https://seeker401.wordpress.com/2014/10/25/the-trilateral-commission-and-technocracy/, già citato in KALDOR, KEYNES, CAFFE': LA TRILATERAL E LA COSTITUZIONE DEL LAVORO.
1. Dal post di ieri ritengo importante serbare, sempre "a futura memoria" questo commento di Arturo che ci riporta alle basi (più) fondamentali di quella che, un tempo, era la teoria generale sulla forma di Stato e dell'intero diritto pubblico coerente con la Costituzione del 1948 (che, in un rigoroso concetto della gerarchia delle fonti di diritto, è tutt'altra cosa rispetto a quella oggi "vigente" a seguito del vincolo esterno, della riforma "federalista" del Titolo V, del 2001, nonché dell'accumularsi delle sentenze della Corte costituzionale su questi temi. E stiamo parlando della Costituzione "al netto" delle modifiche ulteriori su cui saremo chiamati a decidere con il referendum...).
In pratica, Arturo evidenzia un "differenziale" tra una cultura istituzionale attuale, che ci lascia totalmente impotenti nella difesa della Costituzione, e la scienza giuridica ed economica che, invece, era stata capace di affermarsi e di dare vita alla stessa Costituzione (del 1948):
"L'improponibile assimilazione dell'EU all'URSS presuppone l'equivalenza
"interventismo = komunismo" (o almeno ≠ liberal-liberismo).
A confutare questa sciocchezza, non bastassero tutte le fonti già citate (da Ruini a Mirowski), aggiungiamo, per l'aspetto storico, il buon vecchio Giannini (Diritto pubblico dell'economia, Il Mulino, Bologna, 1995, pp. 26-31) e la sua analisi dello Stato liberale:
"La formula «non intervento» del pubblico potere è affermata, ma non svolta: dovrebbe essere principio vincolante per il legislatore; ma in realtà non lo è, perché la normativa designata a regolare i rapporti tra privati si arricchisce continuamente di norme imperative, come tali restrittive dell’autonomia privata (si consideri la sempre maggior disciplina normativa dei titoli di credito e dei contratti commerciali); si potrebbe intendere nel senso più ristretto, di vincolo per il legislatore a non adottare norme, sia pubblicistiche sia soprattutto di diritto privato, incidenti sui diritti di proprietà e d’impresa.”
“Se però dalle teorie passiamo ai fatti, ciò che avviene nello Stato borghese si presenta come molto sconcertante, poiché la disciplina pubblica dell’economia anziché diminuire aumenta di dimensioni e si perfeziona negli strumenti tecnici e operativi.”
“In altre parole, finché Leroy Beaulieu riusciva, come economista, a farsi capire quando proponeva la nota metafora «lasciar fare, lasciar andare», il giurista non ci riusciva quando parlava di principio di astensione.”
(Questa l’ho trovata molto carina).
“Dunque, procedendo nella ricognizione, risulta che lo Stato borghese liberale passa intere province — se ci è lecita la metafora - dalla sfera privata a quella pubblica, e ciò non con atti episodici o temporanei, bensì seguendo idee organiche e adottando decisioni destinate a permanere, cioè, in termini oggi più usati, introducendo modificazioni di struttura.
Vi è però ancora di più: che quando si profilano difficoltà per l’economia, derivanti da congiunture internazionali, da eventi della natura, da turbative politiche interne, i pubblici poteri non hanno esitazione a porre in essere degli «interventi» di sostegno dei ceti di operatori economici in difficoltà.”
“La vicenda ha formato oggetto di studio soprattutto da parte di sociologi e di economisti, e di note teorie; però ha anche un notevole rilievo giuridico, in quanto la decisione di intervento e l’intervento hanno un loro costo, che grava non sugli ausiliati dall’intervento, ma sull’intera collettività.
A confutare questa sciocchezza, non bastassero tutte le fonti già citate (da Ruini a Mirowski), aggiungiamo, per l'aspetto storico, il buon vecchio Giannini (Diritto pubblico dell'economia, Il Mulino, Bologna, 1995, pp. 26-31) e la sua analisi dello Stato liberale:
"La formula «non intervento» del pubblico potere è affermata, ma non svolta: dovrebbe essere principio vincolante per il legislatore; ma in realtà non lo è, perché la normativa designata a regolare i rapporti tra privati si arricchisce continuamente di norme imperative, come tali restrittive dell’autonomia privata (si consideri la sempre maggior disciplina normativa dei titoli di credito e dei contratti commerciali); si potrebbe intendere nel senso più ristretto, di vincolo per il legislatore a non adottare norme, sia pubblicistiche sia soprattutto di diritto privato, incidenti sui diritti di proprietà e d’impresa.”
“Se però dalle teorie passiamo ai fatti, ciò che avviene nello Stato borghese si presenta come molto sconcertante, poiché la disciplina pubblica dell’economia anziché diminuire aumenta di dimensioni e si perfeziona negli strumenti tecnici e operativi.”
“In altre parole, finché Leroy Beaulieu riusciva, come economista, a farsi capire quando proponeva la nota metafora «lasciar fare, lasciar andare», il giurista non ci riusciva quando parlava di principio di astensione.”
(Questa l’ho trovata molto carina).
“Dunque, procedendo nella ricognizione, risulta che lo Stato borghese liberale passa intere province — se ci è lecita la metafora - dalla sfera privata a quella pubblica, e ciò non con atti episodici o temporanei, bensì seguendo idee organiche e adottando decisioni destinate a permanere, cioè, in termini oggi più usati, introducendo modificazioni di struttura.
Vi è però ancora di più: che quando si profilano difficoltà per l’economia, derivanti da congiunture internazionali, da eventi della natura, da turbative politiche interne, i pubblici poteri non hanno esitazione a porre in essere degli «interventi» di sostegno dei ceti di operatori economici in difficoltà.”
“La vicenda ha formato oggetto di studio soprattutto da parte di sociologi e di economisti, e di note teorie; però ha anche un notevole rilievo giuridico, in quanto la decisione di intervento e l’intervento hanno un loro costo, che grava non sugli ausiliati dall’intervento, ma sull’intera collettività.
E' quindi vero che la classe di potere
trasferisce sulla collettività il costo dei propri conflitti interni.”
La differenza stava, e sta, nella finalità dell'intervento, come diceva a suo tempo Mortati (e ripete praticamente negli stessi termini oggi il sunnominato Mirowski).
La differenza stava, e sta, nella finalità dell'intervento, come diceva a suo tempo Mortati (e ripete praticamente negli stessi termini oggi il sunnominato Mirowski).
2. Come, storicamente tutto ciò abbia a che fare con la costruzione europea e l'euro, lo abbiamo a lungo analizzato.
Riassumo l'attitudine culturale delle nostre elites, e i riflessi che essa ha dispiegato nella lunga vicenda di disattivazione della democrazia costituzionale, citando un precedente commento in risposta a Bazaar:
Riassumo l'attitudine culturale delle nostre elites, e i riflessi che essa ha dispiegato nella lunga vicenda di disattivazione della democrazia costituzionale, citando un precedente commento in risposta a Bazaar:
"Non dobbiamo dimenticare che
l'effettività del modello costituzionale - e quindi della piena
occupazione all'interno del principio-cardine "lavoristico"- fu posta in
contestazione nel dopo Costituente con grande spiegamento di mezzi.
La vicenda storico-economica italiana non può essere riletta prendendo a esempio, diciamo, operativo e paradigmatico, Basso o Mortati o, se vogliamo, - quanto alla comprensione dei principi fondamentali-, Calamandrei (per rimanere ai più grandi finora citati): le vicende che, notoriamente, seguirono al Piano Marshall nella sua applicazione italiana, non devono far dimenticare che:
a) l'Italia è un paese che si richiama alle sue capacità manifatturiere e "mercantilistiche" tradizionali, e in questo senso si spiega l'amore-odio per il modello economico tedesco (segnatamente ordoliberista);
b) che quest'ultimo fu appositamente promosso, nel dopoguerra, dagli USA come caposaldo di riferimento per rendere inattaccabile l'economia di mercato, oltre qualsiasi livello di concessione tattica al "sociale".
Non è dunque un caso, culturalmente, che ci sia stato il "1978" (e a fortiori il "1992"): anzi, all'opposto, una continuità prepotente, sfuggita alla comprensione della massa e persino combattuta con crescente mancanza di convinzione dal PCI, era stata fissata a Costituzione appena...sfornata e proseguita come revanche senza troppi tentennamenti (basti pensare che lo Statuto dei lavoratori arriva nel 1970 - e dalla lettura dei lavori della Costituente ciò "potrebbe" apparire clamoroso-, mentre, poi, le crisi petrolifere gli diedero poco tempo di "vitalità", prima di farlo divenire un elemento spurio e di colpevolizzazione incessante da parte di una classe dirigente inferocita. Fino al "regolamento" di conti odierno).
...
L'art.81, infine, come ben sappiamo, fu una mezza sconfitta per i neo-liberisti italici (certamente degli inguaribili nostalgici del "primo" De Stefani): la parola "indebitamento" come oggetto di divieto dovette attendere i deficit-caps ipotizzati dall'Atto Unico e da Maastricht. Cioè la crisi del sistema sovietico: neppure Einaudi sperava, prima di ciò, che si potesse "eccedere" nell'uso della leva monetaria per forzare la disoccupazione (e quindi sedare il "socialismo" contrario alla prevalenza del mercato) oltre certi limiti.
Perciò Mitterand (post elezioni francesi e non in campagna elettorale), il Consiglio del Castello sforzesco, e gli Andreatta, Amato, Ciampi e, naturalmente, Prodi sono stati così rilevanti: avevano una discesa davanti e la sfruttarono efficacemente.
Non così "efficientemente" in termini di (esplicita abrogazione della) Costituzione: ma a quel punto, per l'opinione di massa, e per la sovrastante "opinione pubblica", questo era divenuto un prezzo trascurabile.
Oggi addirittura un enunciato che la Corte costituzionale deve fare da sè oppure subire un'apposita legge costituzionale!"
La vicenda storico-economica italiana non può essere riletta prendendo a esempio, diciamo, operativo e paradigmatico, Basso o Mortati o, se vogliamo, - quanto alla comprensione dei principi fondamentali-, Calamandrei (per rimanere ai più grandi finora citati): le vicende che, notoriamente, seguirono al Piano Marshall nella sua applicazione italiana, non devono far dimenticare che:
a) l'Italia è un paese che si richiama alle sue capacità manifatturiere e "mercantilistiche" tradizionali, e in questo senso si spiega l'amore-odio per il modello economico tedesco (segnatamente ordoliberista);
b) che quest'ultimo fu appositamente promosso, nel dopoguerra, dagli USA come caposaldo di riferimento per rendere inattaccabile l'economia di mercato, oltre qualsiasi livello di concessione tattica al "sociale".
Non è dunque un caso, culturalmente, che ci sia stato il "1978" (e a fortiori il "1992"): anzi, all'opposto, una continuità prepotente, sfuggita alla comprensione della massa e persino combattuta con crescente mancanza di convinzione dal PCI, era stata fissata a Costituzione appena...sfornata e proseguita come revanche senza troppi tentennamenti (basti pensare che lo Statuto dei lavoratori arriva nel 1970 - e dalla lettura dei lavori della Costituente ciò "potrebbe" apparire clamoroso-, mentre, poi, le crisi petrolifere gli diedero poco tempo di "vitalità", prima di farlo divenire un elemento spurio e di colpevolizzazione incessante da parte di una classe dirigente inferocita. Fino al "regolamento" di conti odierno).
...
L'art.81, infine, come ben sappiamo, fu una mezza sconfitta per i neo-liberisti italici (certamente degli inguaribili nostalgici del "primo" De Stefani): la parola "indebitamento" come oggetto di divieto dovette attendere i deficit-caps ipotizzati dall'Atto Unico e da Maastricht. Cioè la crisi del sistema sovietico: neppure Einaudi sperava, prima di ciò, che si potesse "eccedere" nell'uso della leva monetaria per forzare la disoccupazione (e quindi sedare il "socialismo" contrario alla prevalenza del mercato) oltre certi limiti.
Perciò Mitterand (post elezioni francesi e non in campagna elettorale), il Consiglio del Castello sforzesco, e gli Andreatta, Amato, Ciampi e, naturalmente, Prodi sono stati così rilevanti: avevano una discesa davanti e la sfruttarono efficacemente.
Non così "efficientemente" in termini di (esplicita abrogazione della) Costituzione: ma a quel punto, per l'opinione di massa, e per la sovrastante "opinione pubblica", questo era divenuto un prezzo trascurabile.
Oggi addirittura un enunciato che la Corte costituzionale deve fare da sè oppure subire un'apposita legge costituzionale!"
3. Ma un'ottima focalizzazione sulla perdita irreversibile che deriva alla democrazia costituzionale, cioè a quella sostanziale, dall'adozione del vincolo esterno come "super-norma", e quindi, in termini molto concreti, dal protrarsi della vigenza della moneta unica, l'abbiamo incontrata in questa risposta di Alberto nei commenti al suo ultimo post:
"...E sai il problema qual è? Che
ognuno porta con sé un pezzo di verità, con la sola eccezione di quei
cialtroni che ci attribuiscono l'idea bislacca secondo cui l'uscita
dall'euro risolverebbe tutti i problemi! Questa visione demagogica è
propria di chi l'euro lo ha proposto (la frase "lavorerete un giorno in
meno ecc." è verosimilmente apocrifa, o almeno non ne ho trovato la
fonte, ma la sua intonazione demagogica, il mito irenico dell'eurone che
ci protegge e ci dà la pace, la riscontriamo ogni giorno).
Viceversa,
uscirne non risolverà tutti i problemi (pur essendo condizione
necessaria), e questo per due motivi che spesso sfuggono: il primo è
quello evidenziato in questo post, ed è, se vogliamo, di ordine
culturale. Capire che la chiusura di una strada va segnalata con una
certa cura è dato che sfugge - e trent'anni di dominio belga non è che
ce l'abbiano imposto né insegnato. Ci sarà da lavorarci.
La seconda, più
importante, riguarda il fatto che le istituzioni che sono state
sbriciolate col cuneo del cambio fisso (dal sistema pensionistico a
quello della contrattazione salariale) non si ricostruiscono in un
giorno. Per questo sono particolarmente deluso dai colleghi che "usciamo
a sinistra".
In effetti, uscire a sinistra significa innanzitutto
uscire il prima possibile, per il semplice motivo che ogni giorno di
permanenza è un giorno in cui con la scusa della competitività si
smantellano istituzioni che poi è difficile ricostruire, non fosse altro
perché se ne è persa la memoria".
Naturalmente, aggiunta di neretto e sottolineatura, sono miei. Alberto ne sarà scontento, probabilmente. Ma non riesco a trovare un modo migliore per conservare la felice espressione di "quello che non vogliono capire".