venerdì 31 ottobre 2014

1978 E 1992. PARTE II (1992: tra favolosi anni '80 e Maastricht)- Con precisazione aggiuntiva

Milano, 28-29 giugno 1985: Craxi «europeo» al Castello Sforzesco


1. Abbiamo visto che il "perno" storico del 1978 si incentra su alcuni precisi elementi, tra loro connessi: 

a) la necessità di combattere un'inflazione di cui, al tempo, si riconosceva, da parte di politici di governo e media, la causazione prevalente da parte degli shock esogeni legati alle crisi petrolifere mediorientali (cosa poi gradualmente cancellata dalla memoria mediatico-collettiva). 
Tuttavia ci si avviava, tra alterne vicende che abbiamo passato in rassegna, a combattere l'inflazione anche a costo di sacrificare una crescita che apparve, non si sa bene perchè (i dati non confermavano tale visione), troppo legata alla domanda interna ed alla scarsa competitività estera dell'offerta italiana. 
E questo sebbene i deficit delle partite correnti non solo fossero (in precedenza) dovuti essenzialmente all'importazione energetica, ma risultassero essere stati corretti ed assorbiti già alla fine degli anni '70, - e ce ne dà atto lo stesso Giavazzi d'antan!-; e tutto ciò per via di politiche di cambio flessibile, di monetizzazione del deficit pubblico a tassi controllabili dal tesoro, e di sostegno fiscale dei redditi attraverso la c.d. fiscalizzazione degli oneri sociali;

b) la lotta all'inflazione e l'orientamento alla competività estera, simultaneamente perseguiti come "ammodernamento", prendono forma nelle prime enunciazioni "forti" di Pandolfi e Andreatta come "nuovo modello di sviluppo" e si indirizzano verso una "politica dei redditi" - locuzione, sostitutiva di "deflazione salariale" che Galbraith ci dice nascere negli USA all'interno della reazione neo-liberista all'egemonia culturale keynesiana. 
Andreatta riterrà necessaria tale politica dei redditi da subito, in connessione all'introduzione immediata del "vincolo di cambio", cioè al peg sul virtuoso marco tedesco, e non esiterà a definirla "“selvaggia” e “feroce”;

c) i propugnatori della priorità di tale "politica dei redditi", incontravano resistenze nei precedenti assetti politici di cui la (parziale) "monetizzazione" del debito deliberata dal governo Moro nel 1975, la stessa idea di quest'ultimo di governi di "unità nazionale" trovavano contrafforti di mediazione prudente in figure come Paolo Baffi, che spingeva per "l'atto sedizioso" (secondo Carli) di una dichiarazione di indipendenza della banca centrale ma esitava sull'immediata sostenibilità, in termini di consenso politico, di un vincolo monetario imposto dall'entrata nello SME (trovando l'opposizione netta di Spaventa); 
d) l'uscita di scena, conunque tragica o drammatica di Moro e Baffi, tra il 1978 e il 1979, trova il suo rilevantissimo fatto intermedio nell'adesione italiana allo SME.

2. Da allora, l'agenda è fissata: il monetarismo di matrice friedmaniana mostra la sua suggestione monopolizzatrice, evocata dallo "Statuto della moneta" quale indicato dal governatore Ciampi, - subentrato a Baffi-, mentre lo SME implica quella politica di alti tassi che introduce l'atteggiamento unidirezionalmente "severo" (cioè solo in senso deflattivo) che da allora in poi caratterizza la banca centrale
Ogni banca centrale "occidentale", caduta preda "della", e mai più uscita, "dalla" precomprensione monetarista.
E naturalmente questo atteggiamento è teorizzato come possibile solo in condizione di indipendenza, dal governo, dello stesso istituto centrale: il "divorzio" che puntualmente arriva, - con tutti i suoi effetti cumulativi sulla crescita del debito pubblico -, nel fatidico 1981, culmine del processo imperniato sul "1978". 

Ora politica monetaria severa e politica dei redditi, cioè controllo dell'inflazione scontando la relazione inversa tra aumento della disoccupazione e costo del lavoro, (lasciato al solo libero gioco di domanda e offerta), sono i capisaldi dell'ordoliberismo
Che, da quel momento (SME+divorzio), tramuta la sua strategia, in precedenza congeniale alla competitività mercantilista tipica della Germania, in una identificazione totale con la "costruzione europea". 
E lo fa in modo aperto, dopo che già col rapporto Werner del 1971, la prima formulazione ufficiale della moneta unica aveva fatto il suo esordio, rimanendo abbastanza in sordina. Ricordiamoci di questo dato del 1971.

L'ordoliberismo, abbiamo visto,  abbraccia senza esitazione la versione della politica economica monetarista, elemento (non unico) che accomuna, con esplicita ammissione e testimonianza scientifico-biografica degli interessati, Hayek, von Mises e lo stesso Roepke.

3. Ma l'ordoliberismo, lungi dal proporsi come una "terza via" rispetto all'alternativa tra economia collettivista e neo-liberismo (ce lo dice lo stesso Roepke linkato), si manifesta come una via di re-instaurazione del liberismo tout-court che predica la disattivazione (radicale) dell'intervento dello Stato, nell'economia industriale e nel welfare (parimenti avversati) e, appunto, una rigorosa politica dei redditi antiinflattiva. 
Solo che lo fa cercando di mantenere le "strutture" visibili dello Stato costituzionale, di cui inverte gradualmente (fino a rotta 180°) la direzione di perseguimento degli interessi collettivi rispetto alle previsioni costituzionaliste del secondo dopoguerra. 

Ma per far ciò, l'ordoliberismo è strategicamente (e forse anche intimamente) orientato a un forte moralismo, che, elevata a modello etico legibus solutum l'iniziativa economica privata, è selettivamente rivolto al solo "settore pubblico", il nemico da abbattere, la "bestia" da affamare.
Questa aggressività selettiva, si rivolge naturalmente contro i decidenti politici che svolgano (ancora) funzioni di mediazione tra governance economica e realizzazione del programma costituzionale, indirizzando in senso pluriclasse l'azione amministrativa (l'odiatissima burocrazia).
Si sviluppano così, in sinergia col controllo mediatico delle stesse elites, precise dimensioni comunicative di intenso ri-orientamento del consenso:  
- lotta alla corruzione degli Stati interventisti ed ai "privilegi inefficienti e anticompetitivi", costituiti dalla tutela sindacale collettiva e dagli stessi diritti del welfare (pensioni e sanità pubbliche in testa);
- naturalmente, lotta pro-concorrenziale ed antimonopolistica, che porta alla sostituzione del conflitto sociale con la tutela dei consumatori in quanto tali;
- infine, enfatizzazione della tutela ambientale, come compito statale di principale (e forse unico) strumento di welfare collettivo reputato ammissibile. 
- la tutela ambientale viene considerata strumento ammissibile in quanto volto alla sopravvivenza fisicamente sana della forza lavoro...assoggettata alla piena flessibilità salariale, col complemento - sostitutivo di ogni altra forma di welfare pubblico- del reddito minimo universale.
Quest'ultimo, in coerenza col quadro qui tratteggiato, risulta costantemente auspicato sia nella visione hayekiana che in quella di Friedman, nella versione della c.d. imposta negativa. Attenzione: si tratta di sfumature, accomunate dallo stesso meccanismo deflattivo, rammentando che Friedman è il continuatore, a Chicago dello stesso Hayek: e pur nei dissensi relative a certe questioni sul fondamento empirico del monetarismo, si ritrovarono in consonanza nella comune approvazione per il regime di Pinochet.

Questo insieme di parametri,  sono da subito enunciati come indici del "nuovo modello di sviluppo", (peraltro restauratore), e ci forniscono il quadro evolutivo, in termini storici e di frame storico-economico in cui si inserisce il periodo che va dal 1978 al 1992, caratterizzato dalla già esaminata "traslazione" della capture ordoliberista dal solo fronte politico democristiano a quello dei partiti socialisti (o in divenire tali: cioè da marxisti filosovietici e riformisti).

4. La lunga premessa ora svolta, ci consente di capire come il dopo-1978 coinvolse un'immediata virata politica che preannunziava questa "traslazione" in forma aperta (sebbene serbandone la gradualità nella percezione della "base": e si tratta pur sempre di ordoliberismo).
Abbiamo detto del divorzio come punto di arrivo...del 1978. 
La fase di consolidamento e di traslazione a sinistra dell'ordoliberismo, sul versante del PCI, si apre nello stesso anno: Berlinguer ratifica l'evoluzione (in un'intervista del 1981, significativamente, a Eugenio Scalfari!) e pone sul tappeto la famosa "questione morale".

E' proprio in questa fase che "a sinistra", l'aspirazione di governo diviene un fidanzamento(di segno opposto al diverso "divorzio" tesoro-bankitalia) tra nuovo "modello di sviluppo-costruzione europea-vincolo esterno, inteso quest'ultimo come supremo valore "etico",  e sinistra-che-invoca-la-"Riforma"-dello-Stato": ciò segna anche l'arresto della spinta costituzionalista del 1948, basato sul principio della tutela del lavoro e della retribuzione reale.
Tanto che alla "questione morale" Caffè sentì l'esigenza di richiamare Berlinguer con queste parole, riferite alla "cooperazione" politico-economica giustificata sotto l'etichetta della "questione morale":
"...Gli effetti (della cooperazione di unità nazionale) sull’economia italiana sono stati, pertanto, quelli di un apporto di rilevante importanza a una gestione dell’economia di corto respiro, che va avanti giorno per giorno, ma senza che siano in vista traguardi plausibili.
Frattanto, la critica del cosiddetto assistenzialismo, in quanto si presta a deformazioni clientelari; il ripudio di ogni richiamo alla valorizzazione dell’economia interna, in quanto ritenuta contrastante con la “scelta irrinunciabile” dell’economia aperta; il frequente indulgere al ricatto allarmistico dell’inflazione, con apparente sottovalutazione delle frustrazioni e delle tragedie ben più gravi della disoccupazione, costituiscono orientamenti che, seguiti da una forza progressista come quella del Partito comunista, anche se in modo occasionale e non univoco, possono contribuire ad allontanare, anziché facilitare, le incisive modifiche di fondo che sono indispensabili al nostro paese.
In ultima analisi, ho l’impressione che l’acquisizione del consenso stia diventando troppo costosa, in termini di sbiadimento dell’aspirazione all’egualitarismo, della lotta all’emarginazione, dell’erosione di posizioni di privilegio: aspirazioni che si identificano in quel tanto di socialismo che appare realizzabile nel contesto del capitalismo conflittuale con il quale è tuttora necessario convivere."
5. Abbiamo parlato di "fidanzamento" (cioè nozze in vista che appaiono inizialmente soggette a naturali opposizioni...) tra l'allora PCI e  l'ordoliberismo e ciò equivalse ad un'accettazione implicita, per fatti e formule di sostanza politico-economica concludenti, più che ad un'enunciazione programmatica, al tempo troppo rischiosa per il consenso.
Ma la spinta a questa "traslazione" fu "necessitata", come spesso capita quando entra in gioco l'enorme lucro politico del controllo sociale consentito dall'appoggio del capitalismo finanziario: se non altro risultò imposta dalla penetrazione evidente e molto sostanziale dell'ordoliberismo nell' "altra sinistra", cioè nel partito socialista. In particolare, quello dell'era di Craxi. 
La concorrenza "a sinistra" del PSI, divenuto forza centrale di governo, costrinse il PCI, negli anni '80, ad una strategia di rincorsa stop-and-go sul terreno del vincolo esterno e delle politiche dei redditi (sempre per le resistenze interne, - ben più forti di quelle che incontrò Craxi nella "sinistra" socialista-, resistenze che, via via, si affievolirono in concomitanza col dissolvimento dell'impero sovietico).

La vocazione europeista, pro-vincolo esterno e deflattivo-riformatrice di Craxi lascia un'eloquente tracciato agli atti. Lo abbiamo già visto:
"Craxi fu Presidente del Consiglio proprio nel 1983-1987. Fu il propugnatore, senza esitazione alcuna, della prosecuzione dello SME, divenendo il proponente della scelta della lira pesante, nonchè delle  "riforme" (di superamento dell'assetto costituzionale del '48)."

6. Ma andiamo con un certo ordine, sempre rammentando che l'ordoliberismo programma la sua stessa  realizzazione in forma graduale, servendosi dell'anticipazione culturale, cioè mediatica ed accademica, per preparare le sue "riforme". 
Ecco le più rilevanti misure promosse da Craxi:
a) Sulle politiche dei redditi
"il taglio di tre punti della Scala mobile, a seguito del cosiddetto "decreto di San Valentino", ottenuto con la concertazione della CISL e della UIL, ma contestato dal Pci e dalla CGIL. Quest'ultima abbandonò le trattative e diede vita a massicce manifestazioni di massa, con la collaborazione del Pci, che nel frattempo scatenò in Parlamento un ostruzionismo durissimo. Il decreto passò con la fiducia e in seguito venne avviata una raccolta di firme che portò ad un referendum abrogativo. Al referendum, che si tenne nella primavera del 1985, Craxi partecipò attivamente alla campagna elettorale a sostegno della sua riforma, riuscendo ad ottenere, a sorpresa, la sconfitta degli abrogazionisti";

b) Sulla lotta all'inflazione. Qui però Craxi produsse una gestione delle finanze pubbliche che, tra effetti sul debito del "divorzio" e esigenza assoluta di crescita del consenso (stretto tra PCI e DC), sarà alla base della correzione fiscale a carico dell'Italia, che segnerà irrevocabilmente, come emerge più sotto, rimedi e contenuti che caratterizzeranno le successive tappe della "costruzione europea". 
Questa si indirizzò, forse al contrario delle previsioni di gradualità di Craxi, secondo una maggior ortodossia ordoliberista, divenuta una spinta internazionalista con l'Atto Unico del 1987 (v. poi). E l'inosservanza, o intempestività di adeguamento, a tale ortodossia, nei fatti gli costò la successiva caduta: 
"Una politica economica di cui rivendicò i successi,[20] l'inflazione, dal 1983 al 1987, scese dal 12,30% al 5,20%, e lo sviluppo dell'economia italiana vide sia una crescita dei salari (in quattro anni, di quasi due punti al di sopra dell'inflazione) diventando il quinto paese industriale avanzato del mondo[21]. D'altro lato però, in quegli stessi anni il debito pubblico passò da 234 a 522 miliardi di euro (dati valuta 2006) e il rapporto fra debito pubblico e PIL passò dal 70% al 90%[22]. Ciò ha fatto dire che la sua gestione del bilancio - sul punto non correttiva degli squilibri accumulatisi nei conti pubblici già nel decennio precedente - ha contribuito a provocare allo Stato l'enorme debito pubblico, decisamente superiore alla media europea

c) Sulla costruzione europea che condusse a porre i contenuti fondamentali di Maastricht
Sull'Atto Unico e sulla successiva negoziazione di Maastricht, possiamo dire che essi iniziarono proprio a segnare la parabola discendente di Craxi, che sottovalutò quanto il "vincolo esterno" fosse in realtà legato alla trasfusione e dispersione della sovranità interna verso l'organismo internazionalista, con la perdita di autonomia di governo nazionale e l'automatica prevalenza del "governo dei mercati" nelle strategie dello stesso orientamento del consenso.
Qui abbiamo la cronaca dei più eloquenti atti ufficiali di provenienza UE (commenti in "courier"):
c.1.) ...Maastricht non fu creata in un giorno e che discendeva dall'Atto Unico del 1987 (entrò in vigore il 1° gennaio). Questa la sequenza (e teniamo conto della presenza governativa di Craxi pro-tempore negli anni cruciali):
"Le principali tappe che hanno portato alla firma dell'AUE sono:
 - La dichiarazione solenne di Stoccarda del 19 giugno 1983.
Questo testo, elaborato sulla base del piano del ministro degli Esteri tedesco, Hans Dietrich Genscher, e del suo omologo italiano, Emilio Colombo, è corredato di una serie di dichiarazioni degli Stati membri sugli obiettivi da raggiungere per quanto riguarda le relazioni interistituzionali, le competenze comunitarie e la cooperazione politica (ndr; vedere come già all'indomani dello SME i tedeschi "premessero" per la moneta unica, misura centrale della..."cooperazione politica"! Altro che splendido isolamento del marco!). I capi di Stato e di governo si impegnano a passare in rassegna i progressi compiuti in questi settori e a decidere, ove opportuno, di integrarli in un trattato sull'Unione europea.
- Il progetto di trattato che istituisce l'Unione europea.
Sotto l'impulso del parlamentare italiano Altiero Spinelli, viene costituita una commissione parlamentare per gli affari istituzionali con il compito di elaborare un trattato per sostituire le Comunità esistenti con un'Unione europea. Il Parlamento europeo adotta il progetto di trattato il 14 febbraio 1984.

- Il Consiglio europeo di Fontainebleau del 25 e 26 giugno 1984
Traendo ispirazione dal progetto di trattato del Parlamento, un comitato ad hoc, composto di rappresentanti personali dei capi di Stato e di governo e presieduto dal senatore irlandese Dooge, esamina le questioni istituzionali. La relazione del comitato Dooge invita il Consiglio europeo a convocare una conferenza intergovernativa per negoziare un trattato di Unione europea.
- Il Libro bianco sul mercato interno del 1985.
La Commissione, sotto l'impulso del suo presidente Jacques Delors, pubblica un libro bianco che individua 279 provvedimenti legislativi necessari per completare il mercato interno e fissa, a tal fine, un calendario e la scadenza del 31 dicembre 1992 (ndr; che come vedete, ed anche infra, era ben già prestabilita e non ha nulla a che fare con la caduta del Muro...salvo previsioni divinatorie paranormali).

- Il Consiglio europeo di Milano del 28 e 29 giugno 1985 propone infine la convocazione di una conferenza intergovernativa (CIG) che viene inaugurata sotto la presidenza lussemburghese il 9 settembre 1985 e si conclude all'Aia il 28 febbraio 1986
."

"..dopo l'entrata nello SME, un altro importante momento, fu l'incontro svoltosi durante la presidenza italiana alla Comunità del 1985
Alla fine di giugno, si tenne a Milano una riunione del Consiglio d‟Europa, dove si fecero ulteriori passi avanti verso un ulteriore convergenza economica. 
In quell'incontro si scontrarono gli interessi Inglesi da una parte e Tedeschi dall‟altra: i primi si opponevano a qualsiasi cambiamento verso un'ulteriore unità, i secondi invece premevano per il contrario.
Quando il cancelliere Helmut Kohl propose di convocare una conferenza intergovernativa (ndr; Kohl non intendeva certo escludere l'Italia e non era, nel 1985, affatto premuto dalla unificazione post 1989) per una revisione dei trattati di fondazione della Comunità Europea, fu subito appoggiato dal francese Mitterand, e cosa inaspettata, dal Presidente in carica della Commissione Bettino Craxi; questi invocò una immediata votazione, dove venne approvata la proposta di Kohl. La successiva conferenza, gettò le basi per l'Atto unico che divenne operativo nell‟estate del ‟87...
Oltre ad essere un‟importante passo in avanti per la creazione di un Europa unità, l'esito del consiglio di Milano, venne acclamato dalla stampa nazionale come un trionfo dell‟Italia: certamente Craxi non fece altro che assecondare il progetto dell'asse Franco-Tedesco, ma con esso, tanto in Parlamento quanto in tutto il paese, iniziava ad emergere un esteso consenso sull‟importanza del processo di integrazione."

4) Sulle "riforme" istituzionali. Ci pare interessante riportare un elogio celebrativo di parte socialista sul Craxi della "grande riforma istituzionale", perchè, pur scritto a posteriori, proietta sulla sua figura una scottante attualità:
"...Craxi, invece, sulla scorta del pensiero socialista liberale dei fratelli Rosselli e di Turati, ha sempre ritenuto che una classe dirigente preparata ed affidabile abbia il dovere di affrontare le questioni, adottando soluzioni che, seppur impopolari, abbiano effetti positivi per tutti, al fine di riscrivere un nuovo patto generazionale, inteso quale accordo tacito tra generazioni in forza del quale i padri adottano scelte affinché i propri figli possano vivere meglio ed in una società più equa.
E, Craxi, coerentemente, sui giovani ha sempre investito sin dal suo insediamento, realizzando, lui davvero, la ‘rivoluzione dei quarantenni’, nella quale furono coinvolti giovani competenti e lungimiranti, le cui capacità sono divenute patrimonio della storia politica ed istituzionale del Paese.
E, oggi come allora, la classe dirigente non può esimersi dall'affrontare i temi delle grandi riforme nel nostro Paese senza una visione socialista liberale, guardando ai bisogni delle famiglie monoreddito, dei giovani, dei disoccupati, delle donne; ad una riforma del lavoro che, partendo dalla modernizzazione dello Statuto dei Lavoratori, possa garantire pari opportunità di accesso alle giovani generazioni individuando il merito come criterio di selezione.
Allo stesso modo, un welfare assistenzialista e scevro da qualsiasi valutazione di sostenibilità economica e sociale, è a sola difesa di posizioni di conservazione dello status quo, e dei relativi privilegi, e non può essere da noi difeso. Anzi, attraverso un sistema di workfare, riteniamo che la vera tutela sociale si realizzi solo con politiche di sviluppo e di flessibilità del lavoro che permettano ai giovani di realizzarsi sia in ambito lavorativo che sociale."

7. E concludiamo la cronaca della "preparazione" all'evento di Maastricht del 1992, cioè della supercostituzionalizzazione dell'ordoliberismo, ben chiara ad Amato
Essa fu effettuata dalla Commissione Delors, ma poteva dirsi  prefigurata fin dal ("trionfale"?) 1985 in termini pressocchè omogenei ed in contenuti ordoliberisti ben riconoscibili: dall'economia sociale di mercato alla Banca centrale indipendente pura, alla valuta unica. 

Per giungere a tale fase finale dobbiamo oltrepassare Craxi presidente del Consiglio ed arrivare alla fase del CAF. Molti ne potrebbero rammentare le vicende; altri più giovani, no.
Ma nell'ottica qui prescelta, è opportuno ricordare che ormai un processo si era saldato: l'europeista Andreotti e il social-liberale Craxi sono proiettati, "a loro insaputa" (circa le ricadute dell'ordoliberismo), verso questa supercostituzionalizzazione, che usa la leva "morale" per colpire la democrazia nei suoi difetti fisiologici, trascurando ogni rimedio che non sia la sterilizzazione della stessa.

Forse gli esiti della trasformazione da essi stessi avviata non furono ben chiari ad entrambi questi fondamentali protagonisti; forse prevedevano un "rispetto" maggiore delle prerogative "politiche" nazionali, in base ad una etichetta che era parsa contraddistinguere i precedenti passaggi della costruzione europea.  
Ma i gentlemen agreements non hanno più posto nel mondo della liberalizzazione dei capitali e della German Dominance.
Sta di fatto che prima l'uscita dallo SME e quasi simultaneamente la vicenda di Mani Pulite, segnano la fine di entrambi
8- Proiettato nella sua dimensione "sovranazionale" incombente, il "governo dei mercati" è ansioso di avviare il ridisegno della società italiana verso la "Grande Società", e i gestori politici del vecchio Stato, che pure avevano contribuito già a deprivare della sua primigenia sovranità costituzionale, non trovano più posto. Tra "moralismo" anti-corruzione e rilancio liberoscambista immediato, gli equilibri erano per sempre cambiati. Ma questa parte della Storia (se seguite questo blog...) la sapete. 

Ecco (pag.32) il brano menzionato all'inizio del periodo che precede:
"Altro importante passo verso l‟Europa venne effettuato nel gennaio del 1990, durante il sesto governo di Giulio Andreotti
Su proposta del ministro Carli, Andreotti prese la decisione di portare la Lira nella banda ristretta di oscillazione: questa mossa si basava sulla continuazione del positivo ciclo dell'economia italiana, sulla speranza che i mercati non penalizzassero l‟Italia per la condizione disastrosa dei suoi conti pubblici e sull‟auspicio che gli esportatori non risentissero di un cambio meno favorevole. 
Pochi mesi dopo venne concessa la piena libertà di movimento dei capitali a breve termine in accordo con il completamento del Mercato Unico.

Sul finire dell'anno, Andreotti prese un'altra importantissima decisione per il cammino di un‟Europa unita: convocato il Consiglio europeo, convinse tutti i partecipanti esclusa la premier inglese Thatcher, che la seconda fase dell'unione economica e monetaria avrebbe potuto iniziare nel gennaio '94, e all'ultimo momento riuscì a mettere ai voti, una conferenza intergovernativa per discutere dell'unione politica che in realtà significava una riforma delle istituzioni comunitarie.  
La proposta fu approvata con il solo voto contrario dell‟Inghilterra, cosa che in seguito porto alla fine della Thatcher, e quando il consiglio si riunì due mesi dopo, John Major aveva già preso il suo posto.  
Andreotti continuò a mantenere un ruolo di primo piano nel processo che porterà agli accordi di Maastricht del 9-10 dicembre 1991 fino alla firma del trattato il 7 febbraio del 1992. 

Con l'introduzione dell'Atto Unico, il mercato comune fece enormi progressi, affinché esso fosse percepito da risparmiatori, imprese e consumatori come un unico, grande mercato interno, accessibile in tutte le sue articolazioni nazionali.
Sempre sullo stesso piano si andava affermando sempre di più l'importanza annessa al parallelismo tra istituzioni comunitarie, e Governi nazionali, entrambe erano consapevoli che il progresso verso una coesione monetaria, resa possibile dallo SME, aveva bisogno di un corrispondente avanzamento dell‟integrazione delle economie. 
Con l'Atto Unico, si riuscì ad evitare che lo SME facesse la fine del Serpente, tutto ciò serviva a riprodurre le condizioni poste dalla teoria delle aree monetarie ottimali.

...Negli otto anni successivi agli accordi dello SME, ci furono undici riallineamenti dei tassi centrali, l‟ultimo nel 1987
La stabilità raggiunta aveva generato un ottimismo che cresceva di anno in anno, certamente non erano mancate tensioni dopo l'87 sui mercati dei cambi, ciò dipendeva soprattutto dai movimenti destabilizzanti tra il cambio dollaro/marco: il secondo si rafforzava sempre di più in seguito alla sua posizione di metà privilegiata dei fondi liquidi in fuga dal dollaro, per poi indebolirsi nel momento in cui essi tornavano ad essere investiti in attività denominate in dollari.
Siccome le altre monete dello SME, non possedevano questa capacità di attrazione, derivava una correlazione negativa, si indebolivano rispetto al marco quando questo si rafforzava sul dollaro. Questa dinamica deve essere inquadrata in un contesto più articolato, che fu una delle caratteristiche principali del Sistema Monetario Europeo, e che porterà per alcuni versi al crollo di esso. 
La letteratura chiama questo meccanismo German Dominance, con esso si intende la potenziale instabilità determinata dal ruolo egemonico nello SME della Germania (Cfr. qui, nota 4, per l'analisi esplicita che ne fece Prodi...nel 1990)".

8. E, dunque, si sapeva, come ammise poi Amato, che tale situazione di sarebbe riprodotta anche nell'euro.
Ma l'appetito di instaurare la costituzione sovranazionale ordoliberista, (il potere essere TUTTI COME LA GERMANIA) prevalse sopra ogni elementare ragionevolezza. 

(ADDENDUM) E così, il cammino restauratore della costruzione europea, si organizzò strategicamente e irreversibilmente con il trattato di Maastricht. 
Il "moralismo" ordoliberista, al servizio di un'economia finanziarizzata sulla deflazione e sulla germanizzazione, export-led, avrebbe dovuto cristallizzare l'effetto Mani Pulite e i "privatizzatori" dell'industria pubblica divenire i padri di una nuova non-Patria, nel nome della deflazione salariale e del lavoro-merce. Rigorosamente e indiscutibilmente "etici" e magari pacifisti.
Ma non andò esattamente così per i primi complessivi 20 anni (circa), pur tentandosi in molti modi, che non potevano essere mai sufficienti, proprio perchè, inaspettatamente, si registrò una (sia pur minima) competizione elettorale interna al Paese: la ricerca del consenso determinava limiti invalicabili alla "militarizzazione" della competitività verso l'estero (cioè si doveva ancora tenere un occhio, per quanto titubante, sulla domanda interna).
Il conto ci è stato portato poi
Com'era inevitabile. Accelerando la disgregazione della democrazia costituzionale e instaurando la shock economy pan-europeista e autoritaria... 

Nella prossima puntata parleremo degli effetti del 1992 (o meglio dei suoi costi economici e democratici), prefigurati appunto nel..1993. La Storia dei successivi 20 anni si scrisse in quei 24 mesi...