"Il problema è che il passaggio da un'economia basata su export e investimenti ad una alimentata dai consumi interni si sta rivelando più complicato del previsto. Anche perchè il contesto non aiuta. Sono in affanno i paesi in cui la Cina esportava ed, all'interno, sono aumentati i costi: un saldatore che qualche anno fa a Shangai costava 150 dollari al mese oggi ne costa 800.
Poi c'è lo yuan che nel corso dell'anno si era rivalutato di oltre il 15% rispetto alla media delle valute con cui la Cina commercia.
In questa situazione già varie imprese stavano muovendosi per delocalizzare in Paesi dove il costo della manodopera è più basso: Myanmar, Viet-nam, Bangladesh, Pakistan.
Insomma la crisi dell'export è arrivata troppo presto, in un momento in cui non è ancora possibile rimpiazzare questa componente con la domanda interna, sia per la fase di bolla immobIliare sia per la mancata costruzione di sistemi sanitari e pensionistici, senza i quali è difficile convincere la gente a spendere".
2. Dunque, ora lo sappiamo, anzi, ce lo dicono proprio: se non prevedo, - o riduco, continuamente e sensibilmente-, i sistemi sanitario e pensionistico, non posso aspettarmi che la domanda interna, e in particolare i consumi di quanto produco (all'interno, visto che ho costruito un sistema manifatturiero tra i maggiori del mondo e piuttosto differenziato, se non "universale"), possano incrementarsi e sostenere la crescita.
E chissà perchè, ciò vale per i cinesi, ma non vale in €uropa: non vale in Grecia, non vale in Italia, non vale in Germania e via dicendo.
3. Su Cina e...corruzione:
"Certamente ci sono anche nodi politici. La necessaria lotta alla corruzione ha creato tensioni anche perchè questa è molto diffusa: per molti funzionari che hanno una bassa retribuzione, le tangenti di fatto erano un modo per integrare il reddito..."
In proposito, vale la pena di rammentare un parallelismo inquietante, di quelli che i media si guardano bene dal porre in connessione:
Il parallelismo riguarda il problemino dell'immigrazione in €uropa:
"Ci vorrebbe anche un coordinamento fra polizie che non c’è mai stato:
finora, che importava ai serbi di chi sbarcava a Lampedusa? O agli
spagnoli di chi entrava in Macedonia?». La corruzione: nel prezzo del
passaggio è spesso compresa la mazzetta a doganieri bulgari o serbi che
guadagnano 500 euro al mese e «più è grande il gruppo, più sale il
prezzo: 500 euro per dieci persone»."
Poichè neanche Hayek arrivava a pensare che certe funzioni potessero essere totalmente e incondizionatamente privatizzate, mettiamo la funzione pubblica (doganale-fiscale e di ordine pubblico) di controllo dei confini (quelli, i confini, che peraltro, sono "brutti" perchè perpetuano e testimoniano l'esistenza degli Stati-sovrani che tanto male provocano al governo dei mercati, no-limits), si scopre che Statobrutto= spesa pubblica improduttiva= impiegati fannulloni e parassiti=deflazione salariale, contro i "privilegi" di questi parassiti (per stimolare la crescita!), alla fine fa andare in tilt il sistema stesso di pacifica e ordinata convivenza sul territorio (dice il capo della polizia serba, ma potrebbe essere, a maggior ragione, quello di un qualsiasi paese UEM da riformare: "...Per colpire questa gente, ci serve più personale: noi abbiamo solo
trenta poliziotti in tutta la Serbia, e solo cinque che conoscono
l’arabo, per controllare 100 mila migranti.").
Ma non solo, questo allegro atteggiamento della "austerity espansiva", - proprio messo a contatto col mercato globalizzato che, a dispetto delle teorie ordo-iper-liberista, fa emergere e misura l'utilità-produttività di quelle funzioni pubbliche che viene radicalmente negata-, diviene generatore di corruzione.
4. Lo abbiamo già visto, nel debunking dell'emerita stupidaggine di voler misurare la "produttività" del sistema pubblico col metro di un output che gli austeroespansivi non sono capaci di determinare (ad essere benevoli, cioè a tacciarli di mera scarsa conoscenza e competenza):
"Misurare la costosità relativa dei consumi collettivi rispetto ai consumi privati è ambizione di tutti i sistemi statistici, anche se si tratta di una ambizione non facile da realizzare perché
dei servizi collettivi si conoscono le spese sostenute dalle
amministrazioni pubbliche, ma si hanno solo informazioni limitate sul
volume fisico dei beni prodotti con quelle spese: nell’istruzione si conosce il numero degli studenti, ma non quanto è aumentato il valore del capitale umano; nella sanità si conosce il numero degli assistiti, ma non il valore della vita salvata; nella giustizia e nella sicurezza si conosce il numero dei giudicati o dei tutelati, ma poco di più.
Difficoltà di computo a parte, l’ISTAT annualmente rileva l’importo dei consumi collettivi a prezzi correnti e stima i loro valori a prezzi costanti; il rapporto tra le due serie definisce il deflatore, ovvero l’indice di prezzo dei beni di consumo collettivo, che trasforma i valori di spesa monetaria in valori di produzione. Tale indice di prezzo può essere messo a confronto, nella sua dinamica, con l’indice dei prezzi dei beni di consumo privati. Il rapporto tra le due grandezze definisce l’indice di costosità relativa."
Difficoltà di computo a parte, l’ISTAT annualmente rileva l’importo dei consumi collettivi a prezzi correnti e stima i loro valori a prezzi costanti; il rapporto tra le due serie definisce il deflatore, ovvero l’indice di prezzo dei beni di consumo collettivo, che trasforma i valori di spesa monetaria in valori di produzione. Tale indice di prezzo può essere messo a confronto, nella sua dinamica, con l’indice dei prezzi dei beni di consumo privati. Il rapporto tra le due grandezze definisce l’indice di costosità relativa."
4. Comunque la si voglia mettere, l'Istat misura l'output pubblico solo in termini di spesa (pubblica: effettuata per produrre più ampie e NON misurate utilità collettive e individuali), facendo coincidere la spesa pubblica (cioè i costi di produzione) con il "prodotto" dell'esercizio delle funzioni pubbliche; ma non può, e comunque non dice, di misurare altro che queste "informazioni limitate sul volume fisico dei beni prodotti con quelle spese". Il "valore della vita salvata", dal sistema sanitario pubblico, e "il valore del capitale umano" creato dalla pubblica istruzione, ovviamente a certi livelli di costo (e di investimento) pubblici, non entrano in questi conteggi, che tanta schiuma fanno venire alla bocca dei livorosi austero-espansivi.
Sottoposti alla più destabilizzante delle pressioni, quella della grande migrazione (cioè, l'occupazione, comunque la si metta, del territorio abitato da una precedente popolazione), il valore "esterno" delle utilità indivisibili create dall'esercizio delle funzioni pubbliche (teoricamente) essenziali, si prende la sua rivincita: tenere sani e in vita i cittadini, renderli in grado di avere un livello elevato di istruzione e, quindi, di partecipazione politica prima ancora che al lavoro, difendere le condizioni minime di pacifica coesistenza demografica sul territorio, non paiono, forse, tutte queste orrende forme di collettivismo e di spreco intollerabile che ci raccontano i liberisti di lotta e di governo...
5. Ma torniamo alle ammissioni più salienti che abbiamo visto sulle iniziali dichiarazioni virgolettate:
a) "la mancata costruzione di sistemi sanitari e pensionistici, senza i quali è difficile convincere la gente a spendere" e
b) "per molti funzionari che hanno una bassa retribuzione, le tangenti di fatto erano un modo per integrare il reddito".
Come si fa a considerare questi ragionamenti, che individuano le cause di una stagnazione economica che trascende in ambiente generatore di corruzione, validi per la Cina e assolutamente trascurabili per l'Europa?
6. Anche perchè, a livelli salariali, più o meno ormai ci siamo: il saldatore cinese a 800 dollari al mese, mi pare "fare scopa", - incontrandosi da due direzioni opposte-, con la situazione di un operaio dell'Elecrolux ("Per salvare la produzione in Italia gli svedesi di Electrolux vogliono che gli stipendi calino da 1.400 a 800 euro al mese"), ricontrattualizzato e transitato nella deflazione salariale previo adeguato periodo di "contratto di salidarietà", per farlo abituare alla "nuova realtà competitiva".
Sempre di una equalizzazione irresistibile - sul versante €uropeo-, in funzione della competizione esportativa si tratta. Pare proprio che l'equalizzazione sia stata raggiunta: ma non è un problema per una crescita equilibratamente sorretta dalla domanda interna. Lo è solo in Cina (e lo è perché provoca la "delocalizzazione": brutti saldatori cinesi divenuti esosi e, probabilmente, fannulloni, se paragonati agli schiavi del Myanmar e del Pakistan...).
7. Insomma, sulla Cina, l'autore delle dichiarazioni può ben dirsi, come fa in altra occasione della sua recente (e significativa) campagna di esternazioni, “Brutalmente empirico e keynesiano”.
Invece, su quanto accade in €uropa, in perfetta coerenza con le politiche che per decenni ha auspicato e realizzato, siamo invece all'ordoliberismo più classico.
Lo schema è ormai noto, e della sua coerenza logico-economica, non bisogna curarsi troppo.
Bisogna essere competitivi (questo non è contestabile), c'è la Cina (e si va "in automatico"), ci vuole la solidarietà €uropea, ma nei limiti dei parametri fiscali voluti dall'€uropa; o forse non basta (cioè bisogna rivedere i trattati? magari perchè "un giorno verrà una crisi?" Ma allora c'era o non c'era sotto la "magagna"?), perchè il "patto di stabilità è stupido". Perchè non consente la solidarietà, in €uropa: cioè quella solidarietà (fiscale e interstatale!) che i trattati, ben prima che si formulassero i "patti di stabilità", vietano espressamente, coi più forti dei loro divieti: anzi, in linea con l'autodefinizione data prima, "brutalmente".
8. Ma, invece, i trattati, (l'idea, il "sogno", è questo che conta), non sono da mettere in discussione in sè, dopo averli accettati e averne predicato la natura cooperativa e portatrice di pace: i trattati (Maastricht e Lisbona) sono belli e solidali, anche se non li si è letti o compresi bene....
Tant'è che, come soluzione "keynesiana" (o forse "empirica?"), si richiama, anzi si evoca, l'avvento di "qualche politico profetico, come i De Gasperi e gli Adenauer". Ordoliberisti appunto.
L'autore delle dichiarazioni inizialmente riportate e dell'autodefinizione empirico-keynesiana, per chi non lo avesse capito ancora, è Romano Prodi...
He's back: isn't he?
Solvitur expectando.
RispondiEliminaCiao.
carlo (quello del flauto)
Ma Quarantotto, tu dai per scontato che la vita umana abbia un valore.
EliminaSei proprio dèmodè.
p.s.
L'ultimo punto è l'8 non il 6
Corretto: volevo lì per lì sostituitrlo con un 6.6.6.
EliminaHo già parlato di Bognetti: forse il giurista più liberista della sua generazione e in quanto tale per lungo tempo isolato; poi la musica è cambiata (nella sua la relazione finale presentata al convegno dell’Associazione dei costituzionalisti italiani tenutosi a Ferrara l'11-12 ottobre 1991 e dedicato al tema della « costituzione economica » paragonava l'atmosfera con quella, molto diversa, che si respirava al convegno del 1988 alla Cattolica sullo stesso tema (costituzione economica) e che si era concluso, orrore!, con un elogio di Giuseppe Dossetti. Ebbene: "Oggi — lo hanno visto tutti — l’atmosfera è cambiata. Abbiamo assistito a una sfilata di lodi (solo qua e là interrotta da deboli, seppur ferme voci discordi) al mercato, all’iniziativa economica privata, alla concorrenza. Non occorre ch’io dica quanto questa diversa atmosfera sia stata dolce musica al mio cuore. Forse per la prima volta, da moltissimi anni a questa parte, mi sono sentito in concordanza con i sentimenti prevalenti in un convegno dedicato alla costituzione, al diritto, alla politica.
RispondiEliminaLe cause di questo repentino mutamento di musica non sono difficili a indicarsi, se appena si assume, come sempre si dovrebbe, un approccio realistico nell’analisi dei fenomeni e se si ha il coraggio di parlar franco. E le cause, in questo caso, possono riassumersi, sia pur con qualche semplificazione, in una frase sola: il crollo del muro di Berlino e del comunismo come modello mondiale di organizzazione politico-economica delle società.
Perché, a guardar bene, la musica prevalente al convegno di tre anni fa alla Cattolica non era un evento isolato: rispondeva anzi a un Leitmotiv che aveva dominato per molti decenni in tutta la dottrina giuridica italiana che si era comunque occupata di « costituzione economica ». E solo lo sbocco storico grandioso dei fatidici, grandi anni Ottanta può spiegare il mutamento di toni che oggi è dato di constatare." (G. Bognetti, La costituzione economica, Milano, Giuffrè, 1995, pp. 4-5)
Gli va riconosciuta la lucidità. Non era da meno come giurista. Accanitamente filoeuropeista (proponeva una riforma dell'art. 41 che vi introducesse il principio dell'economia sociale di mercato), eccolo in tema di solidarietà europea: "Di fatto, come s’è indicato, le strutture attualmente esistenti dell’Unione europea, poggianti su testi normativi farraginosi e per certi aspetti vuotamente retorici, non possono di
massima operare se non in maniere prevalentemente conformi a un modello neoliberale. Ammettono in certe aree interventi centrali dirigisti e modeste operazioni di supporto « sociale » (nei margini ristretti permessi da un bilancio-nano). Ma per il resto premono sugli ordinamenti statali nel senso della privatizzazione e della liberalizzazione dei medesimi, imponendo il principio della concorrenza e costringendo a cancellare — in quegli ordinamenti che se ne erano pasciuti — molte misure introdotte come « sociali » ma di fatto dannosamente « assistenziali » e ingiustamente protezionistiche.
Questa tendenza delle strutture comunitarie non potrà variare di molto nel prossimo futuro. E la corretta strategia di coloro che hanno cari i valori liberali — e la visione etica loro sottesa — non sembra essere quella del proporre provocatoriamente un modello costituzionale che ha poche probabilità di accoglimento, ma quella piuttosto di ammettere (magari in generiche enunciazioni di principio) profilature « sociali » per l ’Unione in corso di rafforzamento, badando peraltro che i rafforzamenti preservino per quanto possibile il volto neoliberale del sistema.” (Ibid., pp. 238-39).
Lucido, come ho detto.
Ettecredo che essendo "il più liberista" era anche "accanitamente filoeuropeista": se non altro è sicuro che "avesse studiato"
EliminaUn Bognetti (forse non lo stesso) ha pero scritto un eccellente articolo, anni fa, sulla empiricamente mai provata maggiore efficienza delle imprese private rispetto a quelle pubbliche.
RispondiEliminaE Ha-Joon Chang, ECONOMISTA di Cambridge, attualmente tra i più noti al mondo, ha scritto in lungo e in largo, con dati e conoscenze approfondite e non sulla base di giudizi ideologici, che è, in generale, vero esattamente il contrario: l'investimento pubblico, anche industriale, è normalmente più efficiente ed è anche il principale motivo dell'avanzamento tecnologico del settore privato...
EliminaMa se trovi un link gli diamo un'occhiata
Non è la stessa linea nonché attuale settore di ricerca di Marianna Mazzucato?
EliminaAnche: ma con meno attenzione alla fallacità del paradigma freetrade
EliminaCi penZo io: a prima vista sembra almeno interessante.
EliminaComunque che non fosse lo stesso Bognetti non avevo nessun dubbio...proprio neanche l'ombra di un sospettuccio, e non solo per la differenza di ambiti disciplinari: "Nessuno ignora i molteplici argomenti addotti in passato in favore di una larga imprenditoria pubblica. Ma, fatta l’esperienza, si può oggi concludere che il prezzo da pagare, in termini di constatata inefficienza delle imprese di stato, di corruzione, di inquinante invadenza partitica, è troppo alto, e che val la pena di rinunciare all’intero armamentario dello stato imprenditore." (Bognetti, op. cit., pag. 26).
Aggiungo un dettaglio carino: al convegno del '91 menzionato sopra c'era anche Guarino. Che avrà detto?
....un po' di suspense...;-)
(Tutte le citazioni sono tratte da G. Guarino, Pubblico e privato nell'economia. La sovranità tra costituzione ed istituzioni comunitarie, Quaderni Costituzionali, a. XII, n. 1, aprile 1992, pp. 21 e ss.). "Rinunciando ai poteri di determinare autoritariamente ed autonomamente la quantità di moneta da immettere in circolazione, di fissare il cambio, di fissare il tasso di sconto, di elevare autoritariamente la imposizione tenendo conto solo dei fattori interni, ed accettando che la sua struttura produttiva si conformi sulla sola base delle leggi di un mercato aperto, lo Stato si priva di attributi essenziali della sovranità, alcuni dei quali considerati a tal punto intrinseci della sovranità, da rendere persino superflua la loro esplicitazione: in altre parole, proprio con riguardo ai poteri di più diretto intervento nella economia, lo Stato diviene non-Stato."
"La conseguenza più spettacolare è quella, di carattere sostanzialmente riassuntivo, che riguarda la inversione del rapporto tra la dimensione della organizzazione pubblica e l’economia. Non a caso si sono prese le mosse dagli effetti inevitabili e prioritari che l’organizzazione pubblica, per la sua dimensione e secondo la sua qualità, produce sul sistema economico. Si è presupposto che l’organizzazione pubblica costituisca il frutto di decisioni volte al perseguimento di finalità pubbliche ed aventi quindi un carattere strettamente politico. La politica, in un sistema chiuso o moderatamente aperto, è dunque destinata a condizionare l’economia.
In un sistema che sia viceversa totalmente aperto accade il contrario. Sono le esigenze imposte dalla concorrenza tra sistemi o che si riflettono sul piano istituzionale a seguito della partecipazione al mercato unificato a condizionare la dimensione della organizzazione pubblica.”
"Discipline previdenziali ed assicurative, imposizione di oneri in connessione con le prestazioni sanitarie pubbliche, riduzione degli incentivi alle imprese o per le aree depresse, tagli nei fondi di dotazione delle imprese pubbliche, maggiore imposizione fiscale corrispondono ad altrettante misure che, anche se non venissero imposte da specifiche disposizioni comunitarie, si renderebbero egualmente necessarie quale conseguenza del grado di effettività raggiunto dalla inversione del rapporto tra mercato ed organizzazione.”
"Dovendo piegarsi alle necessità derivanti dal mercato unificato, l’Italia sarà costretta a tralasciare l’ulteriore perseguimento degli obiettivi sociali, caratterizzanti del sistema ed additati da norme costituzionali. Vedrà smantellate istituzioni, nelle quali si esprimeva l’economia mista. Dovrà prepararsi a vedere attenuate sinanche misure di protezione sociale, che erano state faticosamente conseguite."
Elimina"E infatti ora in gioco un valore più alto di quelli stessi che si connettono allo stato sociale od ai principi della economia mista. E in gioco la sovranità, che è il valore massimo di ogni sistema costituzionale."
"Si rischia in tali condizioni di inseguire un traguardo impossibile. I sacrifici potranno persino rivelarsi inutili, poiché se non si raggiunge il livello critico è da ipotizzare che nel frattempo il divario si accresca, anziché diminuire. Se ci si mette a correre per salire su un tram che già si è messo in moto, ma non si dispone dello scatto necessario, si rischia solo di farsi venire un infarto!"
"Se si protraesse lo stato di sovranità attenuata, l’esodo dei fattori produttivi raggiungerebbe quantità immediatamente percepibili, le condizioni interne peggiorerebbero, le decisioni economiche e politiche verrebbero prese in uno stato di sempre maggiore costrizione, il divario nei confronti dei Paesi più forti si aggraverebbe, l’Italia sarebbe condannata ad una corsa affannosa per colmarlo o ridurlo senza che il traguardo venga mai raggiunto.
L’Italia non ha che da trarre insegnamento dalla sua esperienza. Nel 1860, con l’unità politica, venne unificato anche il mercato. Ma le condizioni di partenza erano diseguali. I fattori produttivi più vitali gradatamente si spostarono verso le aree pianeggianti e popolose del nord, le istituzioni economiche pubbliche del mezzogiorno dopo qualche decennio scomparvero tutte. Il Mezzogiorno e le isole, nonostante la ormai quasi se colare politica di aiuti, non sono mai più riusciti a riaccorciare le distanze.
Le scelte istituzionali, con le quali ci si deve confrontare, che apparentemente si presentano come meramente economiche e politiche, assumono per la nostra collettività un rilievo giuridico-costituzionale, che è decisivo. Il risultato della parità è conseguibile, sia pure con sforzi intensi e concentrati. Qualora si opinasse il contrario, o si constatasse che non esistono le condizioni politiche o sociali perché i sacrifici pressanti vengano accettati nella prospettiva dei benefici futuri, sarebbe indispensabile ed urgente valutare se non ci si debba proporre nuove e diverse strategie istituzionali."
E sì che pure fa diverse concessioni, che gli valgono un apprezzamento da Bognetti per essersi in parte ravveduto rispetto agli anni '60-'70. L'impressione è che Guarino sia un po' il contrario del vino: più è giovane, migliore è. :-)
Che dire? La tentazione di aggiungere "anche" questo alla stesura del libro è forte, molto.
EliminaIn proposito, oltre a "grazie", devo dirti alcune cose. Ci sentiamo via mail...
Comunque, riflettendoci, la schizofrenia di Prodi non è altro che il disturbo psichico che non può non avere.
RispondiEliminaÈ naturale che chi abbia fatto il patto con il demonio viva nella menzogna, è componente strutturale dell'etica nicciano-orwelliana per cui il falso è vero.
Poiché tutto il paradigma economico neoclassico, con tutte le rivisitazioni ideologiche e pseudoscientifiche liberiste, getta le radici in una flosofia morale che - comprando l'analisi di Corey Robin - adotta un'etica nietzscheana, è "naturale" che la mortadella sociopatica esca con 'ste pseudobizzarrie: come Monti, è troppo stupido per evitare 'ste uscite; ma, d'altronde, sono entrambi remunerati per questo.
Per avere come epitaffio sulla bara della Storia: "siamo dei criminali genocidi". Più o meno come gli utili idioti "front-men" del nazismo.... altro che costruire fattorie sopra i lager!
Insomma, la macroeconomia è solo keynesiana: "empirico" sta per "si sa che funziona a differenza di quella neoclassica". Tutti sanno che funziona per esperienza quasi secolare, ma, come faceva notare Leo Strauss, "certe verità sono solo per iniziati".
C'è un progetto più alto - il Fogno! - che prescrive, per imperscrutabili misteri nietzscheani, la menzogna: i bambini non sono pronti alla "verità"...
Quale, non si sa.
Ma un'idea ce l'avrei: che dietro al super governo-mondiale-per-l'irenismo-eterno ci siano solo gli squallidi interessi di un branco di miserabili parassiti?
(Il progetto potrà funzionare se, e solo se, l'etica nietzshceana che viola il "principio di realtà", per cui ciò chè falso è reale, sarà supportata dall'evidenza per cui gli Ubermenschen saranno in grado di modificare le "costanti universali")
Sono ottimista.
"... la macroeconomia è solo keynesiana: "empirico" sta per "si sa che funziona a differenza di quella neoclassica"..."
EliminaSi sa che funziona è bello e condivisibile. Con alcuni distinguo.
Ad es : per chi?
A me pare che il punto sia un altro.
La macroeconomia che caratteristiche di base deve avere?
Se usiamo la natura non "a vanvara", si dovrà convenire che le risorse naturali disponibili sono tutt'altro che scarse :da un seme se ne sviluppano decine, da un pesce se ne generano centinaia e via elencando.
Si potrà obiettare che i semi e i pesci e tutto il resto hanno parecchie probabilità di diventare cibo. Ma ancora una volta : per chi? Per individui di un'altra specie in maniera pressoché assoluta.
Inoltre ben difficilmente capita che una specie stermini quella di cui si ciba, o che parassita (siamo fortunati che i parassiti contenuti nel bipede implume lo vogliano vivo).
Inoltre e secondo me principalmente, in natura tendono a mantenersi, per così dire "naturalmente , le differenze di potenziale tra le varie parti (tra specie animali e vegetali in competizione, tra terre emerse e acque, tra massa ed energia).
Secondo il mio modesto avviso, il sistema di Keynes funziona mantenendo le differenze di potenziale tra gruppi economici.
Quello classico tende ad azzerarle (dato che il risultato è quello di favorire una esigua minoranza). Senza contare la palese patologia (psichiatrica) di esasperare la competizione intraspecifica. Come ormai si comincia a leggere con una qualche frequenza : almeno noi pochi.
L'applicazione simultanea ("tendenziale") delle teorie di keynesm nel "blocco" occidentale (inclusi i paesi non coloniali), in termini di tassi di sviluppo e, ovviamente, al netto della mancata adozione del "bancor", parrebbe contraddire che le differenze di potenziale fossero mantenute
Eliminahttp://orizzonte48.blogspot.it/2015/08/ma-dove-si-va-puntando-sulla-domanda.html
Al contrario, il modello free-trade acuisce tale differenze (anzi, distrugge proprio il potenziale): di questo stiamo parlando.
A sua volta, chi ha espresso il potenziale (Cina, Russia e India su tutti, dalla seconda metà degli anni '90), lo ha potuto fare eludendo free-trade e condizionalità del FMI....
Credo che Arturo intendesse "differenze di potenziale" nel senso proprio (come nel caso elettrico) di "tensione", in senso positivo. Insomma, "metalinguaggio" che ai seguaci di Lebiniz tendezialmente piace... :-)
EliminaMi smentisca Arturo se non ho centrato affatto.
Ovvero, se ho capito giusto, la vita esiste nei vari "ordini" di sistemi complessi biologici in quanto è anti-entropica: nella "dialettica" presente in natura, l'equilibrio dinamico si propaga nel tempo proprio perché la sintesi tra tesi ed antitesi è diversa da: "solo la tesi" o "solo l'antitesi". Ovvero, la vita presuppone che nessuno degli elementi contrapposti prevalga in modo assoluto sull'altro. Semplicemente perché porterebbe all'estinzione delle specie.... a catena.
Nel momento in cui non esiste alcuna "forza" a riequilibrare le componenti del sistema sociale umano come nel paradigma neoclassico, il risultato non può che essere perversamente "entropico", ovvero assurdamente "dissipativo" per cui le "differenze di potenziale" che sono "l'energia vitale", si spengono. La morte. Il nichilismo assoluto: certo, Nieztsche risolve il problema agli Ubermenschen "canonizzando" la psicopatologia chiamata "nichilismo attivo". Ma questa ha carattere individualistico: a livello aggregato - cioè sociale, dell'umanità - la sommatoria dei nichilismi attivi, nel risultato finale, rimane nichilismo passivo. Di nuovo, la morte. L'estinzione della specie.
E questo semplicemente mette in luce che la classe parassitaria non lo è "in modo naturale" - anche perché, a differenza dell'esempio, gli esseri umani appartengono tutti alla stessa specie: infatti, i "nobili", si oppongono affermarmando di essere una razza diversa, un'altra specie... è evidente che, a livello del macrosistema "biologico", le élite sono il cancro nel sistema sociale che ha la pretesa tipica dei malati di mente di non essere - ESSI - cellule cancerogene: lo sono tutte le altre... quelle che da centinaia di migliaia di anni sono in equilibrio con l'ecosistema.
In Mongolia gli sciamani - autoctoni - discutevano proprio di questo :-)
Vorrei ricordare che - al di là dell'attuale frequenza - su Orizzonte48 le analisi sociali, oltre a essere sempre state supportate da modelli in diverse discipline delle scienze sociali, sono sempre state accompagnate da analisi a livello cognitivo (basti pensare alla "precomprensione") sia ad analisi di tipo psicologico e psichiatrico: non si contano.
Così, giusto per "diritto d'autore"... :-)
@Bazaar31 agosto 2015 21:39
Elimina"Ovvero, la vita presuppone che nessuno degli elementi contrapposti prevalga in modo assoluto sull'altro. Semplicemente perché porterebbe all'estinzione delle specie.... a catena."
Conciso e, secondo me, esatto.
@AP
EliminaPerdona, ti ho chiamato Arturo... ma, come vedi dal commento su Bognetti, è "titolo" assolutamente "qualificante" :-)
Rimanendo sull'osservazione che fai: cosa è che rende possibile la vita ed è attività anti-entropica per eccellenza?
La speculazione finanziaria? Il parassitismo? Il gusto sublime del nobile Uberman della finanza che "trasmuta i valori" dell'Universo?
Per definizione, come prodotto della "faticosa" forza per lo spostamento necessari per mantenere la "l'energia vitale", è proprio il lavoro.
Una domanda del tutto offre topic, LBC non è tenuto a prendete in considerazione, e alla quale si è sicuramente già dato risposta nel blog.
RispondiEliminaUltimamente mi capita di discutere qui a Torino soprattutto di immigrati, accoglienza sì e no, riempatri si e no ecc.
Allora stante la soggezione dell'Italia ai trattati UE ed euristi, un qualsivoglia governo potrebbe intraprendere autonomamente una politica di respingimento, rimpatrio ecc ecc?
La domanda è un ragionamento in cui la premessa parrebbe contraddire la conseguenzialità dell'interrogativo.
EliminaMa più in concreto: volendo, nella difesa dei confini, il respingimento autonomo è perfettamente consentito, salvo il caso dei rifugiati secondo la relativa Convenzione e quello della vaga "protezione equivalente". Insomma, sono scelte politiche largamente autonome e interne
La città spagnola che si chiude col filo spinato anti-immigrati
EliminaRingrazio LBC
RispondiEliminaidem
EliminaSemmai dovremmo domandarci: perchè, simultaneamente e senza alcuna decisione esplicita coordinata, il non respingimento assuma le forme attuali. Come fanno a organizzarsi veramente?
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