mercoledì 30 settembre 2015

L'OUPUT GAP "SPECIALE" ITALIANO: MA IN QUALE COSTITUZIONE SI SOSTIENE DI CREDERE?



1. Da "The walking debt" traiamo questo interessante grafico:

Fonte: Bollettino economico Bce settembre 2015 
Per commentarlo, ci limitiamo a rammentare che l'output gap è il minor reddito che consegue a una situazione (nel periodo di riferimento) di mancato pieno impiego dei fattori della produzione.

2. Nel grafico sopra riportato c'è tutta la storia delle politiche €uropee nella loro (intenzionale) "inevitabilità".
Prima della crisi del 2008, il credito allegro dei paesi del "Nord" europa, esportatori con vantaggio di cambio (che prima non avevano), crea un'illusione di piena crescita: all'arrivo della crisi finanziaria si vede la fragilità del modello di crescita all'interno dell'UEM (cioè ottenuto mediante indebitamento dei paesi "periferici", con effetti negativi sulle loro partite correnti estere); una conseguente minor crescita (da rientro verso i creditori) che si aggrava con l'introduzione dell'austerità; poi, fa registrare un piccolo miglioramento "medio" (nell'area) per effetto della "distruzione della domanda interna", che limita le importazioni; quindi la situazione della crescita "ripeggiora" una volta che l'austerità porta ai suoi effetti strutturali permanenti di deindustrializzazione e disoccupazione; infine, assistiamo a un piccolo recupero che altro non è che l'allentamento dell'austerità, cioè l'attenuazione (non omogenea) dei limiti al deficit spending nei vari pesi debitori UEM, tranne, appunto, che in Italia.

3. L'output gap, infatti, è il figlio prediletto della correzione, spostata sul solo mercato del lavoro, - e quindi innescata da un innalzamento strumentale della disoccupazione (che, per chi volesse capirlo, significa chiusura e minor impiego di impianti produttivi)-, che si impone in UEM non perchè la crisi è arrivata da "oltreoceano", ma perchè l'euro funziona così
Esso, cioè genera, di per sè, degli squilibri commerciali, che non sono correggibili mediante trasferimenti finanziari pubblici, come se si fosse in un unico Stato federale e per di più democratico (cioè che garantisce livelli omogenei di diritti e prestazioni essenziali in tutta l'area interessata). 
I trasferimenti, infatti, sono vietati dai trattati e, fin dall'inizio della loro applicazione, gli scontati squilibri commerciali tra Stati aderenti all'UEM vanno compensati (o avrebbero dovuto essere compensati) mediante la deflazione salariale interna (cioè il solito meccanismo: aumento la disoccupazione e, irresistibilmente, gli occupati, o aspiranti tali, accettano compensi inferiori, anche nominalmente e in modo costante e crescente). 

4. La situazione italiana è poi andata peggio (in termini di output gap), proprio perchè si trattava (un tempo) di un paese sia tradizionalmente orientato all'export manifatturiero, sia portatore di una divergente inflazione STRUTTURALE, (di certo non patologica, come ci vorrebbero far credere) conseguente al suo modello costituzionale, di democrazia - più- avanzata, e alla sua conformazione geografica e demografica.
Quanto peggio, in stretta conseguenza del record (mondiale) di saldo primario registrato in Italia, lo possiamo vedere qui sotto:


Output gap
5. Su come questa storia si sia riversata, tramite le politiche €uropee, sulla struttura economica italiana, lo possiamo vedere, ancor prima della introduzione "ufficiale" dell'euro, negli effetti di Maastricht nel costringerci al mitico avanzo primario di bilancio pubblico (si tratta di risparmio, pubblico, per definizione non convertito in investimenti, e quindi in crescita del PIL, destinato a ripagare creditori finanziari, privati, essenzialmente esteri):
Ecco il saldo primario comparato dei primi 5 Stati membri dell'UE. NB: BASTA DA SOLO A SPIEGARE "PERCHE' CRESCIAMO MENO". Perchè siamo in UEM (e prima abbiamo fatto il "divorzio" perchè eravamo nello SME...insomma il vincolo esterno), just like that, nothing else:
 

Avanzo primario e tasso di risparmio

Ora, a voler essere seriamente preoccupati, considerando che il "problemino" deriva dal paradigma liberoscambista e valutario (cambio fisso in area valutaria intenzionalmente non solidale, con pesanti limitazioni del bilancio fiscale fino al pareggio di bilancio), è mai possibile pensare che il reddito di cittadinanza sia una soluzione?
Finchè, evidentemente, si deve ripagare, attingendo sui mercati, l'onere del debito pubblico in pareggio di bilancio, infatti, finanziare questa "cura degli effetti" non lascia scampo a sanità pubblica, copertura pensionistica (dignitosa) e al risparmio delle famiglie (che è poi la possibilità di avere un'abitazione per chiunque).

La risposta, dunque, può essere positiva solo a condizione di considerare irrinunciabile l'euro e il pareggio di bilancio come drives alla crescita export-led, e , quindi, considerando altrettanto irrinunciabile la conseguente de-industrializzazione e alta disoccupazione in Italia. E non lo dico io: lo dimostra Dani Rodrik.

6. Insomma, a quanto pare c'è sempre qualcuno che vuole arrendersi alla CONDIZIONALITA':

"Se dunque la "condizionalità", stile FMI, è ovviamente orientata a imporre un certo sistema di leggi e regole in campo economico e sociale che risulti conforme a tali interessi prevalenti, originariamente NEI CONFRONTI DEI PAESI DEL C.D. TERZO MONDO, o comunque "in via di sviluppo", il suo irrompere in Europa è dovuto essenzialmente all'adozione del trattato UE-UEM, in particolare della modalità, non certo indispensabile e coessenziale, della moneta internazionalizzata priva di un governo  e di una fiscalità federali. 
Questo tipo di moneta, come teorizzato da Hayek e dagli ordoliberisti della scuola di Friburgo fin dagli anni '40 (almeno), crea quello stato di necessità, per il paese debitore, cui lo Stato medesimo non può porre alcun rimedio, essendo privato della sovranità monetaria e del riequilibrio normalmente raggiungibile con la flessibilità del cambio. A dimostrazione inoppugnabile di ciò, gli Stati che pure aderenti all'UE siano fuori dall'UEM, non risultano coinvolti in questo meccanismo di stato di necessità e condizionalità programmatico e, infatti, possono crescere..."
 diversaal di là di quelli prigionieri dell'eurozona.
Collegamento permanente dell'immagine integrata
7. Insomma, parlare di "reddito di cittadinanza" quando, e fino a che, si sia assoggettati alla condizionalità sovranazionale, - che vieta politiche di piena occupazione e anzi impone di strutturare il suo contrario cioè la "piena occupazione" neo-classica, liberista, dei trattati europei,- è una resa che può essere coerente solo con il pieno sostegno a questo stesso sistema sovranazionale. 
Se così non fosse, si considererebbe assolutamente prioritario il ripristino della legalità costituzionale, tralasciando di cercare soluzioni sui soli effetti e vantaggiose solo per pochi e, anche per i "pochi", per un breve periodo

8. Ma questo presupporrebbe di aver compreso cosa comporti veramente la legalità costituzionale e, dopo attento e lungo (ma essenziale) studio, implicherebbe di avere in essa quella fede "illuminata" dal "raggio di fede" di cui parla Merighi nell'Assemplea Costituente:
"Ci lasci, onorevole Nitti, e con lei tutti quelli che non credono, ci lasci illuminare questa Costituzione con un raggio di fede; che non sarà una gran fede nelle nostre modeste possibilità scientifiche, ma sarà però, ed è, una grande fede nella nostra missione di medici e di organizzatori socialisti" (Applausi)."

lunedì 28 settembre 2015

FELTRI E LA "GRECIZZAZIONE" ITALIANA: TRATTASI DI ORDOLIBERISMO (e anche Kalergy-co)


https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgdxg3xaKC9qTaO0j0MQoBVXzubI16DGmdGyMJPXYaiLnT_sNBvtYHq0r9qxqW77KVeN2ysLR__LJSfyy9KEEh52RpEXq8mD6b3TNZTOD2lkJah0gnqTlb5R1A9gVQ52uszKHEvmYEseq4/s1600/untitled.bmp

1. Vittorio Feltri è considerato (da molti) un acuto commentatore. Tuttavia, rimane un pochino legato ai vecchi schemi, anche quando intenderebbe interpretarne il superamento. Constata che "destra e sinistra" si sono, rispettivamente, "sbriciolate", e poi ci definisce la situazione coi seguenti canoni:
"Cos' è la destra, cos' è la sinistra? Un gran casino. Nel quale non è facile orientarsi. 
La politica di Renzi è ambigua, ondivaga, il presidente del Consiglio un giorno attacca i sindacati, e piace alla destra, che vede in lui un Berluschino affidabile, giovane e battagliero. Il dì appresso egli si lancia nel buonismo più dolciastro e predica la necessità di soccorrere i migranti a costo di trascurare i poveri italiani morti di fame, e in tal modo irrita milioni di cittadini ex berlusconiani che si erano illusi fosse l' uomo della provvidenza.".
Anzi, da questo quadro trae poi la conseguenza: 
"Ciò che manca all' Italia non lo possono recuperare né i progressisti né i conservatori: scarseggiano le risorse e la volontà di trovarle. Il Paese ufficiale tira a campare. Accetta i precetti europei, accetta l' euro, accetta di essere stata mutilata della propria sovranità. Sta agganciata al carro di Bruxelles e non ha il coraggio di distaccarsene. Non è capace di reagire, ha paura di essere autonoma nel mondo globalizzato. Lentamente si sta grecizzando."

2. Allora, poichè ci pare che qualchecosa gli sfugga, chiariamo che tutto quello che denunzia è l'applicazione del paradigma internazionalista dell'ordoliberismo, cioè della specifica forma di neo-liberismo "globalizzato", prescelta dall'Europa e che parte dallo SME e dall'Atto Unico, finendo a Maastricht e Lisbona (e al fiscal compact), passando per il divorzio tesoro-Bankitalia
Evento, quest'ultimo che dà origine alla lamentata "scarsità di risorse", una volta che il "balance of payment constraint" venga per bene incastonato, in una Nazione caratterizzata da un vivace manifatturiero ad alto e medio valore aggiunto, mediante vincoli monetari. Che infatti Feltri menziona (nel caso l'euro), ma non riuscendo, ci pare, a coglierne il legame con le lamentele sul costo del lavoro, l'austerità, la disoccupazione e, per di più, l'immigrazione no-limits.

3. Insomma, se c'è di mezzo l'ordoliberismo dei trattati europei, lo capiamo, la questione semplice non è: e questo col contributo decisivo di 30 anni di slogan mediatici contro il comunismo della Costituzione italiana, che avrebbe consegnato il paese ai "sindacati"; cosa che poi, si dovrebbe pensare, avrebbe prodotto il calo dei redditi e delle retribuzioni italiane, unito ad un livello di precarizzazione e di disoccupazione senza precedenti nella storia della Repubblica...Mannaggia ma 'sti sindacati, col loro strapotere, a cosa servono? O no?
Insomma 'sti sindacati che dominano in lungo e in largo e non fanno altro che chiedere assunzioni di gente improduttiva, impedire i licenziamenti dei fannulloni e rivendicare assurdi aumenti salariali, da quando siamo nell'euro, avrebbero veramente esercitato un grande strapotere. Infatti...(notare che, a parità di potere d'acquisto,nel 2001 stavamo sopra: tutta colpa dei sindacati?):

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4. E mica solo "i sindacati" hanno fatto peggiorare le cose con la Germania:

 Il PIL procapite italiano è calato in termini relativi dal 119% della media dell’UE 28 nel 2001 fino al 98% nel 2013. Tale calo ha caratterizzato anche Francia e Gran Bretagna e in misura minore la Spagna, che era invece cresciuta fino al 2007. La Germania invece, che aveva mantenuto un reddito procapite relativo sostanzialmente stabile dal 2000 al 2009, ha conseguito nel 2010-13 un consistente miglioramento.

Sempre i sindacati hanno fatto calare la produzione industriale e quindi scatenato la disoccupazione...dando un magnifico esempio di "strapotere"?

La produzione industriale italiana aveva mostrato una tendenza a un moderato calo nel 2000-2005, seguito da una fase di crescita nel 2005-2008, con trend di crescita più limitato rispetto alla media della zona euro. Dalla metà del 2008 fino ad aprile 2009 la produzione industriale è crollata da un massimo di 106 ad un minimo di 78, analogamente a quanto accaduto in tutto il mondo con la crisi finanziaria internazionale. Dalla seconda metà del 2009 alla metà del 2011 la produzione industriale ha recuperato circa il 40% di quanto aveva perso, tornando successivamente a calare.

5. A proposito di "mancanza di risorse", vediamo l'effetto del divorzio sul debito pubblico e sui conseguenti bisogni di copertura dell'onere degli interessi, abbondantemente superiori al deficit publbico italiano (annualmente e..notoriamente):

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l’Italia ha pagato 3.100 miliardi di interessi in 3 decenni (198% del PIL)


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6. Ma una cosa, sindacati e loro "strapotere-che-ha rovinato-l'Italia" a parte, vorremmo precisare.
Il "buonismo dolciastro" sugli immigrati non è affatto di sinistra: o meglio, lo è a livello "cosmetico" seguendo una tattica culturale che è tipica dell'€-ordoliberismo. Se in proposito avesse dei dubbi, potrebbe leggersi questi post (anche se dubitiamo che mai lo farà):

1) V€RSO LA SCHIAVITU': DALL'ORDOLIBERISMO AL LAVORO MERCE;

2) 1978 E 1992. PARTE II (1992: tra favolosi anni '80 e Maastricht)- Con precisazione aggiuntiva;

7. Ma, già che ci stiamo, in tema di immigrati, ricordiamo che il "mercato del lavoro-merce" (locuzione utilizzata anche da Popper per contraddistinguere il capitalismo sfrenato che pareva sorpassato prima dell'avvento della magia €uropea), funziona tanto meglio quanto è più vasto "l'esercito industriale di riserva dei disoccupati", e Kalergy, uno dei più celebrati fondatori dell'Europa federalista, - un tipo tutt'altro che "comunista"-, lo sapeva benissimo, auspicandone una versione in "meticciato" (di schiavi, stile antico Egitto, distruggendo le identità nazionali europee, cosa che si realizza con la famosa "cessione di sovranità"...). 
Se (mai) questo fosse chiarito, ecco come funziona la sostanza della cosmesi buonista, cioè la strategia internazionalista-ordoliberista, che, lo ripetiamo, è la restaurazione del liberismo tout-court, solo fatta, opportunamente mediante un ordinamento sovranazionale:

"...l'idea (originata da Nazioni Unite sempre più al servizio del governo mondiale ad impostazione liberista-hayekian-kalergico) della "migrazione di ricambio", - idea che sostanzialmente sta al fondo dell'€uro-tecno-cosmetismo-, presuppone un sistema socio-politico che crei e protragga la crisi demografica "autoctona" (cioè un grave fenomeno di denatalità e conseguente "invecchiamento" della popolazione, delle cui cause non si parla mai...senza enorme ipocrisia cosmetica).
E, quindi, presuppone l'avvenuto consolidamento del sistema di "costituzione materiale" neo-liberista globalizzato, che sancisca, (ordoliberisticamente in UEM):

a) la "durezza del vivere", (del cittadino, da privare delle sue parassitarie "sicurezze") come nuovo principio eticamente sano, da imporre extra e contra Constitutionem ai propri cittadini; non a caso tale durezza è implicitamente esaltata, come grund norm del nuovo "ordo", dalla corrente culturale €uropeista che discende da Ventotene. 
Quindi smantellamento progressivo, e intensificabile, dello Stato sociale, mediante tetti al deficit e politiche monetarie deflazioniste, e, inevitabilmente, svuotamento del diritto al lavoro e all'abitazione, nonchè alla piena assistenza sanitaria pubblica, sanciti dalla Costituzione: artt.1, 4 32, e 47 Cost., elementi che non possono non essere   alla base di una ben prevedibile crisi demografica, determinata dall'obiettivo scoraggiamento della natalità (che, infatti, inizia a manifestarsi proprio con l'affermarsi del vincolo esterno, all'inizio degli anni '80);

http://images.tuttitalia.it/grafici/italia/grafico-censimenti-popolazione-italia.png
DA NOTARE COME L'INCREMENTO "RELATIVO" DELLA POPOLAZIONE RESIDENTE, cioè NON DEI NATI DI CITTADINANZA ORIGINARIA ITALIANA, SI COLLOCHI IN PIENO IN TEMPI DI EURO, CIOE' DI VINCOLO ESTERNO €UROPEO INTENSIFICATO, E QUINDI DI ACCELERAZIONE DELLA DE-SOVRANIZZAZIONE DEMOCRATICA ITALIANA.
 
b) il senso di colpa per la non accettazione di quel grado di "durezza del vivere", mediante la comparazione ("tu sei un privilegiato, pensa a chi sta peggio di te") dello status di cittadino con la condizione dei migranti (cittadino, naturalmente, anche reso colpevole dell'invecchiamento e della crisi di denatalità, sulle cui cause ci si guarda bene dal fare la connessione con la spinta ideologica sovranazionale alla "migrazione di ricambio");
c) la tenaglia, creata da contraddittori principi dei trattati applicativi UE, tra i fenomeni a) (durezza del vivere) e b) (senso di colpa "comparativo").
Questa tenaglia mira a rendere accettabile e anzi moralmente dovuto sia l'inasprimento stabile della situazione occupazionale (disoccupazione strutturale "di equilibrio", al 10,5 assunta in UEM, per l'Italia, come pieno impiego) sia la deprivazione di risorse pubbliche (tagli continui alle pensioni, alla sanità e agli enti locali, riducendo il territorio ad una condizione di degrado infrastrutturale para-bellico, oltre alla privatizzazione). 
La "tenaglia" consolida e ci rende assuefatti allo stato di necessità dell'austerità fiscale (passata dall'originario tetto insostenibile al deficit al distruttivo pareggio di bilancio "strutturale").

8. Dunque, ha ragione Feltri sì: ci stiamo "grecizzando" - nel senso che non siamo più in grado di capire le cause e le forze in gioco contro di noi e ci aggrappiamo ai nostri torturatori!-, ma "qualcosa di sinistra" (se assunta, come gli stessi "strapotenti" sindacati, come tutela dei lavoratori) non c'entra nulla.
A questo punto, dovrebbe essere chiaro. 
Una cosa è la tattica cosmetica=apparente (ai cui fini la vulgata mediatica è essenziale), altra cosa è la spietata realizzazione di un disegno di restaurazione del liberismo che nulla ha a che vedere con la, ancorchè pallida, permanenza di una "sinistra". E non da oggi (v. post linkati sopra).

domenica 27 settembre 2015

LE "BRAGHE" DI CORBYN E L'UE. L'ITALIETTA STA UN POCHINO MEGLIO!


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1. Insomma Corbyn, per alcuni, proporrebbe "istanze massimaliste" e sarebbe avverso all'austerità e lo desume da questo programma economico (schematizzato da fonte non identificata):
"a) Il pareggio di bilancio del Regno Unito sarà raggiunto non più con tagli delle spese, ma con incrementi delle tasse.
b) L’imposizione di una paga MASSIMA in UK. Questo contro i guadagni, spesso scandalosi, dei tycoon della finanza.
c) Fine dei “Contratti a zero ore”: contratti nei quali non vi era nessuna specifica riguardo l’orario, che poteva anche ridursi a 0.
d) Un rafforzamento della contrattazione collettiva sul posto di lavoro, omaggio fatto alle vecchie Union.
e) Un taglio fortissimo all’elusione fiscale con  quindi un forte incremento delle entrate.
f) Reintroduzione dell’aliquota marginale massima del 50% o superiore.
g) “Quantitative easing” per la gente e non per le banche, da leggersi come un massiccio investimento nelle infrastrutture.
h) Nazionalizzazione delle utilities e dei trasporti ferroviari. Stop ad ulteriori privatizzazioni."

2. Cosa ci sia di massimalista nello stop ad ulteriori privatizzazioni in UK (!) ci sfugge, ma, ancor di più, in generale, non si capisce cosa ci sia di "antiaustero" nel voler perseguire il pareggio di bilancio.
Nel prefissarsi, cioè, l'obiettivo fondamentale dell'austerità; e questo quand'anche perseguito (come in definitiva hanno fatto in prevalenza i governi "Monti e ss."), mediante maggior imposizione fiscale piuttosto che mediante tagli alla spesa. 
Questi ultimi, proposti da Cameron, semmai, sono un significativo indicatore: cioè confermano che tale austerità era stata tutt'altro che seguita negli ultimi anni, come soluzione, (piuttosto, di ampliamento del deficit fiscale, susseguente alla crisi del 2008: e non parliamo solo di welfare bancario). 

Circa la soluzione anti-crisi finanziaria seguita in UK e la presunta austerità pregressa, perseguita dai conservatori al governo, ci basta verificare sul sito "Office for National Statistics" ("gov.uk!), contenente le stime inclusive di tutto il 2015 - http://www.ons.gov.uk/ons/rel/psa/public-sector-finances/march-2015/stb-psf-march-2015.html
Ed ecco qui, spesa pubblica lorda, entrate e deficit:

http://www.ons.gov.uk/ons/resources/cgcbreceiptsexp_tcm77-402143.png 

3. Niente male per un paese che in Italia si addita a modello di austerità espansiva!  
Certo, dal picco del 2009-2010, c'è una recente moderata discesa del deficit pubblico. Ma niente che assomigli alla misura del deficit degli anni precedenti la crisi (di quasi perfetto pareggio e, ancor prima, di leggero surplus fiscale). 

A suo tempo Alberto mi ha lanciato una scommessa che gli pagherei comunque volentieri (due chiacchiere al Cuccurucù sono sempre un piacere e pagare il conto non risulta una grave afflizione), essendo peraltro, la mia posizione, "vediamo cosa succede...ammesso che vinca mai":






4. Tanto premesso, per capire perchè Corbyn, a fronte di una situazione di public balance sheet in obiettiva espansione, si riveli obiettivamente "austero", perchè tale è la connotazione di chi persegue il pareggio di bilancio, dobbiamo ricorrere anzitutto a una premessa teorica (e raccordarla poi coi "duri" fatti): premessa qui particolarmente rilevante perchè si tratta di quanto analizzato in UK e da Wynne Godley (discorso più ampio che trovate qui):
The main conclusions are as follows. Consider an economy in which neither inflation nor the balance of payments is a constraint on output, so that any permanent increase in demand leads to an equal and permanent rise in output. In such an economy, tax cuts or additional government expenditure are eventually self-financing. They lead to some increase in government debt, but not to an explosion, since this debt will ultimately stabilise. The factor stabilising the debt is the behaviour of output. Following a fiscal stimulus, output will rise and tax revenue will automatically increase. Moreover, the expansion will continue to the point where additional tax revenue is sufficient to halt government borrowing and stabilise the debt. In an inflation-constrained economy, the expansionary process will lead to an unsustainable inflation and the government will be compelled to half the expansion before tax revenue has increased sufficiently to stabilise the government debt. In a balance of payments constrained economy, the government debt will grow without limit because the output multiplier will be too small to generate the tax revenue required to stabilise government debt. The counterpart to expanding government debt will be an expanding national debt to foreigners.

Alberto, a sua volta, ci ha illustrato lo stesso problema del balance of payments constraint (che è anche un inflation constraint, vieppiù in un'economia aperta che sia assoggettata a un cambio fisso entro un'area monetaria imperfetta, problema che UK non ha e non vuole avere), secondo lo schema di Thirlwall.
Insomma, il "vincolo esterno" esiste perchè esiste un'economia "aperta" e il vincolo monetario è (solo) uno dei suoi acceleratori, almeno nella direzione privilegiata della distruzione della tutela del lavoro e della restaurazione del lavoro-merce.

5. Ma perchè, nonostante gli equivoci sulla "radicalità", Corbyn, o meglio il suo ministro delle finanze "ombra", McDonnell, (che è un Cancelliere dello Scacchiere...shadow), si rendono conto che il problema del deficit e del pareggio di bilancio vanno affrontati?
In teoria, se non si comprende questo "perchè", si potrebbe loro imputare una contraddittorietà (non certo una radicalità opposta all'austerità).
Ma la spiegazione risiede in questo eloquente grafico sul saldo delle partite correnti del Regno Unito:

graph_UK_current_account

Nel paper del dipartimento di economica dell'Università di Sheffield da cui è tratto il grafico (sempre su dati del "Office for National Statistics"), ci si chiede infatti:
"La bilancia dei pagamenti del regno Unito è nella zona di "allarme rosso"
E' largamente condiviso che i conti correnti (con l'estero) di un paese entrino nella zona di pericolo per la sostenibilità intorno al 5% del PIL. Invero, il limite del 5% è spesso assunto come un indicatore di preavviso per le crisi nei paesi emergenti. 
Ci sono naturalmente differenze fondamentali tra l'economia UK e quelle dei paesi emergenti, e UK non sta certamente di fronte a una imminente crisi della bilancia dei pagamenti. Nondimeno, sotto molti aspetti il grafico solleva molte gravi questioni sulle prospettive economiche di UK.  
Questo deficit record s'è verificato mentre le attività economiche rimangono sottoutilizzate e l'opinione prevalente indica un significativo output-gap
Nel passato, ampi deficit delle partite correnti si sono tipicamente associati con un surriscaldamento dell'economia - l'unica occasione precedente in cui UK ha registrato un deficit comparabile è stato alla fine degli anni '80, al picco del boom Lawson (ministro della Thatcher delle finanze e dell'energia -leggi petrolio del mare del Nord- e grande regista delle privatizzazioni, ndr.). 
Ciò suggerisce che una prosecuzione della ripresa economica conduca probabilmente a un deficit ancora maggiore (!)..."
L'articolo in questione conclude in questo modo:
"Il trend del dopoguerra (in UK) di un deterioramento del saldo manifatturiero (leggi; deindustrializzazione conseguente a finanziarizzazione dell'economia, nel senso di liberalizzazione dei capitali, ndr.), è stato solo parzialmente bilanciato da una forte performance di export nel settore dei servizi, e la capacità dei servizi di compensare il saldo commerciale negativo (dei beni) è quantomeno dubbia.
Un ribilanciamento dell'economia UK esigerebbe una ben più ampia e prolungata politica industriale rispetto a quanto tentato da TUTTI i governi nel secondo dopoguerra, incluso, naturalmente, il presente governo di coalizione (cioè quello di Cameron)."

5. Ci siamo? 
Per chi volesse verificare i vari dati storici di questa vicenda di abbandono del manifatturiero a favore dei servizi (per lo piiù finanziari o "finanziarizzati") rinviamo a questo post:

THATCHER'S TOUCH: MA COSA MANCA ANCORA DA REALIZZARE? NON BASTA (e avanza) L'EURO?

Ora non saprei dire se quanto finora detto mi dia torto o ragione nella scommessa con Alberto: qualche indicazione al riguardo possiamo averla esaminando i punti complessivi del programma economico di Corbyn spiegabile, però, correttamente, alla luce del "balance of payments constraint" che abbiamo sopra riassunto.

Abbiamo infatti un "programma" che è già una cosa ad incerta realizzazione e, inoltre, che questo programma risulta, come vedremo, in sè di difficilissima realizzazione: vi ostano delle "incompatibilità" logiche ed economiche con la dura realtà con cui si trova a confrontarsi Corbyn.

6. Di certo la fine dei contratti a "zero ore" (cioè stile "Walmart" in USA  o Arbaito in Giappone) e il rafforzamento della contrattazione collettiva (epicamente stroncata negli anni della Thatcher: Pride!) non paiono essere misure nè radicali nè, però, alla Tsipras: vedremo se calerà le braghe su questo punto della tutela del lavoro da reintrodurre...sempre ammesso che si ritrovi mai a governare. 
Sappiamo pure, tuttavia, che rilanciare il lavoro, cioè la tutela dell'occupazione e del salario, non aiuta di certo a correggere, a causa dell'espansione dei consumi interni, il deficit delle partite correnti, specie riguardo a beni (anzi, intere filiere) che non si producono più, avendo deciso, dal tempo della Thatcher, che il mantenimento di un forte settore manifatturiero nazionale porta all'inflazione e all'intollerabile potere dei sindacati (ce lo dice anche, lo abbiamo ampiamente visto, Dani Rodrik).

Ma, sempre per capire, possiamo ricorrere ad un'altra recente fonte UK che, in apparenza, pare muovere da premesse "inquietanti" e che depongono tutte nella direzione di un Corbyn(Mc Donnell) austero. 
Questa parte non ve la traduco perchè i passaggi salienti sono veramente "familiari" a noi italiani:
"John McDonnell, the new shadow chancellor, will tell the Labour conference that Britain must always live within its means as he announces that the party will vote in favour of a new fiscal charter proposed by George Osborne."
Ma a parte il "vivere all'interno dei propri mezzi", quello che costituirà il cimento di Corbyn, - oltre alla difficoltà evidenziata di tentare di rilanciare i salari reali e perciò gli stessi livelli occupazionali "veri", e non i part-time involontari, o gli Arbaito-like a zero ore "garantite", estrema frontiera della precarietà camuffata da occupazione-, sarà proprio la praticabilità di politiche industriali all'interno di un sistema deindustrializzato e profondamente finanziarizzato. Cosa che, ormai, ci rammenta, come ci ha spiegato Cesare Pozzi, la traiettoria italiana.

7. Questo aspetto, delle politiche industriali, però appare molto difficilmente compatibile con il pareggio di bilancio, anche se lo si volesse raggiungere con le tasse anzicchè coi tagli.
L'investimento pubblico, in tale situazione, dovrà essere indirizzato in quantità e modalità tali da richiedere un periodo di ampia spesa pubblica "mirata" (sapendo che, intanto, la spesa del welfare non potrebbe essere eccessivamente compressa, per logici motivi di coerenza elettorale e di "pace" sociale, in UK particolarmente precaria). 
Parrebbe che Corbyn voglia finanziarla tassando i ricchi, ma la mobilità del capitale non pare rendere molto realistica questa prospettiva.

Vediamo dalla fonte UK sopra citata, le linee di intervento che predica McDonnell, consapevole, (ormai dovremmo averlo chiarito), che il pareggio di bilancio debba servire a mettere in sicurezza il deficit delle partite correnti britanniche tentando di rilanciare il manifatturiero (allo stesso scopo):
"McDonnell makes clear that he takes a radically different approach to the austerity measures of the Tories, whose deficit reduction plan is achieved mainly through spending cuts, as he says that Labour would ease the burden on low- and middle-income earners.
Labour would also stimulate economic growth by borrowing to invest in infrastructure projects, McDonnell said. “We will tackle the deficit but the dividing line between us and the Tories is how we tackle it. Our basic line is we are not allowing either middle or low earners or those on benefit to have to pay for the crisis. It is as simple as that.

8. Riassumiamo: la diversità dell'approccio all'austerità non passerebbe per "spending cuts", ma per maggiori tasse sui redditi alti, dato che quelli medi e bassi sarebbero "sgravati" e il tutto sarebbe accoppiato a investimenti in infrastrutture, possibilmente legato alla rinazionalizzazione di "utilities e dei trasporti ferroviari" (lo abbiamo visto all'inizio).
Ergo, comprendiamo il Quantitative easing diretto alla "gente" e non alle banche, che abbiamo visto sempre all'inizio nello schema di programma economico di Corbyn.

Ma un QE diretto alla gente, significa, in termini molto pratici - sebbene "mascherati" per non allarmare troppo l'elettorato ("mediatizzato-livoroso")- il finanziamento diretto del deficit e dunque la "monetizzazione" dello stesso. 
Cosa, lo sappiamo ampiamente, fortemente contraria allo schema europeo (art.123 e 130 del TFUE, cioè divieto di acquisto diretto dei titoli del debito pubblico e indipendenza della banca centrale): ma UK, essendo fuori dall'euro, ha ben pochi timori di essere sanzionata seriamente in caso di violazione.
Però, però...se a governare non fossero conservatori o blairiani-trippas-like, qualcosa alla Commissione di possono inventare.

9. Tutto questo ci porta a fissare alcuni punti di riferimento, su cui misurare la eventuale deriva di Corbyn:
a) in UK il ritorno, in funzione anticongiunturale, alla monetizzazione del debito non è una "trovata" estemporanea (solo) di Corbyn-McDonnell. E infatti, rammentiamo:
"Siamo piuttosto al punto che ESSI, - e conoscendone i precedenti scritti, ci includo pure Wolf-, iniziano a capire che "il gioco non vale (più) la candela".
La monetizzazione diretta del disavanzo di cui parla Wolf sarebbe null'altro che la tanto derisa (da ESSI, almeno fino a ieri), sovranità monetaria, alienata già in base alla dottrina delle banche centrali indipendenti.. 
Quella che Hayek (v.par.3) considerava la più deprecabile e insensata delle sventure, seguito a ruota da Roepke (par.9) e dai seguaci ordoliberisti annidatisi come un cuculo nella democrazia costituzionale italiana.
Se il Regno Unito, - paese da cui provengono sia M.Wolf che (palesemente) Aldair Turner-, in passato, ci ha regalato l'anticipazione storica del modello deflattivo-salariale, con consumatori di massa "a debito", in flessibilità del lavoro, (ridivenuto "merce"), oggi, forse, UK è avanti nel prefigurare una nuova frontiera (di razionalità minima: nulla di rivoluzionario) e, dunque, nel ritorno al...Rapporto Beveridge."

b) la posizione UE-sì o UE-no di Corbyn dovrà inevitabilmente essere chiarita, ove andasse al governo: la scelta sarebbe inevitabile. Infatti:
- o reintroduce il paradigma del controllo politico sulla banca centrale e della monetizzazione del debito (come potenzialità, al di là della misura cui vi si ricorre), e allora dovrà scontrarsi con l'UE che diverrà la naturale alleata delle forze finanziarie oggi politicamente prevalenti in UK;
- oppure non sarebbe in grado di reintrodurre la tutela del lavoro, del salario e del livello occupazionale (vero), e insieme, non sarà in grado di compiere le connesse ri-nazionalizzazioni e gli investimenti in infrastrutture che sono la base (neppure troppo sufficiente) delle sue politiche industriali di tentato rilancio del manifatturiero (diciamo: industriale non-finanziario);

c) in ogni caso, il pareggio di bilancio come obiettivo di breve-medio periodo pare essere una sfida molto ardua: questo strumento fiscale vale, appunto, per una rapida correzione degli squilibri delle partite correnti, ma depaupera piuttosto che rafforzare un sistema industriale già bisognoso di investimenti e di risparmio (che il pareggio di bilancio azzera o manda in segno negativo, specie nella fase iniziale della "aggressione" per via fiscale, mediante la notoria "distruzione della domanda interna", del deficit delle partite correnti). 
Ma perseguire una "reindustrializzazione" - trainata dal settore pubblico- che si estenda al manifatturiero, è un obiettivo di medio-lungo periodo che può richiedere una fase iniziale di acutizzazione delle importazioni in beni di investimento, per ricostituire il capitale produttivo (effettivo). E questo implicherebbe ulteriori difficoltà, lo ripetiamo, se contemporaneamente non si volesse colpire, via salari e occupazione, la domanda interna.

Proprio perchè non abbiamo avuto una Thatcher.
Ma precisiamo: starebbe meglio laddove volesse recuperare la sua sovranità monetaria...Ma finchè rimane dentro l'euro, starà peggio, almeno in termini di crescita: come sta peggio di tutti i paesi UE che non aderiscono alla UE

venerdì 25 settembre 2015

RELOADING: ONESTA', COMPETENZA, MERITOCRAZIA E CONFLITTO DI INTERESSI (la grande dissimulazione in salsa €urocratica).

 
La recente accelerazione della deriva ordoliberista e autoritaria che sta travolgendo l'€uropa, farebbe pensare che "resistance is futile". 
Ma anche nei momenti più oscuri, occorre predisporre le risorse per sopravvivere. Perchè ESSI stanno ponendo le basi per la loro stessa caduta.
Per questo, partendo dalle "basi" indispensabili della democrazia costituzionale, vi ripropongo,"reloaded" per una migliore comprensione di sintesi, - cioè inserendo titoli aggiuntivi di introduzione ai paragrafi -, il post ONESTA', COMPETENZA, MERITOCRAZIA E CONFLITTO DI INTERESSI (la grande dissimulazione in salsa €urocratica).
 


1. Onestà e competenza hanno qualcosa a che vedere con la capacità (giuridica, in quanto sia espressamente disciplinata da norme dello Stato) di essere rappresentanti dei cittadini nelle assemblee politiche legislative (di qualunque livello)?
Accostati i due termini la risposta non può che essere positiva, se non altro perchè risponde al senso comune, alla ragionevolezza più elementare, che non può accettare persone, prive di tali requisiti, che siano preposte alle più delicate funzioni di indirizzo politico (problema che dovrebbe però altrettanto valere per la capacità di essere parte del governo, che esercita un segmento di indirizzo politico di crescente importanza).

Tralasciando le enormi complicazioni giuridico-organizzative (della stessa società) che derivano dal voler poi precisare come si debba accertare preventivamente - in termini di incapacità all'elettorato passivo, ineleggibilità, incompatibilità, o, infine, incandidabilità- il possesso di questi requisiti espressi in termini generalissimi, il problema si pone quando si diffonda, nell'opinione pubblica, l'idea che un candidato, un potenziale rappresentante del popolo nelle istituzioni elettorali, debba solo "essere onesto".
2. Cos'è l'onestà e come la si accerta?
Questa idea si accompagna alla precisazione che sarebbe la mancanza di precedenti penali, cioè di sentenze in giudicato che accertino qualunque tipo di reato, ad attestare l'onestà. Si tratta cioè di una presunzione assoluta che avere avuto a che fare con la giustizia penale sia una qualificazione negativa tale da privare il cittadino, avente i requisiti generali di elettorato passivo, della possibilità di farsi eleggere.
Si porrebbero poi gli ulteriori problemi se ciò debba essere esteso non solo ad ogni tipo di reato, ma anche alla mera condizione di imputato e se questa, a tali fini, debba farsi coincidere con il momento del rinvio a giudizio; e, ancora, quanto debba durare questa incandidabilità non solo rispetto a ciascun titolo di reato per cui si è condannati, ma anche rinviati a giudizio.
Vi risparmio quindi le evidenti questioni di eguaglianza e ragionevolezza che deriverebbero da una preclusione indifferenziata e perenne, o comunque scollegata dal titolo di reato e dalla durata della pena, e del processo (nell'ipotesi di condanne nei vari gradi non ancora definitive).

3. La competenza ma anche l'eguaglianza sostanziale, secondo la Costituzione. E scusate se è poco...
Col d.lgs.n.235 del 2012 (che potete provare a leggere) il problema è stato in qualche modo affrontato dal governo Monti, portando alla soluzione di una incandidabilità (aggiuntiva a incapacità, ineleggibilità e incompatibilità) per una durata connessa a quella della pena (moltiplicata per due) e alla individuazione di reati che siano considerati in sè, per tipologia o ammontare della pena inflitta, sintomo di indegnità all'elettorato passivo.
Qui trovate una trattazione dei non indifferenti problemi di costituzionalità che già tale norma porta.

Noterete che stiamo parlando dell'ottica in cui solo l'onestà sia requisito necessario e sufficiente per considerarsi candidabili.
Della "competenza" non abbiamo ancora parlato: mettere insieme competenza e elezioni, cioè captazione di numerosi voti, presuppone a sua volta l'irrisolvibile problema se ciò possa essere stabilito preventivamente per legge
La Costituzione non lo prevede e, a leggere ciò che ne dicono la dottrina e la Corte costituzionale, neppure potrebbe, a pena di precludere l'allargamento della partecipazione alla vita civile e poltica del Paese voluto dall'art.3, comma 2. Tale allargamento, in termini di capacità (generica) all'elettorato passivo, risulta fondamentale per avviare uno Stato democratico pluriclasse e, quindi, redistributivo della stesse capacità di decidere dell'interesse generale in sede politico-istituzionale.

4. La competenza come monopolio autoproclamato dei tecnocrati che dissimulano la propria ideologia.
Riassumendo sul punto, si può dire che una barriera legale in termini di "competenza" viene a prefigurare una tecnocrazia, cioè una forte limitazione della sovranità popolare esercitata nelle forme democratiche, che implicano il metodo elettorale, a favore di persone che abbiano dei requisiti che sarebbe molto difficile fissare una volta per tutte
Tali requisiti, in termini storici e necessitati, rifletterebbero l'orientamento ideologico di chi avesse, ancor prima che si svolga la competizione elettorale (punto importantissimo), il potere di individuarli
Ciò attribuirebbe un potere costituente anomalo a tali soggetti decidenti, perchè sarebbe un potere, per definizione, in contrasto con la sovranità indifferenziata del popolo e col principio di eguaglianza anche formale.

Non che questo porti a sostenere che la competenza sia irrilevante: ma, certo, un medico o un fisico teorico, pur potendo essere persone di altissimo livello intellettuale, non posseggono la competenza, ad esempio, giuridica od economica per comprendere al meglio gli assetti sociali su cui dovrebbero legiferare, neanche, per motivi intuitivi (relativi ad es; alla sostenibilità finanziaria, o alla interdipendenza tra loro delle politiche di settore,ed ai loro riflessi economici di lungo termine), nei rispettivi settori professionali.
5- Competenza e processo elettorale. La relatività della meritocrazia se non c'è l'eguaglianza sostanziale.
E' chiaro dunque che la competenza può essere legata alla "cultura" di un individuo, intendendola come comprovata (nei fatti "curriculari") espressione di un alto livello intellettuale
Ma questo, a sua volta, nulla può avere a che fare con l'attitudine a comunicare ed a "portare voti". E, punto anche più importante, non può misurarsi il merito in senso oggettivo, legandolo a un metro che consenta valutazioni tali da distinguere il possessore di un prestigioso curriculum da un cittadino meno titolato ma capace di testimoniare, con la sua stessa vita, un grande impegno culturale (si pensi ad es; ad un operaio che riesca a diplomarsi o a laurearsi come studente lavoratore; o anche soltanto a un operaio che sia politicamente attivo e impegnato strenuamente nel cercare di conoscere le dinamiche sociali in cui si trova a vivere).

In questo genere di valutazioni, entra infatti in gioco l'enorme importanza delle "condizioni di partenza" e della relatività della meritocrazia, la quale, se prescinde da questi aspetti, - che fissi o meno requisiti legislativi predeterminati-, diviene pericolosamente un modo per dissimulare, dietro alla "competenza", i rapporti di forza nella società.

6- I padri della Costituzione, Mortati e Basso: meritocrazia come "partecipazione pluriclasse". 
Contro questa minaccia, continua, e particolarmente suggestiva, data la tendenza di ognuno di noi ad acclamare e a delegare chi "ti risolve i problemi" senza farti preoccupare troppo - il che porta dritti agli artifici di chi ha il controllo dei media, che tenderà a presentare la realizzazione dei propri interessi come perseguita da politici encomiabili e ad attaccare chi li osteggia- si è pronunciata la nostra Costituzione.
E lo ha fatto, in un'indispensabile comprensione storico-sistematica, con la formula della democrazia pluriclasse "necessitata", di cui abbiamo tante volte parlato.
Il più evoluto e raffinato interprete di questa formula, a nostro parere, è Lelio Basso, uno dei costituenti più illustri proprio per la sua "competenza", che ci ha dato la formula della "democrazia partecipante", da realizzare progressivamente (certo), ma da subito, senza ritardi frapposti da impossibilità vere o presunte agitate, ovviamente, dalle classi economicamente dominanti.

7. Rawls: la cultura della complessità e della passione civile contro la "doppia verità" e il diritto "naturale" (hayekiano) delle elites liberiste.
Chi si è occupato di "giustizia" sostanziale nell'azione delle istituzioni, evidenziando il "velo di ignoranza" che ostacola la piena partecipazione alla vita pubblica di ogni strato della società - ignoranza non legata solo alle condizioni di miseria e di incultura, ma anche a quelle di "convenienza-utilità" della cultura della classe dominante, tipicamente il liberismo-, è stato John Rawls.
Egli tentò di conciliare pluralisticamente i differenti concetti di "giustizia" che possono formarsi nella società, e, quindi, il socialismo col il liberalismo; un capolavoro su una conciliazione considerata spesso impossibile, dato che i liberisti (la distinzione terminologica è in realtà più italiana che anglo-sassone e possiamo metterla da parte...per ora) sono programmaticamente e irrinunciabilmente ostili alla condivisione del potere politico (e qui si comprende pienamente Spencer: "La funzione del liberalismo in passato fu quella di porre un limite ai poteri del re. La funzione del vero liberalismo in futuro sarà quella di porre un limite ai poteri del Parlamento").

La conciliazione argomentata da Rawls, spesso geniale - ma che esige una cultura della complessità che coniughi passione civile, cioè un'attitudine psicologica "umanitaria", con profondità intellettuale-, ha dato luogo ad un visione dinamica non dissimile da quella di Lelio Basso.
In entrambi i casi occorre una "tensione morale", nei perseguitori di questa visione, quale implicito presupposto il cui mantenimento è molto difficile: una rarità che contrasta con la dura realtà storico-sociale per cui le elites economiche tenderanno sempre a teorizzare la unicità della "giustizia" da essi propugnata. E ciò avendo per di più i mezzi, finanziari e mediatici, per prevalere, non solo contro i "nemici di classe", ma proprio nel confronto con coloro che sono i portatori di questa tensione morale alla conciliazione di interessi in lotta fra loro, in un modo democraticamente istituzionalizzato.
La "doppia verità" liberista è dunque, in realtà, un modo di proiettare sul piano politico, e quindi del governo della società, la loro supremazia pretesamente "naturale" conquistata con una (più o meno effettiva) dura lotta sul piano economico; sicchè ogni azione strumentale a ciò, compreso il condizionamento mediatico dell'opinione pubblica e la cooptazione di falsi rappresentanti del "popolo" in realtà asserviti ai loro interessi in modo dissimulato (ai propri elettori), viene considerata espressione di una sorta di nuovo "diritto naturale".

8. La meritocrazia senza eguaglianza sostanziale come vulgata di controllo sociale neo-liberista: tra privilegio per nascita e strumenti illeciti di scalata sociale.
Quello che, per ora, ci importa sottolineare, tuttavia, è che il richiamo alla "meritocrazia" è una parte essenziale della vulgata di controllo sociale liberista, una simulazione di "giustizia nella società" che nasconde e contrasta la realtà dei diversi punti di partenza per gli individui, evidenziata dai pensatori pluralisti.
Insomma, la meritocrazia è una negazione del pluralismo ed una implicita affermazione della giustizia basata sui rapporti di forza economica.
Non a caso, infatti è propugnata da coloro i quali si guardano bene dall'evidenziare i criteri di selezione (darwinista) che avrebbero portato alla posizione personale da cui predicano tale sistema!
Mai è evidenziata l'influenza del privilegio per nascita, e meno ancora, ovviamente, la liceità e utilità sociale dei loro strumenti di scalata nelle gerarchie umane: tipica la posizione ereditaria o l'appartenenza a gruppi economici in posizione di monopolio o, ancor più insidiosamente, di oligopolio.

9. I mandatari dell'oligarchia meritocratico-darwinista e la dissimulazione del conflitto di interessi nella "tecnocrazia".
Nei momenti più difficili, di "sollevazione" della base sociale, si servono di appartenenti indiretti a tali posizioni di disutilità o illiceità- cioè di "loro" mandatari con rappresentanza, remunerati a tal fine- da far eleggere, o comunque preporre alle istituzioni di governo. Facendo nascere l'immenso problema del conflitto di interessi; di cui parleremo in seguito, ma la cui caratteristica è sempre quella di essere strategicamente reso non riconoscibile.

Una versione considerata accettabile (sempre mediaticamente) della meritocrazia autoproclamata e strategicamente in conflitto di interessi (occultato) è la tecnocrazia, basata appunto sull'idea che la complessità della società moderna - cosa in parte vera, ma proiettata posticciamente sulle dinamiche dell'invariabile conflitto sociale- possa essere governata solo dai "tecnici". E che questi possano farlo in modo più efficiente e quindi utile per l'interesse generale della democrazia.

Questa è esattamente la forma della governance dell'Unione europea, così esplicitamente teorizzata e praticata nelle parole dello stesso Barroso (The EU is an antidote to democratic governments, argues President Barroso). Che, ovviamente, non è altro che il tipico rappresentante-mandatario delle elites economiche e del loro disegno antidemocratico. Che, condiviso tipicamente dalla schiera degli eurocrati, rende la sua ammissione così "normale", surrogabile dalle dichiarazioni di qualunque altro componente della governance europea e dei governi dei singoli Stati che di essa fanno un punto irrinunciabile.

10- Rawls e il "consumismo senza senso" come prodotto della tecnocrazia in conflitto di interessi.
Tale è questa realtà, della meritocrazia tecnocratica, che Rawls, come abbiamo visto, riconobbe a prima lettura il disegno di Maastricht e dell'euro (Una domanda che gli Europei dovrebbero porsi, se mi è consentito azzardare un suggerimento, è quanto vincolante dovrà diventare la loro unione. Si perderebbe molto, credo, se l’Unione Europea diventasse un’unione federale, sul modello degli Stati Uniti. Qui esiste un linguaggio politico comune e una certa disponibilità a spostarsi da uno Stato all’altro.
Non vi è conflitto tra un mercato esteso, libero e aperto che comprende l’intera Europa e i singoli Stati-nazione, ognuno con le proprie istituzioni sociali e politiche separate, le proprie memorie storiche, e le proprie forme e tradizioni di politiche sociali. Di sicuro si tratta di valori significativi per i cittadini di questi Paesi, valori che danno un senso alle loro vite.
Il mercato aperto europeo è tra gli obiettivi dei grandi gruppi bancari e dei più grandi gruppi capitalistici, il cui scopo principale non è altro che aumentare il profitto.
L’idea di una crescita economica, continua e marcata, senza alcun obiettivo specifico all’orizzonte, si addice perfettamente a questi gruppi. Se parlano di distribuzione, lo fanno quasi sempre in termini di effetti a cascata o ricadute favorevoli.
Il risultato di lungo periodo di tutto questo – già manifestatosi negli Stati Uniti – è una società civile immersa in un qualche tipo di consumismo privo di senso.
Non posso credere che questo sia quello che volete)
.

11- La "competenza", in democrazia (vera), è saper riconoscere il conflitto di interessi dei tecnocrati che espropriano la democrazia.
Allora, se la società democratica è aperta e pluriclasse, ma è resa praticamente (utilitaristicamente) impraticabile dalla doppia verità della tecnocrazia in uno specifico conflitto di interessi, e se quest'ultimo agisce in quanto non sia riconoscibile programmaticamente dai popoli, a che serve un "onesto", con la fedina penale immacolata che sia concretamente incapace di fare tale riconoscimento, nella complessità delle decisioni da prendere, o, peggio, che sia mandatario delle elites portatrici del conflitto?
Questa domanda ci dà la risposta operativa al perchè sia necessaria la "competenza" e, al tempo stesso, in cosa debba consistere quest'ultima nella tensione alla realizzazione di un'effettiva democrazia.
E ci dà anche un semplice regola pratica: non votare chi non riscuota la nostra fiducia nel saper riconoscere il conflitto di interessi. Sapendo, ovviamente, che tale conflitto esiste e quali ne siano le radici inevitabili, finchè saremo in una società capitalista.

Dei modi e delle multiformi ragioni e manifestazioni del conflitto di interessi "sociale", quello che sospende la democrazia costituzionale (che per fortuna ancora possiamo rivendicare) ci occuperemo prossimamente.