giovedì 17 maggio 2018

NON SOLO IN ITALIA: LA FEDE, LA RAGIONE, LA RESPONSABILITA' VERSO LA NAZIONE (ART. 54 COST.)


La « France en Marche « c’était le régime du travail sous Vichy, ressuscitée avec Macron
1. Risparmierò ogni commento relativo ai contenuti specifici della bozza di "contratto di governo" che, in varie forme via via aggiornate, continua a circolare: sarebbe allo stato prematuro. E, in ogni modo, i problemi strutturali di debolezza di un potenziale governo che si formerebbe su questa base metodologica li abbiamo già segnalati.
Una sparizione che non va tanto imputata alla bozza, perché questa è comunque astretta da limiti "tattici" a dir poco senza precedenti nella storia democratica della Repubblica; vale a dire, essa si inserisce in un percorso a ostacoli, polarizzabile tra una granitica opposizione istituzionale e mediatica, interna, all'idea stessa che possa aversi un governo non euro-acritico (curiosa pretesa che contrasta persino quanto affermato, in vari modi dagli ultimi governi) e il connesso appello allo straniero (invano segnalato da Caffè), concretizzato da spread e ammonizioni preventive delle istituzioni €uropee.

2. Il tema di fondo "sparito", sulla base dell'argomentazione "nessuno può farcela da solo" (a fare cosa? A raggiungere la crescita stabile e la piena occupazione? A svolgere relazioni internazionali pacifiche sul piano geo-politico e militare, nonché convenientemente gestite su quello commerciale?), indica un approccio TINA alla sovranità di qualsiasi paese; se questa recisa affermazione fosse vera, infatti, chi fosse fuori dall'eurozona (dai paesi appartenenti all'Ue a quelli, per limitarci alla sfera occidentale, che neppure ne fanno parte), dovrebbe essere in crisi economica, industriale e commerciale, sociale e, ovviamente, in conseguente crisi politico-istituzionale
Basta scorgere una qualsiasi tabella riassuntiva dell'andamento della crescita e dell'occupazione degli ultimi dieci anni nelle principali aree economico-politiche del mondo per rendersi conto che è vero l'opposto: è l'eurozona che, ben al di là di quello che può essere definito come ciclo economico mondiale, cresce meno e registra tassi complessivi di disoccupazione e sottooccupazione senza precedenti nella storia dei paesi che gli appartengono, poiché rimane prigioniera delle sue differenze economico-strutturali interne, tentando di risolverle - e invece aggravandole- nella convergenza verso il modello mercantilista tedesco

3. Ciò che rende l'eurozona non solo "ostile", in termini politico-economici, al resto del mondo (poiché una crescita fondata sulla permanenza strutturata del surplus della partite correnti con l'estero, tra l'altro fortemente asimmetrica all'interno della stessa eurozona, "vincola" occupazione e crescita negli altri paesi) ma anche estremamente vulnerabile agli shock esterni che, per via di reazione politica dei più potenti partners commerciali, o per via di gravi crisi finanziarie che colpiscano comunque tali aree, facciano venir meno quella domanda estera, - cioè quella parte di reddito speso che altrimenti sarebbe corrispondente alla produzione industriale e all'occupazione dei paesi partner e in situazione di deficit commerciale verso l'€uropa. 
Ora, qualsiasi soluzione abbia la nostra crisi politica post-elettorale (cioè anche fingendo che non sia il riflesso delle politiche imposte dall'appartenenza all'eurozona con tutti i suoi irrisolvibili, quanto intenzionalmente istituzionalizzati, problemi strutturali), questo ordine di problemi permangono e occorrerebbe cercare di risolverli.

4. E la soluzione di questi problemi, sempre più ampi e inevitabili, potrà essere di tipo fideistico, cioè insistendo, senza alcuna capacità, o volontà, di ripensamento, su questo aggressivo modello commercial-mercantilistico e oltretutto chiudendo gli occhi sui costi sociali, oltre che economici, che questo modello porta nei sistemi politici di tutti gli Stati appartenenti all'eurozona, - di certo non solo in Italia!-, oppure potrà essere...razionale. 
Il che vorrebbe dire: non abbarbicandosi sulle convenienze della ristretta elites di oligopoli finanziarizzati che, nei vari paesi-membri, sfruttano una narrazione incessante, alimentata dai media in loro controllo, per perpetuare e massimizzare irresponsabilmente le rendite di cui hanno finora fruito.

5. I rumori della contesa politica e degli scontri istituzionali italiani, sollevano attualmente un polverone che, appunto, tale sistema di controllo mediatico ha sì un interesse "di primaria importanza", come segnalava Kalecky ad accentuare, ma che, al tempo stesso, prefigura una corsa irresponsabile verso un drammatico redde rationem a livello "globale" che le nostre istituzioni non dovrebbero ignorare; quanto, invece, cercare di comprendere, come parte dei doveri di fedeltà all'interesse esclusivo della Nazione sancito dalla nostra Costituzione, e anticipare responsabilmente.

9 commenti:

  1. A ben vedere però sembra che gli 'oligopoli finanziarizzati' trovino sempre più difficoltà a trovare reclute per la loro 'Vlasov army' (cioè per una armata di 'liberazione' che esiste solo nel modo immaginario della propaganda).

    https://en.wikipedia.org/wiki/Russian_Liberation_Army

    Le ultime manifestazioni propagandistiche contro i 'populisti', organizzate dagli sconfitti alle ultime elezioni, risalgono ormai a diversi mesi fa.

    Oggi se scendessero di nuovo in piazza non se ne accorgerebbe nessuno.

    Ormai i media, ancora fedeli esecutori dello spartito eurista, se la suonano e se la cantano tra di loro senza molta convinzione.

    Qualcuno ha già cambiato fronte e combatte per la liberazione dai nazisti (come a Praga nel Febbraio 1945).

    Se il nuovo governo riuscirà a conseguire dei risultati la 'Vlasov army' nostrana cercherà disperatamente di arrendersi alle migliori condizioni possibili...

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  2. Sono piuttosto colpito dai metodi fascisti usati dagli influencer nei media: il cosmopolitismo liberale si manifesta per ciò che è. Un manganello con il nulla intorno.

    Un barbaro, incolto, incivile uso della forza permesso da una distopica struttura sociale.

    Davo per scontato che chi si ritiene in qualche modo aristocrazia avesse in qualche modo del senso estetico. Un minimo, per decenza. Per rispetto di sé.

    È talmente insopportabile il classismo ed il razzismo che trasudano i pappagalli dell'establishment, che non vedo come non ci possa non essere una resa dei conti violenta.

    Il mondo non è dei furbi: ma di una minoranza di ultrà intolleranti.

    E questa accolita di hooligan, non è forse una classe sociale ben precisa?

    La maggioranza cosciente non ha scelta che imporsi alla minoranza intollerante. Non è una delle argomentazioni più diffuse del liberalismo? Bè, religione per religione, passiamo dalla religione del privato alla religione del pubblico, a quella degli interessi generali.

    (Come mi è chiaro ora il senso ottocentesco di una dittatura del proletariato! Siamo tornati non al fascismo, ma a Bava Beccaris: al limite alla vigilia della prima Grande Guerra)

    Un numero spropositato di persone deve difendersi da una quantità spropositata di mezzi.

    Quando si incitava all'unità di classe e all'unità nazionale. Alla solidarietà nazionale e alla solidarietà di classe.

    La fede, la ragione e la responsabilità ci dicono una sola cosa: la Coscienza nazionale è coscienza di classe. Coscienza di classe è coscienza nazionale.

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    1. Mi permetto di commentare perché ritengo centrale, nella logica socialista di guerra per la liberazione nazionale, ritornare un momento sul presunto "internazionalismo antipatriottico" del movimento operaio e del PSI storico (parlo di quello dell'età storica citata da Bazaar, cioé fino al 1914-1915).

      In una realtà quale l'Europa della (per essi) belle epoque, in cui imperi cadaverici e borghesie rampanti irroravano ossessivamente nel discorso pubblico l'ideologia imperialista e il militarismo compulsivo (basti pensare alla germania imperiale, alla stessa russia zarista, alla centrale infame di reazione nostrana come la quasi totalità dell'ufficialità del regio esercito), aiutati da un clero di intellettuali rapiti dal superomismo nicciano, era secondo me naturale che il movimento socialista adottase per reazione la..negazione della patria (la LORO patria imperialista e macellaia) e delle frontiere (la LORO divisione del Mondo repressiva delle nazionalità e dei popoli), innestando sul sacrosanto pacifismo antimilitarista delle classi subalterne l'elemento nuovo dell'Internazionalismo operaio.

      Che in realtà tale elemento fosse purtroppo in larga parte una risposta contingente alla strategia imperialista della classe dominante emerge in tutta la sua gravità nella crisi di luglio 1914 e nella quasi totale accettazione dei partiti socialisti alla guerra (salvo il PSI italiano, e questo lo si scorda sempre...). Anche lì i compagni tedeschi emersero per... la loro naturale tendenza a obbedire.

      Tutto questo pistolotto per dire che Patria, Nazione, Confine e Indipendenza nazionale sono sentimenti che il Socialismo e il movimento operaio non hanno mai criticato di per sé. Combattuti nella loro forma reazionaria e borghese, essi costituiscono parte fondamentale del patrimonio di classe, come già Engels affermava a fine Ottocento. Senza coscienza nazionale è impossibile parlare di lotta di classe.

      Grazie.

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    2. Lenin in quegli anni lo chiarì molto bene. Dal cosmopolitismo "di sinistra" di quegli anni, è dall'orrore linguistico chiamato "esperanto" Orwell trovò successivamente ispirazione per l'idea di "neolingua".

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  3. Ma sai, per loro la nazione non esiste. Esiste il popolo, che si sostanzia esclusivamente nella possibilità di fargli vestire il costume tradizionale (kilt, lederhosen..) e di intrupparlo in compagnie militari a carattere identitario (Royal Scots Fuciliers, Schuetzen etc etc)

    Per loro il medioevo non è MAI finito. Il principio di eguaglianze è scandalo e follia.

    Nel Paese che ci dice come vestire, come parlare (e per fortuna non come mangiare!) la proprietà della terra è in mano alle stesse famiglie da centinaia di anni. E la cosa che più si impara sempre da questo Paese modello (che i nostri hanno frequentato lavorando per le note banche d'affari) è che grassare il popolo rubandogli qualunque risorsa non solo non è eticamente deplorevole, ma è anche conveniente perché una volta rubata quella terra e quell'oro non glielo toglierà mai nessuno! Ai Grosvenor (un ragazzetto di 25 anni e 11 miliardi di euro di patrimonio stimato e che gli è arrivato quasi esentasse) e ai Churchill (proprietari, grazie ad un tradimento, di Blenheim Palace) non si torce un capello. Lo stesso ai Zuckerberg e ai Jeff Bezos, nei secoli.

    La statalizzazione delle miniere è stato solo uno spiacevole incubo, da cui ritengono di essersi svegliati.

    E' quanto mai necessario che gli anglosassoni perdano una guerra, e di quelle che ti entrano in casa.


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  4. … Mi sembra inutile insistere sulla straordinaria importanza dell'obbligo di fedeltà, imposto ai cittadini dal primo alinea dell'articolo 50 [poi attuale art. 54, NdF] del progetto, e credo di non esagerare affermando che questo è il dovere principale, il primo dovere di ogni cittadino, dovere, più che legale, MORALE, cui niuno può sottrarsi; ed è superfluo obiettare che quest'obbligo non potrà mai avere un contenuto strettamente giuridico…
    non sembra che possa reputarsi buon cittadino chi, screditando e diffamando le istituzioni repubblicane, fomenta e organizza una propaganda che, spinta alle ultime conseguenze, finirebbe per gettare il paese in braccio a quella stessa guerra civile…

    La Repubblica ha il dovere di difendersi contro i suoi nemici palesi o segreti. Chi ha servito onestamente la monarchia e onestamente vorrebbe continuare a servirla, non ha che una via, o meglio un bivio: o prestar omaggio…alla Repubblica, o ritirarsi a vita privata… Fa bisogno di aggiungere che L'OBBLIGO DI FEDELTÀ, che si impone indistintamente a tutti i cittadini, si RENDE PIÙ GRAVE PER I FUNZIONARI DELLO STATO?

    Quando, qualche mese fa, sentivo tuonare dai banchi di quest'aula certe voci robuste, che, con pose drammatiche, protestavano furiosamente, in nome della libertà e del diritto, contro le norme relative al giuramento, ridevo e piangevo in cuor mio, ricordando certi uomini e certi episodi di un passato non molto remoto, in cui la libertà e i diritti individuali, oggi ipertrofizzati, giacquero in quella perfetta atrofia, che i medici della ducea, i quali, a quei tempi erano anche filosofi, diagnosticarono segno di perfetta salute. E proprio oggi lo Stato dovrebbe tollerare, sempre in omaggio alla libertà e al diritto, che a esprimere la sua volontà o attività, nei momenti più delicati, agiscano cittadini in attesa del ritorno del re lontano, costruttori delle vie più agevoli per ricondurlo nel cuore di Roma. Quale situazione più assurda? E quale pretesa più legittima di quella che impone il dovere di cooperare a CONSERVARE LA REPUBBLICA e di non agire palesemente o segretamente col desiderio di rovinarla? ...

    Il primo e più imperioso bisogno della Repubblica è quello dell'autoconservazione. Essa deve, quindi, per la logica della sua stessa esistenza, compiere ogni sforzo nell'intento di ravvivare le forze di coesione ed eliminare prontamente le forze di corrosione che minacciano la sua esistenza

    CHIUNQUE ABBIA FEDE VERA E INTERA, e NON IMPROVVISATA, nella bontà della democrazia; chiunque aderisca alla Repubblica intimamente e non col desiderio segreto di rovesciarla; chiunque senta quello stesso bisogno di libertà, che avvertì, più pungente, senza piegarsi agl'idoli del giorno, sotto il lungo servaggio, saprà, mi auguro, trar profitto da questa grande verità, che suona, oggi più che mai, come un monito solenne e tempestivo
    ” [C. CARISTIA, Assemblea Costituente, 19 maggio 1947]. (segue)

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  5. La fedeltà presuppone l’etica, che è relazione per antonomasia, senso di Popolo, di appartenenza comunitaria. La “coscienza nazionale” di cui parla Bazaar, che, se esiste, implica come necessaria conseguenza il “diritto-dovere di resistenza” (anche se quest’ultimo fu formalmente espunto dal testo costituzionale) contro forze interne ed esterne:

    l'articolo 50 è posto a difesa della libertà dei cittadini, a difesa della libertà, in ogni momento della vita nazionale, perché quando si dice che «ogni cittadino ha il dovere di essere fedele alla Repubblica, di osservarne la Costituzione e le leggi, di adempiere con disciplina ed onore le funzioni che gli sono affidate», e si aggiunge che «quando i poteri pubblici violino le libertà fondamentali ed i diritti garantiti dalla Costituzione, la resistenza all'oppressione è diritto e dovere del cittadino», non vi è qui un riconoscimento al diritto rivoluzionario.

    Invece, secondo l'articolo 50, il cittadino nello stesso momento in cui esercita un diritto, vale a dire difende la propria libertà dalle possibilità di aggressione di un potere costituito che, sorto democraticamente, lungo la strada dimentica la democrazia e si fa arma di dittatura, nello stesso momento, ripeto, il diritto del cittadino si trasforma in un DOVERE NEI CONFRONTI DELLA COLLETTIVITÀ.

    È cioè un diritto difendere la propria libertà, ma è un dovere difendere la libertà della collettività. Non vi è solamente il diritto di difendere la propria persona, la propria casa, la propria famiglia, il proprio modo di pensare, il proprio modo di dire, ma vi è anche il dovere di difendere la libertà dei propri consimili, IL DOVERE DI DIFENDERE LA LIBERTÀ DEL PROPRIO PAESE.

    Premesso quanto sopra, come si può affermare che l'articolo 50 è un riconoscimento al diritto rivoluzionario? O non è la più bella affermazione della nostra Carta costituzionale che dà la possibilità al cittadino di difendere la sua libertà, la libertà del proprio paese, la libertà della propria democrazia?...
    ” [C. PREZIOSI, Assemblea Costituente, 20 maggio 1947].

    E’ proprio su questo terreno che si misurerà l’operato degli appartenenti alla nuova maggioranza (in veste di rappresentanti, certo, ma prima ancora di cittadini) ed il suo senso di responsabilità di fronte a QUALSIASI evenienza

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    1. Come vedrai dal post successivo, c'è da ritenere che questo senso di responsabilità si inserisce in un processo, in corso e estremamente difficoltoso, che nei suoi tempi (caratterizzati da attacchi continui dello "stato di eccezione"), si svilupperà ben oltre il formarsi dell'attuale maggioranza. Perché coinvolgerà inevitabilmente l'impegno cosciente di tutta la sempre più vasta parte dell'elettorato che avverte il disagio sociale che si intende reprimere e nascondere...

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  6. Lo spero, Quarantotto. Lo spero. Il Popolo ha sopportato troppe angherie e troppi abusi. Ci vorranno altro tempo e altre sofferenze, ma lo scettro non puo' che tornare nelle mani del legittimo titolare

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