lunedì 28 gennaio 2013

ASO E ABE...LA POLITICA FISCALE "CREATIVA" TRA KEYNES, PATINKIN E FRIEDMAN

1- Giappone e "congiuntura deflattiva".
Si parla in giro del Giappone.
L'analisi sulle "manovre" monetarie del nuovo governo del Sol Levante, può rendere interessante capire come le contraddizioni teoriche che guidano con mano invariabilmente "malferma" (negli effetti) la "fermezza" (nelle "aspettative razionali") delle politiche dei vari governi, abbiano origine nella inattendibilità delle teorie prevalenti, su cui gli economisti "di governo" si sono formati.
E ci consente anche, come vedremo, un'incursione "dietro le linee nemiche" per capire com'è che gli vengono fuori le..."pensate".
In una ridda di ipotesi ibridate dalle varie teorie (neoclassica, monetarista e post-neo-keynesiane, queste ultime solo pallidamente unificabili), i "potentati" economici "nazionali", rimasti sul campo, dopo la "selezione" provocata dalla difficile convivenza con la "super-potenza" della finanza globale, entrano in conflitto tra loro.

E tutti quanti indugiano sulla soglia di qualche nuovo shock finanziario, non avendo praticamente fatto nulla per definire un quadro istituzionale "cooperativo", nelle opportune sedi internazionali, che possa impedirne il ripetersi.
Al di là di questo angosciante e irritante profilo, prendiamo le mosse da ciò che, sul finire del 2012, ci proviene come notizia "innovatrice" dal Giappone.
Il Financial Times del 27 dicembre scorso se ne esce con un articoletto "bomba" (certamente se riferito a quello che sono capaci di concepire nella governance UEM), firmato Michiro Nakamoto, e intitolato (tradurrò il tutto direttamente in italiano) "Aso preannunzia un nuovo "pacchetto" di stimoli":
"Il nuovo ministro delle finanze (appunto Aso ndr.), ha segnalato che il governo contrarrà nuovo debito per sospingere l'economia fuori dalla stagnazione, mentre il primo ministro Shinzo Abe ha dato notizia di un cabinetto riunitosi per "battere la crisi".
A una conferenza stampa susseguente alla sua nomina, Taro Aso ha annunciato che emetterà nuovi bond e alzerà il limite all'indebitamento per l'anno 2012.
"Non ci atterremo al "debt-cap" di 513 miliardi di dollari" (44 trilioni di Yen) [per l'anno 2012 fino a marzo].
Mr Aso ha detto che la limitazione era stata introdotta dal precedente governo democrativo, sconfitto da una valanga di voti a favore del partito liberale di Abe.
Lo Yen è sceso al minimo degli ultimi 2 anni ieri (26 dicembre 2012 ndr.), anticipando i passi "inflazionistici" del governo Abe e il potenziale "monetary easing" della Banca del Giappone.
Aso, già da primo ministro, nel 2008-2009, lanciò un enorme pacchetto di stimoli per combattere la crisi finanziaria prima di perdere il potere.
Il primo ministro Abe ha rivelato di una riunione con gli alleati più stretti e esperti di politica economica per realizzare la sua agenda di risanamento economico, poche ore dopo essere stato nominato come settimo primo ministro del paese in sei anni.
Ha preso l'impegno di dar vita a un governo anti-crisi, per affrontare la deflazione che ha ostacolato il Giappone per oltre un decennio ed anche il problema dello Yen forte.
"Dirigerò le energie del mio intero governo verso l'attuazione di una coraggiosa politica monetaria e una strategia di crescita, e una politica fiscale flessibile the incoraggi gli investimenti privati" Ha detto Mr. Abe.
Si è impegnato a reflazionare l'economia attraverso lo stimolo fiscale e l'espansione monetaria.
Ha anche fatto appello alla Banca centrale affinchè intraprenda una espansione "illimitata" e ha minacciato l'indipendenza della banca centrale - attraverso l'introduzione di cambiamenti legislativi- se essa non perseguirà un obiettivo inflazionistico del 2%.
Ma il ministro delle finanze (Aso), si oppone al tipo di forte stimolo alla sepsa che Abe ritiene necessario per spingere la crescita del PIL, che recentemente è entrato nel suo quinto anno di recessione nell'arco degli ultimi 15, a meno che la spesa aggiuntiva non abbia copertura in una crescita dell'imposizione fiscale. E' preoccupato della situazione fiscale del Giappone,  avendo il FMI avvertito che il debito raggiungerà il 236% del PIL entro marzo..."
2- Aso alla riscossa, oltre la teoria classica.
Allora: Aso comprende che la "trappola" della deflazione si risolve anche e specialmente ricorrendo alla spesa pubblica e rinunciando alla riduzione del deficit di bilancio.
Questo primo "indirizzo" contrasta con la teoria classica in senso "storico", cioè pre-keynesiana (i virgolettati che seguono sono tratti da questo paper):
"Una importante conseguenza del modello classico di piena occupazione è quindi l’assenza di disoccupazione involontaria anche se può esistere disoccupazione frizionale e/o volontaria. L’esistenza di disoccupazione si spiega, all’interno di questa corrente di pensiero, solo ipotizzando l’esistenza di attriti o interferenze nei meccanismi spontanei di riequilibrio.
A queste condizioni l’intervento pubblico per stabilizzare l’economia non è né necessario né desiderabile. Nella teoria della finanza pubblica era infatti dominante l’idea della “finanza ortodossa” per cui, nei periodi di allontanamento temporaneo dal pieno impiego, sarebbe stato preferibile mantenere il pareggio dei bilanci pubblici astenendosi dall’interferire sui meccanismi spontanei di riequilibrio."
Naturalmente intraprendere una linea come quella attuale di Aso, a ben vedere, non significa abbracciare una filosofia keynesiana. Precisa infatti Aso che la deflazione verrà contrastata con una politica monetaria fortemente espansiva.
Il che contraddice un postulato keynesiano sulla scarsa efficacia di politiche monetarie come trainanti lo stimolo:
"Nella interpretazione keynesiana del modello IS-LM, sia la politica fiscale sia la politica monetaria sono in grado di produrre effetti sull’economia reale. Ma...i keynesiani in ordine alle pendenze delle curve IS e LM...ritengono che la LM sia generalmente molto elastica e la IS sostanzialmente rigida. Di conseguenza, politiche fiscali espansive risulterebbero molto efficaci, poiché l’effetto di spiazzamento sarebbe limitato a causa dell’effetto non rilevante di crescita del tasso di interesse. Sarebbe invece ridotta la capacità stabilizzatrice della politica monetaria, poiché una riduzione del tasso di interesse indotta dall’aumento dell’offerta nominale di moneta (spostamento verso il basso della curva LM) non produrrebbe rilevanti effetti di aumento degli investimenti.
Per i keynesiani, inoltre, esiste un certo livello minimo del tasso di interesse nei confronti del quale la politica monetaria diviene chiaramente inefficace. Si tratta della c.d.
trappola della liquidità; quando il tasso di interesse si posiziona ad un dato livello minimo, gli operatori si aspetteranno un suo aumento, e non reagiranno per evitare di incorrere in perdite in conto capitale, qualsiasi sia l’offerta di moneta. In questo caso, nessuno intende acquistare titoli che fruttano un tasso di interesse troppo basso e la preferenza per la liquidità sarà assoluta."

3- Aso neo-classico?
Ma il mix, ibridato (e già foriero di contrasti tra Abe e Aso), si può ritrarre, in buona parte, da altre dottrine economiche, in specie quella neo-classica di Patinkin:
In particolare, la sintesi neoclassica individua tre casi principali a cui si può ricondurre la validità della tesi keynesiana:
a) se gli investimenti sono poco sensibili al tasso di interesse, cioè nel caso di IS particolarmente rigida;
b) se esiste una trappola della liquidità, nel senso sopra osservato;
c) se i salari monetari sono rigidi verso il basso, cioè se il processo classico di aggiustamento, in presenza di disoccupazione, fosse bloccato nella sua fase  iniziale.
...Per la sintesi neoclassica sono questi gli unici elementi in grado di interrompere i nessi causali di aggiustamento sostenuti dalla teoria classica e quindi in grado di spiegare l’esistenza di un equilibrio non di piena occupazione.
Sulla base di queste analisi, si sviluppa, in questo periodo e nell’ambito dello schema IS-LM, la  contrapposizione tra attivisti e non attivisti della politica fiscale e della politica monetaria in ordine alla capacità del mercato di dirigersi spontaneamente verso l’equilibrio di piena occupazione. Poiché per la sintesi neoclassica la validità della tesi keynesiana (attivisti della politica fiscale) è da ricondursi ai tre casi speciali sopra evidenziati, c’è da attendersi che i non attivisti abbiano, sulle inclinazioni delle curve IS e LM, opinioni  diverse.
Essi, infatti, ritengono che la IS sia alquanto piatta e la LM piuttosto rigida; il primo caso segnala un elevato valore della elasticità degli investimenti al tasso di interesse; il secondo, invece, riflette la scarsa elasticità della domanda di moneta al tasso di interesse.
In tale contesto la politica monetaria risulta più efficace di quella fiscale, dal momento che l’elevata elasticità della IS rispetto a  i, combinata con una LM rigida, amplificherebbe l’effetto di spiazzamento e ridurrebbe l’effetto globale di una manovra di bilancio espansiva; mentre la ridotta elasticità della LM rispetto a  i, combinata con la elasticità della IS, è in grado di amplificare l’effetto su Y di una variazione dell’offerta di moneta (il che spiega perchè si tenda correntemente a trascurare il moltiplicatore fiscale e ad avere fiducia illimitata nella...BCE, ndr.).
Il culmine della sintesi neoclassica, ma per certi versi anche il suo superamento, si raggiunge dopo la pubblicazione, nel 1956, di un fondamentale contributo di D. Patinkin e l’elaborazione teorica del concetto di “effetto saldi reali”(real balance effect).
L’effetto saldi reali è, nella concezione di Patinkin, l’effetto potenziale che sulla domanda aggregata potrebbe essere esercitato dall’accrescimento delle disponibilità monetarie reali detenute dagli individui a seguito di una caduta del livello dei prezzi, a partire da una situazione di pieno impiego. Maggiori disponibilità monetarie reali, afferma Patinkin, potrebbero generare un aumento della domanda aggregata e un conseguente aumento della produzione e dell’occupazione, sino a che l’equilibrio di pieno impiego non sia ristabilito.
...Il contributo di Patinkin tende a riaffermare la neutralità della moneta, cioè l’assenza di effetti reali a seguito di modificazioni delle variabili monetarie. In secondo luogo, l’utilità della politica fiscale sembrerebbe venire meno: con le ipotesi di Patinkin e la capacità dell’effetto saldi reali di far fronte a due dei tre casi speciali identificati dalla sintesi neoclassica, la necessità di politiche fiscali espansive sarebbe limitata ai casi di rigidità dei salari, cioè alla rimozione di una delle ipotesi sulle quali si regge lo schema di Patinkin.
Tuttavia, lo stesso Patinkin afferma che l’effetto saldi reali potrebbe essere in realtà troppo debole per garantire il raggiungimento di una situazione di pieno impiego; ne consegue che le politiche keynesiane potrebbero mantenere un ruolo importante nella misura in cui possano accelerare il naturale manifestarsi dell’effetto saldi reali o supplire al loro mancato verificarsi."
Pertanto, a ben vedere, Aso e Abe sono alquanto "neo-classici" laddove parrebbero proprio ritenere che ci si trovi di fronte a un caso di "rigidità dei salari" giapponesi (o anche di investimenti privati rigidi di fronte all'abbassamento del tasso di interesse) e torni l'esigenza di seguire, nell'unico caso "lecito", politiche di stimolo fiscale.

4- Aso e il "canone inverso" di Friedman.
Ma se accoppiano il "quantitative easing" e l'idea inflazionistica dell'offerta di moneta, si rivelano pure creativi e capaci di usare strumenti che, invece, fanno capo ad un'altra scuola...antikeynesiana, quella monetarista:
"A partire dalla fine degli anni sessanta, la teoria monetarista si contrappone alla visione keynesiana del funzionamento del sistema economico corrente; a questo riguardo, si possono individuare due momenti fondamentali della critica monetarista alla impostazione keynesiana.
In una prima fase, la critica si fonda su una revisione della teoria quantitativa della moneta e modifica alcune convinzioni che avevano guidato le politiche di tipo keynesiano. In particolare: a) si ristabilisce la fiducia nell’operare dell’economia di mercato; b) si assegna una più elevata priorità all’obiettivo della stabilità dei prezzi; e c) si attribuisce all’intervento pubblico e alle autorità monetarie la responsabilità del processo inflazionistico.
In una seconda fase, la critica si estende alla interpretazione della curva di Phillips e se ne propone una nuova formulazione, in contrapposizione a quella keynesiana, rivolta a spiegare il fenomeno inflazionistico postulando l’inefficacia dell’azione di politica fiscale.
...L’aspetto fondamentale della prima critica monetarista risiede nell’idea che gli elevati livelli di inflazione sperimentati nel sistema economico siano il frutto di una espansione eccessiva dell’offerta di moneta. Friedman si richiama esplicitamente alla teoria quantitativa e ne propone una riformulazione, sulla base delle seguenti osservazioni.
In primo luogo, gli operatori prendono le loro decisioni sulla base delle variabili reali del sistema, che riflettono il loro potere di acquisto.
Inoltre, la domanda di moneta si mantiene stabile nel tempo: esiste cioè evidenza empirica di una relazione funzionale stabile tra questa e i fattori che la determinano.
In base a queste nuove ipotesi, Friedman dimostra che il tasso di variazione dei prezzi (cioè il tasso di inflazione) è pari alla differenza tra il tasso di crescita dell’offerta di moneta e il tasso di crescita della domanda di moneta per fini transattivi.
Nel lungo periodo, se il tasso di crescita dell’offerta di moneta supera il tasso naturale di crescita dell’economia, il risultato è l’inflazione. Quindi l’inflazione non è solo un fenomeno monetario, ma può prodursi in conseguenza del comportamento delle autorità monetarie. Alla base dello schema monetarista c’è l’idea che l’economia si trovi in uno stato
naturale
di lungo periodo in cui non esistono squilibri nei singoli mercati e tutte le variabili reali si trovano al loro livello naturale.



Da questa concezione si sviluppa il concetto di tasso naturale di disoccupazione, che, sotto un profilo empirico, è il livello di disoccupazione che prevale quando l’economia è al suo livello di pieno impiego (il che ci consentirebbe anche di capire cosa diavolo ci faccia il "pieno impiego" nell'art.3, par.3 TUE, e in tante altre norme dei trattati europei: cioè "nulla" poichè la politica monetaria in sè garantirà l'equilibrio e quindi la disoccupazione "naturale", ad alterare la quale si fa "peccato" ndr.).
Secondo Friedman, se l’economia si dovesse allontanare da questa situazione di pieno impiego, il sistema, nel lungo periodo, tenderebbe naturalmente al riequilibrio.
La direzione dell’attacco monetarista contro la politica fiscale attiva dei keynesiani cambia alla fine degli anni ‘60, rivolgendosi esplicitamente a minare le basi della curva di Phillips attraverso l’introduzione, in quello schema, del livello atteso di inflazione come variabile addizionale nella determinazione del tasso di variazione del salario monetario. La spiegazione keynesiana della possibilità di tassi di disoccupazione non decrescenti al crescere delle pressioni inflazionistiche (ad esempio, inflazione da costi) viene rifiutata dall’approccio monetarista che postula invece l’inefficacia e l’indesiderabilità di politiche di intervento pubblico.
Infatti, nel saggio The role of monetary policy del 1968, Friedman negava l’esistenza nel lungo periodo di un trade-off tra disoccupazione e inflazione nella attuazione della politica economica.
Da questa impostazione è possibile derivare quattro conseguenze fondamentali per la politica di stabilizzazione:
1) le autorità possono ridurre la disoccupazione al di sotto del tasso naturale solo nel breve periodo e solo perchè il livello di inflazione non è ancora anticipato in modo corretto. L’ipotesi di aspettative adattive implica aggiustamenti graduali e non immediati delle aspettative e la politica fiscale può ancora essere efficace nel breve periodo;
2) qualsiasi tentativo di tenere il livello della disoccupazione al di sotto del suo tasso naturale produce solo una accelerazione della inflazione;
3) se si intende ridurre il tasso naturale di disoccupazione e quindi aumentare il livello dell’output è necessario perseguire politiche dal lato dell’offerta per migliorare la struttura e il funzionamento del mercato del lavoro piuttosto che politiche dal lato della domanda (questo ci ricorda "tanta europa" ndr.);
4) il tasso naturale è compatibile con qualsiasi tasso di inflazione che a sua volta è determinato dal tasso di espansione monetario come postulato dalla teoria quantitativa. Data la convizione che l’inflazione è essenzialmente un fenomeno monetario dovuto ad un eccesso di crescita monetaria, i monetaristi affermano che l’inflazione può essere ridotta solo riducendo il tasso di crescita della offerta di moneta."

5- Aso smentisce Lucas e Barro.
Insomma, assumendo "all'inverso" la teoria monetarista, post litteram, nelle sue conseguenze sulla politica fiscale, Abe e Aso la "adattano creativamente", appunto, per uscire dagli eccessi della deflazione prolungata.
E' da notare, poi, che, nel far ciò, finiscono per contraddire, senza troppe preoccupazioni, (a quanto pare), quella che, in Europa, risulta invece (nella notte di vacche sempre più nere) una delle teorie più solide, se non altro perchè è in larga parte riflessa nei trattati UE-UEM. Cioè la "nuova macroeconomia classica" di Lucas e Barro (per dire solo di due, a noi già noti, tra i suoi "indimenticabili fautori):

"Durante gli anni settanta e ottanta la critica alle tesi keynesiane deriva principalmente dalla Nuova Macroeconomia Classica (NMC), con l’obiettivo di dimostrare il naufragio della sintesi neoclassica sia sotto il profilo teorico, sia dal punto di vista delle conseguenze in termini di politica economica. La base di riferimento è ancora quella del monetarismo di Friedman, ma i contributi di R. Lucas e di altri autori rivolti a mettere in discussione anche la curva di Phillips aumentata per le aspettative, tendono a negare qualsiasi ruolo per le politiche fiscali e monetarie.
Per poter attaccare così profondamente le tesi keynesiane, la NMC ha però bisogno di ripristinare alcune assunzioni proprie della teoria classica e di modificarne alcune già presenti nel monetarismo di Friedman. In particolare:
a) tutti i prezzi, compresi i salari, sono perfettamente flessibili sia verso il basso sia verso l’alto e il modello è di tipo walrasiano (Hartz e...i greci la sanno lunga su questo, ndr.);
b) l’ipotesi di aspettative adattive considerata da Friedman viene rimpiazzata da quella di “aspettative razionali”...
La conseguenza fondamentale del ragionamento di Lucas è quindi che politiche pubbliche anticipate non possono influenzare la produzione reale e l’occupazione, ma solo le variabili nominali. Osservata da un altro punto di vista, la conseguenza è che solo politiche imprevedibili o shock inattesi possono determinare variazioni delle variabili reali e portare temporaneamente il sistema in squilibrio, con la produzione e l’occupazione al di sopra dei loro valori naturali. Dovrebbe però essere chiaro che ciò esclude qualsiasi ruolo per le politiche di intervento pubblico a fini di stabilizzazione.
Se infatti il governo agisce in modo casuale e imprevisto il risultato sarebbe solo un aumento della instabilità e della variabilità del prodotto e dell’occupazione attorno al suo livello naturale. Non esiste nessun
trade-off
tra produzione e inflazione e nessun ruolo per le politiche di intervento pubblico....

L’impianto teorico dei nuovi classici ha prodotto, quindi, conseguenze non trascurabili sulla efficacia degli strumenti di politica economica.
In primo luogo, come osservato in precedenza, la NMC implica l’inefficacia di politiche fiscali e monetarie sistematiche e anticipate (e l'aderenza a questa teoria spiegherebbe il ritardo di Trichet nell'abbassare i tassi all'indomani della crisi dei "derivati", per quanto ciò poi si potesse rivelare determinante, se non altro per ritardare gli effetti dell'asimmteria dell'euro e dare un pò di fiato alle economie reali ndr.).
In secondo luogo, e in conseguenza della proposizione di inefficacia, l’operatore pubblico, e soprattutto le autorità monetarie, devono preoccuparsi di controllare il tasso di inflazione e applicare una politica stabile che segua il tasso di crescita naturale dell’economia.(Ma quanto vi rammenta Maastricht? :-) ndr.)
In terzo luogo, in contrasto sia con i keynesiani sia con i monetaristi, i nuovi classici affermano che nel caso di una politica monetaria restrittiva credibile, gli agenti economici rivedranno immediatamente le loro aspettative sui prezzi verso il basso e una politica deflattiva potrà essere rapida e senza conseguenze rilevanti in termini di disoccupazione e di reddito (insomma, ossessionati dalla "curva di Philips" la confutano perchè sanno che...è corretta: inflazione significa potere contrattuale sul lato salariale e quindi l'unica preoccupazione monomaniacale è combatterla, facendo delle politiche deflattive l'unica ipotesi considerata, ndr) .
In quarto luogo, per rafforzare la credibilità della politica monetaria è necessario evitare la possibilità di discrezionalità nella sua attuazione. A questo scopo si auspica l’assegnazione della competenza sulla politica deflazionistica (visto? la politica monetaria coincide tout court con la politica deflazionistica, ndr.) ad una autorità indipendente come la banca centrale.
Infine, l’unica politica perseguibile per aumentare il reddito e ridurre la disoccupazione in modo permanente è quella dal lato degli incentivi di tipo microeconomico per le imprese e per i lavoratori, che producano miglioramenti strutturali dal lato dell’offerta e non dal lato della domanda (ma allora Giavazzi, trova "nipotino di Stalin" pure Lucas! ndr.).
Questa affermazione fornirà la base per lo sviluppo, negli anni Ottanta, delle tesi della supply side economics, rivolte a sostenere la necessità di intervenire non con politiche di sostegno della domanda aggregata, ma direttamente sulle determinanti del tasso naturale di crescita dell’economia"

Al di là della complicatezza della immediata ascrizione all'uno all'altro filone teorico, resta, per (magra) consolazione di noi italiani in preda alle deliranti applicazioni dei "nuovi classici", il divertimento di uno spettacolo di questo tipo: non solo, in contrasto coi "primi" neoclassici si pratica il deficit, ampliandolo, ma, screditando l'ortodossia dei "nuovi macroeconomisti classici", cioè UE-Bundesbank (quella che i giornali italiani hanno paura di criticare persino nel pensiero), si arriva a:
1) a far derivare dalla crescita dell'inflazione (per quanto moderata) un effetto espansivo del PIL (e non solo certo dal "dogma" della stabilità dei prezzi, che non viene assunto più come una assoluta garanzia di "equilibrio" in base alle aspettative razionali...!);
2) far smettere le "autorità monetarie" di preoccuparsi "solo" di controllare il tasso di inflazione, addirittura ponendogli un obiettivo di "reflazione";
3) abbandonare la politica monetaria restrittiva "credibile", a favore della crescita dei redditi e dei salari (chissà cosa ne penserebbe...Andreatta con la sua condanna della "ideologia della crescita a ogni costo");
4) last but not least, e anzi, assolutamente "godurioso", riappropriano al governo, democraticamente eletto, la "discrezionalità" della politica monetaria (quale che sia poi la sua reale efficacia), negando, persino con le "cattive", il mito della indipendenza della Banca centrale (e della sua stessa presunta mancanza di discrezionalità, àncorata al mero obiettivo della stabilità dei prezzi).

6- La dialettica della Storia e la (timida) rivincita della democrazia rappresentativa.
Ora nun vorrei dì, ma i tempi stanno cambiando. Certo, questa logica "ibrida" e compromissoria (tra keynes e la sua accettazione parziale dalla teoria neo-classica "originaria"), pare accomunare pure Obama (stesso mix "indeciso" tra stimolo della spesa pubblica, con preoccupazione della copertura impositiva, e espansione monetaria), e certamente è presto per sperare nella rivincita keynesiana.
Ma, a ben vedere, quali che siano gli enunciati teorici sottostanti, alla fine, agiscono, nei fatti, "quasi" come avrebbe agito un keynesiano (dovutamente "ondivago", come nella realtà accadde) negli anni '50 o '60 del secolo scorso (tranne che ancora resta "indecifrata" la revisione del mito delle banche centrali "indipendenti").
Rimane la questione del debito al 236% del PIL: vuoi vedere che anche lì, Abe e Aso, si sono convinti delle condizioni "attendibili" della sua sostenibilità (e certo! Se no chi glielo toglieva ai giapponesi un bel pareggio di bilancio)?

Infine un'osservazione finale: ipotesi che nascono "a priori", con un'idea dell'equilibrio economico che "doveva" dimostrare essenzialmente la infondatezza delle teorie keynesiane, e che quindi si preoccupano solo di combattere l'inflazione (e, in connessione, di combattere la forza contrattuale del lavoro), hanno, per almeno 30 anni, monopolizzato le politiche dei governi e ridisegnato la democrazia (rendendone il concetto ancora più elusivo).
Solo che, essendo squilibrate negli stessi "razionali", hanno funzionato "troppo bene" e prodotto problemi di crescita che si sono ritorti contro gli stessi "ideologi". Proprio perchè non sono "razionali", ma solo...deduttivistiche. Ora è cominciato un nuovo lavoro: riparare i danni al benessere e alla democrazia che hanno provocato. Solo in UE non se ne sono accorti...


21 commenti:

  1. mah, sinceramente mi pare che in Giappone, Usa e Gran Bretagna il mito della banca centrale "indipendente" (da che/cosa poi io non l' ho mai capito...) sia crollato da tempo.... ormai

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    1. Beh. Sul piano "formale-istituzionale" la indipendenza ha avuto, fuori dall'UEM e dalla recise enunciazioni del trattato, un'applicazione molto più elastica.
      Diciamo che il punto è che, in tali paesi, era invocata dai governi, cioè (come nel caso del nostro divorzio del 1981) nasceva dal disegno del governo stesso di spogliarsi della formale titolarità della politica monetaria.
      Come l'esigenza anti-inflazionistica mostra cedimenti, la sostanza dell'indipendenza diviene un ostacolo per i governi. E la novità che è qui segnalata, riguarda il fatto che, ESPLICITAMENTE, Abe dice: " o fai come dico, o cambio la legge e rendo chiaro che devi ubbidire". Questa "svolta" ha una portata enorme, è uno shock nell'ambito del "pensiero mainstream" e vedremo se avrà riflessi nel "resto del mondo". E infatti la notizia in Italia, dove si accentua, anzi il tratto della "indipendenza" (dalla democrazia), la notizia non è stata minimamente riportata...

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    2. E' vero, si discute molto di come Abe abbia vinto le elezioni con le sue "minacce" alla BoJ, ma, in realtà, la sensazione netta è che già la BoJ non fosse così aliena dall' azione di governo, cosi come la FED e la BoE dai rispettivi governi. Basti guardare le monetizzazioni a rotta di collo di queste BC e i deficit che si permettevano i rispettivi governi "di riferimento" e soprattutto i rendimenti REALI dei rispettivi titoli governativi da qualche anno a questa parte....

      In particolare, ti volevo chiedere, in riferimento al caso BoE/governo britannico; i trattati europei (al di là dei trattati UEM) che dicono a proposito? Voglio dire; quel 25% di gilt finiti in pancia di BoE in questi ultimi anni sono "a norma di trattati"?
      per quanto, evidentemente i titoli sono rastrellati sul mercato secondario, almeno credo (correggimi se sbaglio).
      lo chiedo da ignorante al fine giurista.

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    3. Beh, consideriamo che la apparente maggior sinergia tra governi e BC deriva non da una diversità "ideologica" ma dalle ragioni per cui il debito pubblico è aumentato nei paesi che dici (USA e UK): i salvataggi bancari. E scusa se è poco (mica parliamo di finanziare spesa pubblica "sociale").
      E' chiaro che di fronte a indebitamenti a tale titolo, le BC esercitano la "discrezionalità" e, stranamente, lasciano da parte il riequilibrio naturale dei mercati e la presunta lotta all'inflazione (escluso chissà perchè che si possa agire direttamente a tutela dei risparmiatori).
      Insomma, il caso del Giappone rimane diverso e segno di inversione di tendenza.
      Quanto agli altri paesi UE, non UEM, sì: gli arrt.123 e 131 del TFUE riguardano pure loro e quindi sono "vincolati" all'indipendenza delle BC. Ovviamente, ex art.123, il divieto di acquisto del debito è solo quello "diretto" (come per la BCE!), e quindi consente di operare sul secondo mercato (la FED, invece opera acquisti attraverso banche mandatarie e si fa ristrasferire i titoli in restituzione di anticipazioni della provvista corrispondente)

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    4. Gli Usa di Obama comunque hanno usato i deficit non solo per salvare le banche (per quanto la maggior parte è andata proprio al salvataggio del sistema bancario e assicurativo) ma anche per finanziare la spesa sociale: si pensi alla riforma sanitaria e all' enorme crescita dei buoni pasto governativi ('a tessera annonaria del terzo millennio...) e le attività produttive: chiedere a Marchionne per conferma :-)

      Sulla questione BoE "prestatrice di ultima istanza" , anzi, considerando il ridicolo (secondo me) paravento della acquisizoione dei titoli di stato sul mercato secondario "prestatrice di penultima istanza"; non si puo' affrontare la cosa in sede europea e dire: Loro fanno così; perché nopi non possiamo ? (ovviamente lo so perché) ma sarebbe un modo per:

      1) denunciare pubblicamente la situazione palesemente "asimmetrica"

      2) mettere in evidenza che ai trattati europei non sottostanno con eguale dignità i paesi sottoscriventi, facendo un esplicito richiamo al sempre citato dagli europoistoidi, art. 11 della ns costituzione.

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    5. Si potrebbero fare molte cose e, per semplificarci la vita, usare direttamente l'art.11 per uscirsene dall'UEM, previa trattativa intelligente e riservata coi francesi (che più passa il tempo più saranno interessati): ma ci vuole un governo democratico "italiano", non di "occupazione tedesca" :-)
      http://orizzonte48.blogspot.it/2012/12/per-chinon-guardasse-solo-google-e.html ...(se ti fosse sfuggito)

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  2. Salvo verificarne dettagli e modalità di applicazione, a me la politica annunciata da Abe sembra semplicemente il riconoscimento di alcuni principi:
    -in una situazione di trappola della liquidità - domanda permanentemente depressa rispetto al potenziale produttivo dell'economia - la domanda va sostenuta
    -l'emissione di maggiore debito pubblico non ha effetti di innalzamento dei tassi, e meglio ancora
    -il finanziamento del sostegno alla spesa (rinunciando of course al dogma dell'indipendenza della banca centrale) può avvenire direttamente mediante emissione di moneta, senza che parta un'inflazione incontrollata
    -l'espansione monetaria avrà effetti di svalutazione del cambio, con ulteriore sostegno alla domanda proveniente dal canale estero.
    Quest'ultimo è un punto accessorio, checchè ne pensi Weidmann... che ha la strana attitudine di pretendere che siccome in Europa si applicano politiche sbagliate, il resto del mondo debba fare lo stesso ! la svalutazione dello yen contro euro non avverrebbe se anche in Europa espandessimo l'offerta di moneta. Se poi non lo facciamo inutile prendersela con i giapponesi...
    Mi sembra coerente con la sintesi che ne avevo fatto in questo post http://bastaconleurocrisi.blogspot.it/2013/01/politiche-economiche-per-la-piena.html

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    1. D'accordo. E infatti sottolineo che la policy intrapresa è sostanzialmente "neo-classica": Ma tale è la follia "feroce" in UEM che potrebbe apparire una "eresia" keynesiana :-)
      Poi, sai la moneta secondo Keynes è "endogena", dipendendo dal livello dei prezzi e non "causandolo", sicchè lo stimolo fiscale è più importante ed efficace per la ripresa della domanda aggregata. Ma il "mattatotio- dei diritti- europa" ancora è attestato sulla impossibilità, in qualunque circostanza, di collegare l'emissione di liquidità con la spesa pubblica, e la accetta solo come finanziamento alle banche...

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    2. "ancora è attestato sulla impossibilità, in qualunque circostanza, di collegare l'emissione di liquidità con la spesa pubblica, e la accetta solo come finanziamento alle banche": verissimo, e anche negli USA del resto questo dogma non l'hanno ancora superato. La Fed compra titoli e mortgages ma il beneficio ormai è modesto, i tassi sotto zero non possono comunque andare. Se per gli stessi importi finanziasse direttamente spesa, gli USA tornerebbero alla piena occupazione in meno di un anno.

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    3. ho letto della tua proposta dei certificati di credito fiscale: ma l'emissione sarebbe "una tantum" (per il 10% del PIL) o a regime annualmente? E hai considerato gli effetti in termini di (an)elasticità della propensione agli investimenti, in presenza di simultanea riduzione della spesa pubblica, specie per investimenti pubblici (drammaticamente caduti da 20 anni), e quindi per i costi infrastrutturali comparati itailani?
      Il sistema è interessante, ma vorrei capire meglio se esiga misure di accompagnamento...

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    4. No, sarebbe continuativa perchè occorre ottenere un riequilibrio permanente di competitività tra euronordici ed euromeridionali. Attenzione, va effettuata SENZA che si debbano ridurre altre voci di spesa (pubblica o meno). E' l'equivalente puro e semplice di stampare moneta e metterla in mano a lavoratori e aziende. Non è inflattiva perchè a fronte di più moneta (simil-moneta) in circolazione c'è un corrispondente livello di maggior produzione.

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  3. una notizia di un paio di giorni fa conferma l'attuazione delle manovre preannunciate a dicembre (http://finanza.it.msn.com/firstonline/giappone-super-manovra-per-rianimare-leconomia). ed infatti si legge:Il governo giapponese di Shinzo Abe ha approvato lo stanziamento di circa 90 miliardi di euro per rivitalizzare l'economia. L'obiettivo è porre la crescita dell'occupazione tra gli obiettivi principali della Banca del Giappone.Secondo le stime del Governo nipponico, la massiccia iniezione di spesa pubblica in arrivo genererà una crescita di 2 punti percentuali del prodotto interno lordo e porterà alla creazione di circa 600mila posti di lavoro. Sotto il pressing di Abe, la Bank of Japan adotterà probabilmente un target di inflazione al 2% a fine gennaio, raddoppiando il parametro attuale, e considererà nuovamente una politica monetaria accomodante, quasi certamente aumentando gli acquisti di asset e debito governativi.La ricetta di Abe per far uscire il Giappone da anni di deflazione e crescita a singhiozzo è una grande spesa pubblica e acquisti della banca centrale di debito. Ma i rischi non mancano: il livello del debito pubblico giapponese è già tra i peggiori delle grandi economie mondiali.

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    1. Grazie della conferma :-)
      Ti pareva poi che non ritirassero fuori la storia del debito pubblico? Ma non gli viene in mente che se si cresce e si reflaziona, il debito decresce in rapporto al PIL? E notare che i 2 punti di PIL (scaglionati nel tempo di realizzazione della manovra, anche oltre il 2013) sono "aggiuntivi" rispetto a quanto previsto anteriormente al varo della manovra di stimolo
      http://www.corriere.it/notizie-ultima-ora/Economia/Giappone-Governo-alza-stime-Pil-2013/28-01-2013/1-A_004620584.shtml

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  4. La forzatura del governo giapponese sulla banca centrale effettivamente è un dato significativo, anche se, rispetto ad altre banche centrali, quella giapponese, almeno da quanto mi risulta, è sempre stata tacciata di subire una forte influenza politica nonostante l’indipendenza consolidatasi a partire dal 1997. Il sistema stesso di nomine (il Governatore, i membri del Board e i sindaci sono designati dal Governo, con approvazione del parlamento; i direttori esecutivi ed i consiglieri sono nominati dal Ministro delle Finanze su indicazione del Board) sembra confermarlo. È anche vero che la Banca si è sempre occupata poco della dinamica della stabilità dei prezzi, e più della politica valutaria. Una politica, quindi, che ha presuntivamente attenuato i possibili spazi di contrasto politico con il governo, ed ha reso meno pressanti i dubbi sull’indipendenza dell’Istituto.
    Ma che a seguito della manovra giapponese il tema dell’indipendenza e delle pressioni politiche sulle banche centrali, sia tornato ad essere un argomento di discussione e di allarme si percepisce chiaramente….basta leggere un po’ qua e là….Il giorno stesso, Jens Weidmann, presidente della Bundesbank, Banca Centrale della Germania, ha affermato che attualmente l'indipendenza delle politiche bancarie dei diversi paesi sta affrontando diverse sfide http://italian.cri.cn/761/2013/01/22/341s174447.htm
    La tentazione di far tornare la politica monetaria sotto il controllo dell’esecutivo sta contagiando anche gli Usa e la Gran Bretagna. È la fine dell’indipendenza delle banche centrali? http://www.linkiesta.it/banche-centrali-politica
    tentativo da parte del Giappone di rompere un altro dogma oggi prevalente nell'ideologia dei mercati: l'indipendenza delle banche centrali, dato che la nuova azione espansiva della Bank of Japan sarebbe arrivata dopo forti pressione del governo http://www.ilsole24ore.com/art/finanza-e-mercati/2013-01-25/nella-nuova-guerra-valute-103035.shtml?uuid=AbKxN0NH
    “E’ cominciata una corsa globale per stimolare la crescita e svalutare le monete”, sostiene il Financial Times; e l’indipendenza delle Banche centrali è messa in discussione….Addio divorzio, il principe e il tesoriere si ricongiungono. http://www.ilfoglio.it/soloqui/16658
    La pressione del primo ministro giapponese Shinzo Abe perché la banca centrale diventi più attiva ha rilanciato il dibattito sull'indipendenza delle banche centrali http://www.centroeinaudi.it/lettera-economica/articoli-lettera-economica/asset-allocation/3240-l-indipendenza-delle-banche-centrali.html

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    1. Sofia te vojo bbbene, ma se il dibattito deve essere rilanciato come fa il "centro einaudi" era meglio se si astenevano (e non mi avventuro su "il foglio"). Tutti questi " personaggi italiani" dibattono per riaffermare (rigorosamente in contrasto di fatti) che senza l'indipendenza il debito lieviterebbe e perciò le banche centrali devono potersi rifiutare di emettere liquidità contro deficit.
      La realtà ci dice esattamente il contrario: cioè che il debito/PIL "decolla" quando c'è l'indipendenza, perchè si lascia mano libera ai mercati (creditori di natura finanziaria) per appropriarsi della ricchezza prodotta da un paese sotto forma di interessi, specie se c'è la liberalizzazione dei capitali. Con la conseguenza che sì, le spese pubbliche vengono tagliate, ma pure il...PIL e l'occupazione (che diviene "disoccupazione naturale"...per quel livello di efficienza (!) dell'allocazione della risorse: cioè tutti meno ricchi tranne la finanza, mooolto più ricca.
      Era meglio che in Italia non si dibattesse :-)

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  5. Direttamente dal Sole24Ore, scusate l’OT e la prolissità ma secondo me è dovuta. Ecco la bozza Monti-Ichino per il lavoro in Italia:
    “Fare leva sull'articolo 8 della manovra del 2011 del Governo Berlusconi (quello che vorrebbero cancellare con un referendum Sel e Rivoluzione civile) per affidare alle parti sociali il ruolo di sperimentare una rimodulazione del contratto a tempo indeterminato… La bozza non si concentra solo sulla… flexsecurity. Si parla anche di taglio dell'Imu e di riduzione dell'Irpef.
    Ma è sui contratti a termine… che si trovano le novità maggiori. Nel testo… si propone una norma-chiave per indicare una serie di materie derogabili attraverso la contrattazione collettiva decentrata con l'obiettivo di aumentare la quantità e la qualità dell'occupazione con contratti standard.
    Nelle intese, che potranno derogare da norme di fonte pubblica o contrattuale («fermi restando i vincoli costituzionali e quelli delle norme comunitarie e della convenzioni internazionali») si potranno sperimentare forme di partecipazione dei lavoratori, l'emersione del lavoro irregolare, gli incrementi di competitività e di salario, la gestione delle crisi aziendali e occupazionali, gli investimenti e l'avvio di nuove attività. Nel testo… si ricorda esplicitamente che la contrattazione in deroga è «diffusa nei principali Paesi europei» ed ha consentito – nel caso della Germania – «di rafforzare le relazioni industriali e di farne un elemento determinante della ripresa economica».
    La proposta di Scelta civica contiene anche il vecchio cavallo di battaglia della semplificazione che il senatore Pietro Ichino ha lanciato da tempo: un nuovo Codice del lavoro fatto di poche norme che razionalizzano la moltitudine di regole che si sono stratificate negli anni in modo da restituire al mercato (interno e internazionale) un quadro regolatorio facilmente compensibile e «traducibile in inglese».
    Altra novità forte forme arriva in materia previdenziale... «decontribuzione parziale dell'aliquota contributiva obbligatoria verso schemi previdenziali integrativi in particolare a favore delle giovani generazioni». In pratica si punta si schemi di opting out per consentire ai lavoratori… di destinare al finanziamento di una forma di previdenza complementare una parte della loro contribuzione obbligatoria. L'idea di fondo è di …«distribuire il proprio rischio previdenziale su di una quota pubblica a ripartizione ed una privata a capitalizzazione», senza dover sostenere maggiori oneri. Mediante le soluzioni di opting out si otterrebbe certamente una copertura pubblica inferiore ma «sarebbe possibile ottenere rendimenti più generosi sui mercati».” Direi che è tutto chiaro no? Meno regole, flexsecurity, meno incidenza sullo stato della spesa per il sociale, con la possibilità per il lavoratore italiano di poter ovviare alla sua condizione di working poor la possibilità di affidare parte dei suoi contributi ai fondi pensione privati. Ma, domanda retorica, se fanno la fine di quelli USA poi io che cazzo faccio (scusate il francesismo)? Allora a che cavolo serve la nostra Costituzione se è fondata sul lavoro e se è lo Stato stesso che deve garantire una vita dignitosa ai suoi cittadini (per ritornare agli accorati appelli…)?

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    1. La nuova macroeconomia classica si ripete fino alla noia, finchè, di shock in shock, non "sfinisca" ogni resistenza e giunga all'abolizione dello Stato e alla privatizzazione totale-efficiente allocazione delle risorse.
      L'arretramento, rispetto al rapporto Beveridge se proprio vogliamo, è evidente.
      MAI che nessuno sia capace di dire che la previdenza pubblica, (peraltro specie se in presenza di repressione finanziaria e di Glass-Steagall, per intenderci) è in sè un fattore di stabilizzazione finanziaria.
      Che invece perseguono solo con l'accentuazione del profilo di rischio sistemico e negandone ogni realtà. Non c'è "moral hazard": la colpa è tutta dei lavoratori che non sono abbastanza produttivi o abbastanza qualificati...o abbastanza disoccupati.

      Temo fortemente che il "loro" tramonto coinciderà con l'arrivo di una nuova crisi finaziaria da OTC (che non gli consenta più di affermare che i "mercati" sono efficienti)

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    2. Infatti lo penso anch'io, ed il voler continuare a liberare risorse da avviare verso la speculazione finanziaria (via taglio welfare, sistemi pensionistici ecc.) va proprio in quella direzione. Ma qui veramente siamo al delirio onirico. Quello che mi meraviglia, nonostante tutto e nonostante sappia quali siano i fini, è che NESSUNO, dico NESSUNO (non mi rivolgo a noi, bensì alla classe dirigente italiana), si faccia un esame di coscienza e cerchi di mettere dei paletti invalicabili. Siamo veramente in presenza di individui, di fatto, che recepiscono acriticamente ogni direttiva imposta dall'alto senza mettere in conto a quanta sofferenza espongano le persone che ne subiscono gli effetti. Non mi meraviglio di Berlusconi, o della Lega (che, a conti fatti, espone gli stessi discorsi che la Merkel fa verso noi meridionali europei, quando afferma che le tasse devono rimanere al Nord..). Quello che mi devasta è vedere come siamo soli in mezzo alle belve. Come anche chi ci dovrebbe rappresentare (Pd, Sel, CGIL) veda come solo ed ultimo fine questa idea, che scusate ma a me pare alquanto stupida e fuori dalla realtà, di voler mettere insieme tutti nello stesso appartamento da 80mq che è l'UEM: italiani, spagnoli, francesi, tedeschi. Ma, io dico, possibile che dopo quanto affermato dalla Merkel a Davos, nessuno si sia indignato? O quanto oggi detto dal commissario Rehn non faccia trasalire per la sfacciataggine con cui si enuncia apertamente il "golpe bianco" avvenuto in Italia nel novembre 2011? Ma siamo talmente stupidi da voler la morte dei debitori? Anche Brancaccio lo dice: "i debiti si pagano solo se i redditi crescono"! E come crescono i redditi (o non calano) in una situazione di crisi come quella odierna? Grazie alla mano, quella si, invisibile dello Stato, che nel caso in cui tu perda il lavoro, ti soccorre con una indennità di disoccupazione, non facendoti pagare i ticket sanitari, agevolandoti "anti-ciclicamente", dandoti quindi la possibilità di non rimanere "al verde" e quindi di stimolare i consumi interni. Che, come dice bene De Nardis De Nardis risultano imprescindibili anche per le "competitive" imprese export italiane, senza la quale esse stesse possono cadere nel credit crunch. Oh, in merito all'"efficienza dell'allocazione risorse" del capitale ed agli investimenti in Italia, segnalo questi passaggi di Daniel Gros: “La mancanza di investimenti non sembra essere stata la causa della pessima performance dell’Italia in termini di crescita ... Durante il decennio 1999-2008 il tasso di investimento italiano medio in percentuale del Pil è stato del 20,8 per cento contro una media europea di 20,9 e ben al di sopra del tasso tedesco 18,9. Il vero problema dell’Italia è la scarsa produttività del capitale...La contabilità nazionale ci dice che nell’aggregato il risultato delle scelte di investimento è stato scarso. Stimolare più investimenti senza cambiare il sistema finanziario che guida le scelte dei progetti può soltanto aumentare lo spreco…
      Nel dibattito sulla crescita... sorprende il silenzio assordante sulla questione del mercato dei capitali dove si annidano inefficienze ancora più macroscopiche.".

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    3. carissimo Flavio, sono sicuro che apprezzerai questa descrizione del "sogno americano" , facilmente adattabile al "fogno EUROpoide" ....:
      http://www.youtube.com/watch?v=4fWO3bExyCg

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    4. Tragically hilarious!
      Questo Carlin sì che parla chiaro :-)!

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    5. Carissimo Bargazzino, grazie! Ho apprezzato moltissimo. La visione del monologo ha scatenato in me un "ossimoro emozionale": un'amara ilarità proveniente dal profondo del cuore. Come ben dice 48: tragically hilarious!!! Grazie ;)

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