tag:blogger.com,1999:blog-7138099619226908681.post2578909490906857256..comments2024-01-26T15:32:41.629+01:00Comments on Orizzonte48: CORTE COSTITUZIONALE, DIRITTI FONDAMENTALI E VINCOLO ESTERNO- STAVOLTA "CONTA" (2)Quarantottohttp://www.blogger.com/profile/06816556453620678760noreply@blogger.comBlogger8125tag:blogger.com,1999:blog-7138099619226908681.post-52237199380184339782017-03-15T09:37:19.603+01:002017-03-15T09:37:19.603+01:00Ci tengo a precisare che la mia è una puntualizzaz...Ci tengo a precisare che la mia è una puntualizzazione metodologica (cioè un modo di arrivare alla conclusione evitando troppi passaggi dimostrativi e confutativi non indispensabili).<br />E d'altra parte, si "risponde" alla questione logica (e giuridica) nei termini in cui, di volta in volta, viene proposta...<br /> <br />Siccome sei dotato di enormi capacità di lettura e di saldi principi logico-cognitivi, alla conclusione fenomenologica ci sei ovviamente arrivato:<br />"a me pare che più che filosofica la questione sia teorica, di critica economica da un lato, e pratica, di controllo dell’informazione, di organizzazione politica delle classi popolari e di consapevolezza degli operatori, dall’altro".<br /><br />Ma non voglio privare, you guys, di un divertissment: entia non sunt multiplicanda ma non si vive di solo pane :-)<br /><br />PS: quello che può essere in assoluto fuorviante è il concetto altamente elusivo di "filosofia del diritto". Preferisco parlare di teoria generale del diritto: ogni scienza sociale ha una sua teoria generale che, peraltro, è inscindibile (per necessità) dalla Storia della stessa "teoria". Ma questa "teoria" è un corpo unico con la scienza sociale stessa, anche se dotata della necessaria interdisciplinarietà (che qui sommamente auspichiamo).<br />Il pericolo è pensare che OGNI teoria generale sia una branca specialistica (settoriale) della filosofia. Ecco questo mi pare un difetto di base: le scienze sociali studiano organizzazione e dinamiche della società in base alla ricognizione di fatti, individuando dei principi e delle regole che "storicamente" li caratterizzano nel loro concreto svolgimento.<br />Se poi questo si riversi nella filosofia è un problema...dei filosofi: essenzialmente perché cercano un'identità una volta che fisica teorica (e altre scienze "naturali"), da un lato, e scienze sociali, dall'altro, hanno sottratto un oggetto definibile alla filosofia.<br />Quarantottohttps://www.blogger.com/profile/06816556453620678760noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-7138099619226908681.post-81562023922875778992017-03-15T09:12:11.920+01:002017-03-15T09:12:11.920+01:00Naturalmente concordo.
Ma ragionare di problemi di...Naturalmente concordo.<br />Ma ragionare di problemi di teoria generale, in definitiva, dell'interpretazione, muovendo dalla contrapposizione (ipotizzata) di definizioni del "sistema" (e del suo fondamento "epistemologico") e delle possibili conseguenze, di tali definizioni, sulle tecniche interpretative, - cioè muovendo da interpretazioni non giurisprudenziali ma accademiche (in ultima analisi), è un percorso comunque in salita.<br />Fortemente storicizzabile; come il linguaggio stesso (o la foggia e lo stile del vestire).<br /><br />Mi accontenterei di essere empirico e induttivo, cioè, muniti di sufficiente intuizione essenzialista, "fenomenologico": rammenterai sicuramente la distinzione tra "giurisprudenza dei concetti" e giurisprudenza degli interessi", legata a sua volta al "riempimento" delle c.d. clausole generali.<br /><br />Ma una volta assunto correttamente il senso (direi il "valore") giuridico della gerarchia delle fonti, costituzionalizzata e non implicita (di cui abbiamo più volte parlato qui sul blog), tutto si riduce alla legittimità di questa o quella tecnica legislativa, dalla quale dipende il compito di cui si "sente" investito il giudice (per lo più in senso degenerativo, magari inconsapevole, rispetto al "valore" di garanzia GIURIDICA della gerarchia delle fonti).<br /><br />Un esempio di questa degenerazione, il cui presupposto è un legislatore che si svincola "filosoficamente" dalla lettera e anche dalla sistematica della Costituzione (che è poi ciò che veramente conta, anche ai fini dell'argomento del post), lo trovi qui sotto. E non aggiungo altro:<br />http://www.cortedicassazione.it/cassazione-resources/resources/cms/documents/20131010_ReportGuizzi.pdfQuarantottohttps://www.blogger.com/profile/06816556453620678760noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-7138099619226908681.post-23829225852485475802017-03-14T23:36:38.665+01:002017-03-14T23:36:38.665+01:00Ossia, il liberalismo non è criticato in quanto, p...Ossia, il liberalismo non è criticato in quanto, poniamo, propone un’immagine del funzionamento di una società capitalista che è falsa, e in quanto tale può essere sostituito con una che invece è vera, così da organizzare razionalmente e democraticamente la mediazione politica, tanto meno per il suo autoritarismo, ma proprio in quanto ancora coltiva, o finge di coltivare, quest’illusione di razionalità, che in quanto tale è da respingere qualsiasi ne siano i contenuti (hegeliani, marxiani e ovviamente anche keynesiani). <br /><br />E’ sempre in quest’ottica tutta politica che va letta – mi pare - la critica alla logica dei valori, quali che essi siano (anche la vita, ovviamente: “<i>Le diverse filosofie della vita si ritenevano spesso un superamento del materialismo, o si spacciavano per lo meno come tali. Ciò non toglie che le loro valutazioni, valorizzazioni e svalorizzazioni finissero nella secolarizzazione generale, accelerandovi soltanto la tendenza verso una scientificazione neutralizzante.</i>”, La tirannia cit., pag. 35), come “<i>illusione di neutralità</i>” (Ibid., pag. 64), ossia come illusione di una razionalità pratica capace di bypassare l’esigenza di una decisione, unica garanzia di quella “coazione alla forma” che per Schmitt è l’unico possibile orizzonte politico-giuridico a cui la modernità secolarizzata può aspirare.<br /><br />Scusate la lunghezza, ma sennò mi pare rischiamo di farci “intrappolare” da Schmitt.<br /><br />Dunque che cosa ce ne facciamo oggi di questa critica ai valori? Direi che morde proprio sul piano tecnico-giuridico: l’interpretazione per valori è un modo per evadere dal testo, che se nel Grundgesetz è liberale, nel caso della nostra Costituzione NO! <a href="http://orizzonte48.blogspot.com/2016/10/la-filosofia-riformatrice-della-venice.html?showComment=1475787430291#c2132777421335613724" rel="nofollow">Ne avevo già parlato</a>, se ricordate. <br />Luciani parla di valori, certo, ma solo per dirci che i valori costituzionali sarebbero i diritti (“<i>I<br />valori fondanti, dunque, sono essenzialmente i diritti, e questi possono perciò a pieno titolo predicarsi davvero della “ fondamentalità”.</i>”, M. Luciani, Corte costituzionale e unità nel nome dei valori in R. Romboli (a cura di), La giustizia costituzionale a una svolta, Giappichelli, Torino, 1991, pag. 173). Allora, mi verrebbe da dire, entia non sunt moltiplicanda sine necessitate: seguiamo Pace, lasciamo i “valori” nel pregiuridico, preoccupandoci solo di quelli che il legislatore costituente ha fatto propri, in forma di norme-regole o di norme-principi, come si diceva, mi pare in modo piuttosto soddisfacente, una volta. Interessiamoci piuttosto delle ragioni pratiche per cui sono stati selezioni alcuni valori (per esempio il lavoro) piuttosto che altri (per esempio la stabilità dei prezzi). E qui arrivo alla questione etica.<br /><br />Non intendo inerpicarmi sulle vette della filosofia, sia per limiti miei, sia perché mi pare una discussione non indispensabile. Se ha ragione Franca D’Agostini, ossia se quella etica è largamente una discussione sulla plausibilità di “mondi possibili” a partire dal “mondo in comune” che condividiamo, cioè in gran parte una discussione fattuale, non credo sia necessario scomodare chissà che impegnativo armamentario teorico per convincere qualcuno a rifiutare un’etica la cui attuazione lo relega al ruolo di precario sottopagato a vita. Ovvero a me pare che più che filosofica la questione sia teorica, di critica economica da un lato, e pratica, di controllo dell’informazione, di organizzazione politica delle classi popolari e di consapevolezza degli operatori, dall’altro. Mi sbaglierò… <br />Anonymousnoreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-7138099619226908681.post-80339568796793141042017-03-14T23:32:02.543+01:002017-03-14T23:32:02.543+01:00La discussione è vecchia di qualche giorno, ma non...La discussione è vecchia di qualche giorno, ma non ho avuto tempo di intervenire prima; in ogni caso il commento è “a richiesta”. ;-)<br /><br />Discussione impegnativa…Io penso che Schmitt sia un pensatore molto ambiguo e sottile, per questo, ancora più che in altre occasioni, un esame attento dei testi è indispensabile per separare ciò che è di Schmitt dagli usi che vogliamo fare noi del suo pensiero. Per esempio non me la sentirei di definire la riflessione schmittiana “di filosofia pura”. Il pensiero di Schmitt, per quelli che ne sono gli stessi contenuti, ha *sempre* ricadute politiche e/o tecnico giuridiche (ma diritto e politica per Schmitt non sono mai completamente separabili). <br />La Tirannia dei valori non fa eccezione, come ci si rende subito conto: “<i>Nella <b>interpretazione della legge fondamentale di Bonn</b>, i tribunali della Repubblica federale tedesca si sono affidati senza grandi esitazioni alla logica dei valori. Con ciò, non è ancora detto che da noi la logica dei valori abbia raggiunto forza di legge, che sia divenuta, attraverso la giurisprudenza dei tribunali superiori tedeschi, una specie di judge made law tedesca.<br />In ogni caso, il legislatore della Repubblica federale esita ancora a questo riguardo. Un giudice di carriera ha bisogno invece di un fondamento oggettivo per le sue decisioni, e a questo effetto gli si offre oggi una molteplicità di filosofie dei valori. Si tratta di vedere fino a che punto una tale molteplicità sia in grado di fornire i desiderati fondamenti, convincenti e oggettivi.</i>” (C. Schmitt, La tirannia dei valori, Antonio Pellicani Editori, 1988, Roma, pag. 27).<br /><br />Schmitt sta insomma discutendo di questioni molto concrete, di tecniche interpretative del Grundgesetz, e sta difendendo la centralità del ruolo del legislatore (“<i>“In una comunità, la cui costituzione prevede un legislatore e delle leggi, è compito del legislatore e delle leggi da lui poste, stabilire la mediazione mediante regole determinabili e attuabili, ed evitare il terrore dell’attuazione immediata ed automatica del valore.</i>”, Ibid., pag. 74-5), una posizione, specialmente in materia di stato sociale, schiettamente liberale (ricordate il “costituzionalismo politico?”) e fatta propria dal Bundesvervassungsgericht (Amirante ne dà ampiamente conto nel suo libro). Che sia questa la posizione di Schmitt, ossia una difesa dello Stato borghese di diritto, come lo chiama lui, possono esserci pochi dubbi: “<i>nella prassi dei tribunali e degli uffici amministrativi</i> [l’autonomia del valore] <i>si sfogherebbe come valore indipendente, e lascerebbe cozzare per esempio i valori scatenati validi nello Stato di diritto con quelli dello Stato sociale.</i>” (Ibid., pag. 46). <br /><br />Questo consente di capire meglio anche la critica schmittiana al liberalismo. Del liberalismo il giurista di Plattenberg non ha mai criticato i contenuti sociali (anzi, come dicevo ha sempre difeso l’interpretazione più veteroliberale possibile delle varie costituzioni tedesche), ma la sua debolezza, e quindi impotenza, politica (emblematicamente incarnata nel formalismo kelseniano), che lo conduce al tradimento di se stesso e dei suoi contenuti tradizionali, la cui difesa di fronte alla “crisi”, che Schmitt tende ad interpretare in termini più filosofico-epocali che sociali, benché di questi ultimi fosse ovviamente ben consapevole, impone una loro “ridrammatizzazione” attraverso una tragica, in quanto infondata, decisione originale: “<i>Sta in questo oblio dell'origine, in questa “cattiva” metafisica che pensa la forma come automatismo e neutralità, e non come esito di un'azione politica radicale, la spiegazione del costante antiliberalismo di Schmitt, che nel liberalismo vede in generale la deriva passiva del Moderno, una teoria e una prassi politica non radicali, inefficaci, e quindi impari alle esigenze di un tempo - il tempo di Schmitt - in cui la crisi riesplode in forme di drammatica intensità.</i>” (C. Galli, Genealogia della politica, Il Mulino, Bologna, 1996, pag. xii). <br /> Anonymousnoreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-7138099619226908681.post-3253447190825353852017-03-12T08:30:49.238+01:002017-03-12T08:30:49.238+01:00I punti di partenza degli spunti di riflessione ch...I punti di partenza degli spunti di riflessione che ho provato sinteticamente a sviluppare sono ben riassunti <a href="https://prismi.wordpress.com/2010/03/11/su-tirannia-e-politeismo-dei-valori/amp/" rel="nofollow">da Alessandro Bella</a><br /><br />Notare il programma de "L'Italia dei valori"...Bazaarhttps://www.blogger.com/profile/17582168077328386807noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-7138099619226908681.post-15012834517882314882017-03-11T23:55:34.693+01:002017-03-11T23:55:34.693+01:00Schmitt, ne "La Tirannia dei valori", pe...Schmitt, ne "La Tirannia dei valori", per quanto la innesti in una riflessione di carattere costituzionale fornendo gli strumenti cognitivi per comprendere l'impatto della <i>filosofia dei valori</i> nelle moderne costituzioni, fa una riflessione che non è neanche "filosofia del diritto": è filosofia pura. Filosofia morale.<br /><br />Ovviamente, per quanto il grande giurista rimanga sempre piuttosto opaco nelle sue analisi, la "tirannia dei valori" che teme è quella della maggioranza democratica. Tanto quanto i liberali.<br /><br />Non a caso tradizionalisti e reazionari di ogni genere - termine quest'ultimo che ha in politica un senso ben preciso che non è quello che ha recentemente sdoganato Alberto per la gioia degli amici "de destra", v. II comma 3° art. Cost. - sono, insieme a fascisti e nostalgici de noantri, storicamente le stampelle <i>ottuse</i> dei liberali. Ossia del liberismo. <br /><br />Schmitt cita, infatti, i grandi nomi della filosofia morale e della sociologia (Weber), necessaria questa poi per l'impatto "giuridico".<br /><br />Ma perché lo fa?<br /><br />Per motivi di natura ermeneutica: egli sa che razza di porcheria è il pensiero liberale, e lo odia tanto quanto quello socialista, in quanto affetto da nichilistico positivismo <i>economicista</i>.<br /><br />Infatti, ad avvalorare le origini della diffusione della "filosofia dei valori" con l'economicismo liberale, cita il più grande allievo di Husserl: Heidegger.<br /><br />Schmitt cita ovviamente Max Scheler, in definitiva un altro gigante della fenomenologia che si è occupato di fondare fenomenologicamente l'etica dei valori. E lo fa, riuscendoci brillantemente. Il problema, come nota Schmitt, è che è necessario un pensiero complesso di cui magari non tutti, a differenza di Scheler, sono dotati.<br /><br />Lo stesso lo fa, sul piano laico, citando più volte un altro grande fenomenologo: Nicolai Hartmann. <br /><br />Infatti, ciò che tu dici, è corretto: anche Basso usa "valori" come sinonimo di principi, ma, permettimi, il discorso non cambia, perché non è di natura squisitamente nominalistica. Il punto, come fa notare Schmitt, è sostanziale.<br /><br />"Valore" non è una semplice parola, un sostantivo come un altro: è una <b>categoria</b> che appartiene ad una ideologia ben fondata moralmente (non esiste, a ben vedere, l'amoralità nella filosofia dei valori): è quella liberale. Ossia quella per cui "non esiste prezzo che possa essere pagato per certi <i>beni</i> di ordine superiore". Ad esempio, per la salvezza di Gaia è giusto sterminare malthusianamente la plebaglia. Per "l'efficienza del mercato" è giusto far soffrire come dei cani milioni di disoccupati e relative famiglie.<br /><br />L'altro grande sistema morale che cita Schmitt è quello per cui il bene supremo è la vita umana ed i suoi inalienabili diritti.<br /><br />Socrate Vs Trasimaco.<br /><br />Sono questi i grandi paradigmi morali in dialettica.<br /><br />Usare la categoria "valore" è, per chi si oppone all'etica antiumana di liberali e marmaglie <i>reazionarie</i> varie, a mio umile avviso, un boomerang cognitivo.<br /><br />Valore - bonum - è sempre stato usato in un'accezione diversa che nella filosofia dei valori che spopola ovunque negli ultimi due secoli: "valore", nella modernità, implica una "gradazione quantitativa" che implica un "bilanciamento" tra più valori (il <i>bilancio</i> d'esercizio!) che non ha senso in una morale umanista che ha la dignità umana come vincolo interno, e di cui, tutto il resto della "gerarchia assiologica" segue con questa inequivocabile priorità irrinunciabile.<br /><br /><i>(Credo che Arturo ti farebbe sponda sulla tua riflessione, supportando l'espressione di Luciani che, di per sé, ripeto, ci sta. Basta tener presente che esiste un nesso ben preciso tra economicistica "teoria del valore" e "filosofia dei valori"...)</i>Bazaarhttps://www.blogger.com/profile/17582168077328386807noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-7138099619226908681.post-73544492837107052182017-03-11T21:35:17.595+01:002017-03-11T21:35:17.595+01:00Sono d’accordo con il fatto che se guardiamo alla ...Sono d’accordo con il fatto che se guardiamo alla relazione tra valori e norme dal punto di vista schmittiano, la SUA conclusione non è errata: i valori non possono giustificare le norme perché, essendo il risultato di un atto soggettivo, basare le norme sui valori significa legittimare l’affermazione del più forte... “poiché, nel nichilismo, domina il "nichilismo attivo" della classe egemone”. Il valore vale sempre per qualcuno ed il rischio (concordo) è che si finisca con ricadere nell’homo mensura di Protagora e, quindi, nel relativismo. E che in Schmitt ci sia un’analogia con il concetto economico di valore è ugualmente innegabile, dal momento che Schmitt ci dice che “per il valore supremo il prezzo supremo non è mai troppo alto, e va pagato”.<br /><br />Da quest’ultima affermazione, tuttavia, non ne deriva che qualsiasi prezzo può essere pagato per esso, perché possono esitere alcuni valori che esulano dalla logica del prezzo. Già questo non dovrebbe far desistere a priori dall’utilizzare in campo giuridico il termine “valore”, se la valutazione di quest’ultimo può basarsi certamente su criteri diversi.<br /><br />Dico questo perché, in caso contrario, la questione potrebbe porsi anche con riferimento ai “principi”; anche i principi, infatti, sono posti da qualcuno che può identificarsi con la “classe egemone”; cambia solo la nominazione (da valori diventano principi). Quello che Schmitt afferma per il valori (ovvero che non è possibile distinguere tra gli stessi e le “credenze”) è possibile dirlo anche in relazione ai principi.<br /><br />Il problema da porsi, allora, è diverso: esiste una fondazione oggettiva dei valori? Oppure, che è lo stesso, esiste parimenti una fondazione oggettiva dei “principi”? Ancora meglio: il concetto di “valore” può essere rifiutato a prescindere in campo giuridico perché il suo significato è da considerare, in una certa visione, come una mera scelta della volontà del più forte?<br /><br />La risposta alla domanda è affermativa e la spiegazione l’hai esplicitata bene tu: il fondamento oggettivo è l'Etica, che “non è qualcosa di "artificiosamente teorico", ma fenomenologia dello Spirito”. I Principi esprimono dei valori incomprimibili e non mercificabili che hanno il fondamento oggettivo di cui abbiamo detto (per esempio Scheler, sul punto, come sai qualcosa di importante l’ha detta).<br /><br />Il problema è perciò, a mio modesto avviso, sempre di sostanza e non di forma. Se certi giuristi utilizzano il termine “valore” nel senso schmittiano, relativizzandolo (parlando non a caso di “tirannia dei valori” e così legittimando il “pluralismo” mercatista), è perché difettano assolutamente della sostanza. Infatti, gli stessi non disdegnano di utilizzare a loro volta la categoria dei “principi”, ma ricadono in ogni caso nell’errore fatale. Esistono invece giuristi (Luciani è uno di questi) che non a caso parlano di “interpretazione per valori”, assumendo però questi ultimi nel senso corretto<br />francesco maimonehttps://www.blogger.com/profile/10915970445672487282noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-7138099619226908681.post-49734786879716367432017-03-11T10:08:04.377+01:002017-03-11T10:08:04.377+01:00Parlare di « predominio assiologico » della Costit...Parlare di « <i>predominio assiologico</i> » della Costituzione, richiama direttamente le fondamenta pregiuridiche dello Stato di diritto, quelle che Hobbes rinviene nell'Etica condivisa.<br /><br />Infatti la derelativizzazione e il superamento del nichilistico "stato di natura" - « <i>meramente politico</i> » - dell'ordine <i>liberale</i> dei mercati, può avvenire <i>esclusivamente</i> con la <i>coscienza</i> della necessità della <i>fondazione</i> etica - in senso epistemologico - delle scienze sociali: diritto ed economia. <br /><br />Se convieniamo che la Costituzione, in quanto fondativa dell'ordine sociale, è un codice che fa del sapere "scientifico" - economico, socialogico e giuridico - strumento di "effettività morale" delle promesse etiche ideali che il popolo sovrano condivide tramite le istruzioni politiche e giuridiche, ne risulta che la coscienza e la conoscenza delle dottrine economiche non possono non passare dai fondamenti della filosofia morale. <br /><br />Questa è implicita nell'ermeneutica.<br /><br />Chi parla di "valori" - anche se pur fenomenologicamente fondati - usa le parole - ossia le armi ideologiche - del nemico liberale e clericale. <br /><br />Chi parla di "valori" parla di « prezzi », parla del controllo totalitario degli oligopoli industriali e finanziari.<br /><br />La filosofia morale umana parla squisitanente di virtù o vizi, di ciò che è bene e ciò che male, ossia di ciò che "valore" ne ha o non ne ha. <br /><br />Nel momento in cui una comunità si accorda su Principi - non valori! - fondamentalissimi, addirittura "universali" nel momento in cui la comunità internazionale stessa si accorda, è un autogol clamoroso per il costituzionalista usare una metrica assiologica basata sulla filosofia dei valori - apparentemente relativistica - poiché, nel nichilismo, domina il "nichilismo attivo" della classe egemone. <br /><br />Un Principio non è "un valore quantificabile", è "incomprimibile" per definizione. <br /><br />L'uomo, come - paradossalmente - il Duomo di Milano, non sono prezzabili, semplicemente perché secondo un'etica umanistica non sono mercificabili.<br /><br />Ma l'Etica non è qualcosa di "artificiosamente teorico", è piuttosto fenomenologia dello Spirito. <br /><br />Essere scettici su questo punto - oltre a dimostrare scarsa umiltà - è, ricordando Husserl, <i>assurdo</i>.<br /><br />Nel momento in cui il costituzionalista parla di "valori", abbraccia volente o nolente l'ideologia moralistica rifiutata dai costituenti. I valori, per loro natura, sono comprimibili o espandibili a seconda del "mercato".<br /><br />Chi parla di valori, lavora per la tirannia di chi ha il monopolio dei prezzi. <br /><br /><i>(La "gerarchia assiologica" perde senso perché implicita nel momento stesso in cui la comunità arriva ad accordarsi sui Principi fondativo: tutto il resto diventa giurisprudenza, ossia "scienza")</i>Bazaarhttps://www.blogger.com/profile/17582168077328386807noreply@blogger.com