di spesapubblicaimproduttiva è il frutto dell'acritica ideologia "dell'incubo del contabile" che veniva, anche in Costituente, a reclamare i "sospesi", come il garzone del colonnello Kurtz, e a predicare che "occorresse scendere dal livello di civiltà in cui si era" (qui, pp. 2-3).

5. Ma va anche aggiunto, che persino dentro l'€uropa dell'ordoliberismo e del lavoro-merce, cioè dello Stato super-regolatore al servizio esclusivo dell'instaurazione del magico ordine sovranazionale dei mercati (in struttura oligopolistica, perché efficiente e competitiva: mica perché assicura una rendita, cfr; p.19, che viene poi scambiata con la rendita politica di chi la promuove!) ci sarebbe stata una qualche definizione normativizzata ed attualizzabile degli investimenti che l'Italia, per esigenze strutturali e territoriali (in realtà andatesi drammaticamente a peggiorare, specialmente durante i 30 e più anni di vincolo esterno), avrebbe potuto legittimamente effettuare in applicazione della golden rule. E infatti ci stava: e, teoricamente, sul piano delle astrattissime capacità politico-negoziali dei nostri governi, avrebbe potuto anche essere fatta valere. Oppure, no: a chi importa?
  
6. Ma anche trascurando il fatto che l'€uropa - cosa di cui Prodi è certamente a esplicitissima conoscenza- ci impone di tagliare da decenni l'investimento pubblico e la spesa in conto capitale, come attestano le tabelle di tutti i Def, (anche quando mercanteggiano sulla flessibilità una tantum concessa dal fiscal compact recepito col pareggio di bilancio in Costituzione), e come attestava per serie storiche pluricedennali l'accurato Studio-Giarda, rimane il fatto che la spesapubblicaimproduttiva dovrebbe essere quella che non si converte in prodotto nazionale interno e cioè in reddito-spesa dei residenti.
E quindi, a rigore di finanza pubblica e di saldi settoriali della contabilità nazionale, essa consiste unicamente nel trasferimento di interessi passivi sul debito pubblico a favore di creditori-sottoscrittori esteri (cioè un sottoprodotto della liberalizzazione dei capitali voluta con l'Atto unico e, prima ancora, della finanziarizzazione privata dello Stato voluta col divorzio tesoro-Bankitalia e, dunque, in completamento dello Statuto della moneta imposto già con l'adesione allo Sme).

6.1. Nota bene: SOLTANTO la voce interessi passivi contiene spesapubblicaIMPRODUTTIVA che non si converte in reddito e capacità di spesa di residenti, cioè in PIL (e saranno, scontando la poca chiarezza sulla effettiva titolarità - tra BCE e Bankitalia: quest'ultima in quanto responsabile delle perdite relative, eventuali- dei titoli acquistati col QE, forse un paio di punti di PIL. Ma sempre contenuti in quella percentuale complessiva sottoindicata ed evidenziata.

7. Ma ci aiutano a capire voci illustrissime, che ci spiegano con chiarissima ed autorevole indicazione istituzionale, privatizzata e dei mercati, cosa sia il populismo e cosa no e perché.
Anzitutto Soros, che ridisegna abilmente anche il clash che c'è tra le istanze della impresentabile gente e i contrapposti (!) (secondo lui) diritti costituzionali che intende, sempre lui, come quelli che sono indicati dalle elites, - sicché, indubitabilmente, la corruzione non appartiene, come in fondo ci ha spiegato Prodi, alle elites, ma alla classe politica: ma solo, per l'appunto, in quanto inefficientemente rappresentantiva di interessi...non dei mercati, cioè non delle elites.  
Non fa una grinza e la sinistra-sinistra italiana apprezza, come sempre, in nome dei diritti cosmetici che sono visti come la definitiva affermazione delle nuove costituzioni materiali contro quelle populiste e della sovranità democratica pluriclasse dei lavoratori. 
Non ci credete? Open Society non lascia molti dubbi:



8. Perciò il suggello di tutto questo, che è in fondo "governabilità" e efficienza benevola dei mercati in salsa diritto internazionale privatizzato dei trattati, cioè globalizzazione istituzionale, non poteva che venire nella concezione dell'esito elettorale come processo subordinato di ratifica delle decisioni impersonali dell'ordine internazionale dei mercati
Con soluzioni obbligate che convertono il futuro in una minaccia; per voi che ve lo meritate perché è così è basta (tanto non lo capite che, in effetti, è inutile spiegarvelo). 
Lo dicono molto bene due voci che, appunto, finiscono per disegnare un futuro post-elettorale che è tutto un disegnino per dirvelo prima, bene e perché vi ci abituiate senza fare storie (tanto alle brutte c'è sempre la clausola omnibus della spesapubblicaimproduttiva come passe-partout di default delle soluzioni di governabilità più direttamente rassicuranti). 

8.1. Si comincia con Tajani:


8.2. Si prosegue con Padoan:


25 commenti:

  1. Chi lo avrebbe mai detto.

    Poiché il conflitto tra classi è riconosciuto in Costituzione secondo il capoverso del terzo comma, significa che nel dialetto liberale "populista" significa "democratico".

    Non se ne era accorto nessuno.

    (D'altronde da una ONG che si rifà all'opera più cialtronica mai scritta in epoca di guerra fredda, da un epistemologo da bar dello sport prestato a quel "bunch of sociopaths" della MPS, ci si aspetta qualsiasi tipo di sostegno all'elitismo neofascista e neonazista, antisovrano ed imperialista... capito, Francesco?)

    Per il resto Di Maio è andato dai Signori Grigi della Trilateral che gli hanno spiegato che per avere più tempo in Italia bisogna essere più austeri e credibili.

    Si ricorda che chi pubblicamente ciancia di "credibilità", fa un'affermazione di carattere eversivo: il liberalismo è moralismo per cialtroni o tonti.
    Infatti, secondo la solita (e banale) ermeneutica della propaganda liberale, il concetto di credibilità si rivela per essere un semplice concetto di politica economica volta all'oppressione della classe salariata e delle piccola e media impresa: insomma, uno strumento per lo sfruttamento dei lavoratori.

    Credibilità significa "accesso al credito", "ai finanziamenti" rigorosamente privati. Tendenzialmente esteri.

    Si taglia la spesa pubblica, ossia il reddito di famiglie ed imprese, affinché il patrimonio nazionale passi, tramite gli IDE, in privatissime (e grinzose) mani estere.

    Essere "credibili", soprattutto in recessione, è quindi di fatto incostituzionale.

    (Infatti, chi conosce l'italica storia, è cosciente di quanto gli Italiani abbiano sempre realizzato, senza pari al mondo, opere incredibili)

    (Il liberalismo è la religione della proprietà privata, culto dei fessi e degli oligopolisti, fiduciosi, speranzosi e caritatevoli, che chiedono per il creatore del Kosmos tanti sacrifici, penitenze e l'espiazione delle colpe tramite la remissione dei debiti... esteri)

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    1. Formalmente il Paese non è ora in recessione.
      https://it.reuters.com/article/economicNews/idITL8N1OZ30U

      Lo sono però la maggior parte dei cittadini, nel senso che aumenta la povertà assoluta e la popolazione a rischio di povertà mentre, dopo una fase tattica di tregua (perlomeno dal post-referendum), la maggior parte della classe media può solo impoverirsi..e indebitarsi; o perdere i risparmi sul c/c in un bail-in o, ancor prima, nelle prossime manovre "credibili".

      La mattanza riprenderà alacremente on appena sarà terminata la pantomima imbarazzante della campagna elettorale, naturalmente.

      E la cosa beffarda è che la maggior parte degli elettori, stando ai sondaggi, non comprende realmente cosa dicano i partiti principali quando promettono tagli alla spesa (per allentare la pressione fiscale, talvolta) e "risanamento per restare in €uropa"...
      Il problema rimane sempre questo.

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    2. Io non so CHI Soros rappresenti, ma è chiaro COSA rappresenti.

      Il programma della Open Society è una dichiarazione di guerra di classe su scala mondiale.


      (Alla fine il malthusianesimo ecologista, animalista, emigrazionista, gender, anti-xeno-omo-fobo-sessita-fa, non è che propaganda politicamente corretta per imporre un progetto di sterminio)


      (Norimberga è stata utile per far credere che la denazificazione fosse una riprogrammazione culturale di un popolo plagiato da un pazzo: la denazificazione non c'è mai stata e dovrà passare dai consigli di amministrazione delle grandi banche d'affari, dei grandi complessi industriali, dai media e dai club privati in cui si ritrovano i proprietari in posizione oligopolista)

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    3. E' corretto parlare di guerra? Io direi che siamo già, purtroppo, alla fase dell'armistizio.

      Il nemico di classe del Capitale è semplicemente scomparso, liquefattosi in trentacinque anni di tradimenti e rincoglionimento: nelle trincee del Lavoro non sono rimasti che gli scheletri di ciò che fu.

      Noi possiamo continuare per bande una guerra asimmetrica, disperata nel confronto con i mezzi e le forze del nemico, coscenti della difficilissima (se non impossibile) opera di re-categorizzazione del conflitto distributivo e della coscienza di classe.

      Con quale massa puoi oggi, 2018 incipiente, creare un'egemonia proletaria e quindi rivoluzionaria?

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  2. Mi si consenta un intervento che ritengo utile ad esprimere il punto di vista di chi vede "spesa pubblica improduttiva" :
    Il concetto di "spesa pubblica improduttiva" di per se' non dice nulla ma esiste solo come rapporto fra qualcosa che e' piu' "produttivo" (secondo un certo punto di vista ) e un qualcosa che e' "meno produttivo" (secondo lo stesso punto di vista).
    Altre definizioni utili a capirci:
    casta: Classe di persone che si considera separata dagli altri, e gode o si attribuisce speciali diritti o privilegi.
    cricca: componenti di una casta che operano per accrescere il peso del gruppo in danno della collettivita'
    corruzione:l'operativita' concreta di una cricca quando opera in violazione di etica e morale
    In questo post:
    http://goofynomics.blogspot.it/2018/01/il-saccheggio-del-made-in-italy.html
    il prof. Bagnai afferma:
    "....omissis.... D'altra parte, non si vede perché un governo che disprezza il proprio popolo debba apprezzarne la capacità imprenditoriale"....omissis....
    Ritengo tale affermazione vera e la porto alla sua conseguenza: il governo non agisce da solo ma attraverso la "Pubblica Amministrazione" la quale si ripropone come tramite dell'esecutivo nell'obbiettivo di disprezzare il proprio popolo essendosi costituita in caste che operano con cricche con estese sacche di corruzione.
    Quale spesa e' piu' improduttiva di quella che finanzia il tuo nemico ?
    Non e' un concetto relativo alla macroeconomia ma alla equita' sociale: differenza non sempre colta e della quale approfittano ESSI per il "divide et impera" .
    Senza una percezione che "castacriccacorruzione" e "spesa pubblica improduttiva" sono la definizione di fenomeni che un numero vasto di italiani subisce/percepisce non ci puo' essere convergenza di consenso su politiche di risanamento condivise.
    Se fosse sempre vero che qualsiasi spesa pubblica e' sempre positiva in termini di crescita del PIL la risposta giusta e' l'economia di piano invece abbiamo le prove (storiche) che non funziona .
    Il limite della spesa pubblica (e del debito pubblico) per uno stato con moneta propria e' la "qualita' della spesa" , la qualita' della spesa si misura con la curva di Laffer .
    Cioe' , per ogni settore produttivo ,vi e'un limite di tassazione/costo che inizia a disincentivare l'imprenditore .
    L'imprenditore E' UN LAVORATORE che convincendo altri alle sue idee puo' spendere guadagni futuri e non ha nulla a che vedere con un capitalista il cui obbiettivo e' allocare il capitale (gia' esistente ) al meglio .

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    1. Questi sono aspetti diversi da quelli affrontati nel post.

      Non so se tutto il discorso finale del commento sia una citazione di Alberto, ma alcuni passaggi vanno visti cum grano salis.
      Ad es; non è vero che "l'economia di piano...non funziona": semplicemente perché la locuzione non è normativamente, e nemmeno in teoria economica, unica e riferibile ad un solo contesto o metodo.

      E' vero che, FENOMENOLOGICAMENTE, casta e cricca sono INVECE prodotti dell'economia liberista, cioè soggetti organizzati appartenenti al lato dell'offerta, cioè affaristi e, in sostanza, anch'essi ascrivibili all'attività di impresa. Non basta essere bruti operai e impiegati lavativi per NON ESSERE SOGGETTI ALLA LOTTA DI CLASSE. IN UNA DEMOCRAZIA LIBERALE, naturalmente.
      Ci si rassegni a questo.
      O si perisca nell'errore (di certo non dipende da me).

      E si capisca, UNA FO...TA VOLTA PER TUTTE, che "l'offerta", nella "democrazia liberale" è la dimensione principale, se non UNICA, della politica.

      E la politica consiste nell'impadronirsi delle istituzioni dello Stato (E L'AMMINISTRAZIONE, come "l'intendenza", appunto, segue: è STRU-MEN-TA-LE, cioè attua i fini dell'indirizzo politico senza scelte autonome).

      D'altra parte va capito, sempre UNA VOLTA PER TUTTE, che la teoria/ideologia liberista, e neo-tale, è essa stessa, come ci dice Robbins (il più importante teorico del neo-liberismo alla base dell'€uropa), e come ci conferma il Colloque Lippmann, promosso da Hayek, fortemente pianificatrice:
      Mentre, M.S. Giannini e Ruini lo chiarirono, inutilmente, ad Einaudi, che continuò a far finta di non capire, già in sede Costituente.

      Peraltro, tutti questi argomenti sono stati affrontati sul blog, compreso il concetto di democrazia del lavoro inclusivo di TUTTI i ceti produttivi al di fuori del circuito oligopolistico "COSMOPOLITA", come spiega Lelio Basso (e COME abbiamo ribadito fino a sfinire la tastiera).
      Tale circuito oligopolistico e strettamnente finanziarizzato (come spiegava Schumpeter: e quindi non è una novità) coincide per definizione, con la VERA casta&cricca e controlla strutturalmente le istituzioni e le conseguenti fasi di amministrazione.

      Gli episodi di casta-cricca dati in pasto ai livorosi-fessi (per se stessi) dai media mainstream, come in generale è stato anche fatto rispetto al vero fenomeno della corruzione, sono i ladri di polli da cui si ricava un sgangherata retorica anti-Stato: cioè l'idea (particolarmente gradita alla vera casta-cricca) che lo Stato, desovranizzato, possa in qualche modo "arbitrare" rispetto ai mercati, invece che subirne le regole esterne alla democrazia, e possa, quindi, alterare l'assetto predeterminato della ripartizione del reddito a favore dei detentori del capitale finanziarizzato.
      Ovviamente non è così.

      Prendersela col NON-STATO ridotto ad una sub-holding desovranizzata dei "mercati che governano" rimane un esercizio di puro assecondamento della propaganda mainstream e non risolverà mai il problema di democrazia CHE COINVOLGE PROPRIO LA PICCOLA E MEDIA IMPRESA, come espressione di quel "lavoro" di cui parlano gli articoli 41, 42, 45 e 46 Cost.

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    2. E si faccia una domanda: come mai il concetto, - abbiamo visto mainstream neo-liberista, e anti-Stato-, di spesapubblicaimproduttiva, compare regolarmente in bocca di persone che fanno politica, anche solo come influencers prezzolati come teorizza esplicitamente la "rivoluzione liberale" in imponenti fonti documentali DIRETTE, e che non hanno la più pallida idea dei problemi cui abbiamo sopra accennato e, meno che mai, di cosa significhi fare impresa (non innescata da opportuni e preventivi agganci nel controllo politico delle regole statali; e chi vuol capire si studi la storia dell'economia italiana)?

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    3. Da ultimo, poiché SO che Alberto la pensa esattamente come me (i percorsi metodologici basati su rationalia esatti, nelle scienze sociali, "stranamente" portano a risultati pressocché coincidenti), eviterei di "estrapolarne" il pensiero.

      La sua sintesi, (di Alberto), a ben vedere, senza "omissis" coincide con la mia e non consente di trarre le conseguenze suggerite nel suo commento:
      "Il discorso puramente ideologico contro le nostre PMI, condotto dalle nostre élite (ndQ: ELITE: NON DALLA BUROCRAZIA CATTIVA-BRUTTA, che ne rimarrà sempre e solo un sottoprodotto transeunti, secundum INDIRIZZO POLITICO PREVALENTE) e dai loro giornali (NdQ: GIORNALI PRIVATI; PRIVATISSIMI, anche se hanno "pianificato" il sussidio statale; chissà com'è) non può avere altro fondamento razionale che non sia la loro subalternità agli interessi esteri, o la connivenza con essi.
      D'altra parte, non si vede perché un governo che disprezza il proprio popolo debba apprezzarne la capacità imprenditoriale.
      Un pezzo del delirio europeista è l'idea lievemente fuori tempo massimo che il piccolo e medio imprenditore sia il nemico di classe, da combattere con tutti i mezzi a disposizione, incluso il manganello del cambio sopravvalutato.
      Certo, questo suicidio fa male soprattutto ai lavoratori, ma, come abbiamo visto in anni di dibattito, il fatto che faccia male anche agli imprenditori serve a dare a questo tradimento dell'interesse del paese un piacevole retrogusto "de sinistra" (fra l'altro sollevando quest'ultima dal compito gravoso di individuare il vero nemico... che spesso, guarda caso, si trova fra i di lei finanziatori (NdQ: DI LEI FINANZIATORI. SEMPRE PRIVATI. PRIVATISSIMI): il grande capitale finanziario internazionale!).

      Ribadisco (precisando un concetto espresso con foga nella mia precedente risposta):
      - Non basta "NON" essere bruti operai e impiegati lavativi per NON ESSERE SOGGETTI ALLA LOTTA DI CLASSE. IN UNA DEMOCRAZIA LIBERALE, naturalmente-.

      Ora, se non si capisce da che parte si sta quando parte il tritacarne del capitalismo sfrenato, e si rimane cristallizzati sull'idea che la democrazia sociale è comunismobruttochecivuoletogliereatuttilaproprietàperinvidia, si è destinati a soccombere in partenza.

      Nell'Italia contadina, semiindustrializzata (in monopoli e oligopoli di spietati notabili abituati a decidere senza dover troppo pregare) e piccolo-borghese emergente nel dopoguerra e nel post-guerra civile, pochi possono vantare ascendenze nelle grandi famiglie dei capitani industriali che ci portarono prima al massacro della 1a guerra mondiale, poi all'autoritarismo del fascismo per "ripristinare l'ordine del mercato" (e sì che lo ripristinarono!).
      Chissà senza la Costituzione del lavoro, e i Mattei e le "partecipazioni pubbliche" quante PMI sarebbero mai nate all'ombra del Quarto Partito...

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    4. « comunismobruttochecivuoletogliereatuttilaproprietàperinvidia »

      La maggior parte di noi ha impiantato pensieri non propri e, guarda a caso, nessuno di questi - con un po' di onestà intellettuale - si rivela frutto di un atteggiamento fenomenologico di ricerca.


      (La maggior parte delle cose che crediamo di sapere e le categorie con cui descriviamo il mondo sono falsa coscienza! qualcuno le ha pensate per noi e noi ragioniamo con la mente altrui: la mente del nostro stesso oppressore)


      Si ricorda che per motivi strutturali, con buona pace di Weber, la dialettica tra paradigmi contrapposti si risolve esclusivamente in quella tra socialismo e liberalismo: il primo fornisce coscienza per l'emancipazione dei ceti subordinati nell'economia di mercato tramite la democrazia sostanziale, il secondo fornisce falsa coscienza da strumentalizzare a favore degli interessi materiali della classe egemone in funzione di un'organizzazione sociale in senso classista, organicista ed elitarista.

      L'oggetto del contendere è la proprietà privata dei mezzi di produzione: i socialisti la proprietà la vogliono o pubblica tout court, o, comunque, controllata nel suo aggregato al fine di interesse pubblico.

      Da uno dei numerosi incompiuti delle mia personalissima Fabbrica del Duomo: « Il programma del liberalismo […] se sintetizzato in un'unica parola, sarebbe da leggere: PROPRIETÀ, che significa il diritto alla proprietà privata dei mezzi di produzione […]. Ogni altra istanza del liberalismo deriva da questa istanza fondamentale », LUDWIG VON MISES, LIBERALISM: THE CLASSICAL TRADITION 2 (Bettina Bien Greaves,
      ed., Liberty Fund, Inc. 2005) (1927)

      Cosa è più chiaro di così?

      Tutti noi siamo il "pubblico" e, tramite la mercificazione totalitaria, veniamo privati di libertà, benessere, capacità riproduttiva e piena personalità umana per i porci comodi di una sedicente élite che per buona sorta è nata in condizione di irrazionale privilegio.

      La nostra Costituzione, a differenza di tutte le altre dotate di istituzioni borghesi, ha proprio abolito la dialettica tra liberalismo e socialismo: ha imposto il socialismo, ossia la democrazia liberata dall'ingiustizia sociale dovuta all'esclusione alla proprietà per nascita di gran parte del popolo.

      Esclusione che lascia come enunciato meramente formale qualsiasi rivendicazione di sovranità come implica il concetto di democrazia.

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  3. Il discorso di Prodi è rintracciabile in versione integrale nel suo sito www.romanoprodi.it
    In effetti è impressionante la contorsione dialettica necessaria per partire dalla premessa di salvaguardare la democrazia minacciata "dal desiderio di autorità" (delle popolazioni stesse naturalmente, non certo delle elite!), per poi finire dicendo che bisogna rendere la democrazia "più autoritaria" a colpi di maggioritario!
    Devo riconoscere a Prodi però una certa abilità dialettica nel momento in cui questa necessità e "richiesta" (cioè quella di governi "efficaci" prima che "rappresentativi") la attribuisce ai popoli stessi, e non alle "elite" stesse. E mi riferisco in particolare a questo passaggio:
    "Di fronte a tutti questi eventi il favore degli elettori si allontana sempre più da una democrazia che “rappresenta” e si sposta verso una democrazia che “consegna”, che opera cioè in modo efficace."
    Penso peraltro che si possa dire che Prodi non ha fatto altro che riassumere quelli che sono i punti cardine della riforma costituzionale proposta da Renzi, che andava secondo me esattamente in quella direzione e soprattutto partiva dagli stessi presupposti ideologici. Perchè comunque tali sono, anche quelli di Prodi.

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    1. Sì è la summa di questa matrix ideologica sta nella posizione, non casualmente, manifestata dalla Venice Commission.
      http://orizzonte48.blogspot.it/2016/10/la-filosofia-riformatrice-della-venice.html

      Chiaramente, poi, questa "elaborazione di riferimento" viene riflessa in un comodo discorso divulgativo gestibile anche da non tecnici (cioè costituzionalisti), e cosmeticamente "porto" per formare un neo-senso comune (creato da un bislinguaggio che rimuove la lettera e la normatività della Costituzione).

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  4. "... il concetto stesso di spesapubblicaimproduttiva è il frutto dell'acritica ideologia "dell'incubo del contabile" che veniva, anche in Costituente, a reclamare i "sospesi", come il garzone del colonnello Kurtz, e a predicare che "occorresse scendere dal livello di civiltà in cui si era"..."

    Infatti, mai avrei creduto possibile che nel XXI secolo si arrivasse a rinunciare a trovare pure le cure per le malattie!

    Pfizer ha annunciato che cessa di finanziare la ricerca per curare Alzheimer e Parkinson (ed ha licenziato anche i circa 300 ricercatori addetti).

    Quale sarà la prossima tappa?
    Interrompere anche la ricerca sul cancro?

    Gli stati non se ne devono occupare perchè 'inefficienti' ed i privati non se ne vogliono occupare perchè ci potrebbe volere troppo tempo/denaro per arrivare a risultati soddisfacenti.

    Altro che fallimento del mercato, mi sa che ESSI rivogliono Action T4 (applicato anche a se stessi)!

    E allora viva a' livella!

    https://www.youtube.com/watch?v=kh-DtTmQb5E

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  5. @Gianus: NO. Non sono disposto ad accettare la pubblicazione su basi regolari di commenti che dimostrano la non conoscenza di elementari nozioni di economia e di diritto.
    Questo dopo che il blog si è speso per anni a spiegare queste stesse nozioni.

    Sono disponibili gratis; ma bisogna prima studiare. Per il proprio bene.
    Non è d'accordo e non lo sarà mai?
    Non è un mio problema: a casa mia decido io chi entra e chi no. E prima di tutto deve dimostrare l'educazione minima di non venire a fare lezioncine "sapendo di sapere".

    Per aprire dibattiti c.d. permeistici (cioè di pura espressione della propria libera elaborazione personale e non coerenti con i principi delle scienze sociali) ci sono altri blog.
    E se non ci fossero, (ormai, data la crescita culturale di chi ha VOLUTO STUDIARE E INFORMARSI) può sempre crearsene uno...

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  6. (Su uno spunto di Dargen relativo al lavoro della Manfredi)

    Per chiosare a proposito di castacriccacorruzione, livore ed utili idioti - dai manuali dei servizi segreti militari nei quali il mitico Rockefeller fece la gavetta durante la seconda grande guerra, "scopriamo" la ben rodata strategia imperialista:


    * creare scarsezza di viveri, abitazioni, vestiario e di altre necessità;
    * sviluppare al massimo la corruzione e la concussione tra i capi e la popolazione;
    * stimolare il dissenso tra le élite politiche e militari;
    * appoggiare forme di sanzione economiche ingiuste;
    * creare inflazione e tassazione esorbitante e non equa;
    * fomentare l'intolleranza razziale e religiosa; (dedicato agli amici della Fallaci)
    * creare disunità politica e mancanza di fiducia nei capi;
    * incoraggiare la discordia tra elementi sociali, politici ed economici che hanno risentimento tra di loro e contro il governo;
    * creare mancanza di risorse che possano sostenere l'economia;
    * fomentare rivolte e sovversioni;
    * compiere azioni di sabotaggio, terrorismo e violazione di diritti umani.

    Obiettivi:

    * impedire che la massa possa concentrarsi sull'obiettivo che vuole essere raggiunto e contrastarlo;
    * fruttare quella rabbia e frustrazione per creare risentimento nella società e, quando necessario, scatenare scontri violenti per terrorizzare la popolazione e farle chiedere e desiderare la soluzione proposta, che altro non è che l'obiettivo che l'operatore di guerra psicologica deve raggiungere.

    E ora avanti il prossimo apologeta grillino di castacriccacorruzionespesapubblicaimproduttiva.

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    1. Fonte deduttiva del 2013:
      http://orizzonte48.blogspot.it/2013/07/von-hayek-e-la-costruzione-europea.html (p.7)

      7- STATO MINIMO E "ECCESSO" DI TASSAZIONE.
      Le cose fin qui complessivamente dette, dovrebbero aver chiarito il concetto di "Stato minimo", caratterizzato da una "Legge" che pone al di sopra di ogni cosa il soggetto naturale di tutela, il "proprietario-produttore", escludendosi, come interferenza distorsiva, ogni altro tipo di "legislazione", in specie quella sociale, foriera di violazioni e privilegi rispetto alla condizione di "astensione" dello Stato che possa porre in pericolo questo, ben delimitato, concetto di libertà.

      Attinta dalla generale condanna della sua arbitrarietà, l'attività dello Stato sarà da delimitare progressivamente alla costruzione di "strade"...e alla segnaletica, mentre non è esclusa la progressiva privatizzazione, per di più in un mercato di cui si auspica la apertura "mondiale", di attività come difesa e pubblica sicurezza; queste, poi, finiscono per essere, in ultima analisi destinate a tutelare la proprietà produttiva, sul territorio nazionale come all'estero. Istruzione, previdenza e sanità sono invece nel tipico campo di elezione della "libertà" dei privati operatori economici. Lo Stato minimo ne è doverosamente escluso.

      Un "punto di arrivo" indubbiamente, ma non un obiettivo che può dirsi estraneo alla strumentazione messa in campo coi trattati europei.

      Che questa sia una costruzione ideale, ma non tanto (nutrendo Hayek espressamente fiducia nel fatto che "un giorno" esisteranno le condizioni politiche per realizzarla:...vi ricorda qualcosa?), e non segna alcuna fondamentale incompatibilità col disegno UE-UEM, che, come già sul piano monetario, ammette un processo strategico che utilizza strumenti di progressiva realizzazione di tale "schema ideale" condivendendone i fini essenziali.

      In questa chiave "progressiva" si possono comprendere anche gli elevati livelli di tassazione: si tratta di una condizione transitoria e, naturalmente strumentale, che sconta la modifica del precedente ordine costituzionale dei welfare, mirando a farlo collassare, per rigetto del corpo sociale, mediante la imposizione del vincolo monetario (ad effetti equipollenti "in parte qua" al gold standard) e dei ben noti "vincoli" di deficit e di ammontare del debito, posti rispetto ai bilanci pubblici.

      I quali, naturalmente, in una fase iniziale, pazientemente durevole, debbono "rientrare", consolidarsi, aumentando l'imposizione fiscale, prima di poter procedere, verificatesi le condizioni politiche, al taglio strutturale della spesa pubblica.
      Alla fine, la gente, avvertendo come insopportabile il costo dei diritti sociali, cioè del welfare, invocherà il loro smantellamento, pur di vedersi sollevata da questa insopportabile tassazione."

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    2. Ridurre l'istruzione. Diffondere la droga per trasformare le crisi di rabbia in crisi di dipendenza.

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  7. Il “comunismosocialismobrutto”… anch’esso su Marte, ovviamente. E si finisce per delegittimare l’art. 41, comma III, Cost. (non a caso fatto oggetto di attacchi violenti. Persino proposte di legge costituzionali per eliminare l’inciso “fini sociali”). Ed allora meglio sentire i nostri Costituenti:

    Cosa vuol dire questa pianificazione? Si devono fare delle ferrovie o delle strade? Si deve sviluppare l'industria cinematografica o l'industria turistica? L'industria della siderurgia o della tessitura? Quale di queste industrie, di queste attività economiche deve avere la precedenza? Questa è la pianificazione che deve fare lo Stato: È LO STATO CHE HA LA VISIONE GENERALE DEL PAESE, NON LA PUÒ AVERE IL SINGOLO INDIVIDUO, PERCHÉ OGNUNO VEDE IL PROPRIO EGOISMO E NON VEDE L'INTERESSE DELLA COLLETTIVITÀ. Se voi domandate agli industriali tessili, essi vi diranno che l'industria più importante è quella tessile; ma se vi rivolgete ai siderurgici, vi diranno che è la siderurgia.

    Ma è lo Stato che deve avere la nozione esatta di quello che conviene alla collettività, cioè allo Stato; e deve quindi chiarificare quella che è la sua attività, il suo concorso ed il suo incoraggiamento per sviluppare una industria piuttosto che un'altra. Dovremo sviluppare per esempio le industrie dei beni di produzione o le industrie dei beni di consumo? È un problema che deve essere esaminato dallo Stato, non dai singoli individui. Ecco perché l'economia liberale individualistica va verso la morte. Ha ragione l'onorevole Corbino quando dice che l'economia liberale non c'è.

    Non c'è più perché è fallita, ed è fallita perché ha provocato una serie di guerre che hanno ridotto l'economia mondiale nelle condizioni in cui si trova. Ora VOGLIAMO LASCIARE QUESTE FORME DI PIANIFICAZIONE AL CAPITALISTA MONOPOLISTA? Il capitalista ha la sua pianificazione. Se domandate alla Montecatini, essa ha la sua pianificazione. Ma dobbiamo lasciare nelle mani dei privati, di elementi incontrollati, al capitalista monopolista la pianificazione in modo che essa sia diretta verso soluzioni di difesa dei loro particolari interessi, o deve invece intervenire lo Stato per chiarificare, per indirizzare questa pianificazione verso un risultato rivolto all'interesse dello Stato? Questa è la domanda che ci dobbiamo fare...
    ” [L. D’ARAGONA, Assemblea Costituente, seduta pomeridiana del 9 maggio 1947].

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  8. Ed ancora:

    … Mi si consenta di dire che il fatto che la nostra Costituzione consacri il principio che il regno beato del beatissimo e totalitario laisser faire è finito per sempre, mi sembra non soltanto costituzionalmente legittimo ed esatto, ma anche praticamente opportuno.

    …voglio formalmente precisare che l'inserzione dell'accenno ai piani nel nostro emendamento non ha mai avuto e non avrà mai lo scopo di volere porre all'Assemblea una perentoria alternativa fra sistema liberale e socialista, fra iniziativa economica privata e coercizione burocratica di Stato, fra capitalismo nella sua forma pura e pianificazione integrale. La portata del nostro emendamento ha un valore che supera questa alternativa…: esso invece vuol soltanto portare il tema sopra un piano di praticità, di realtà, di attualità e di attuabilità.

    … nessuna alternativa è posta all'Assemblea tra libertà economica e vincolismo esasperato di Stato; ma soltanto disciplina di quegli interventi od interventismi di Stato che oggi campeggiano in tutti i paesi

    ASSUMERE QUINDI, ONOREVOLI COLLEGHI, IL SOCIALISMO COME LO SPAURACCHIO, o come un voluto sottinteso, contro o a favore della pianificazione, è inesatto. Ci può essere molta pianificazione e poco socialismo, come può darsi molto socialismo e poca pianificazione. Tutto consiste nel saper distinguere i fini cui si tende, ed i mezzi che sono stati proposti come necessari a raggiungere lo scopo.

    È SUL PIANO DEI FINI (che nel socialismo sono fini etici) e dei mezzi posti alla base di ogni pianificazione, che si può stabilire un parallelo tra socialismo e pianificazione. Senza questo aspetto fondamentale, si ha soltanto un metodo, onorevoli colleghi, ed è precisamente un metodo che abbiamo voluto fissare …. Un metodo che balza dalla stessa impostazione del problema fondamentale, che è uguale in tutti gli ambienti giuridici sociali, e cioè in tutte le parti del mondo odierno, e che si enuncia in questi termini: distribuire un complesso limitato di risorse tra i vari possibili impieghi, in modo che i bisogni degli individui siano soddisfatti nel miglior modo possibile.

    Sono i fatti, sono le esigenze nazionali ed internazionali, sono i bisogni, le privazioni, le sofferenze degli uomini e delle comunità organizzate, che hanno imposto questo metodo. Non è qui la sede per esaminare se tutto questo sia frutto della guerra o di quel tracollo della economia liberale di cui, con la sua riconosciuta e simpatica onestà scientifica, parlava l'onorevole Corbino, o forse di entrambi insieme. Certo è, onorevole Corbino, che IL TRACOLLO DELL'ECONOMIA LIBERALE SOVRASTA COME UN'OMBRA QUESTI NOSTRI DIBATTITI SUL TITOLO TERZO. Può darsi che sulle rovine di questo tracollo già cominci a spuntare la nuova economia di domani, e non sarà un male se sarà la pianificazione a tenerla a battesimo…
    ” [G. ARATA, Assemblea Costituente, seduta antimeridiana del 13 maggio 1947].

    Se i fini vengono stabiliti a vantaggio delle oligarchie capitalistiche, si chiama libertà.

    Se i fini (art. 3, comma II, Cost.) vengono posti a vantaggio dell’interesse collettivo (cioè del Popolo sovrano, art. 1 Cost.), riemerge lo “spauracchio” del totalitarismo. La narrazione liberista

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  9. L’economia di piano non funziona” – parlo dell’Italia - semplicemente perché in realtà una vera programmazione economica globale (l’art. 41, comma III, parla di “programmi”, termine che sostituì poi quello di “piano”, nel senso sopra inteso dai Costituenti) non è mai avvenuta:

    … Dopo gli anni della ricostruzione, caratterizzati dal declino delle ipotesi di programmazione globale e dal predominio delle concezioni liberiste, gli anni della legislatura degasperiana (1948-1953) sono segnati dalla costruzione di una serie di “programmazioni di settore” ispirate ad obiettivi riformisti. E’ una fase nella quale il tratto dominante può essere riconosciuto al “decreto”; sono i meccanismi della rappresentanza politica e del governo ad assumere il peso prevalente nel processo di acquisizione del consenso e nel processo di assunzione delle decisioni.

    Il mantenimento dell’asse portante del sistema politico attorno al binomio decreto-mercato negli anni del “centrismo debole” (1954-1962), accantonata ancora una volta la strada della programmazione globale (piano del lavoro della CGIL, e “schema Vanoni”) è ottenuto attraverso una estensione dell’intervento pubblico mediante programmi di settore, attraverso un certo grado di “GERARCHIZZAZIONE” NEI RAPPORTI FRA SISTEMA POLITICO E ORGANIZZAZIONE DEGLI INTERESSI (il legame corre fra partito di maggioranza relativa, Confindustria, Confcommercio etc) attraverso l’accantonamento definitivo dell’attuazione costituzionale degli artt. 39 e 40 e quello (provvisorio) dell’attuazione dell’ordinamento regionale.

    La forza trainante del mercato nella fase del miracolo economico (1958-1962) garantisce, a prezzo di nuovi “squilibri” territoriali e settoriali, il compromesso “decreto-mercato…
    ” [M. CARABBA, in Enciclopedia del diritto, voce Programmazione economica, XXXVI, 1987, 1127-1128].

    Non riporto nemmeno i commenti di Lelio Basso sull’affossamento del Piano o Schema “Vanoni”, il primo tentativo di programmazione economica (globale) seria nel nostro Paese (ah, il Quarto partito!). Si recuperò un pò il tempo perduto negli anni del primo centro-sinistra (1963-1972); ma negli anni ’70, complice anche la crisi (che la Robinson annoverava già nella lotta di classe), l’inflazione-brutta (dovuta agli acquisiti diritti dei lavoratori conseguenti alle lotte) ed il piano delle élites internazionali (quello Werner incluso), annegarono sul nascere ogni ulteriore velleità. Tutta storia narrata in modo certosino su questi schermi.

    Quanto detto trova puntuale analisi in un libro di L. Barca-G. Minghetti del 1976, dal titolo “L’italia delle Banche”, dove si critica proprio l’indirizzo di politica economica dei 15 anni precedenti (ed in particolare, la mancanza di programmazione ex art. 41, comma III, associata alla politica monetaria. Non è un caso che Mortati individui nella norma citata il pilastro strumentale della “Costituzione economica”) che ha permesso il dominio del capitalismo finanziario. A danno delle stesse imprese che, evidentemente, avevano altri programmi.

    Chissà se un giorno riusciremo a vedere una programmazione economica globale attuata secondo Costituzione. Anche solo per capire l'effetto che fa...

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    1. In realtà proprio l'esperienza del centrosinistra dimostra come la pianificazione- propugnata e dalla DC di Moro e Fanfani e dal PSI- costituì il vero motivo di distruzione di quell'esperimento.

      A partire dalla cd. nota aggiuntiva di La Malfa, infatti, il quarto partito e i suoi servi di carta lavorarono per creare un clima di panico e sfiducia, lavorando su quei settori reazionari della DC in chiave anti-governativa. Ci fu al tempo un notevole dibattito intellettuale e scientifico, ma ogni tentativo di tramutar ciò in politiche attive si risolse in fallimento, proprio nel momento in cui era invero necessario utilizzare il piano per meglio gestire la "crisi di crescita" dovuta al miracolo economico.

      Così non si fece, e Dio solo sa cosa sarebbe potuto essere questo Paese se le svolte fallite negli anni Sessanta (Mattei, programmazione, centrosinistra, affermazione del PSI senza Craxi) si fossero realizzate.

      PS: duole dirlo, ma in tal senso il PCI fece il gioco (non so quanto voluto...) del padronato rifiutando qualunque apertura a Fanfani, istigando a mezzo CGIL i lavoratori a rifiutare la programmazione.

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    2. Perché "duole"? E' la pura verità, stigmatizzata pure da Caffè; e rispondeva alla precisa intenzione di non collocarsi più nel quadro dell'attuazione costituzionale, ma del rivendicare un riequilibrio di classe sulla base di puri rapporti di forza (che è poi il bel frutto della teorie di Sraffa nell'ambito del sinistrismo marxista ormai dedito al superamento del disegno Costituente di Gramsci)

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  10. Si figuri, duole perché parliamo sempre di un partito espressione- almeno alla base- di forze operaie e proletarie. Da socialista nenniano non ho personalmente grandi simpatie per il PCI, ma è un altro discorso.

    Quale riequilibrio di classe volevano realizzare? Io credo che il PCI potesse sostenere adeguatamente lo sforzo rinnovatore del centrosinistra cambiando dalle radici l'assetto stesso della democrazia italiana, rinnovandola e rendendola realmente adeguata alla lettera costituzionale.

    Ciò non s'è voluto fare, e i frutti di quel colossale scolorimento...in rosa del Bottegone lo scontiamo ancora oggi, soprattutto a livello culturale (anche se sarebbe meglio dire... culturame).

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  11. Cito:
    “Ci si sforzerà di non cadere nella trappola della “demagogia antipopulista” (...) che Taguieff ha spesso messo in evidenza e criticato, rimproverandole di usare i termini “populismo” e “populista”, dopo averli caricati di significati eccessivi e a volte contraddittori, a scopo meramente squalificante, “patologizzando o criminalizzando” coloro che si intende in tal modo stigmatizzare, per mettere in discussione la legittimità della loro presenza sulla scena politica. Taguieff ritiene che un simile atteggiamento configuri un “nuovo genere della demagogia massmediale” nel quale “ogni leader politico considerato eretico, malpensante o minaccioso per qualche privilegio acquisito può costituire l’oggetto di una campagna di stampa”, consentendo alle élite politiche, burocratiche e tecniche, timorose di un soprassalto delle masse che eroda le loro posizioni di potere, la cui solidità sono portate a equiparare alla salvezza della democrazia, di assicurarsi un’”immunità ideologica”. È un punto di vista che ci trova concordi e al quale ci ispireremo.”

    [Margaret] Canovan, aveva sostenuto che “il populismo è un’ombra proiettata dalla stessa democrazia”, che “essa porta con sé” e dunque ne riproduce il profilo anche se con tratti deformati dalla prospettiva. (...) Vista in questa prospettiva, quella del populismo è una sfida lanciata alla democrazia sul suo stesso terreno, in nome dello smascheramento del potere elitario che si cela dietro il bluff di “un sistema in cui al popolo è consentito votare, ma il potere reale è convogliato lontano da esso verso una élite più liberale e illuminata” e in cui la sovranità popolare non è che “una menzogna necessaria”, un “elaborato sotterfugio” sostenuto da “false promesse”.

    “Considerando sia il retroterra sociale e psicologico dell’ondata di populismo abbattutasi negli anni recenti sull’Europa occidentale, sia le caratteristiche culturali e organizzative delle formazioni che le hanno dato corpo e vigore, si possono ricondurre le cause del fenomeno a due insiemi fondamentali. Da un lato vi è l’intensificazione, innanzitutto per gli effetti della globalizzazione economica, di trasformazioni strutturali che hanno messo in crisi il precedente meccanismo di politicizzazione dei conflitti sociali e i partiti che se ne erano giovati, inceppando i sistemi di mediazione politica imperniati sul rapporto triangolare governi-partiti-sindacati. Dall’altro vi è la crisi di legittimità della classe politica, aggravata dalla perdita di sovranità degli stati nazionali, che ha portato al progressivo logoramento di gran parte dei regimi democratici europei e li ha esposti a sempre più frequenti e vivaci accuse di inefficienza e corruzione, dilatate dalle potenzialità di amplificazione offerte dai mezzi di comunicazione di massa.”

    (Marco Tarchi, Italia populista, il Mulino, seconda edizione 2015)

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