venerdì 9 marzo 2018

TRUMP, I DAZI, LE ELITES MONDIALISTE E IL "CAPITALE PAZIENTE". LA RIVINCITA GLOBALE DELLA COSTITUZIONE ECONOMICA





1. Per trovare un intermezzo all'anZia nella lunga fase di "trattative" per la formazione del governo appena al loro inizio, vi traduco alcuni brani delle risposte di Ha Joon Chang nell'intervista in cui, più di un anno fa, gli hanno chiesto di commentare le politiche che Trump aveva intenzione di intraprendere. Le risposte di Chang, oggi di particolare attualità, rivelano dei nodi ancora irrisolti dell'approccio occidentale alla crescita, alla democrazia e al mercato del lavoro. Non caso questo il titolo dell'intervista:

Exposing the Myths of Neoliberal Capitalism: An Interview With Ha-Joon Chang

"Il piano di Trump per una ripresa economica americana è ancora vago, ma, da quanto posso capire,  ha due assi principali  -- indurre le grandi imprese americane a creare più posti di lavoro a casa e aumentare gli investimenti nelle infrastrutture.
Il primo asse appare piuttosto fantasioso. Egli sostiene che lo realizzerà principalmente con un maggior protezionismo; ma non potrà funzionare per due ragioni.
Primo, gli USA sono legati da ogni sorta di accordi internazionali di commercio -- il WTO (ndQ; e infatti), il  NAFTA (ndQ. e, pure qui, infatti), e da accordi bilaterali di free-trade (con Korea, Australia, Singapore, etc.). 
Sebbene si possa spingere in direzione protezionista estrema persino in questa cornice (ndQ; v. Corea e acciaio), sarà difficile per gli  USA "picchiare" con extra tariffe che siano abbastanza elevate da riportare indietro i posti di lavoro in America nella vigenza di questi accordi.
Il tema di Trump afferma che rinegozierà tali tratttati, ma ci vorranno anni, non mesi (ndQ. v. alla voce NAFTA), e ciò non produrrà alcun risultato tangibile durante il primo termine della presidenza Trump.
In secondo luogo, anche se pesanti tariffe potranno in qualche modo essere imposte contro i vari trattati internazionali, la struttura dell'economia americana, oggi, è tale che si avranno enormi resistenze interne contro queste misure protezionistiche (ndQ.; e infatti...).
Molte prodotti importati da paesi come la Cina e il Messico sono cose che sono prodotte "da" - o almeno prodotte "per" - imprese americane. 
Quando il prezzo dell'iPhone  e delle Nike made in China o delle auto GM made in Mexico, salirà del 20%, o del 35%, non soltanto i consumatori americani ma anche grandi imprese come Apple, Nike and GM saranno intensamente insoddisfatti.
Ma questo si tradurrà nel risultato che Apple o GM faranno rientrare la produzione negli USA? No, probabilmente, si trasferiranno in Vietnam or Thailandia, laddove non siano colpiti da tali tariffe.

Il punto è che lo svuotameto dell'industria manifatturiera americana è progredito nel contesto della globalizzazione (US-led) della produzione, e della ristrutturazione del sistema di commercio internazionale, e non può essere invertito con semplici misure protezionistiche.
Sarà invece necessaria  la totale riscrittura delle regole globali di commercio e la ristrutturazione della cosiddetta catena globale del valore.
Persino a livello domestico, il revival dell'economia americana richiederà misure di gran lunga più radicali di quelle che l'Amministrazione Trump sta contemplando.
Richiederà una politica industriale sistematica che ricostruisca le capacità produttive dell'economia americana,  e che spazieranno dalle competenze della forza lavoro, a quelle manageriali (non finanziarie), alla ricerca industriale di base fino a infrastrutture modernizzate.
Per avere successo, una tale politica industriale, dovrà essere sostenuta da un radicale ridisegno del sistema finanziario, in modo che più  "patient capital" sia reso disponibile per investimenti orientati al lungo periodo, e più persone di talento vadano a lavorare nel settore industriale piuttosto che in quello delle banche di investimento o in quello degli scambi commerciali esteri

Il secondo asse della strategia di rilancio di Trump è l'investimento in infrastrutture.
Come detto più sopra, il miglioramento delle infrastrutture è un ingrediente fondamentale di una strategia genuina di rinnovo dell'economia americana. 
Comunque, ciò potrebbe incontrare la resistenza dei conservatori (austero)fiscali in un Congresso dominato dai repubblicani
Sarà interessante osservare come questo potrà dar luogo a degli esiti, ma la mia preoccupazione maggiore è che Trump sia indotto a incoraggiare dei tipi di investimento infrastrutturale "sbagliati" -- cioè quelli connessi al settore immobiliare,(suo natural e territorio), piuttosto che quelli correlati allo sviluppo industriale.
Se accadesse, ciò non solo fallirà nel contribuire al rilancio dell'economia, ma potrebbe anche contribuire a creare delle bolle immobiliari, che sono state un'importante causa della crisi finanziaria globale del 2008".

2. Un po' prima di questa intervista, e proprio parlando del controverso, e certamente miope, rapporto tra Trump e le elites globaliste, (che al tempo si dedicavano a tentate "rivoluzioni arancioni" contro Trump...e di cui la Botteri è l'ultima sostenitrice a oltranza), avevamo fatto questo ragionamento, appoggiato a un'insolito soccorso scientifico-economico alle intenzioni del neo-presidente:
Vi conviene, piuttosto, prendervi una bella pausa e augurarvi che Trump, coscientemente o meno (nessuno può scommettere sulla sua consistenza "culturale"), attui esattamente ciò che, negli anni '40 - quando per voi i "mulini" non erano più così bianchi e covavate la rivincita nel risentimento, senza aver evidentemente appreso la grande lezione della crisi del 1929-,  indicava Kalecky (v. p.5):
...In un’economia nella quale l’attrezzatura produttiva è scarsa è quindi necessario un periodo di industrializzazione o ricostruzione […]. In tale periodo può essere necessario impiegare controlli non dissimili da quelli impiegati in tempo di guerra.» (10). Un’affermazione come questa basta da sola a mostrare tutta l’inconsistenza e la superficialità dell’identificazione, che tanto spesso si è voluta fare, fra keynesismo e politiche keynesiane, basate esclusivamente sul sostegno della domanda aggregata".

Se, anziché con la politica dell’offerta, il miglioramento dei conti con l’estero viene perseguito per mezzo della deflazione, il freno che ne deriva alla formazione di capacità produttiva tenderà ad aggravare ulteriormente la situazione. «E’ un affare molto serio - ha scritto un altro keynesiano della prima generazione, Richard Kahn - se l’attività produttiva deve essere ridotta perché la produzione a pieno regime comporta un livello di importazioni che il paese non può permettersi. Ed è un affare particolarmente serio se la riduzione in esame prende largamente la forma di una riduzione degli investimenti, inclusi gli investimenti volti alla formazione della capacità produttiva capace di farci esportare più beni a prezzi più concorrenziali e di diminuire la nostra dipendenza dalle importazioni.» (11). 

Se proprio occorre ridurre gli investimenti, afferma ancora Kahn, tale riduzione deve essere «altamente discriminatoria»: bisogna, cioè, tentare di «stimolare gli investimenti nelle industrie esportatrici e in quelle capaci di sostituire le importazioni, particolarmente nei settori in cui è l’attrezzatura produttiva a rappresentare la strozzatura, e di scoraggiarli in tutti gli altri settori. Le restrizioni monetarie possono, tuttavia, essere caricate di un contenuto discriminatorio solo con difficoltà ed entro limiti piuttosto ristretti. Vi sono qui, per eccellenza, forti ragioni per ricorrere a metodi alternativi di scoraggiare gli investimenti, e particolarmente a quei metodi che operano attraverso controlli diretti» (12).
Dal fatto che la sostituzione delle importazioni e il potenziamento della capacità di esportazione sono obiettivi di medio o lungo termine, mentre la deflazione va evitata fin dall’inizio (anche per non pregiudicare il raggiungimento degli obiettivi suddetti), può discendere la necessità di imporre controlli amministrativi sulle importazioni di particolari merci, e dunque sulla loro distribuzione all’interno del paese".

3. Si capisce meglio (c'è da augurarsi) perché Chang, saggiamente, parli de "la totale riscrittura delle regole globali di commercio e la ristrutturazione della cosiddetta catena globale del valore", di "una politica industriale sistematica", e di un "radicale ridisegno del sistema finanziario, in modo che più  "patient capital" sia reso disponibile per investimenti orientati al lungo periodo". 
Si tratta di quello che, un tempo, avevamo già, in Italia: come dimostra questo documento leakato, in cui gli USA, al tempo, cioè nel 1977, impegnati a smontare, a casa loro (come ci racconta Galbraith), quello che oggi avrebbero disperatamente bisogno di rimettere insieme, apprendono da Egidi, già collaboratore di Mattei, le ragioni macroeconomiche della gestione dell'industria pubblica (che, con molta fretta, - visti i risultati successivi delle politiche imposteci in termini di crescita italiana-, gli USA vedevano come "fallimentari" e inaccettabili):
 

Il presidente dell'ENI scandalizza gli interlocutori USA (console a Milano che scrive all'ambasciatore del tempo) "osando" (went so far) dirgli che la "profittabilità" a cui sono orientate le industrie pubbliche, significava solo che dovessero ottenere piccoli margini di profitto o, in alcuni casi, il pareggio. "Gli obblighi sociali (ndQ; in realtà legali-costituzionali) di fornire occupazione, fare investimenti in aree depresse, e mantenere operative le industrie strategiche, costituivano anche finalità importanti".

4. Ecco: di fronte a tutte queste terribili problematiche globalizzate, - e al molto peggio in forma di eurovincolo-  che, in termini di disoccupazione e mancata crescita, ci ha offerto il modello che ci veniva forzatamente imposto a partire da quegli anni, ancora stiamo a discutere se convenga uscire dall'euro-gold standard?

Quanto tempo dovrà essere ancora perso in questa follia monetaria, mentre persino nel cuore dell'impero si sta imponendo (nei fatti irrefutabili), come unica soluzione REALISTICA di salvezza, esattamente quello che noi avevamo già e gestivamo egregiamente, grazie alla nostra Costituzione economica, garantendoci crescita, occupazione, e equilibrio costante (o attivo) delle partite correnti in una misura che oggi appare poco più di un miraggio?

33 commenti:

  1. "Gli obblighi sociali di fornire occupazione, fare investimenti in aree depresse, e mantenere operative le industrie strategiche, costituivano anche finalità importanti".

    Specialmente per l'IRI, che anche in assenza di precisi obblighi di legge svolse proprio quel ruolo (ampliando però eccessivamente il suo raggio di azione) ed arrivò a 'muovere' l'8% del PIL italiano.

    Per i più giovani, che non possono ricordare, ecco un apologo attribuito a Franco Schepis, ex-potente direttore centrale del Servizio Pubbliche Relazioni dell'IRI:

    «Un turista straniero arriva in Italia con un aereo dell' Alitalia?
    L' Alitalia è la compagnia aerea dell' Iri.
    Quel turista sbarca a Genova da uno dei più bei transatlantici del mondo, come la Michelangelo o la Raffaello, la Cristoforo Colombo o la Leonardo da Vinci? Sono dell' Iri.
    Noleggia una macchina veloce ed elegante, come un' Alfa Romeo? E' dell' Iri.
    Per uscire da Genova percorre la prima strada sopraelevata costruita in Italia? E' dell' Iri ed è stata realizzata con l' acciaio della Finsider (Iri) e il cemento della Cementir (Iri).
    Uscito dalla città, quel turista straniero prende un' autostrada della più estesa rete esistente in Europa? E' dell' Iri.
    Si ferma per pranzare in un Autogrill? E' dell' Iri.
    Dopo pranzo telefona alla fidanzata nella sua città straniera usando la prima teleselezione integrale da utente del continente? E' una linea della Sip, cioè dell' Iri.
    Deve cambiare valuta? Va in una delle principali banche italiane (la Commerciale, il Banco di Roma o il Credito Italiano). Anch' essa è dell' Iri».

    Il PCI mano a mano che si avvicinò al potere passò da 'non contrario' a 'fortemente critico' nei confronti dell'IRI (oggi sappiamo perchè).

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    1. Impressionante per chi fosse nato, che so, anche solo negli anni '80, no?
      Ma quello che è più impressionante è l'incapacità diffusa di rivendicarlo e realizzarlo ancora.
      Eppure sta scritto in Costituzione...

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    2. E poi il "caso volle" che il tutto passasse a Cefis...letture serali https://www.lafeltrinelli.it/libri/francesco-bigazzi/viaggio-falcone-a-mosca/9788804651130 http://www.chiarelettere.it/libro/principio-attivo/il-caso-mattei-9788861907256.php

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    3. altra lettura di quelle rilassanti che conciliano il sonno da leggere con i due sopra,e il perchè lo si trova leggendoli non vorrei togliere il gusto a nessuno :-)
      CAMERA DEI DEPUTATI SENATO DELLA REPUBBLICA
      IX LEGISLATUR A
      Doc. XXIII
      n. 2-bis/l
      COMMISSIONE PARLAMENTARE D'INCHIESTA
      SIMA LOGGIA MASSONICA P2
      (Legge 23 settembre 1981, n. 527)
      RELAZIONE DI MINORANZA
      dell'onorevole MASSIMO TEODORI
      https://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/909681.pdf

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    4. Sempre per i più giovani, la fine dell'IRI non fu dovuta all'impatto di un meteorite.

      http://www.archiviostoricoiri.it/index/pagina-85.html

      Il passaggio dell'IRI da ente pubblico economico a S.p.A. (per procedere alle privatizzazioni che poi fruttarono SOLO 60 miliardi al Tesoro) fu conseguenza diretta della decisione politica di sottoscrivere il Trattato di Maastricht (1992, Governi Andreotti-Amato).

      Il mortadella (già Presidente dell'IRI dal 1982 al 1989, e poi dal 1993 al 1994) se ne vanta ancora oggi del suo ruolo attivo di becchino in qualità dal 1996 al 1998 di Presidente del Consiglio....

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    5. L'eccezionalità dell'evento fu, dal punto di vista giuridico, ben inquadrata nel saggio di Natalino Irti, L'ordine giuridico del mercato, Laterza, Roma-Bari 1998.

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    6. Il mortadella parlò di sedute spiritiche a proposito della sua conoscenza sull'ubicazione del nascondiglio di Moro (non aggiungo altro)

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    7. piccolo riassuntino del libro : http://www.milomb.camcom.it/documents/10157/33619161/impresa-stato-75-2006-carattere-politico-giuridico-mercato.pdf/e10acbef-a317-4232-9f11-7c5e7c243558
      Al naturalismo, ossia ai “liberisti della cattedra”, può sùbito opporsi che quelle leggi dell’economia,le quali si vorrebbero immutabili e perenni, sono tutte popolate di istituti giuridici: dalla proprietà privata all’autonomia contrattuale, dal dovere di eseguire gli accordi alla libertà di disposizione testamentaria. E sono istituti, non naturali, o dati da sempre e per sempre all’uomo, ma storicamente definiti: risultati raggiunti nel corso di quelle battaglie politiche, che ora si desiderano silenziose e spente. Si scopre così che il naturalismo è assai poco “naturale”, e piuttosto ascrive alla natura, e protegge con predicati di assolutezza e immutabilità, il contingente risultato di un periodo storico e
      di una volontà politica. Il metodo di ogni giusnaturalismo sta proprio nel trasferire al mondo naturale ciò che appartiene al mondo storico, e dunque nel convertire un processo di volontà in processo di pensiero, sicché la conoscenza di leggi naturali dispensi dal volere leggi storiche o obblighi a volerle a esse conformi.
      E pure può opporsi che lo stesso Friederich August von Hayek, riconosciuto per maestro dai “liberisti della cattedra”, avverte l’intrinseca connessione fra diritto ed economia, e questa colloca in un cosmos fondato su nomoi (nomos è “una norma astratta non dovuta alla volontà concreta di qualcuno, applicabile in casi particolari indipendentemente dalle conseguenze, una legge che poté esser “trovata”, e non creata per particolari fini prevedibili”). Notiamo – e nel libro si trovano più larghi svolgimenti – che Hayek profila due forme di connessione tra diritto ed economia (la taxis
      costruita con leggi volute e il cosmos riposante su leggi “trovate”), mostrando di pregiare e preferire la seconda, e dunque facendo appello alla volontà degli uomini affinché condividano ed eseguano tale scelta. Prima del “volere” la taxis o del “trovare” il cosmos, c’è la decisione di scegliere quel volere o quel trovare: dalla volontà, quanto a posizione e im-posizione di norme, lo stesso Hayek non può uscire. È appena da aggiungere che le leggi “trovate” – spostando, com’è nel metodo d’ogni giusnaturalismo, il problema normativo dal volere al conoscere –esigerebbero l’indicazione del luogo di trovamento, il quale non sarebbe poi altro dalla storia di istituti giuridici, prodotti dalla volontà umana nel corso del tempo.
      Qui su orizzonte48 mi pare sia stato scritto millemilavolte ;-)

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    8. A noi quel librettino lo davano da leggere come lettura integrativa dell'esame di Istituzioni di Diritto Privato, esame di primo anno a giurisprudenza! Era il lontano 1997, me pare...

      (ma quant'è bello leggere di Egidi che piglia a calci nel sedere il console USA!?!)

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  2. Il PCI? Quell’onomatopea cavallo di Troia per il liberismo?

    …abbandonare l’illusione che sia possibile perpetuare un tipo di sviluppo fondato su quella artificiosa espansione dei consumi individuali che è fonte di sprechi, di PARASSITISMI, di privilegi, di dissipazione delle risorse, di dissesto finanziario. Ecco perché una politica di austerità, di rigore, di guerra allo spreco è divenuta una necessità irrecusabile da parte di tutti ed è, al tempo stesso, la leva su cuir premere per far avanzare la battaglia per trasformare la società nelle sue strutture e nelle sue idee di base
    Una politica di austerità …deve avere come scopo – ed è per questo che essa può, deve essere FATTA PROPRIA DAL MOVIMENTO OPERARIO – quello di instaurare giustizia, efficienza e, aggiungo, una moralità nuova.

    Concepita in questo modo, una politica di austerità, anche se comporta (e di necessità, per la sua stessa natura) certe rinunce e certi sacrifici, acquista al tempo stesso significato rinnovatore e diviene, in effetti, un atto liberatorio per grandi masse, soggette a vecchie sudditanze e a intollerabili emarginazioni, crea nuove solidarietà, e potendo così ricevere consensi crescenti diventa un ampio moto democratico, al servizio di un’opera di trasformazione sociale.

    [In nota] In quegli anni ebbe notevole successo il cosiddetto “Club di Roma” sostenitore della crescita zero. Fu fondato nell’aprile del 1968 dall’imprenditore italiano Aurelio Pecci e dallo scenziato scozzese Alexander King, insieme a Premi Nobel, leader politici e intellettuali. Il nome del gruppo nasce dal fatto che la prima riunione si svolse a Roma, presso la sede dell’Accademia dei Lincei alla Villa Farnesina. Conquistò l’attenzione dell’opinione pubblica con il suo Rapporto sui limiti dello sviluppo, meglio noto come Rapporto Meadows, pubblicato nel 1972, il quale prediceva che la crescita economica non potesse continuare indefinitamente a causa della limitata disponibilità di risorse naturali
    ” [Discorso di Enrico Berlinguer pronunciato all’Eliseo di Roma il 15 maggio 1977, ora in Più Stato per tornare a crescere, S.C. BENVENUTI, Castelvecchi, 2017, 16-17].

    Il “socialismo” trasfigurato in etica malthusiana per le masse, per una “trasformazione sociale” di stampo feudale in salsa moralistica. La “crescita” è solo per €SSI.

    A quanto pare Berlinguer leggeva Hayek e poi ostendeva in piazza la bandiera falce e martello. Quante lacrimucce ancora oggi! Povera Italia. (segue)

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    1. Ma no, è tutta colpa dei sessantottini riciclati, troppo istruiti e capricciosi, e del loro pericoloso edonismo godereccio.

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  3. Meglio volgersi al vero pensiero democratico-costituzionale, lasciando che i morti seppelliscano i morti:

    E.N.I., I.R.I., partecipazioni statali, Sturzo, Mattei, Bo, liberismo, statalismo, capitalismo di Stato: ecco dei nomi e delle sigle che popolano ogni giorno di più la polemica politica, senza che il grande pubblico abbia ancora potuto formarsi una idea chiara della natura e dell’importanza vitale dei problemi che si dibattono e degli interessi che sono in gioco. E probabilmente neppure tutti i compagni socialisti hanno idee chiare in proposito, anche perché il Partito non ha fino ad oggi sufficientemente delineato e precisato la sua politica. Certo, su due punti esso ha avuto una posizione chiara ed efficace: ha appoggiato vigorosamente la azienda di Stato contro i monopoli privati e il rapace capitalismo straniero in materia di idrocarburi, e ha condotto in Parlamento e fuori una lotta tenace per lo sganciamento delle aziende I.R.I. dalla Confindustria. Ma questo non basta a delineare una politica, e opportunamente quindi la Direzione del Partito ha deciso di convocare prossimamente a Roma un convegno nazionale che investa tutto il complesso problema delle partecipazioni.

    Perché i socialisti hanno dimostrato questo favore all’iniziativa pubblica? Perché hanno voluto la separazione anche organizzativa e sindacale dall’iniziativa privata? E come è accaduto che su queste richieste si incontrasse anche il consenso della D.C. o di una parte di essa, una parte essendo invece apertamente rimasta legata agli interessi privati? Credo che, partendo da queste domande, si possa arrivare ad alcune conclusioni in ordine ai temi che saranno trattati al prossimo convegno.

    Diciamo subito, anche per rispondere a certe obiezioni che ci sono venute pure dall’interno del Partito, che noi non abbiamo difeso l’iniziativa pubblica perché siamo ingenuamente tratti a confondere le attuali forme di capitalismo di Stato con forme di proprietà socialista, o perché ignoriamo che cosa l’azienda di Stato possa diventare, e stia diventando, nelle mani degli attuali governanti. Al contrario, sappiamo benissimo che se la D.C. ha fatto sua la proposta dello sganciamento delle aziende I.R.I. e della creazione di un ministero delle Partecipazioni, è proprio perché essa mira a fare del vastissimo settore delle imprese pubbliche un suo hortus conclusus, un campo chiuso del proprio dominio, mettendo alla testa delle aziende uomini di stretta osservanza, praticando una politica di discriminazione nelle assunzioni, servendosene in ogni modo per scopi elettorali e per il consolidamento del proprio potere, accentuando la presa clericale sul Paese.

    Non solo, ma sappiamo altresì che nelle mani della D.C. le imprese pubbliche, anche sganciate dalla Confindustria, non romperanno mai i loro legami di interessi con i monopoli privati, perché conosciamo bene la partecipazione che al capitale e alla direzione dei monopoli dà il Vaticano nella sua funzione di holding; e sappiamo che il Vaticano fungerà da tramite per accordi e collusioni di interessi al fine di sottoporre al suo controllo tutta la vita economica nazionale. Sappiamo tutto questo e sappiamo quindi che, nonostante lo sganciamento e nonostante il ministero, la battaglia per una seria politica delle imprese statali è appena agli inizi. Quali debbono esserne gli sviluppi? In proposito, ecco, in rapidissima sintesi, il mio pensiero.
    .

    Il Quarto partito. (segue)

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  4. L’economia italiana, sotto la guida del capitalismo privato, si è sviluppata in modo abnorme, creando la situazione ormai a tutti nota di alcune grandi imprese o gruppi di imprese ad alto sviluppo tecnico, con larghi sovrapprofitti, con un grande potere economico sul mercato, e, per contro, di una vasta zona di sottosviluppo, caratterizzata da scarsa produttività, da metodi precapitalistici, da disoccupazione e sottoccupazione, che non si limita soltanto al Mezzogiorno, ma, geograficamente, tocca anche l’Italia del Nord (si pensi per esempio al Delta padano o all’Arco alpino), e, economicamente, investe come settori di produzione, come gran parte dell’agricoltura, del commercio e, più in generale, dei settore terziario.

    Se lo sviluppo dell’economia italiana continua ad essere abbandonato alla cosiddetta spontaneità del mercato, e cioè in pratica alla forza predominante dei monopoli, questa situazione permarrà e si aggraveranno anzi gli squilibri fra regione e regione, fra settore e settore, fra ceto e ceto: l’arretratezza con tutte le sue conseguenze (fra cui appunto disoccupazione e sottoccupazione, miseria, analfabetismo e semianalfabetismo, ecc.) continuerà a caratterizzare la vita italiana, impedendo la formazione di un Paese moderno e democratico, e il dominio dei monopoli si accentuerà anche nella vita politica, con le sue inevitabili tendenze all’esercizio di un potere totalitario.

    Solo un intervento cosciente e programmato nell’economia del paese può invertire la tendenza, creando le condizioni dello sviluppo economico: investimenti industriali non soltanto e non prevalentemente nell’ambito delle aziende già fortemente sviluppate, MA AL CONTRARIO CON SCOPI ESTENSIVI DELL’OCCUPAZIONE, e in settori propulsivi dell’economia e capaci di effetti moltiplicati; industrializzazione del Mezzogiorno per dare a questa vasta zona d’Italia, finora abbandonata alla politica paternalistica delle opere pubbliche, uno strumento automatico di sviluppo; riforma agraria, ecc.

    QUESTO INTERVENTO COSCIENTE E PROGRAMMATO PUÒ ESSERE OPERATO DALLO STATO SOLO SE ESSO DISPONE DI STRUMENTI ECONOMICI EFFICACI, E, PER RICONOSCIMENTO GENERALE, non sono oggi più sufficienti, anche se molto importanti, gli strumenti classici della fiscalità, della manovra monetaria e del controllo del credito, adoperati, a seconda dei casi, come freno o come incentivo, e quindi agenti in forma indiretta: SONO NECESSARI ANCHE STRUMENTI DI INTERVENTO DIRETTO, QUALI APPUNTO LE IMPRESE PUBBLICHE, che possono effettuare esse stesse i necessari investimenti, promuovere le industrie in base agli opportuni criteri di scelta economica e geografica, praticare direttamente la necessaria politica dei prezzi, ecc.

    Le partecipazioni statali sono quindi oggi necessarie a una politica di sviluppo, ma possono operare utilmente soltanto se sono libere da qualsiasi interferenza di interessi privati: infatti una politica di sviluppo non è possibile, se non entrando in conflitto con gli interessi dei monopoli, sia per quanto riguarda l’acquisizione del capitale e la scelta degli investimenti, sia per quanto riguarda la politica dei prezzi e l’allargamento del mercato
    >. (segue)

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  5. Come potrebbe seriamente concepirsi una politica di sviluppo che non rompesse le strozzature dei prezzi imposti dal monopolio in materia p. es. di tariffe elettriche, di concimi chimici, di cemento, e via discorrendo? Perciò lo sganciamento dalla Confindustria non deve significare soltanto una separazione puramente organizzativa, ma dev’essere il primo passo per una totale indipendenza di direzione, che permetta alla industria di Stato di assolvere i suoi compiti, che sono di aperta competizione con gli interessi del monopolio.

    Un’impostazione di questa natura porta necessariamente con sé la conseguenza che la politica delle partecipazioni statali, appunto perché diretta essenzialmente a finalità di interesse pubblico (che, si badi bene, non sono affatto in contrasto con l’economicità, purché l’economicità sia riferita non al semplice bilancio aziendale annuale, ma all’utile generale che si vuole perseguire) , dev’essere sottoposta continuamente al controllo democratico della collettività, controllo diretto soprattutto a garantire la corrispondenza dell’attività svolta al fini assegnati e a impedire conseguentemente ogni ulteriore collusione con gli interessi privati, non soltanto a livello aziendale ma, che è più importante, sul piano della politica generale. Quali siano oggi le forme più efficaci di controllo, è, a mio giudizio, problema arduo, che sfugge alle troppo facili formulazioni: parlare di controllo operaio o di controllo parlamentare non significa ancora uscire da formule generiche e da formule che, fino ad oggi, non hanno rivelato una particolare efficacia.

    Ma, appunto per questa difficoltà, è necessario che il problema di un controllo democratico sia bene al centro delle nostre preoccupazioni, non solo perché è problema inscindibile da quello dello indirizzo generale di politica economica, ma perché è attraverso il controllo democratico che si esercita la vigilanza e la pressione delle masse.

    Ora il significato più specificamente socialista di questa politica non sta nella famosa e fumosa “socialità” di cui parlano i cattolici, non sta neppure in possibili vantaggi sindacali cui potrebbero aspirare i lavoratori di queste aziende, ma sta nel fatto che ATTRAVERSO QUESTA POLITICA È LA COLLETTIVITÀ STESSA, SONO I LAVORATORI ORGANIZZATI E COSCIENTI CHE ASSUMONO L’INIZIATIVA POLITICA ANCHE IN CAMPO ECONOMICO, strappandola dalle mani dei gruppi dirigenti che con il loro chiuso egoismo hanno avvilito tutta la vita della Nazione.

    In questo senso questa politica è parte viva di una alternativa democratica, che non può esaurirsi soltanto in un mutamento di leggi e in un rinnovamento di istituti, ma ha per scopo essenziale, attraverso una più forte presa di coscienza e una maggiore acquisizione di potere e quindi una più attiva presenza dei lavoratori nella direzione della cosa pubblica, di dare un nuovo protagonista alla vita nazionale, nel che sono contenute in nuce ulteriori possibilità di democratizzazione e di socialismo
    ” [L. BASSO, I socialisti e le partecipazioni statali, Avanti!, 26 febbraio 1958].

    Politica economica-costituzionale dal lato della domanda e dell’offerta. Sembra di rileggere Federico Caffè. Basso e Caffè erano economisti? Sarebbe veramente troppo riduttivo.

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    1. "Ben tornato" (e il tutto vale un post, per non disperderlo) :-)

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  6. Non ho ancora smaltito l'intossicazione elettorale. Una colossale Chernobyl mediatica-comunicativa che non ha lesinato dosi aggiuntive di incoscienza, tra sbandierati rinnovamenti e tentativi di rafforzamento della rassegnazione.

    Monti ha detto in mondovisione che e' inutile aspirare alla sovranita' perche' ormai e' altrove. Ma non ho visto alcun cellulare dei Carabinieri ad attenderlo fuori degli studi de La7. E' interessante leggere tutto in chiave dialettica.

    E poi c'e' la quotidianita', con i suoi problemi, a ricordarci che per fortuna siamo umani :-)

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    1. Più che altro, a rigore, avrebbe dovuto essere un cellulare della neuro: ma siamo ormai in pieno Orwell (fase "la schiavitù è libertà").

      Per il resto, la situazione è abbastanza agevole da decifrare.

      Basta rispondere a questa semplice domanda: quanta parte dei partiti (e quindi dei seggi e in modo trasversale) è controllata, direttamente o indirettamente, dalla Trilateral (e sue varie diramazioni, in marcia separate per colpire unite)?

      Se propendiamo per l'idea che 1/3 dei voti corrisponda a una sapiente strategia di congelamento dello scontato dissenso, le maggioranze operative realistiche sono logicamente ottenibili (solo) nei restanti 2/3.

      Orbene: anche a voler prescindere dalle ragioni "sbagliate" presenti nel 60% circa dei "no" al referendum costituzionale, il mitico 40% dei "basta un sì" sono obiettivamente (cioè necessariamente) concentrati in tali restanti 2/3 di "area di governo".

      Ergo, poiché 40 rapportato a 100, (ma da convertire in numero assoluto), corrisponde a una maggioranza schiacciante se rapportato al 66% (circa), l'area €uropeista mi pare saldamente in sella.

      (Prescindiamo dal numero dei seggi, probabilmente più che proporzionale, corrispondenti alla teorica minoranza euroscettica interna a questa area: la coscienza e fedeltà a una tale linea è elasticissima, in funzione di prevedibili convenienze politiche contingenti).

      E questo spiega l'ostentata sicurezza €-continuista mediatico-istituzionale...

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    2. :) La scorsa notte ho sognato la realtà.
      Che sollievo quando mi sono svegliato !
      STANISLAW LEC (chissà se il Monti la conosce)

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  7. Non sara' un caso che di Costituzione non si e' parlato ne' prima ne' dopo la scampagnata elettorale.

    Ci vorra' almeno un altro lustro perche' si cominci solo a smaltire la sbornia, il tempo di continuare a distruggere quel che e' rimasto e liquidare anche i "vecchi" insiders spacciatisi per "nuovo"



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    1. Sarebbe bello si facesse appello alla “responsabilità costituzionale” anzichè alla responsabilità leuropea: abrogazione leggi già dichiarate incostituzionali (e non - vedi vaccini) potrebbe essere un primo passo, qualcosa a cui M5S difficilmente potrebbe sottrarsi (lo so, ottimismo della volontà)

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  8. E quanra parte dell'istruzione è controllata dalla trilateral? I test che sostituiscono i testi, i tagli di anni scolastici, i consulenti aziendali che entrano in classe, il disprezzo per la lingua madre ...

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    1. L'abolizione dell'educazione civica, dove c'era anche la Costituzione... trilateral o no.

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    2. E la geografia dei territori? La storia antica? Le lingue classiche?

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  9. Da uno studio sulla cultura economica dell’Assemblea costituente emerge che le idee economiche che hanno maggiormente inciso sul dettato della Costituzione sono state quelle portate avanti dai costituenti democristiani.
    Entro questa premessa, gli articoli economici della nostra Costituzione esprimono efficacemente la portata del compromesso fra le tre maggiori forze politiche. Gli effetti di questo compromesso sono da valutare in modo positivo, perche´ contribuirono a caratterizzare la « costituzione economica » italiana come un’economia di mercato con numerose e qualificate integrazioni, rappresentate dal riferimento alla cooperazione, al coordinamento delle attivita` economiche pubbliche e private, all’espropriazione per causa di pubblica utilita`, e soprattutto alla funzione sociale della proprieta`.
    Viceversa, i costituenti non vollero superare il confine fra economia di mercato ed economia pianificata, respingendo a maggioranza un piu` impegnativo riferimento al piano economico, proposto dalle sinistre. Si tratta dell’« emendamento Montagnana » (dal nome del deputato comunista primo firmatario) all’art. 31 del progetto di Costituzione (poi art. 4, sul « diritto al lavoro »): « Allo scopo di garantire il diritto al lavoro di tutti i cittadini, lo Stato interverra` per coordinare e orientare l’attivita` produttiva dei singoli e di tutta la Nazione secondo un piano che assicuri il massimo di utilita` sociale ». Il linguaggio benthamiano in cui l’emendamento Montagnana era formulato fornı` il destro a Einaudi di pronunciare il 9 maggio 1947
    un dotto intervento, che insisteva sul fatto che « tutti facciamo piani » e che questo avviene senza l’imperio di nessuna legge. Altra questione e` una pianificazione statale, che conterrebbe elementi autoritari nella misura in cui pretendesse di fissare l’obiettivo del« massimo benessere collettivo » sulla base del confronto fra le preferenze individuali. Einaudi si ricordava dell’insegnamento teorico di Pareto. Ma soprattutto era il vecchio anticorporativista di stampo pantaleoniano che tornava a farsi sentire: la pianificazione statale, per lui, avrebbe finito per spacciare per « massimi collettivi generali » quelli che erano interessi settoriali e particolaristici.
    Purtroppo, gli altri partecipanti alla discussione (110) non seppero sottrarsi a mere affermazioni di principio, senza affrontare in concreto il problema della programmazione. Si giunse quindi a un voto che aveva carattere di referendum. Come scrisse il 10 maggio 1947 « Risorgimento liberale », organo del Pli, il « piano di sovietizzare l’Italia » era stato respinto. Questo basti a smentire chi interpreta la nostra Costituzione come un prodotto ormai anacronistico dello statalismo di sinistra imperversante nell’immediato dopoguerra .
    http://www.centropgm.unifi.it/quaderni/28/volume.pdf

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    1. A parte la controvertibile premessa sull'appartenenza delle idee economiche (?) - che la meno elittica analisi compiuta ne "La Costituzione nella palude" smentisce (e se per questo pure Mortati)-, il resto mi pare più un'analisi politica a dare un eccessivo peso a Einaudi, che giuridica ed economica. E vale in questi limiti...

      Sta di fatto che il complesso della Costituzione economica appresta strumenti che, se applicati, rendono naturale e anzi logicamente dovuta una "programmazione" (art.41 Cost.).

      Ma la confusione, non casuale, regna sovrana da decenni su punti importanti. Per questo c'è orizzonte48

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  10. Complimenti!Prendi due paghi uno :tra il post di Quarantotto i commenti di Francesco Maimone con un click ho trovato 2 letture ottime!Grazie

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    1. [da '48 non si paga ... si riceve :-)]

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    2. cibo per la mente...se aprisse anche un trattoria alle stesse condizioni...tredici al totocalcio ;-)

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  11. ricevuta ora da mio suocero che si è trasferito lì da un'anno e mezzo (con la pensione qui stava ingrassando troppo)...una bella unione leuropea non c'è che dire
    CONDIVIDI SE TI PIACE !!! ... quanto pagate di assicurazione e bollo in Italia???
    Perché aprire una Società in Bulgaria.
    L’appartenenza all’Unione Europea permette ad ogni cittadino la libera circolazione delle persone, delle merci e dei capitali.
    Ogni cittadino dell’Unione Europea può stabilire dove pagare le tasse.
    La Bulgaria ha la tassazione più bassa dell’Unione: il 10% FISSO sull’utile societario qualunque sia l’importo e senza incremento.
    Fare una società in Bulgaria è abbastanza semplice e senza alcuna burocrazia: BASTA UN SOLO GIORNO LAVORATIVO perché la società sia registrata e legalmente operativa.
    Il Socio o l’Amministratore della Società può anche essere “non residente”.
    I costi di registrazione sono abbastanza economici: 500 euro per tasse, commercialista e avvocato + 300 euro per consulenza, assistenza e interpretariato per una SRL.
    Il capitale sociale minimo è di 1 euro.
    Noi siamo a disposizione per tutte le pratiche necessarie.
    Saluti,
    Claudio Antonio Chiffi
    Presidente della Fondazione
    Fondazione degli Italiani e Amici dell'Italia in Bulgaria
    Uliza Konstantin Velichkov 13 - 9000 VARNA - Bulgaria
    italiani.bulgaria@gmail.com - Tel: 00359 898 865187, Skype: pensioneinbulgaria
    TELEFONO ITALIANO: 347 6300923 https://www.facebook.com/claudio.chiffi?hc_ref=ARSowslIZA2YQSWG8BIT0SnrhH5bpf2ipj8fQiasKls-yXJyxjT_rLNrPZYBeiONlF8

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  12. A proposito di “radicale ridisegno del sistema finanziario” leggo in giro che ci si stia preparando ad una valuta internazionale sovranazionale (magari emessa dalla banca mondiale). Visto che la maggior parte delle valute sono già sganciate dallo Stato (se la banca centrale è indipendente significa che lo Stato usa una moneta privata, giusto?), le criptovalute, la guerra al contante, ecc. non mi sembra un’ipotesi del tutto campata in aria, ma allo stesso tempo mi pare una follia (aiutatemi perchè sull’argomento ancora ci sto studiando): mi chiedo, è possibile una moneta sì fatta completamente aliena da una specifica e circoscritta economia reale? E se fosse possibile, come pensano di imporla agli Stati?

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    1. leggi questo se ti è sfuggito http://orizzonte48.blogspot.in/2016/03/esercitazioni-di-economia-monetaria-von.html

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    2. Grazie, ho letto, e ovviamente ci ho capito poco (so cos’è Ponzi scheme e marketing piramidale, almeno). Le notizie che vedo qua e la parlano di #dedollarization, ovvero sostituzione del dollaro come valuta di riserva (emessa da? Sulla base di?) mi chiedo, se fosse vero, come dobbiamo leggere i dazi e la guerra alla Cina?

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