mercoledì 27 novembre 2019

DALLA PUBLIC CHOICE AL COLLASSO DEL TERRITORIO PASSANDO PER LE RISORS€ SCARS€


1. Per capire come si sia arrivati alla situazione di collasso simultaneo delle infrastrutture e dell'ambiente urbanistico di fronte alle intemperie, che si registra ormai annualmente - sempre che non si voglia credere che la causa sia il cambiamento climatico e che perciò si vogliano ignorare pervicacemente i livelli di definanziamento raggiunti dalle più essenziali funzioni costituzionali dello Stato -, dobbiamo fare un passo indietro nel tempo: quindi, esaminare la teoria della c.d. Public Choice quale concepita negli USA nella evoluzione impressale da James Buchanan (quello dei residui fiscali per intenderci), premio Nobel per l'economia nel 1986 (intendiamoci: se tale premio Nobel "collaterale & bancario-centrale" fosse esistito quando Beardsley Ruml era ancora in vita, difficilmente gli sarebbe sfuggito).

2. L'intera teoria svolge una critica alla politica ex sé in quanto assurdamente preoccupata di captare il consenso degli elettori. Ed è in definitiva una teoria della inefficienza delle classi politiche in presenza del suffragio universale (che rimane "la" spina nel fianco dell'efficienza allocativa elitista-paretiana).
In questo post, abbiamo visto come il successo di tale visione abbia trasformato la stessa capacità della democrazia (ridotta in senso formale e idraulico) di (non) realizzare gli interessi maggioritari e invece di creare una continua legiferazione ad hoc per gli interessi dell'elite e dei vested interests.




Questo esito, che oggi negli stessi Stati Uniti, si sta rivelando come una pentola a pressione sociale vicina al suo punto di esplosione, è stato naturalmente propiziato innestando, sui processi democratici, dei meccanismi istituzionali rigidi e invalicabili che ben conosciamo e che, esaminando i "rimedi" proposti da Buchanan alla presunzione assoluta e insuperabile di Stato sprecone e fonte di privilegi, portano alla giustificazione culturalmente incontestabile, (e condivisa da parte dello stesso elettorato!), dello Stato minimo.

3. Ai nostri fini, cioè per comprendere come si arrivi al collasso di un intero territorio in un crescendo di riduzione del bilancio pubblico e di inni allo "spreco", prendiamo in esame la parte della teoria della Public Choice inerente alla burocrazia. La riportiamo da wikipedia perché tutto si può dire tranne che tale fonte non sia meticolosa ed entusiasta nel riportare le teorie neo-liberiste e liberal-rivoluzionarie:

"I burocrati

Le assemblee legislative delegano la responsabilità dell'implementazione delle loro iniziative politiche a vari dipartimenti e agenzie composte da funzionari di carriera che sono pertanto nominati e non eletti a ricoprire quel ruolo.
In questo ambito la Public choice ha per lungo tempo seguito un modello, detto di massimizzazione del bilancio, proposto da William Niskanen (1971), tentando nuove strade solo recentemente (v. ad esempio il modello Bureau-shaping sviluppato nel 1991 da Patrick Dunleavy). Nell'idea di Niskanen gli uffici pubblici potrebbero utilizzare le informazioni e le conoscenze acquisite per ottenere un finanziamento più elevato del necessario da parte di parlamentari relativamente disinformati e inesperti.(NdQ: il perfezionamento nel ridisegno organizzativo e "culturale" degli apparati esecutivo-burocratici porta oggi al fenomeno inverso: il che deve essere considerato un assoluto successo della €uropeizzazione della Repubblica fondata sul lavoro). La massimizzazione del bilancio viene assunta quale obiettivo dei burocrati in quanto più risorse significano maggiore prestigio e maggiori opportunità di carriera per i dipendenti di quell'ufficio pubblico.
Un altro campo di ricerca è il cosiddetto "rent-seeking". Questa disciplina unisce gli studi del mercato con quelli del governo. Per questo motivo viene anche spesso chiamata "nuova politica economica". La sua tesi basilare è che quando sia un'economia di mercato e un governo sono presenti, i burocrati e i politici sono la fonte di numerosi privilegi. Pertanto, sia gli attori del mercato che i rappresentanti del governo cercano di ottenere siffatti privilegi in modo da partecipare ai profitti che i monopoli conseguono (gli attori del mercato e i governanti vengono pertanto nominati "rent seeker, i.e. cercatori di rendita"). Quando questi privilegi sono concessi, riducono l'efficienza del sistema economia. Inoltre, i rent-seeker fanno uso di risorse che sarebbero state valutate in modo differente dai consumatori.

La teoria di Buchanan

Buchanan presume, in conseguenza a quanto visto finora, un Fallimento dello stato che è impossibilitato a fornire beni e servizi efficienti senza incappare in ingenti sprechi di risorse finanziarie. 
In particolare la critica è rivolta contro chi realmente detiene il potere di realizzare le scelte pubbliche, ovvero la categoria dei burocrati. Questi ultimi, vista la loro posizione vantaggiosa, cioè quella di essere gli unici a poter determinare il budget di spesa dei loro uffici, tenderanno a ingrandirli in misura sempre maggiore, per raggiungere il prestigio sociale di "imprenditori capaci", dal momento che non possono appropriarsi dei profitti conseguiti del loro lavoro e poiché le loro capacità non vengono riconosciute dallo stato, il quale però riconosce le capacità di imprenditori privati.
Come soluzione Buchanan propone la ricostituzione dello stato attraverso l'apposizione di rigorosi vincoli alla spesa pubblica, alla pressione fiscale (Costituzionalismo fiscale) e all'emissione di moneta, riformulando l'intervento dello stato in economia. (NdQ; negli USA, - basti guardare i livelli di deficit "medi" realizzati negli ultimi 10 anni, e le dinamiche del debito pubblico-, questa soluzione "ideale" non si è realizzata nella forma successful che ha invece raggiunto nell'eurozona; luogo di ingegneria sociale che sfiora la perfezione buchaniana...)".

Un lettore tipico di questo blog non credo che abbia bisogno di ulteriori commenti, oltre ai neretti e alle evidenziature, per unire i puntini e capire come accada, in base ad un'irresistibile spin cultural-politico, quel che oggi sta accadendo alle infrastrutture fondamentali del nostro Paese e al territorio su cui viviamo.

ADDENDUM: per i meno perspicaci che possono capitare casualmente a leggere su questo blog. 
Il "Costituzionalismo fiscale", sostenuto da Buchanan, implica il porre in Costituzione un espresso limite al prelievo fiscale (quantitativo in rapporto al PIL o comunque un criterio di determinazione indiretta). Questa misura politica (addirittura costituzionale) risponde alla ideologia più estrema del neo-liberismo Usa. 
E non solo. 
Può anche essere riassunto sotto la formula, in Italia apprezzatissima sui media, di Starving the Beast. Cioè, "Affamare la bestia" (o il bambino stravagante, secondo Reagan).
Il termine "Bestia" è riferito allo Stato e lo SCOPO PRINCIPALE ED ESSENZIALE E' LIMITARE LA SPESA PUBBLICA. In particolare i settori del welfare, cioè istruzione pubblica, sanità pubblica e ogni forma previdenziale-assistenziale
In cosa consista e quali siano i suoi effetti socio-economici, ce lo dice, con tanto di interpretazione autentica di Alan Greenspan, la stessa fonte (benevola al riguardo) di Wikipedia. Da rilevare che si spiega chiaramente, senza ombra di dubbio (e Reagan usa una esemplificazione efficacissima) che lo scopo effettivo, tagliare la spesa pubblica (sociale), si fonda su un'apparente premessa concettuale opposta (cioè tagliare le tasse):
"Starving the beast" is a political strategy employed by American conservatives to limit government spending[1][2][3] by cutting taxes, in order to deprive the federal government of revenue in a deliberate effort to force it to reduce spending.
The term "the beast", in this context, refers to the United States Federal Government and the programs it funds, using mainly American taxpayer dollars, particularly social programs[4] such as educationwelfareSocial SecurityMedicare, and Medicaid.[3]
Total tax revenues as a percentage of GDP for the U.S. in comparison to the OECD and the EU 15.
On July 14, 1978, economist Alan Greenspan testified to the U.S. Finance Committee: "Let us remember that the basic purpose of any tax cut program in today's environment is to reduce the momentum of expenditure growth by restraining the amount of revenue available and trust that there is a political limit to deficit spending."[5]
Before his election as President, then-candidate Ronald Reagan foreshadowed the strategy during the 1980 US Presidential debates, saying "John Anderson tells us that first we've got to reduce spending before we can reduce taxes. Well, if you've got a kid that's extravagant, you can lecture him all you want to about his extravagance. Or you can cut his allowance and achieve the same end much quicker."[6]

The earliest use of the actual term "starving the beast" to refer to the political-fiscal strategy (as opposed to its conceptual premise) was in a Wall Street Journal article in 1985, wherein the reporter quoted an unnamed Reagan staffer

4 commenti:

  1. Come giustamente si rileva nel pezzo, nel nostro Paese si è da tempo risolto il ‘problema’ che tanto stava a cuore a Buchanan: la burocrazia, e soprattutto quella più influente, ha abbracciato con entusiasmo la causa europeista ed austeritaria, e lavora alacremente per la riduzione della spesa e degli investimenti pubblici, ostacolando nel contempo le rare iniziative politiche che vanno in controtendenza. L’impressione è che le gratificazioni professionali e di altro tipo questi alti burocrati le cerchino ormai in ambito europeo, dove niente viene apprezzato più di un serio impegno contro l’attuazione della nostra costituzione, e quindi contro la tutela del lavoro, dei salari, del risparmio, del territorio, ecc.

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  2. Sono i cascami dell’individualismo metodologico di matrice neoclassica, ovvero pseudo-positivismo applicato alle scienze sociali costruite prendendo le mosse dai mitici soggetti-agenti razionali (sempre i proprietari operatori economici). Trapianti l’i.m. dal campo delle scelte private a quello delle scelte pubbliche ed ottieni la configurazione di enorme mercato, ivi incluso quello politico-elettorale, dal momento che l’obiettivo dei politici sarebbe quello di essere rieletti (e quindi, meglio sottrarre loro anche la leva monetaria ed eliminare il rischio che si perpetui il logrolling), mentre quello degli elettori sarebbe di scegliere quei politici che siano in grado di massimizzare la loro utilità (questa la spiegazione della democrazia rappresentativa dei liberisti).

    I burocrati non fanno eccezione a questa antropologia dell’homo homini lupus (che porta dritto, su scala internazionale, alla “forte competizione” dei Trattati):

    … I burocrati sono come tutti gli altri uomini. Questa affermazione…rappresenta un autentico strappo con la teoria economica ortodossa. Se i burocrati sono persone del tutto comuni, essi prenderanno la maggior parte delle proprie decisioni in base al proprio interesse e non a quello dell’intera società. Come gli altri esseri umani, essi possono occasionalmente sacrificare il proprio benessere in favore di un bene più grande, ma dobbiamo aspettarci che questo genere di decisioni rappresenti un comportamento del tutto eccezionale….

    Una teoria che abbia l’obiettivo di descrivere il funzionamento della pubblica amministrazione dovrebbe essere basata sull’ipotesi che i burocrarti siano orientati al proprio interesse esattamente come gli uomini d’affari e dovrebbe essere orientata alla ricerca delle condizioni che possano rendere l’utile dei dipendenti pubblici coincidente con quello dell’intera società…
    ” [G. TULLOCK, Le motivazioni del voto, Torino, 2016, Parte I, par. 4 “La burocrazia”].

    D’altronde “La società non esiste: ci sono uomini e donne, e le famiglie. E nessun governo può fare nulla se non attraverso le persone. La gente deve guardare prima a sé stessa. E’ nostro dovere badare a noi stessi e poi prendersi cura del prossimo” (M. Thatcher). E se non esiste una “società” o un “popolo”, non esiste nemmeno un “interesse pubblico” (e sin dalla “buona scuola” si deve educare alla imprenditorialità).

    Mi chiedo come possa una comunità, nazionale o internazionale, pretendere di andare avanti senza incorrere in esiti bellici.

    [Riflettevo sul fatto che le libertà positive (diritti sociali) sono quasi cancellate ed i diritti politici sono svuotati di contenuto. Ora ci stanno privando anche delle “libertà negative”, quelle che in teoria non costerebbero. L’art. 16 Cost. prevede che “Ogni cittadino può circolare… liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale”. Voglio vedere quando saranno crollati tutti i ponti e le strade saranno tutte impraticabili. Ma tanto i sociopatici andranno in giro in elicottero]

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  3. Mi pare abbastanza evidente che tutte le restrizioni imposte sui politici ricadono nell’autocontraddittorietà individuata da Palley nell’argomentazione a favore dell’indipendenza delle banche centrali, come avevo accennato qui: http://orizzonte48.blogspot.com/2019/09/lidea-non-nuova-del-qe-for-people.html?showComment=1569531761057#c3382566253382620514

    Qui invece volevo parlare del pilastro concettuale che l’economia mainstream usa per presentarsi come scienza pratica “neutrale” (l'eterno ritorno del positivismo), ossia quello di efficienza. Ci sono alcune ovvie e note obiezioni che credo valga la pena di elencare:

    - il concetto di ottimalità paretiana ha una portata prescrittiva ridottissima: le situazioni più impensabili, anche che uno solo possieda tutto e il resto della popolazione muoia di fame, possono essere considerate Pareto-efficienti rispetto a un cambiamento a cui anche uno solo, per esempio il summenzionato omni-proprietario, sia contrario;

    - il principio dell’indennizzo, usato per aggirare la rigidità del criterio, si espone all’obiezione che si vorrebbe così ritornare “a una situazione di efficienza, connessa con la quale vi è una distribuzione iniziale che verrebbe ad essere privilegiata. Il significato pratico della corresponsione dell’indennizzo è infatti quello di violare il principio paretiano di prescindere dalla distribuzione, in quanto l’effetto dell’indennizzo sarebbe quello di considerare implicitamente ‘‘buona’’ la distribuzione iniziale. Il che è contrario al canone paretiano, come si è ripetutamente sottolineato (vedi p. 30).” (F. Caffè, Lezioni di politica economica, a cura di N. Acocella, Bollati Boringhieri, Torino, 1990, pag. 32);

    - non è nemmeno vero che, essendo stato dimostrato che ogni equilibrio di concorrenza perfetta è un ottimo paretiano (primo teorema dell’economia del benessere), la ricerca di configurazioni più efficienti del mercato costituisca una policy neutrale dal punto di vista distributivo (che è poi il presupposto ideologico su cui si regge la retorica delle “riforme”). Una volta lasciata cadere l’ipotesi di assenza di costi di transazione, ed entrato quindi in scena Coase, come ha mostrato Guido Calabresi in un famoso articolo, ormai un classico dell’analisi economica del diritto, le considerazioni distributive diventano inevitabili e il criterio ne risulta totalmente paralizzato: https://digitalcommons.law.yale.edu/fss_papers/2014/

    - l’utilità, ossia ciò che dovrebbe essere massimizzato, si basa su un’antropologia dallo spessore di un foglio di carta velina. Come ammetteva Bentham: “Interest is one of those words, which not having any superior genus, cannot in the ordinary way be defined”, “for that which is used to prove every thing else, cannot itself be proved: a chain of proofs is as impossible as it is needless” (le citazioni in P. Costa, Il progetto giuridico, Giuffè, Milano, 1974, pag. 50). Ossia abbiamo a che fare con una tautologia. Un confronto con Platone o Aristotele sarebbe poco caritatevole;

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  4. - sarebbe poi da stabilire perché mai proprio questa fantasmatica utilità è ciò che dovrebbe essere oggetto di quello che è in effetti un banalissimo principio di razionalità pratica. Ma chi l’ha detto? Tiriamo fuori Sen (La disuguaglianza, Il Mulino, Bologna, 2010, pag. 46): “I confronti d’efficienza possono esser fatti sulla base di differenti variabili. Se, per esempio, il vantaggio è definito in termini di utilità individuale, allora la nozione di efficienza si trasforma immediatamente nel concetto di «ottimalità paretiana», di largo uso in economia del benessere. Esso richiede una situazione tale per cui non si possa innalzare l’utilità di nessuno senza ridurre l’utilità di qualcun altro. Ma l’efficienza può anche essere definita allo stesso modo nello spazio delle libertà, dei diritti, dei redditi, e così via. Ad esempio, analogamente all’ottimalità paretiana nello spazio delle utilità, l’efficienza in termini di libertà richiederebbe una situazione tale per cui non si possa accrescere la libertà di nessuno senza ridurre la libertà di qualcun altro”.


    Insomma, "efficienza" è un concetto formale, vuoto: è come dire "uguaglianza". Rispetto a cosa? La scelta del parametro è tutto fuorché neutrale. Ancora Sen: “The search for given, pre-determined weights is not only conceptually ungrounded, but it also overlooks the fact that the valuations and weights to be used may reasonably be influenced by our own continued scrutiny and by the reach of public discussion.” (The Idea of Justice, The Belknap Press of Harvard University Press, Cambridge, Massachusetts, 2009, pag. 242).

    Insomma, basta foglie di fico epistocratiche: la società non è una macchina e gli uomini non sono automi: “L’homme est un animal inconsciemment philosophique, qui s’est posé les questions de la philosophie dans les faits longtemps avant que la philosophie n’existe comme réflexion explicite; et il est un animal poétique, qui a fourni dans l’imaginaire des réponses à ces questions.” (C. Castoriadis, L’institution imaginaire de la société, Éditions du Seuil, Parigi, 1975, pag. 206).

    Come ha detto Palley nel paper più volte citato: “If there are concerns with democracy’s capacity to control political distortions of policy, improved democracy is the real solution.”.

    Che è poi l’uovo di “Colombo.

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