http://www.chhsroaringred.com/?p=1973
1. Viviamo in "tempacci". Specialmente noi, che siamo prigionieri "fine pena mai" (come sostengono ESSI) dell'€uro pacificazione e, quindi, del bis-linguaggio liberista nel fulgore imperante del suo strapotere.
Dico questo perchè ben sappiamo, ormai, che ESSI, gli "odiatori dell'umanità", si affrettano ad arraffare tutto quello che possono, un "pochino" sospettando che il meccanismo non gli consentirà di farla franca per sempre (come invece ci raccontano, a reti unificate 24 ore su 24).
Sappiamo pure che gli USA - e le vicende della Grecia ce ne hanno dato un'applicazione concreta senza molte possibilità di equivocare- avallano inerzialmente tutto questo senza porsi altro problema che la risoluzione dei conflitti "espansivi" del free-trade, nel breve periodo, e l'instaurazione del libero mercato transatlantico nel medio periodo.
Le due cose sono collegate in ordine logico, poichè un "free-market", - come teorizzavano gli hayekian-ordoliberisti che hanno dato vita all'€uropa- "deve" espandersi ad libitum e, possibilmente, non trovare mai un confine "finale" all'affermazione del potere oligarchico dei mercati.
2. Quando abbiamo offerto questa analisi abbiamo pure precisato che questo "avallo" al massacro dei sistemi costituzionali europei-continentali, portava in sè i germi di una forte miopìa, anzi dell' "eurostrabismo" (che affligge gli ellittici difensori della Costituzione, decontestualizzata dagli effetti dell'€uropa, sul versante italiano).
"Alla fine dei giochi, tutto questo "gioco di potere", è proprio del capitalismo sfrenato, una volta che si sia, nella forma "nuova prescelta", insediato in super-istituzioni e intenda rendersi "bene accetto", appunto, come ordoliberismo.
Il punto debole politico di questa strategia, però, - quello economico è talmente evidente che non ha bisogno altro che di attendere la catastrofe inevitabile- è l'intrinseca visione mercantilista egemone germanica: che si trova a fronteggiare le diverse esigenze del "liberoscambismo" interatlantico, che si fonda su una diversa concezione, molto più pragmatica, della stessa piena occupazione.
Quest'ultima, nella visione sostenuta dagli USA, non è un bene sacrificabile quanto lo è la tutela sociale del lavoro.
I
"consumatori", sebbene ora miopemente "astratti" dalla concezione
"fordista" (che accetta che i salari crescano con la produttività e non
debbano essere sacrificati per una gigantesca redistribuzione, chiamata
attualmente "stabilità dei mercati finanziari"), devono pur sempre
esserci e costituire una massa "matura" di potere d'acquisto, in assenza
della quale neppure la liberalizzazione, per mezzo di un trattato, di ogni possibile servizio (pensioni=fondi finanziari privati e sanità=assicurazioni private) o settore di mercato (magari la stessa difesa), sortirebbe gli effetti auspicati: cioè quelli sui profitti delle imprese che si vedano aperti nuovi "liberi mercati".
...Il problema è che gli
USA, non paiono coscienti di quanto, in Europa, l'operazione di
distruzione del welfare, sociale e del lavoro, che pure continuano ad
auspicare ("le irrinunciabili riforme strutturali"), conduca ad un
assetto di forze che sono poi incontrollabili e, quindi, neppure correggibili con l'introduzione degli strumenti che essi stessi considerano come appropriati.
Non hanno capito che, una
volta accettato di non contestare il legame tra limitazioni del deficit
pubblico e auspicata destrutturazione definitiva del welfare, le
riforme strutturali provocano un effetto politico di rafforzamento delle
tendenze mercantiliste che oggi vorrebbero combattere: si tratta sostanzialmente della sindrome "dell'apprendista stregone", (opposta a quella del "questa volta è diverso").
Una volta evocato il capitalismo sfrenato non si può poi fermarlo a piacimento: il "lavoro-merce" diviene un problema di arretramento oltre gli stessi desiderata dell'improvvido apprendista.
Riusciranno a fermare tutto questo, se veramente sono interessati a questo tipo di "recupero" delle potenzialità dei mercati UEM?
Per farlo devono comprendere le ragioni profonde della loro stessa crisi sistemica (..."l'economia mutilata dell'America"):
il neo-liberismo, non è buono se legato alle "nuove" politiche
monetarie, mentre diviene "cattivo" se trasposto in Europa in forma di
ordoliberismo a matrice mercantilista tedesca".
3. Ecco vorremmo soffermarci su quest'ultimo punto. "Le ragioni profonde della loro stessa crisi sistemica".
Non faremo analisi ulteriori in aggiunta a quelle più volte fatte e documentate dai dati e dalla non invidiabile posizione in cui si trova la Yellen, in quanto economista di rango, consapevole delle dinamiche quasi irrisolvibili positivamente in cui si trova coinvolta con le sue delicate decisioni.
In questo, allo stato, accuratamente lasciata sola, come evidenzia un Krugman sempre più sfiduciato sull'ascolto che i "supply siders" hanno in politica.
Precisiamo che questo è un fenomeno inevitabile, una volta che ammettiamo che il sistema elettorale "liberista-astensionista" (cioè generatore di un crescente e, ad ESSI, propizio, astensionismo) sia inevitabilmente destinato a dare il dominio dell'indirizzo politico ai finanziatori (privati) delle elezioni stesse: e questi sono, inevitabilmente, i maggiori operatori detentori della massa monetaria, cioè gli operatori bancario-finanziari che, alla fine, designano direttamente nei governi i loro "mandatari", esponenziali della super-casta, che governano mediante la "capture" dei vari ragazzi-immagine, che utilizzano come front-star delle loro lobbies elettorali.
Un sistema ora apertamente propugnato come obiettivo finale anche in Italia.
4. Non faremo analisi ulteriori della "loro stessa crisi sistemica", ma ci limitiamo a segnalare come i fatti stiano confermando questa descrizione del fenomeno, quale sopra tratteggiata. E cioè che delle "ragioni profonde", negli USA, siano sempre più costretti a rendersi conto, avviandosi, con la dovuta titubanza, a fare esattamente l'opposto di quello che si sta facendo in €uropa, e segnatamente in Italia, dove si sta assistendo all'uno-due del jobs act e della nuova legge elettorale (anche qui con resistenze politico-istituzionali allo stato evanescenti).
E rendersene conto, implica quantomeno che i media, negli stessi USA, non siano bellamente proni nell'invocare, sempre e soltanto, "riforme strutturali" neo-liberiste e nell'addossare ogni colpa alla corruzione, all'evasione e a cittadini immiseriti, che avrebbero vissuto "al di sopra delle loro possibilità".
La conferma ci arriva dall'apertura di un qualsiasi giornale USA: ultimamente, come vi ho già detto, ho ripreso a seguire l'International New York Times, tralasciando il Financial Times, troppo orientato sul mainstream finanziario euro-centrico per essere ancora sufficientemente indicativo (pur senza giungere ai livelli di bis-linguaggio propri del Sole24ore).
La prima "notizia" che colpisce sul NYT di oggi è quella su Wallmart (pagg.16 e 18), la catena di supermercati economici che è anche il più grande datore di lavoro degli USA (1,3 milioni di dipendenti a vario titolo...). La questione è quella dell'aumento della paga oraria a 9 dollari, nella seconda parte di quest'anno, e a 10 nel 2016.
Sentite cosa fa dire il NYT a Rashad Robinson, direttore di un'associazione per i "diritti civili" che ha appoggiato le richieste di aumento del salario e del numero delle ore lavorate (sullo sfondo dell'uso del part-time, o comunque della riduzione dell'orario di base, variabile "a capriccio" della convenienza del datore WM, cosa essenzialmente agevole per un mercato del lavoro totalmente flessibilizzato, come lo si vuole all'estremo in Italia): "La retribuzione è solo un primo passo sulla strada verso il tipo di rapporto di lavoro che tratti i dipendenti con rispetto, e parte di ciò è stabilire degli standards sugli orari e sulla programmazione del lavoro. Si tratta di creare un ambiente dove i dipendenti non siano esposti al capriccio del datore".
Prosegue l'articolo: "Al cuore del problema di migliori paghe e orari, dicono gli "esperti" (ndr. ergo: completamente all'opposto dei nostri espertoni media-militanti) è la diminuzione del numero dei posti di lavoro "middle-class". Sempre più percettori di buoni trattamenti economici che in passato avevano avuto STABILI impieghi impiegatizi nell'industria manifatturiera devono ora affidarsi su low-wage jobs a Walmart o presso altri discount retailers per mantenere le proprie famiglie".
Su questo fenomeno di deindustrializzazione manifatturiera, non solo deflazionista ma, più strutturalmente, destabilizzatrice della stessa democrazia, abbiamo visto cosa ci dica Rodrik.
E, sempre nello stesso pezzo, un professore di relazioni industriali alla Clark University, Gary N.Chaison, (con un "sorprendente" ribaltamento della vulgata bocconiana ossessivamente ripetuta sui nostri media), fa questa semplice analisi: "Walmart ha sempre offerto posti ai margini della forza lavoro - a gente che stava giusto rientrando in questa dopo anni, ovvero, di supplemento ai redditi di un "coniuge donna". Ma ciò che invece sta incrementandosi è che siano i principali percettori di reddito familiare che lavorarano in tale contesto, poichè molti lavoratori hanno più o meno abbandonato la ricerca di "middle class job".
Ora questi lavoratori sono sospinti in posizioni tipo-Wlamart e stanno domandando paghe più alte, lavori a tempo pieno e altri benefici. Perciò non c'è bisogno che "interpreti": le maggiori paghe a Walmart sono il segno di un declino, di una fase discendente (downturn) economica. Semmai lo interpreterei come "cattive notizie permanenti".
Sono così esposte, in ben poche parole (non affette dal supporto bis-linguistico offerto ad interessi mai ben chiariti), le "profonde ragioni" della "crisi sistemica" nonchè il legame di questa con quel tipo di mercato del lavoro e di non-modello industriale che corrisponde alle "riforme strutturali" professate fanaticamente in €uropa.
Il meccanismo di questa meravigliosa "flessibilità assoluta" al di là dell'ammontare della paga oraria funziona così: "Assumendo un gran numero di lavoratori "a ore", cioè il cui orario può espandersi o contrarsi a seconda del bisogno del business, i retailers possono meglio sincronizzare gli orari alla domanda, dicono gli esperti: affiggendo delle tabelle con limitatissimo anticipo, i managers riescono a minimizzare il rischio di assegnare troppe ore. E restringere gli orari consente anche di limitare gli straordinari e i benefici dei dipendenti".
4. E come può veramente riconquistare una stabile e permanente crescita un paese che, deindustrializza-delocalizza, in base al principio free-trade che il capitale va dove rende di più e che la domanda interna non sia rilevante, in quanto i salari comunque debbono seguire la produttività "reale" e non quella nominale, cioè quella che incorpora anche l'inflazione (per cui i salari rimangono stagnanti quanto lo è la domanda interna e, comunque, ne seguono pedissequamente ogni minima variazione, divenendo perciò pro-ciclici)?
La soluzione di "crescita" finora praticata in USA è che questa sia ottenibile mediante l'indebitamento dei consumatori. Peccato che, com'è noto, - e com'è parte del non-detto che caratterizza gli espertoni della flessibilità assoluta "competitiva"- si arrivi poi inevitabilmente al punto della insolvenza diffusa di questi consumatori e lavoratori, resi collettivamente "marginali" dal mercato del lavoro "riformato" .
5. Il fenomeno del sub-prime consume lending (cioè del credito al consumo fatto a chi non può, prima o dopo, ripagare), riscappa fuori in un altro articolo "I prestatori raggiungono un accordo sui sequestri delle auto" (pag.19).
Qua siamo al culmine della fenomenologia della flessibilizzazione e deflazione salariale applicata anche al pubblico impiego (com'è negli USA, e come la si vorrebbe anche in Italia, tutta e subito, anzi no, anche prima).
Sentite: è accaduto che Santander (un nome una...garanzia) con la sua "Consumer Bank USA" (operativa di credito al consumo), si sia illegalmente reimpossessata delle auto per le quali aveva fatto credito ai militari delle forze armate USA.
Solo che, ci racconta il NYT, "secondo una legge federale (Servicemembers Civil Relief Act), i prestatori come Santander...devono ottenere un ordine giurisdizionale per potersi riappropriare del possesso dell'auto per cui è stato erogato il credito, se i veicoli appartengano a membri in servizio attivo delle forze armate".
Il procuratore presso la Corte federale di Dallas (sede della società di "consumer banking"), ha perciò accusato Santander di aver, nel corso di 5 anni, violato questa legge federale per 760 volte in modo diretto e per altre 352 assumendo i reimpossessamenti avviati da altri "prestatori".
Facendola breve, alla fine, Santander ha raggiunto un accordo di "patteggiamento" per 9,35 milioni di dollari con il Dipartimento di giustizia, la somma più alta mai raccolta da US Governement come sanzione per "illegal repossession of car". L'inconveniente era quello di militari che venivano lasciati senza auto "mentre erano in addestramento o impegnati a combattere in patria o a migliaia di miglia di distanza...".
Non a caso, l'accordo si inserisce, come riferisce sempre il NYT, in una più vasta inchiesta, modellata su quella, sempre federale, avviata sulla vendita di mortgage-backed-securities (cioè di titoli rappresentativi di uno "spezzatino-misto" di crediti ipotecari concessi su immobili a prestatori sub-prime, che, non potendo restituire, diedero luogo alla famigerata crisi del 2007).
6. Ora queste notizie, specialmente per come ci sono riportate, sono abbastanza eloquenti.
Ci raccontano di un paese, gli USA, che le sue ragioni di "crisi sistemica" inizia ad affrontarle; certo, contraddittoriamente.
E' un assoluto paradosso che prima di tutto, i militari impegnati in delicati compiti operativi, - circondati da tutta la enfasi retorica del patriottismo, Hollywood inclusa-, siano ridotti sistematicamente a comprarsi a rate gli autoveicoli di cui si servono per ovvii motivi di lavoro. Che il loro trattamento economico, poi, nonostante siano impegnati, potenzialmente ed attualmente, in missione col rischio della propria vita -e per di più nell'esercito più potente e più dispendioso del mondo!- non li ponga al riparo dalla sistematica insolvenza su debiti contratti per ragioni così fondamentali nell'ambito della loro stessa vita lavorativa.
In parte, dunque, si agisce-informa sulle cause, vedi vicenda Walmart: ma qui con la coscienza che si tratti di "bad news", dato che la deindustrializzazione e lo spostamento, in sè deflazionistico, dell'occupazione (in passato meglio retribuita) dal manifatturiero ai servizi ad alto impiego di fattore lavoro e a basso impiego di capitale, pongono un problema strutturale che esigerebbe ben altri rimedi e ben altri livelli di investimento interni.
Ma almeno, gli "esperti" divendono coscienti del problema nei suoi esatti termini e i media non nascondono questa esatta analisi (evitando il bis-linguaggio, che, portato oltre un certo livello di dissimulazione del vero stato delle cose, diviene un esercizio irresponsabile e nefasto).
In parte si agisce-informa sugli effetti: che senso ha proteggere dalla aggressività dei creditori, consentita come "informale" e privatizzata (tale in via di regola generale: cioè, destatualizzata, escludendo dalle esecuzioni debitorie l'intervento del giudice), e con una legge di mera protezione "federale", i soli appartenenti alle forze armate, senza peraltro rimuovere la causa della loro attitudine alla insolvenza?
Che senso ha prendere atto impotenti della gigantesca redistribuzione verso l'alto della ricchezza nazionale, solo accorgendosi dei livelli di disagio, e di vita senza autentiche speranze in cui, in forza di un mercato del lavoro privo di veri diritti, hanno piombato la maggioranza schiacciante della popolazione (di consumatori-debitori)?
Su questa stessa strada di declino strutturale, l'€uropa - e certissimamente l'Italia- si sono avviati con passo sicuro, senza alcun dubbio o pentimento.
Almeno negli USA, a livello mediatico e di risorse culturali espresse, come abbiamo visto, da gruppi dei "diritti civili", dal Dipartimento di Giustizia, dai professori di economia, ma, soprattutto, dalla copertura mediatica, si indovina un segnale di reazione.
Euro o meno, il paradigma neo-liberista conduce alla catastrofe e, forse, negli USA stanno cercando di fare U-turn prima che sia veramente troppo tardi.
7. Non in Italia, dove la mancanza di "risorse culturali" segnala in realtà, tra espertoni e ragazzi-immagine, la distruzione di ogni vera "cultura".
La conferma?
Sullo stesso numero nel NYT da cui abbiamo tratto questo notizie, si rinviene un articolo (pag.7), sull'Italia naturalmente, di BEPPE SEVERGNINI.
Cosa fa il nostro?
Parte dal presupposto che i nostri ingegneri debbano essenzialmente e principalmente espatriare e andare a fare "tangenziali in Norvegia" e "dighe in Viet-nam" e, perciò, debbano sentirsi in colpa di non parlare abbastanza bene l'inglese, visto che la nostra lingua sarà tanto bella ma è inutile.
Perciò stigmatizza il fatto che, all'idea di rendere obbligatorio l'insegnamento in inglese in tutti i corsi del Politecnico di Milano, i docenti si siano ribellati e abbiano persino ottenuto dal Tar della Lombardia l'annullamento del decreto che imponeva l'uso dell'inglese nell'insegnamento.
Il reale decreto che prevede l'uso della lingua italiana nell'insegnamento universitario è del 1933, dice Servegnini, e perciò "ha da esse' per forza fascista".
E, notare, non gli sta bene neppure quello che, in appello, ha fatto il Consiglio di Stato che, secondo lui, - (ma le cose tecnicamente stanno in modo un pochino diverso, solo che Severgnini è un esperto...di lingua inglese, non certo di rilevanza delle norme di legge primaria che vincolano il giudice, "soggetto" per Costituzione "alla legge" e non alla "cultura" filo-anglosassone di Severgnini)-, avrebbe "soltanto" stabilito che spetti alla Corte costituzionale decidere se l'insegnamento universitario-solo-in-inglese possa violare l'art.33 della Costituzione (per il quale "L'arte e la scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento").
Secondo Severgnini, la questione posta (dal Consiglio di Stato) sarebbe se insegnare in inglese ostacoli il libero accesso degli studenti alla conoscenza.
Per inciso, per smentire che gli studenti in relazione a ciò possano avere anche la più pallida difficoltà, Severgnini poi dice di aver tenuto una conferenza agli studenti al Politecnico, prima in latino (!) e poi in inglese, e questi capivano tutto benissimo, anzi ridevano alle sue irresistibili battute. Il problema sarebbero, secondo lui, questi accademici ultracinquantenni che non si sentivano a loro agio con l'inglese, essendo affetti da pigrizia mentale e provincialismo.
Secondo il "nostro", la vera questione (quella che secondo lui il Consiglio di Stato, questo orrido organo archeo-burocratico, dell'era della Costituzione italiana scritta in italiano), invece sarebbe se le università siano libere di insegnare "in qualsiasi modo ritengano migliore per essere al servizio degli studenti".
8. Interessante quesito, quello così posto, perchè riposa sui presupposti così amati da Severgnini: anzitutto, che la libertà di insegnamento sia (solo) quella, (scissa dai contenuti scientifici!) di adeguarsi ad un'identità linguistica (e quindi anche storica, culturale, politica) diversa da quella che esprime la stessa Costituzione nella quale la stessa libertà di insegnamento viene posta.
E, poi, che la deindustrializzazione e la connessa internazionalizzazione del capitale, siano una questione solo "linguistica", così, senza altre implicazioni.
Quelle stesse "implicazioni" che il resto del NYT affronta invece in modo esplicito e cosciente, cioè in un modo che al "nostro", che vive nel mondo internazionalista meraviglioso degli spot della Coca-Cola, sfugge completamente, in un contrappunto di contenuti - e di consapevolezza di problemi mondiali che nulla hanno a che fare con la conoscenza o meno dell'inglese- che risulta veramente impietoso.
Allora perchè non riscrivere la Costituzione in inglese, prevedendo che tutte le leggi siano poi in tale lingua tradotte?
Ma allora, perchè non preoccuparsi che l'inglese sia stato comunque e in precedenza insegnato nella formazione scolastica precedente a quella universitaria, dato che è scientificamente assodato che l'apprendimento di una seconda lingua si verifica veramente e preferibilmente nei primissimi anni di formazione?
Anzi, considerato che gli studenti italiani devono "necessariamente" andare, nella migliore delle ipotesi, in Vietnam e in Norvegia, (e dando implicitamente per scontato che, in tali paesi, l'insegnamento universitario in inglese sia acquisito come obbligatorio ed esclusivo), e dando per escluso, a priori, che in Italia si costruiscano - o si manutengano- ancora strade e dighe (a che pro? Tanto semmai dovrebbero provvedere gli "investitori esteri" che parlerebbero solo inglese pure loro)- facciamo riscrivere una nuova e migliore Costituzione (in inglese) direttamente a Severgnini.
The expert...