martedì 7 agosto 2018

I CAVALLI MORTI DEL MONETARISMO E IL FIL ROUGE DI DE GRAUWE




Post di Arturo

Come forse saprete, è uscito da qualche tempo l’ultimo libro di una nostra vecchia conoscenza: il buon De Grauwe. In questo, e un successivo, post tenterò di fornirvene una sorta di recensione a misura di blog.

(Solo un’avvertenza: ho letto l’edizione inglese, per cui le traduzioni sono mie. Non ho voluto alterare la percezione dell’originale aggiungendo grassetti o sottolineature; mio ovviamente l’impiego dell’evidenziatore)
Partiamo subito dalla questione euro, a cui poi agganceremo gli altri temi del libro.

1. Il giudizio è chiaro (pag. 127): 
Ci sono solo due opzioni per risolvere il problema di debolezza strutturale dei governi nazionali all’interno dell’eurozona: la prima è la creazione un governo europeo, legittimato da un parlamento europeo, a cui i governi trasferiscano significativi poteri in materia fiscale. Questa forma di unione politica, fornita del potere di spendere e riscuotere tasse, potrebbe emettere il proprio debito e costringere la banca centrale a fornirle supporto finanziario. La soluzione è rendere l’Europa uno stato federale.
La volontà di realizzare un’unione politica di questo tipo in Europa è estremamente debole. Molti paesi soffrono di una seria forma di “affaticamento da integrazione”. 
Se non riusciamo a creare un’unione politica, c’è solo un’alternativa: un ritorno alle valute nazionali. Questa soluzione emergerà automaticamente perché molti paesi rifiuteranno un sistema in cui decisioni vitali sono prese da mercati anonimi e inaffidabili e funzionari irresponsabili.
Come vedete sono posizioni più drastiche, e più realistiche, dei semplici richiami “al buon senso” di qualche mese fa.
Se un rinnovato equilibrio fra Stato democratico e mercato, - che De Grauwe considera l’unica soluzione praticabile per affrontare organicamente i problemi strutturali del capitalismo rivelati dalla crisi del 2008 (lo vedremo meglio la prossima volta)-, nel caso dei paesi dell’eurozona dovrebbe tradursi in una federalizzazione, la quale, a sua volta, è riconosciuta come un’opzione priva di realismo (se mai se n’è vista una che non lo fosse), che senso ha tollerare di fatto, sotto il manto del richiamo a un fantomatico buon senso, la permanenza dello squilibrio, se non quello di rendersi complici degli interessi che vi lucrano?
Se considerate che l’edizione originale olandese del libro è del 2014 (!), trovo difficile negare che l’intervento dell’anno passato sollevi anche serie questioni di deontologia professionale. Se come minimo ci fosse qualcuno disposto a sollevarle, naturalmente.
Vediamo i termini dell’analisi, per noi peraltro abbastanza ovvi, ma che richiamerò nel (vano) auspicio che possano almeno costituire punti fermi del dibattito. 

1.1 La crisi degli spread non dipende dal rapporto debito/PIL ma dall’assenza della garanzia di una banca centrale.
Il paragone Spagna – UK lascia margine a pochi dubbi:
 
   
Quando confrontiamo Spagna e Gran Bretagna osserviamo quanto segue: entrambi i paesi hanno affrontato uno shock negativo che ha prodotto un brusco aumento del debito pubblico. 
La differenza è che i mercati finanziari possono spingere lo Stato spagnolo in una crisi di liquidità e di insolvenza, mentre gli stessi mercati non posso fare altrettanto con quello inglese, che è fornito di un’arma potente, ossia la sua banca centrale che può creare denaro a volontà. I mercati finanziari possono spingere la Spagna o qualsiasi altro membro dell’eurozona alla bancarotta, ma non possono farlo con paesi come la Gran Bretagna che emettono debito nella loro valuta.
Il diverso trattamento di Spagna e Gran Bretagna praticato dai mercati finanziari durante una crisi del debito è illustrato anche dalla figura 11.2. Vediamo che durante la crisi la Spagna ha dovuto pagare interessi molto alti sui suoi titoli perché gli investitori erano stati colti dal panico e li vendevano in massa. Questo non accadeva alla GB, benché la situazione del bilancio pubblico non fosse migliore di quella spagnola. Gli investitori sapevano che i loro titoli inglesi erano sicuri, quindi non li vendevano e il tasso di interesse sui titoli del debito pubblico iniziò addirittura a scendere.” (pagg. 120-1)

1.2 Ovviamente la crisi degli spread non è stata risolta dall’austerità dei vari Monti europei, ma dal whatever it takes:
Non c’è alcun dubbio su questo punto: nel 2012 la BCE ha salvato l’eurozona dal collasso svolgendo il ruolo di una moderna banca centrale e sostenendo i governi nazionali mentre i mercati finanziari erano in preda a paura e panico.” (pag. 125).

Insomma, come diceva Kaldor, la BoE onora sempre  gli assegni emessi dal governo di Sua Maestà”, laddove gli Stati dell’eurozona hanno preso la “drastica decisione” di creare una banca centrale sollevata da quest’obbligo, ma che interviene motu proprio strapazzando la lettera dei Trattati, finché, su richiesta tedesca, non scende in campo la Corte di Giustizia a mettere i suoi austeri paletti.

Ovviamente una volta confermato che il tasso di interesse, ossia l’onere del debito, lo decide la banca centrale e non “imercati”, si porrebbero drammatiche questioni teoriche e costituzionali circa l’indipendenza di istituzioni che intervengono in modo così pesante nel conflitto distributivo (qui, soprattutto n. 5), nel caso leuropeo nell’ambito di un gioco di potere ancora più complicato, oligarchico e opaco che nel resto del mondo sviluppato (e non). Su questo però De Grauwe risulta non pervenuto. Fingiamo di sorprenderci.

Residuano due questioni.

2. Dirà l’amico liberista: d’accordo, lo spread dipende anche dall’assenza della mamma-banca centrale, ma, se avessimo fatto i bravi bambini, imercati, severi ma giusti, non ci avrebbero punito.

Sentiamo De Grauwe (pagg. 124-5):
Abbiamo visto che la debolezza strutturale degli Stati nazionali all’interno dell’eurozona dipende, fra l’altro, dall’assenza del sostegno di una banca centrale in tempo di crisi. Ciò significa che questi governi devono accettare i diktat dei mercati finanziari, cosa che non sarebbe così negativa se questi avessero sempre ragione. L’esperienza tuttavia mostra che essi sono spesso guidati da processi collettivi che alternano ottimismo ed euforia a panico e pessimismo. Non è questa una buona guida per le politiche macroeconomiche.
E’ quindi essenziale che la BCE assuma i compiti svolti dalle banche centrali in USA e Gran Bretagna. La BCE dovrebbe essere pronta a comprare titoli di stato nei momenti di crisi, quando il mercato è in preda al panico, come nel 2010-11.

Dell’intrinseca instabilità dei mercati finanziari De Grauwe parla anche aliunde nel libro: pure su questa scoperta dell’acqua tiepida tornerò.
La bella conseguenza del vincolo esercitato dagli infallibili mercati finanziari è stata la rimozione degli stabilizzatori automatici e la necessità di rispondere alla crisi con altra crisi, cioè con l’austerità, che proprio per questo va difesa finché possibile e sennò possiamo poi sempre dire che in realtà non c’è mai stata, come han fatto Perotti ed altri.
Anche su questo De Grauwe è molto chiaro (e vorrei vedere):
Qualcuno dirà che gli spietati programmi di austerità erano necessari per “risanare” le finanze pubbliche di quei paesi. 
Così non è andata, come possiamo vedere nella figura 11.4. Più sono state profonde le misura di austerità, più è aumentato il rapporto debito/PIL. A un aumento dei tagli s’è accompagnato un aumento del rapporto. Questo è l’effetto indiretto che abbiamo notato prima: tagli di spesa producono una profonda caduta del PIL (il denominatore del rapporto debito/PIL).
Quindi il risultato delle misure di austerità (imposte dai mercati finanziari) sono stati non solo una profonda recessione e un drammatico aumento della disoccupazione ma anche un significativo aumento nel rapporto debito/PIL
La miseria che questi paesi hanno imposto a se stessi non è servita a niente: la posizione debitoria dei loro governi è peggiore che mai. Basterebbe assai meno per screditare il sistema di mercato.
(Come avrete intuito il timore di un’impopolarità politica del capitalismo è il fil rouge che percorre tutto il libro).

3. Ultimo cavallo (morto) degli amici liberisti: l’acquisto di titoli di Stato da parte della banca centrale potrà sì forse calmare i mercati finanziari, ma la pagheranno i cittadini con l’inflazione!

Che l’inflazione non sia esattamente “la più iniqua delle tasse” ce lo ha spiegato Alberto anni fa; in questo caso però la questione è a monte: pur con tutti gli interventi della BCE, l’inflazione dove starebbe?
Riprendendo dati e conclusioni di un lavoro precedente, De Grauwe attira l’attenzione sulla divaricazione fra base monetaria e offerta di moneta: 
Potete trovare qui la definizione di base monetaria, o M0, e qui quella dell’aggregato M3.
In estrema semplicità il punto fondamentale sta nella differenza fra M1 ed M0, costituita dalle riserve bancarie. Ossia la banca centrale può creare liquidità, ma “il problema è che se si è reduci da una crisi finanziaria, imprese e famiglie saranno restie a indebitarsi per spendere (anzi, si dibattono su come rientrare dai debiti): puoi portare il cavallo alla fonte, ma non puoi costringerlo a bere, come recita una vecchia metafora. Servirebbe la politica fiscale, ma questo è un anatema nel quadro monetarista.” (S. Cesaratto, Sei lezioni di economia, Imprimatur, Reggio Emilia, 2016, pag. 101). E la liquidità così creata resta nelle riserve bancarie.

Insomma: Non c’è mai stato un rischio inflazione, semplicemente perché l’offerta di moneta in mano al pubblico (famiglie e imprese) non è aumentata”. (De Grauwe, pag. 129).

In conclusione: quale sia la morale della storia, lo sappiamo da anni
Ovviamente non possiamo aspettarci che De Grauwe tiri le stesse conclusioni, ma, almeno, che nessun elemento della sua analisi contraddica la diagnosticata incompatibilità fra moneta unica e democrazia costituzionale lo possiamo dire tranquillamente.

Rispetto ad altre considerazioni, di cui vi darò conto, si sarebbe anche potuto, (molto) in teoria, chiedere di più; tocca accontentarsi.

16 commenti:

  1. Una domanda:
    Esiste in tutto il libro di De Grauwe un solo riferimento agli scritti di Nicholas Kaldor?

    https://www.concertedaction.com/2012/11/06/nicholas-kaldor-on-european-political-union/

    Una omissione del genere sarebbe prova certa di cialtroneria.

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    1. No, ovviamente no. Non so se parlerei di "cialtroneria", però: sai com'è, in certi ambienti bisogna continuare a dire che è stato "un errore".

      La (ovvia) verità la puoi sentire da Pivetti, non da De Grauwe.

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    2. Per chi ha tempo e voglia di approfondire suggerisco:

      "Nicholas Kaldor on Endogenous Money and Increasing Returns"
      Guglielmo Forges Davanzati
      March 2015

      https://www.postkeynesian.net/downloads/working-papers/PKWP1505.pdf

      Molti degli spunti 'Kaldoriani' (riportati nel lavoro di Davanzati) hanno tra l'altro risuonato teri nell'aula del Senato della Repubblica grazie all'eccellente discorso di Alberto Bagnai.

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  2. UNICUIQUE SUUM
    (OTC, a ciascuno venga dato quanto è dovuto)

    Verrebbe da giuntare - propedeutica per la comprensione de LASCIENZA che è materia di professione del “nostro” P De Grauwe – qualche sintetica considerazione:

    a.) non esiste - la Storia ne è memoria - una radicale contrapposizione tra il sistema capitalistico e lo Stato: prova è che la Costituzione del Bel Paese (così come definita la “più bella del mondo” anche da coloro che, forse tra detrattori e quant'altro, neppure hanno letto e compreso la prima di copertina e l'articolo primo) propone un modello di compatibilità dialettica con preminenza valoriale dello Stato repubblicano e democratico sugli “spiriti animali” del “libero” mercato;

    b.) non esiste - mai è esistita e mai esisterà – un governo legittimato da un parlamento democratico con poteri significanti e significati negli ordini legislativo, esecutivo e giudiziario senza una Carta Costituzionale sostanziale e rappresentativa della volontà plebiscitaria del “suffragio universale” degli aventi diritto al voto:in ambito EU, la proposta ha abortito, rigettata dai referendum di Francia e Paesi Bassi del 2005 per essere poi ritrattata dagli “illustri” della stesura del 2003/2003 ) che confidavano nel "metodo di governo" della moneta unica quale fondamento per il "nuovo" ordinamento sociale liberistico del Vecchio Continente;

    c.) da considerare i “collaterali” dei paradossi della teologia economica del liberismo, neo-liberismo e “derivati” con particolare riferimento ad una recente trattazione scientifica di J Sapir (immagino che i due si conoscano e, ogni tanto si “confrontino”) che ne analizza le sistematiche contraddizioni e la fideistica irradiazione nell'accademia universale da decenni (prova ne è la lista dei “Premi della Banca di Svezia per l'economia” attribuiti dal 1969 a seguire).

    L'analisi economica del diritto, proposta dal '48, consente una scientifica lettura fattuale della Storia passata, un metodo per comprendere l'attualità e la definizione di proposte d'indirizzo.

    Verrebbe da giuntare - senza presunzione alcuna e irriverenza verso tanti “illustri” cattedratici che, anch'essi, “tengono famiglia” – che di “ciance” da “b(o)ardellosport” non c'è né voglia, né tempo: LE GENTE MUORE e che si “parli ora (ndr, con posizioni chiare e nette, senza dubbiosità fintamente socratiche) o taccia per sempre”.

    Tiremm innanz !!!

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  3. Che sincero atto di risipiscenza!

    A me sembra tanto il manifesto per un futuro ed ennesimo “processo di integrazione capitalistica” (ammesso che ne ricorrano realmente i presupposti e che il sistema, per le contraddizioni alle quali è giunto, sia storicamente disposto/costretto ad allentare la presa). Della serie “Chi ha avuto ha avuto, chi ha dato ha dato, scurdámmoce 'o ppassato”. E hanno mandato in avanscoperta proprio uno dei loro migliori intellettuali. Roba da non credere:

    …Non c’è classe operaia, per quanto rivoluzionaria, che non sia disposta ad allentare la tensione nei momenti di prosperità e che non aderisca, almeno in parte, ai modelli borghesi e alla logica della società capitalistica e non ne diventi quindi, obiettivamente, un elemento di sostegno

    Il carattere sociale del processo produttivo, che si manifesta in misura sempre crescente, contiene in sé infatti degli sviluppi di tipo obiettivamente socialista che entrano in conflitto con quella che è la logica interna della società capitalistica, la logica del profitto privato. Il capitalismo per assicurare la propria sopravvivenza e il proprio sviluppo deve ad ogni costo mantenere in efficienza il meccanismo del profitto, ma può farlo solo a condizione di venire a compromessi continui

    Può così accadere che delle misure per lungo tempo rivendicate dalla classe operaia… e tenacemente osteggiate dalla classe padronale, diventino a un certo momento una necessità obiettiva del capitalismo e siano dallo stesso assorbite nel suo processo di sviluppo e utilizzate a propri fini. Ho già citato a questo proposito un esempio: le lotte salariali, che per molti decenni hanno suscitato la feroce resistenza dei capitalisti ma sono diventate poi una molla dello sviluppo capitalistico, favorendo i consumi di massa…Altrettanto potrebbe dirsi DELL’INTERVENTO PUBBLICO NELL’ECONOMIA, DELLE NAZIONALIZZAZIONI, DELLA STESSA PIANIFICAZIONE, che sono stati obiettivi specifici del movimento operaio e che oggi il capitalismo deve in una certa misura far propri perché sono necessità imposte dalla socializzazione crescente del processo produttivo il quale non riuscirebbe a svilupparsi e a superare difficoltà e contraddizioni senza misure di carattere sociale.

    In un altro settore si potrebbe dire lo stesso del suffragio universale, che fu una conquista strappata dalla classe operaia dopo lunghe e spesso aspre lotte, ma che si è poi rivelato come uno strumento prezioso di conservazione dell’ordine capitalistico, perché ha incanalato le rivendicazioni e le battaglie della classe operaia sul terreno del compromesso parlamentare, le ha dato l’illusione della sovranità popolare e ha potentemente contribuito ad ammortizzarne le spinte eversive…Fino a che il capitalismo è in grado di riassorbire nel proprio sistema queste concessioni che in gran parte gli sono state strappate a prezzo di dure lotte, si può dire che esso non abbia mutato il suo carattere essenziale. Sarebbe prova di riformismo acritico pretendere di trarre da queste conquiste la dimostrazione che la società capitalistica può essere trasformata in una società socialista, ma sarebbe tuttavia sterile massimalismo negare ad esse ogni valore e sostenere che il loro unico effetto è quello di far integrare la classe operaia nella società capitalistica. Si tratta in entrambi i casi di posizioni unilaterali che vedono un solo aspetto della realtà e non la realtà nel suo complesso…
    (segue)

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  4. il capitalismo può infatti assumere, come storicamente ha assunto, diversi aspetti economici sociali e politici, PUR MANTENENDO LE STESSE CARATTERISTICHE GENERALI. Ora nella misura in cui esso fa propri ed assume gli aspetti che gli sono imposti dalla coincidenza fra le lotte e le esigenze sociali dello sviluppo, esso pone le premesse di una futura società socialista anche se sono proprio questi aspetti che di volta in volta gli consentono di superare le proprie contraddizioni e di entrare in una fase più avanzata…

    Considerato in astratto, questo processo potrebbe durare all’infinito. Non esistono catastrofi fatali, non esistono crisi inevitabili, non esistono crolli meccanici del capitalismo. Il sistema ha anzi dimostrato una tale elasticità che noi possiamo benissimo immaginare in astratto che esso possa continuare anche in avvenire a riassorbire una per una le rivendicazioni e le conquiste del movimento operaio, trasformandosi quel tanto che è necessario per inglobare ulteriori elementi di possibile “socialismo”… MA MANTENENDO SEMPRE IN VIGORE IL MECCANISMO DEL PROFITTO, OPPORTUNAMENTE ADATTATO E PERFEZIONATO, senza che mai si arrivi ad uno scontro decisivo fra le esigenze di una produzione sempre più sociale e l’assurdità dell’appropriazione privata del profitto e del potere.

    Lo scontro decisivo avviene soltanto se una volontà politica di segno contrario, una volontà politica rivoluzionaria, si afferma all’interno della società capitalistica e si impadronisce del potere. La conquista definitiva del potere da parte della classe lavoratrice rimane quindi pur sempre il punto di frattura fra società capitalistica e società socialista, il momento culminante e decisivo del processo rivoluzionario, ma questa conquista del potere - questo è l’insegnamento di Marx quale risulta dalla sua dottrina e in particolare dallo scritto che abbiamo citato in principio - non può esser presa in considerazione per se stante, ma solo in stretta connessione e come coronamento della lotta PER LA TRASFORMAZIONE DELLA BASE ECONOMICA, DELLE STRUTTURE SOCIALI
    [L. BASSO, L’integrazione e il suo rovescio, in Problemi del socialismo, marzo-aprile 1965, n. 1, 47-72].

    Cosa ci vogliono dire il buon De Grauwe ed i suoi mandanti? Che è alle porte una nuova recessione peggiore di quella del 2007 e che per sopravvivere il capitalismo dovrà ammettere l’intervento pubblico in economia, dovrà chiedere aiuto allo Stato-brutto, dovrà fare qualche concessione ai lavoratori? Lo ringraziamo, ma a questo – come afferma bene Poggio – il blog era già arrivato.

    Come dice Arturo (che ringrazio, anche per lo sforzo dell’ottima traduzione), questo
    sembra il suo fil rouge …colorato però col sangue dei morti che nel frattempo sono rimasti sul campo

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    1. Ti sembrerò rassegnato e incline al compromesso: ma questa visione/avvertenza autoconservativa di De Grauwe, andrebbe fin troppo bene, ove trovasse riscontro in un cambiamento istituzionale dell'ordine del mercato.
      E in tempi brevi: razionalmente anticipando la prossima grande Depressione finanziaria, ragionevolmente dopo di essa.

      Rammento, a me stesso, uno dei leit-motif di questo blog:
      http://orizzonte48.blogspot.com/2014/01/le-contromosse-dellordoliberismo-2-il.html (pp. VI e ss. stra-ripresi in seguito).

      Poi, una vera nuova "era" di democrazia sostanziale, socialista, affidiamola al..lungo periodo (scriviamo a futura memoria, no?)

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    2. Grazie per aver ricordato a sé stesso il leit-motiv, così ho avuto modo di ripassare :-)

      Come Lei sa, la Sua non è né rassegnazione né inclinazione al compromesso. Dal punto di vista teorico, infatti, la posizione è corretta; altrimenti saremmo dei masochisti:

      … È appunto Rosa Luxemburg che ha indicato la radice storica necessaria dell’opportunismo e del riformismo nella contraddittorietà della classe operaia, la quale dalla sua condizione di classe oppressa e sfruttata nella società capitalistica riceve una duplice spinta: da un lato la spinta a migliorare fin da ora le proprie condizioni di vita nel quadro della presente società, dall’altro la spinta a rovesciare dalle fondamenta la presente società per sopprimere le cause dello sfruttamento e dell’oppressione.

      La prima spinta polarizza l’interesse della classe operaia soprattutto sul presente, sugli obiettivi immediati, e non richiede una visione globale dei problemi della società quale è invece resa necessaria dalla seconda delle spinte indicate che e proiettata soprattutto verso il futuro e richiede perciò che anche gli obiettivi immediati, i momenti singoli della lotta di classe, siano coordinati ai fini di questa volontà rivoluzionaria. Questo coordinamento fra obiettivi immediati e fini ultimi, fra volontà di miglioramento attuale e lotta per la conquista del potere, fra riforme e rivoluzione socialista è il compito specifico di una direzione socialista del movimento operaio.

      Quello che distingue il riformismo (o la socialdemocrazia) dal socialismo non è quindi la distinzione fra una prospettiva di trasformazione graduale e pacifica della società e una prospettiva di rivoluzione… poiché i socialisti, come a suo tempo gli stessi Marx e Engels, non respingono la possibilità di una trasformazione pacifica e non negano che la rivoluzione abbia il carattere di un processo che si stende nel tempo.

      Quello che essi chiedono è che LUNGO TUTTE LE FASI DI QUESTO PROCESSO LA PROSPETTIVA RIVOLUZIONARIA NON VENGA MAI MENO, CHE LA LOTTA PER I SINGOLI OBIETTIVI SIA AL TEMPO STESSO UNA LOTTA PER LA TRASFORMAZIONE DELLA SOCIETÀ (in senso di maggior potere dei lavoratori e di modifiche della struttura sociale), e che in nessun momento l’obiettivo singolo, immediato, sia isolato dal contesto e considerato una conquista in se stesso, che cioè in ultima analisi LA PROSPETTIVA DEL MIGLIORAMENTO DELLE CONDIZIONI PRESENTI FACCIA DIMENTICARE DEL TUTTO LA NECESSITÀ RIVOLUZIONARIA
      [L. BASSO, L’integrazione e il suo rovescio, cit.].

      La democrazia sostanziale, sono d’accordo, è un processo lungo. Purché gli interessati, nel frattempo, si ricordino di tenerla in agenda…

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    3. @Quarantotto OT
      Futura memoria per futura memoria, sarà una mia impressione, ma gli indizi di un imminente attacco ai titoli italiani a settembre mi sembrano ormai fin troppo evidenti.

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    4. Ma quello è il futuro prossimo previsionale...la futura memoria è il famoso lungo periodo in between tutto è scontato, secondo un copione tristissimo. Che però, nel breve, resuscita le "legioni" di ESSI

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    5. Non si dà per scontato nulla per settembre: il Politico vive e lotta anche oltreoceano.

      Per ottobre potrebbero nascere l'unione delle Repubbliche Socialiste Europee: e la Troika old style potrebbe processerare masse di tecnocrati à la Stalin.

      (L'unico determinismo ineludibile è, appunto, quello che separa noi dal lungo periodo)

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    6. Anche se il copione appare tristissimo perchè non interessare l'avvocatura dello stato sulla pioggia di articoli in odore di violazione dell'art. 501 C.P. come questo?

      https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/08/11/bce-senza-draghi-litalia-rischia-il-declassamento-prepariamoci-al-ciclone-autunnale/4550930/

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  5. Mr. Quarantotto,

    uno dei commenti (quello di Mr. poggiopoggiolini, a mio avviso contiene una parola chiave che finisce spesso nel dienticatoio. La STORIA.
    Ora, io non entro nel merito del libro di De Grauwe, che non ho letto; ma da buon goofysta "della prima ora" ho letto alcuni dei suoi working paper (da cui proviene il primo grafico, La Governance di una Fragile Eurozona, del 2011) per cui so come la pensa.

    Poi leggo queste frasi:
    " la prima è la creazione un governo europeo"
    " La soluzione è rendere l’Europa uno stato federale"

    e mi domando: ma l'esimio e illustre prof. De Grauwe ha mai letto un libro di Storia? E la domanda diventa più estesa: perché la categoria degli "economisti", con qualche rara singolarità, è così profondamente ignorante in un ramo del sapere che dovrebbe costituire la base della scienza a cui dedicano la loro vita?
    Il Prof. De Grauwe scrive che l'Europa dovrebbe diventare uno Stato Federale con la stessa naturalezza e facilità delle ricette culinarie: prendi due uova, cinquanta grammi di farina, etc etc
    De Grauwe ha idea della complessità del fenomeno di cui si occupa? Lo stato federale più famoso, gli U.S.A. sono il risultato di 242 anni di evoluzione, con delle lotte interne terrificanti che culminano nella Guerra Civile.
    Gli stati europei poi non ne parliamo: 2.000 anni di evoluzione alle spalle. E lo stato federale europeo più famoso, la Germania, non diventa federale con un tratto di penna come piacerebbe a De Grauwe.
    Il quale sorvola serafico e beato su processi storici traumatici e che sono durati secoli...per poi giugngere alla strabiliante conclusione che in fondo tra Roma, Madrid ed Helsinki non ci sono delle grandi differenze e quindi basta fare una bella federazione.
    O è un genio lui o siamo scemi noi che non ci abbiamo mai pensato. Oppure, molto semplicemente, non è fattibile. Il perché non sia fattibile c'è scritto in quei libri di storia che evidentemente lui e parecchi dei suoi colleghi, non hanno mai letto, come se Adam Smith, J.M. Keynes e Karl Marx fossero vissuti in mondo astratto, senza storia e senza tempo.
    Se non ricordo male J.K. Galbraith ha scritto una eccellente Storia dell'Economia e quindi si potrebbe fare una colletta e spedirne una copia al sopracitato De Grauwe (insieme ad una copia di Tucidide, così De Grauwe impara che fine fa la prima geniale "federazione" della storia)

    Chinacat

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  6. PS
    Per chi fosse invece interessato alla storia dell'esperimento della moneta unica, segnalo questa citazione. Il libro è "Pericle" della storica Claude Mossé, una vera autorità in materia di Grecia Classica.

    "Se c'era un simbolo dell'autonomia POLITICA, questo era la moneta. Ciascuna città, infatti, batteva la propria moneta, e il simbolo che vi era rappresentato era il segno lampante della sua autonomia. Ciò fa comprendere tutta la gravita' della decisione adottata dagli ateniesi quando, in un momento imprecisato ma probabilmente vicino alla conclusione della Pace di Callia, IMPOSERO AGLI ALLEATI L'USO DELLA LORO MONETA. (...) Ma quel decreto, fatto votare da un certo Clearco, non aveva nessun rapporto con il valore intrinseco delle monete ateniesi. Si trattava d'interdire agli alleati l'uso di pesi E DI MISURE, e di tutte le monetazioni d'argento diverse da quelle di Atene.
    Per giustificare questa decisione, incontestabilmente tirannica, sono state evocate ragioni di ordine pratico: il calcolo del "phoros" ** in particolare saberebbe stato più semplice. Si sono anche addotte ragioni poliche: il modo migliore per affermare la superiorità di Atene sarebbe stato quello di privare gli alleati, ORMAI DIVENTATI SUDDITI, di quel simbolo di SOVRANITA' che era espresso dalle rispettive monete. Non è mancata, infine, una spiegazione "economica": FACILITARE GLI SCAMBI DI CUI IL PIREO ERA IL CENTRO". (Pericle, pag. 91 e 92)

    ** Mia nota: il "phoros" era il contributo che ogni membro della Lega di Delo, la federazione di città che faceva capo ad Atene, versava nelle casse del tesoro in comune e che veniva custodito nel santuario di Delo. Esattamente come noi oggi con l'ESM che versiamo a Francoforte.
    Che io sappia, questo è il primo esperimento di "moneta unica" e "federalismo" di cui si abbia notizie certe. Le somiglianze sono impressionanti.

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  7. "il timore di un’impopolarità politica del capitalismo è il fil rouge che percorre tutto il libro".

    Ma no...

    Saluti dalla terra che prende il nome da colui che uccise il drago.

    (Detta anche "la terra di Stalin"...)

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  8. Grazie ad Arturo!
    Davvero istruttivo!

    Moreno Pasquinelli

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