martedì 31 luglio 2018

TECNOLOGIA, LAVORO E POLITICA (APPENDICE AL...FETICISMO)

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Contributo di Bazaar con l'apporto "decisivo" di Arturo (Holy Moly!  Cheepers Creepers! I mean: Wow! Grande Medicina per lo Spirito...)

(I) Introduzione – (Appendice alla II parte)
Nella prima parte di questi post dedicati al feticismo abbiamo visto come già dalla genesi delle moderne scienze sociali questo fenomeno sia stato indagato con un certo “stupore” da Marx, il quale –  nella sua critica dell’economia politica – ne svela i contenuti «segreti» tramite una celebre, anche se spesso non compresa in questa sua fondamentale dimensione, analisi sociale di filosofia della scienza: Il Capitale.

Ciò che fa emergere fenomenologicamente Marx è che alcune istituzioni sociali fondamentali del capitalismo non solo operano in modo indipendente dalla volontà degli attori sociali, ma risultano largamente «invisibili» ad essi in quanto istituzioni sociali: ovvero sono dotate di una «oggettività spettrale», sono percepibili dai sensi solo indirettamente in forma di fenomeni e hanno proprietà «extra-sensoriali», come il «valore di scambio».

È in questa invisibilità, e quindi incoscienza, delle mediazioni sociali che consiste il feticismo; è attraverso il dominio eteronomo delle sue «oggettività spettrali» che esso produce alienazione.  

Gli attori sociali immersi in questo sistema, agiscono senza essere consapevoli del meccanismo che li lega, e sono spinti ad agire in modo funzionale alla produzione e riproduzione sociale, come se questa fosse una necessità naturale.

Il parossismo delle contraddizioni generate da queste istituzioni sociali – che sono in qualche modo create dalla mente umana ma allo stesso tempo sono a questa nascoste – viene raggiunto con la moneta.

Nella seconda parte abbiamo anticipato, quindi, che se esistono sacerdoti iniziati a questo «mistero» e a questi «segreti» che hanno a che fare col «nebuloso regno della religione», questi chierici sono – parafrasando Federico Caffè – i «pochi iniziati» alla moneta.

Quindi abbiamo visto come la peculiare forma di divisione del lavoro del modo di produzione capitalistico, e i sottesi rapporti di proprietà che strutturano la società in classi, rappresentano quindi l’origine dell’alienazione e, quindi, di ogni estraniazione, di ogni perdita d’identità e di anomia intese come fatti sociali, che caratterizza, pur con variazioni anche significative, questo tipo di società.  

Riprendiamo con una riflessione penetrante sul rapporto fra questa socialità nascosta e l’illusione, e delusione, della libertà individuale che è contenuta in queste righe di un pensatore originale, oggi molto trascurato, come Castoriadis
«Secondo la sua ideologia esplicita questa società non ha alcun progetto collettivo e non deve averne.
Si ritiene che siano gli individui a dare un senso alla propria vita, indipendentemente da ogni quadro e da ogni progetto collettivo, ciò che è un’assurdità totale. Ogni neonato dovrà inventarsi la propria lingua? E la lingua è un semplice “mezzo di comunicazione”, codice informatico, o piuttosto porta in sé tutti i significati attraverso cui un mondo esiste per la società e la società esiste per sé stessa?
In effetti, evidentemente, nella società contemporanea gli individui non danno senso proprio a niente, sono completamente imbevuti dalle significazioni immaginarie che li socializzano
Abbandonarsi alle gioie del “narcisismo individualista” è semplicemente scimmiottare ciò che stanno facendo 50 o 100 milioni di altri nello stesso momento.
Il contenuto concreto dell’“individualismo” contemporaneo è strettamente sociale. È la faccia individuale del progetto capitalista: aumentare senza limiti la produzione e il consumo. 
C’è quindi sicuramente un progetto sociale, checché ne dica la narrazione corrente, che non è né la semplice risultante dei progetti individuali né è deliberatamente scelto dagli individui, ma che predetermina le scelte e i progetti individuali tanto strettamente quanto avviene, seppure in un'altra maniera, in una qualsiasi altra società eteronoma. Ora, questo progetto è assurdo e indegno e credo che la sua presa inizi a usurarsi [anomia]
Le persone si accorgono che l’obiettivo centrale della vita umana non può essere di cambiare auto ogni tre mesi invece di sei. Ma non riescono, finora, a trovare in sé stessi le risorse per andare oltre
I significati immaginari del capitalismo si erodono, senza che la società riesca a farne emergere degli altri»

È però proprio questo «scarto esistenziale» (qui, n. 1) un possibile primo passo verso una consapevolezza emancipatoria, tanto personale quanto politica.

Abbiamo quindi sintetizzato, poi, come parlare di mercificazione, cosificazione o reificazione dei rapporti sociali, diversamente da una certa “retorica filosofeggiante”, significhi descrivere le forme di coscienza prodotte da rapporti sociali forniti di proprietà empiriche, che – con Marx – abbiamo chiamato feticismo; dalla morte del pensatore di Treviri, questo processo di invisibile ma percepibile alienazione di massa ha compiuto grandi passi avanti, divenuti addirittura balzi negli ultimi quarant’anni, dissolvendo quel che restava delle culture comunitarie e popolari precapitalistiche.
Era il fenomeno osservato da Pasolini, di cui abbiamo discusso, che individuava a colpo sicuro il ruolo fondamentale giocato dai media in questa “reificazione” edonistica di massa; l’attuale digitalizzazione dev’essere interpretata alla luce delle stesse coordinate teoriche.

(II) Feticismo ed Alienazione: il rapporto tra tecnologia, lavoro e politica.
Proprio il richiamo a Pasolini ci consente una riflessione preliminare, che forse riuscirà anche a chiarire gli equivoci che si erano generati in quella discussione.

I percorsi culturali che hanno portato alle Costituzioni del dopoguerra si nutrono di un rapporto dialettico con la modernità, ossia una relazione fondata su un equilibrio, talvolta incerto e difficile, fra accettazione e critica.

A spiegare questa delicata questione ci aiuta Michéa con una pagina del suo importante Les mystères de la gauche
«Se è evidente che i primi teorici socialisti condividevano coi liberali il medesimo rifiuto rivoluzionario del mondo antico delle caste e delle aristocrazie guerriere, quello delle comunità agrarie tradizionali fondate sulla disuguaglianza di nascita, la famiglia patriarcale e il dominio di un potere guerriero e religioso – è però non meno evidente che con ciò non intendevano affatto mettere in discussione il fatto comunitario stesso (dobbiamo proprio ricordare che il termine “socialismo” fu inventato da Pierre Leroux per opporsi a quello di “individualismo”?). […] 
Possiamo anche dire che se questi pensatori si opponevano con uguale energia all’ideologia liberale (e in particolare ai dogmi moderni dell’“economia politica inglese”) era prima di tutto perché quest’ultima si fondava su un concetto di libertà individuale che – nel momento in cui annullava tutto sul suo cammino – conduceva necessariamente ai loro occhi a dissolvere l’idea stessa di vita in comune nel nuovo universo della concorrenza assoluta, rendendo così inevitabile la comparsa di nuove forme di disuguaglianza e di servitù, forse ancora più terribili di quelle del passato (l’idea che, sotto molti aspetti, la condizione del moderno proletario, “lo schiavo salariato”, di Londra o di Manchester, fosse peggiore dei servi del medioevo o dei “negri della Virginia” costituiva d’altra parte un tema ricorrente dell’iniziale propaganda socialista).»

Tanto per fare un esempio tratto da un documento dell’epoca, ecco cosa scriveva Engels in un lavoro di critica dell’economia politica del 1844
«Dopo che l'economia liberale aveva fatto del suo meglio per generalizzare l'inimicizia dissolvendo le nazionalità e per tramutare l'umanità in un'orda di bestie feroci - che altro sono i concorrenti? - che si divorano l'una con l'altra, poiché ciascuna ha il medesimo interesse di tutti gli altri, dopo aver compiuto questo lavoro preliminare le restò da compiere ancora un passo prima di raggiungere lo scopo, la dissoluzione della famiglia
Per poterla attuare l'economia liberale ricorse ad una sua bella invenzione, il sistema delle fabbriche. L'ultima traccia di interessi comuni, la comunanza dei beni della famiglia, è stata sotterrata dal sistema delle fabbriche e - almeno qui in Inghilterra - si avvia verso la disgregazione. Avviene tutti i giorni che i bambini, non appena siano in condizione di lavorare, ossia compiuti i nove anni, spendano per sé il proprio salario, considerino la casa dei genitori come una pensione e paghino loro una certa somma per i pasti e l'alloggio. E come potrebbe essere diversamente? Che altro potrebbe derivare dall'isolarsi degli interessi che sta a fondamento del sistema della libertà di commercio? Una volta che un principio sia stato messo in movimento esso continua poi ad operare da sé in tutte le sue conseguenze, piaccia o meno agli economisti.»

Un’accettazione acritica della modernità caratterizza dunque solo il progressismo liberale, di cui il tecnoscientismo non è in fondo che una particolare incarnazione; d’altra parte il rifiuto totale della modernità stessa ha spinto invece ad improbabili fughe dalla realtà, a fedi acritiche e fanatiche in dottrine politiche o religiose o al “decrescismo naturalista”, che, di fatto, hanno contribuito a far sprofondare ancora di più la società nell’eteronomia e nel dogmatismo nichilista.

Un buon esempio dell’opposta affinità dei due estremi è costituito dal tecnoarcaismo nazista, ovvero ciò che Jeffrey Herf chiama modernismo reazionario, humus culturale lumeggiato da osservazioni tremende come quella di Heidegger secondo cui gli ebrei si sarebbero «autoannientati».

Un altro esempio, non certo così estremo ed estraneo al coté totalitario, potrebbe essere individuato in Augusto Del Noce, su cui vale la pena leggere queste incisive osservazioni di Preve (Il convitato di pietra, Vangelista Editori, Milano, 1991, pagg. 81-2): «Non condividiamo per nulla questa lettura filosofica della modernità di Augusto Del Noce, perché ci sembra radicalmente sbagliato tentare di uscire dal nichilismo con una fuga in una «ontogenesi immaginaria» e pertanto nichilistica, come può essere il mito ebraico e poi cristiano del peccato originale e della collera di Dio. 
Dosi maggiori di nichilismo, cioè di «volontà di credere» a tutti i costi in miti che la funzione corrosiva della scienza storica e della psicologia del profondo ci dice essere insostenibili, non possono essere una vera alternativa al normale relativismo laico. Consentiremo con Del Noce sulla miseria dello storicismo laico «di sinistra», ma ci congederemo da lui quando entrerà in chiesa a pregare il Dio di Paolo e di Agostino.
Nello stesso tempo, è bene non dimenticare il valore per così dire tipico della critica di Del Noce al marxismo. Discutendo con fondamentalisti musulmani di lingua francese o inglese che cercavano di convincerci della definitività del messaggio di Allah il clemente ed il misericordioso e della crisi irreversibile del comunismo ateo nel risolvere i problemi del mondo, ci siamo sempre stupiti del fatto che costoro, senza aver mai sentito il nome di Del Noce, finivano con il dire le stesse cose su Hegel e sul Marx, addirittura alla lettera. Nella sua conversione all’Islam il francese Roger Garaudy, già marxista molto prestigioso degli anni Cinquanta e Sessanta, ha finito con il dire cose assolutamente analoghe, e sappiamo che egli non ha mai letto Del Noce»

Nel medesimo solco va probabilmente collocata la critica rivolta da Voegelin alla “Crisi delle scienze europee” di Husserl. Pur riconoscendo la qualità del lavoro filosofico, il nostro rimprovera a Husserl di rifiutare la “trascendenza”, sostituita da un impegno di chiarificazione filosofica al servizio di una porzione concreta di umanità:
«A causa di questa riduzione dell’ umanità ad una comunità di individui impegnati a filosofare gli uni con gli altri in senso husserliano, il telos filosofico è slittato nelle vicinanze di particolari collettività intramondane del tipo del proletariato marxista, dell’“hitleriano Popolo” o dell’“Italiano di Mussolini”»

In definitiva, per il fatto di essere “concreto”, e quindi “limitato”, l’impegno che si propongono Husserl o Marx è sostanzialmente identico a quello di Hitler e Mussolini. A proposito di straussiane reductio...

Insomma, non appare per nulla plausibile una rifondazione religiosa della società moderna (il che ovviamente non vuol dire, sia chiaro, negare il valore dell’esperienza religiosa).  

Dalla parte opposta dello spettro ideologico, oggi ovviamente molto più affollato, ci sono gli adepti devoti del culto tecnoscientista, la cui radice feticista a questo punto dovrebbe risultare chiara: l’immagine della propria riproduzione che la società capitalista genera è quella di un meccanismo automatico. La società funzionerebbe come una macchina semovente, senza altri fini che il suo proprio movimento. 
Per citare Joan Robinson (Economic Heresis, Macmillan, Londra, 1972, pag. 143): “Il capitalismo moderno non ha altro scopo che quello di far sì che lo spettacolo vada sempre avanti”.  

Per provare a tirare un po’ le somme, prima di passare al Transumanesimo, vale la pena di rileggere queste incisive considerazioni di Castoriadis (L’enigma del soggetto, pagg. 203-4 e 284-5), che ci forniscono elementi utili per spiegare il rapporto fra feticismo e tecnica:
«Nel cuore dell’epoca moderna, a partire dalla fine dei «secoli bui», campeggiano due significazioni immaginarie sociali, intrinsecamente antinomiche benché comunque legate (ma il loro legame non può occuparci in questa sede): da una parte, l'autonomia che ha animato sia i movimenti emancipatori e democratici che percorrono la storia dell’occidente, sia la rinascita dell’interrogazione e dell’indagine razionale; dall’altra, l'espansione illimitata del dominio «razionale», alla base dell’istituzione del capitalismo e delle sue trasformazioni (fra cui, con una mostruosa inversione, il totalitarismo), culminante senza dubbio nel dilagare della tecno-scienza.
Per motivi che ho ampiamente sviluppato altrove, il dominio «razionale» oggi in fase di espansione illimitata in realtà non può essere che un dominio pseudorazionale. Ma qui interessa soprattutto un'altra dimensione. Un dominio «razionale» implica, esige in verità - da che la «razionalità» è stata vista come perfettamente «oggettivabile», cosa che ha voluto ben presto dire «algoritmabile» - un dominio impersonale
Ma un dominio impersonale esteso a tutto è evidentemente il dominio di nessuno, e dunque e il completo non-dominio, il non-potere (in una democrazia, c’è certamente una regola razionale impersonale, la legge, pensiero senza desiderio, come diceva Aristotele, ma ci sono anche governanti e giudici in carne e ossa).»

Sempre Castoriadis individua anche l’opposizione radicale che esiste fra la “razionalità” quantificante e calcolante del dominio anonimo tecnocratico e la razionalità pratica, ossia umana, della politica. Il riferimento aggiornato all’antichità greca può costituire un buon esempio di quel rapporto dialettico con la modernità di cui si parlava sopra:
«Esiste un legame stretto, seppure implicito, tra queste due coppie di opposizioni: chaos/kosmos e hybris/dike. In un senso, la seconda non è che una trasposizione della prima in ambito umano.
Questa visione condiziona, per così dire, la creazione della filosofia, la quale, come l’hanno creata e praticata i Greci, è possibile proprio perché l'universo non è totalmente ordinato
Se lo fosse, non vi sarebbe alcuna filosofia, ma solo un sistema di sapere unico e definitivo
E se il mondo fosse un caos puro e semplice, non vi sarebbe nessuna possibilità di pensare. 
Ma questa visione condiziona anche la creazione della politica
Se l’universo umano fosse perfettamente ordinato, sia dall’esterno sia dalla sua «attività spontanea» («mano invisibile», ecc.), se le leggi umane fossero dettate da Dio o dalla natura, o ancora dalla «natura della società» o dalle «leggi della storia», non vi sarebbe alcuno spazio per il pensiero politico, né campo aperto all’azione politica, e sarebbe assurdo interrogarsi su che cos’è una buona legge o sulla natura della giustizia [cfr. Hayek]
Allo stesso modo, se gli esseri umani non potessero creare un qualche ordine per loro stessi ponendo delle leggi, non vi sarebbe nessuna possibilità di azione politica istituente.
E se fosse possibile una conoscenza sicura e totale {episteme} dell'ambito dell’umano, la politica avrebbe immediatamente fine, e la democrazia sarebbe al tempo stesso impossibile e assurda, giacché la democrazia suppone che tutti i cittadini abbiano la possibilità d'attingere una doxa corretta e che nessuno possegga
una episteme delle cose politiche.»

Sintetizzando: feticismo, alienazione, estraniazione, anomia, nichilismo, scientismo positivista e tecnocrazia sono forme di coscienza legate, attraverso più o meno complesse mediazioni, a un sistema di produzione organizzato attorno all’automatismo “razionale” della propria riproduzione, che nega quindi in radice la possibilità di un qualsiasi discorso collettivo sui fini.

«Chi ha bisogno di visioni del mondo, vada al cinema», come diceva Weber; o si rifugi in qualche “trascendenza” religiosa o mitologia politica: del resto, non casualmente, l’offerta sul mercato non manca.

Il punto di vista qui sostenuto è che senza una critica etica, o meta-etica, come preferisce dire McCarthy, e una prassi conseguente, nessuna vera liberazione dall’alienazione è possibile. 
Vale a dire che non si tratta di giudicare moralmente, ossia moralisticamente, la condotta di Tizio o di Caio; meno che mai di ridurre fenomeni strutturali a responsabilità individuali, ma di studiare criticamente la società e le sue strutture per creare le pre-condizioni, pratiche e  cognitive, per la realizzazione dell’etica, cioè dell’autonomia, individuale e collettiva (le due dimensioni sono ovviamente indisgiungibili), umana, nei vari ambiti in cui si esercita (“sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità”).

Inutile osservare che tanto per la critica quanto per la prassi è indispensabile il costante impiego dell’economia politica e delle scienze sociali.

Resta ora da capire quale sia l’impatto della tecnologia che, da artificio umano, si “umanizza” fondendosi all’ordine sociale invece “naturalizzato”, alienato e “disumanizzato”.
...

STRADE DISSESTATE, INCIDENTI, MANUTENZIONI INESISTENTI, ESPEDIENTI PER FARE CASSA: BENVENUTI NEL QUARTO MONDO.




Post di Sofia

1)-- Sui quotidiani romani è un continuo riportare lo stato delle strade dissestate, le buche che non vengono riparate, i continui incidenti mortali, ma non si tratta di un fenomeno solo romano. Tutti i comuni d’Italia, con qualche eccezione, non effettuano più le manutenzioni indispensabili da anni, così che il  dissesto del territorio va sempre più verso livelli irrecuperabili e la cosa peggiore è che i cittadini hanno assunto un atteggiamento rassegnato (e di certo, in molti casi, anche inconsapevole).
Parliamo di un fenomeno apparentemente banale, ma che ha risvolti economici e sociali non indifferenti su cui possiamo provare a fare un punto e qualche semplice riflessione.

2)-- Innanzitutto occorrerebbe sapere che per quanto attiene alla manutenzione stradale, vi dovrebbero essere dei fondi, percepiti attraverso tasse o sanzioni, a ciò specificatamente finalizzati.
Iniziamo dalla tassa automobilistica (bollo auto) è una tassa di proprietà dei veicoli (e non una tassa di circolazione e, quindi, dovuta a prescindere dall'effettivo utilizzo), che grava sugli autoveicoli e motoveicoli immatricolati sul territorio italiano ed il cui versamento è a favore delle Regioni di residenza.
La fonte principale della tassa è il D.P.R. 5 febbraio 1953 n. 39 il quale, all’art. 10 stabilisce le modalità di ripartizione delle somme per metà in proporzione della superficie e per metà in proporzione della lunghezza delle strade, mentre i Comuni non possono imporre alcuna tassa sui veicoli (anche se di fatto lo fanno attraverso le multe, su cui tornerò).
Nel 2015 Renzi propose l’abolizione del bollo e per questo si rinvengono alcuni dati sull’entità di questo gettito. Questa imposta pare garantire ogni anno circa sei miliardi di euro (v. anche qui), che finiscono nelle casse delle Regioni, a cui si sommerebbero seicento milioni di competenza erariale, che vanno sotto il nome di superbollo. Il Bollo parrebbe incidere, quindi, per l'11,7% del totale delle entrate delle imposte e tributi propri delle Regioni. È quanto emergerebbe da un'analisi della Uil Servizio Politiche Territoriali dall’elaborazione dei Bilanci di previsione delle Regioni del 2015.
Nello specifico, le tasse automobilistiche avrebbero assicurato in Lombardia 849 milioni di euro (il 9% del totale del gettito dei tributi propri), nel Lazio 775 milioni di euro; nel Veneto 595 milioni di euro; in Emilia Romagna 550 milioni di euro.
Dalla normativa non si evince un vincolo di scopo del bollo auto e, vista la condizione delle nostre strade, è stato proposto (all’attuale governo) di trasformare in fondo per la manutenzione e messa in sicurezza ordinaria e straordinaria delle strade comunali, provinciali e statali, i soldi del bollo auto VINCOLANDO  a tale scopo il ricavo annuo derivato da questa tassa regionale, facendola diventare una tassa di scopo.
Si discute anche di una tassa automobilistica europea che dal 2026 si calcolerebbe in tutti i Paesi UE non più su potenza e inquinamento ma sui chilometri percorsi il che denota, appunto, che questa tassa debba essere erogata in ragione del consumo che in maniera parcellare grava su ogni possessore di auto che utilizza le necessarie infrastrutture le quali, a loro volta, richiedono le necessarie manutenzioni.
Visto che, a giudicare dallo stato delle strade, non pare che queste somme siano effettivamente utilizzate per la manutenzione e il rifacimento delle strade, il bollo auto viene percepito dalla collettività sempre più come ingiusto ed intollerabile.

3)-- A partire dal 1° gennaio 2018 ( in conseguenza di quanto stabilito dall'articolo 1, comma 460, della legge 232/2016) sono cambiate le regole di impiego degli oneri di urbanizzazione, che in forza del comma 460 della legge 232/2016 torneranno – senza più alcuna limitazione temporale – a essere vincolati solo ed esclusivamente per alcune finalità tra cui la realizzazione e manutenzione ordinaria e straordinaria delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria.
La dicitura è abbastanza generica da consentire qualche margine di manovra. Certo è, però, che questo vincolo impedisce ai Comuni di utilizzare le risorse nei settori in cui si verificano le maggiori emergenze, compresa la manutenzione stradale.




4)-- Sempre con riferimento alle diverse forme di entrata, non sono certo trascurabili gli introiti dovuti alle multe (e sarebbe importante capire se questi introiti vengono utilizzati per fornire idonei servizi).
Gli articoli 208 e 142 del Codice della strada disciplinano la destinazione degli incassi riconducibili alle sanzioni amministrative.
Il comma 12-bis dell’art. 142 stabilisce che i proventi delle sanzioni derivanti dall'accertamento delle violazioni dei limiti massimi di velocità, attraverso l'impiego di apparecchi o di sistemi di rilevamento della velocità ovvero attraverso l'utilizzazione di dispositivi o di mezzi tecnici di controllo a distanza delle violazioni sono attribuiti, in misura pari al 50 per cento ciascuno, all'ente proprietario della strada su cui è stato effettuato l'accertamento o agli enti che esercitano le relative funzioni di controllo e all'ente da cui dipende l'organo accertatore.
I suddetti enti (aggiunge il comma 12-ter) destinano le somme derivanti dall'attribuzione delle quote dei proventi delle sanzioni amministrative pecuniarie alla realizzazione di interventi di manutenzione e messa in sicurezza delle infrastrutture stradali, ivi comprese la segnaletica e le barriere, e dei relativi impianti, nonché al potenziamento delle attività di controllo e di accertamento delle violazioni in materia di circolazione stradale, ivi comprese le spese relative al personale, nel rispetto della normativa vigente relativa al contenimento delle spese in materia di pubblico impiego e al patto di stabilità interno (per essere chiari, quindi, non è possibile incrementare il personale).
Inoltre, ciascun ente locale deve trasmette al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ed al Ministero dell'interno, entro il 31 maggio di ogni anno, una relazione in cui sono indicati, con riferimento all'anno precedente, l'ammontare complessivo dei proventi di propria spettanza e gli interventi realizzati a valere su tali risorse, con la specificazione degli oneri sostenuti per ciascun intervento. La percentuale dei proventi spettanti ai sensi del comma 12-bis è ridotta del 90 per cento annuo nei confronti dell'ente che non trasmetta la relazione, ovvero che utilizzi i predetti proventi in modo difforme da quanto previsto dall'articolo 208. Le inadempienze rilevano ai fini della responsabilità disciplinare e per danno erariale e devono essere segnalate tempestivamente al procuratore regionale della Corte dei conti.
L’art. 208 -  comma 2 del suddetto articolo stabilisce a chi devono essere destinati i soldi provenienti dalle multe sia nel caso in cui questi spettino allo Stato sia nel caso in cui invece spettino agli enti locali.
  • l’80% del totale annuo deve essere devoluta al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti - per lo svolgimento di studi, ricerche e propaganda ai fini della sicurezza stradale, nonché per finalità di educazione stradale, per l’assistenza e previdenza del personale della Polizia di Stato, dell’Arma dei carabinieri, della Guardia di finanza, della Polizia penitenziaria e del Corpo forestale dello Stato;
  • il 20% del totale annuo è riservata al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti per studi, ricerche e propaganda sulla sicurezza del veicolo;
  • il 7,5% del totale annuo va al Ministero dell’Istruzione per l’insegnamento, nella scuola pubblica e privata, dell’educazione stradale e per l’organizzazione dei corsi per conseguire il certificato di idoneità alla conduzione dei ciclomotori.
Peraltro, secondo quanto stabilito dalla Corte dei Conti (Veneto - Deliberazione n. 254/2016/PAR) non può dubitarsi della natura precettiva ed imperativa della norma, per cui le regole che disciplinano l’impiego delle specifiche voci di entrata ivi contenute, si traducono nella imposizione di un vincolo di destinazione ex lege, e devono ritenersi ineludibili.
Per ciò che concerne gli introiti delle multe riscossi dagli enti locali il comma 4 dell’art. 208 del codice della strada stabilisce che il 50% è rimesso alla libera disposizione dell’Ente locale che lo ha incassato e un altro 50% che è invece vincolato per legge a specifici usi:
  • in misura non inferiore a un quarto della quota: destinata ad interventi di sostituzione, di ammodernamento, di potenziamento, di messa a norma e di manutenzione della segnaletica delle strade di proprietà dell’ente;
  • in misura non inferiore a un quarto della quota: al potenziamento delle attività di controllo e di accertamento delle violazioni in materia di circolazione stradale, anche attraverso l’acquisto di automezzi, mezzi e attrezzature dei Corpi e dei servizi di polizia provinciale e di polizia municipale;
  • il restante: ad altre finalità connesse al miglioramento della sicurezza stradale, alla manutenzione delle strade di proprietà dell’Ente, incluse installazione, ammodernamento, potenziamento, messa a norma e manutenzione delle barriere e sistemazione del manto stradale delle medesime strade, ad interventi per la sicurezza stradale a tutela degli utenti deboli, quali bambini, anziani, disabili, pedoni e ciclisti, allo svolgimento, da parte degli organi di polizia locale, nelle scuole di ogni ordine e grado, di corsi didattici finalizzati all’educazione stradale, a misure di assistenza e di previdenza per il personale e ad interventi a favore della mobilità ciclistica.
A cui si aggiunge l’articolo 14 del Codice della strada - a mente del quale «gli enti proprietari delle strade, allo scopo di garantire la sicurezza e la fluidità della circolazione, provvedono: i) alla manutenzione, gestione e pulizia delle strade, delle loro pertinenze e arredo nonché delle attrezzature, impianti e servizi: ii) al controllo tecnico dell’efficienza delle strade e relative pertinenze» – genera un obbligo di sorveglianza su di una fonte di pericolo che «impone di per sé l’intervento volto a eliminare quest’ultimo o, ove non possibile una soluzione radicale, almeno a ridurlo, senza alcun rilievo del carattere occulto o meno di tale pericolo, ferma restando l’ipotizzabilità di un concorso dell’utente della strada ove tenga una condotta colposa causalmente efficiente».

5)-- Non è chiaro se esista davvero un sistema di controllo circa il reale utilizzo dei suddetti fondi.
Così che anche lo sforzo dei Produttori per accrescere gli standard di sicurezza dei veicoli e ridurre ulteriormente l’incidentalità e la mortalità sulle strade, viene spesso vanificato dalle condizioni delle infrastrutture stradali, e questo nonostante vi sia anche un “collegamento” fra l’omicidio stradale  (previsto dall’art. 589-bis, comma 1, del Codice penale) e i gestori delle strade che non eseguono manutenzione adeguata. Infatti la Circolare 300/a/2251/16 del Dipartimento di pubblica sicurezza, al punto 1.1, rubricato “omicidio stradale non aggravato”, indica, “come fattispecie generica, la responsabilità di reato anche di chi non conduce il veicolo, bensì di chi ha posto in essere comportamenti omissivi rispetto alla sicurezza stradale in termini di manutenzione e costruzione delle strade e dei veicoli”. Ovviamente, come chiarito dal Consiglio di Stato (parere n. 567/2017) discende che la circolare non ha «efficacia vincolante nei confronti degli organi periferici» dell’amministrazione, che possono «disattenderne l’interpretazione senza che ciò comporti l’illegittimità dei loro atti per violazione di legge», ma la Cassazione è piuttosto chiara nel riconoscere che sussiste in capo all'ente proprietario di una strada destinata a uso pubblico una posizione di garanzia da cui deriva l'obbligo di vigilare affinché quell'uso si svolga senza pericolo per gli utenti (neminem laedere) (cfr. Cassazione penale, sez. IV, 3/5/2012, n. 23152,  Cass. Pen., sez. IV, 29/3/2016, n. 17070).

6)-- A tutto questo si aggiunge il carico fiscale sulle auto in Italia che è tra i più alti in assoluto (nel 2016 l’ammontare è stato di 73 miliardi di euro con tendenza è al rialzo costante; la percentuale sul gettito complessivo è del 16%; la percentuale sul PIL  è del 4,3%, contro una media europea del 3%).
Entrate che, a quanto si percepisce dalle condizioni stradali, non vengono investite per la manutenzione costante delle strade e delle infrastrutture in generale.

7)-- Ove vi fossero dubbi a rilasciare i dati, negativi, che caratterizzano questa prima parte del 2018 è l'Associazione Italiana Strade e Bitumi nella sua analisi periodica sull'emergenza strade. Se nel 2017 si era registrata una leggera crescita del 2,1% per quanto riguarda la produzione in Italia di conglomerato bituminoso, in realtà l'aumento positivo era stato solo apparente. Nel 2016 infatti si era toccato il minimo storico con la produzione che si attestava a 23,6 milioni di tonnellate, praticamente la metà rispetto ai 45 milioni di tonnellate del 2006, anno in cui è cominciata la discesa del trend. Anche nei primi mesi di quest'anno la produzione si attesta intorno ai 23 milioni di tonnellate, con un evidente peggioramento pari ad un -11,8% rispetto allo stesso periodo del 2017 (vedere anche articolo sul quotidiano La Verità del 7 luglio 2018). Ovviamente questo non ha riflessi solo sullo stato delle strade (con danni per 42 miliardi di euro), ma sono andati persi molti posti di lavoro e moltissime aziende che operano nel settore hanno chiuso (il numero degli addetti è calato del 36%, su 3.500 aziende italiane hanno chiuso in 1.500, sono andati persi 18.000 posti di lavoro).
La SITEB ritiene che ormai la situazione sia giunta ad un "punto di non ritorno", i continui rallentamenti della manutenzione favoriscono il deterioramento dell'asfalto sulle strade: più buche e più incidenti. Ed infatti i dati Istat attestano un incremento di incidenti (i decessi aumentano del 2,9%, forte incremento di vittime fra i motociclisti e pedoni +11.9% e +5,3%).E' questa l'impietosa fotografia di un mondo che ha costi sociali pari a 19,3 miliardi di euro l'anno, l'1,1% del Pil,
Per ora la soluzione di alcuni Comuni (vedi Roma e la Cristoforo Colombo) è quella di imporre limiti di velocità più bassi, a volte ridicoli come 30 km/h su tratti a scorrimento veloce e a due corsie. Ad ora la situazione sembra veramente tragica, per la SITEB servirebbero circa 42 miliardi di euro per ripristinare la rete stradale italiana e per questo fa un appello al nuovo Governo chiedendo un piano straordinario di manutenzione
8)-- Uno studio dell’UE (purtroppo datato) conferma e contiene alcuni dati significativi: gli investimenti stradali hanno toccato il massimo storico nel 2009, per poi però calare del 7,1% nel 2011. Riporta anche che Quanto ai livelli di spesa per la manutenzione, l'analisi constata negli ultimi anni un calo significativo delle  attività di manutenzione in Italia, Irlanda, Slovenia e Spagna e una probabile tendenza al ribasso anche in Slovacchia, Finlandia, Repubblica ceca, Regno Unito, Portogallo e Ungheria. Durante lo stesso periodo, invece, sembra che alcuni altri Stati membri dell'UE, vale a dire Austria, Germania, Francia, Croazia, Lituania, Lussemburgo e Polonia, abbiano fatto registrare un aumento della spesa per la manutenzione della rete stradale. L'impatto della crisi è stato avvertito maggiormente nei paesi in cui il finanziamento dell'infrastruttura stradale dipende fortemente dalla spesa pubblica piuttosto che da altre fonti (ad es. i pedaggi). La situazione delle finanze pubbliche degli Stati membri e le scelte compiute in materia fiscale e di bilancio hanno portato a esiti differenti.
E ancora si legge che Gli studi che hanno cercato, invece, di quantificare l'impatto economico complessivo delle attività di manutenzione stradale indicano che il taglio alla spesa destinata alla manutenzione stradale può avere un impatto sull'economia generale compreso tra il 100% e il 250%.


9)-- E per chiudere il cerchio. A quanto pare (ma i dati cui faccio riferimento si riferiscono solo a Roma, anche se immagino che si tratti di un fenomeno generalizzato) a fronte di un record di multe, è emersa una riscossione flop. Sono state registrate (solo con street control e autovelox) 2,6 milioni di sanzioni ossia un aumento del 17%, ma solo 1 su 4 paga. La cifra delle multe elevate in un anno ammonta a 2.621.241 con un aumento rispetto all’anno precedente del 41,5%. ma nel 2017 su 423 milioni di sanzioni sono stati incassati solo 94 milioni. Il Campidoglio ha accumulato 8 miliardi di crediti (v. Il Messaggero Roma 12.7.2018).

10)-- Quindi, per riassumere, la mancanza di investimenti pubblici (con conseguenti effetti sull’occupazione e sui redditi e, conseguentemente sulle entrate fiscali per lo Stato e gli enti locali) determina inevitabili effetti anche nel settore oggetto di questo scritto; i Comuni non hanno fondi per effettuare le manutenzioni e cercano di fare cassa con le multe e le altre imposizioni fiscali, ma il livello di disoccupazione e dei bassi redditi impedisce ai cittadini di far fronte ai pagamenti delle sanzioni (emesse in maniera abnorme) che si aggiungono alle imposte e agli oneri economici che sono costretti a sostenere a causa della mancanza di servizi pubblici (perché poi, in tutto questo, oltre ai costi derivanti da questo stato di cose, non esistono quantificazioni sui danni prodotti in termini  di riparazioni continue e necessarie alle auto e ai ciclomotori, di danni derivanti alle persone che restano ferite in incidenti stradali in termini sanitari – per non contare gli effetti dovuti ai decessi – di danni ai mezzi pubblici di trasporto, di aumenti delle polizze assicurative, di costi per la giustizia derivanti dall'aumento dei ricorsi e…..insomma, chi più ne ha più ne metta).
E tutto questo perchè non sia mai, che non si rispetti il pareggio di bilancio!