venerdì 30 dicembre 2016

CHIARIMENTI SULLA SENTENZA N.275 DEL 2016. PAREGGIO DI BILANCIO, DIRITTI FONDAMENTALI E VINCOLO ESTERNO "A CASCATA".

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e a non voler essere troppo pessimisti sul futuro, "qualche volta - non sempre però- l'eccezione forma una regola secondaria più estesa...":

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I. Una breve precisazione preliminare. 
Potete immaginare quante persone, via mail e sui social, mi segnalano il notorio passaggio della recente sentenza n.275 del 2016 della Corte costituzionale (in neretto i passaggi che "dimensionano" effettivamente quanto deciso dalla Corte):
"11. Non può nemmeno essere condiviso l’argomento secondo cui, ove la disposizione impugnata non contenesse il limite delle somme iscritte in bilancio, la norma violerebbe l’art. 81 Cost. per carenza di copertura finanziaria. A parte il fatto che, una volta normativamente identificato, il nucleo invalicabile di garanzie minime per rendere effettivo il diritto allo studio e all’educazione degli alunni disabili non può essere finanziariamente condizionato in termini assoluti e generali, è di tutta evidenza che la pretesa violazione dell’art. 81 Cost. è frutto di una visione non corretta del concetto di equilibrio del bilancio, sia con riguardo alla Regione che alla Provincia cofinanziatrice. È la garanzia dei diritti incomprimibili ad incidere sul bilancio, e non l’equilibrio di questo a condizionarne la doverosa erogazione".
II. Rinvio alla lettura integrale della motivazione, che è ricca di ulteriori e interessanti spunti costruttivi, con riguardo al tema del difficile equilibrismo tra "austerità fiscale" (presuntamente, secondo i titoli accattivanti posti alle leggi recettive dell'euro-austerità...volta alla "crescita!!) e tutela effettiva di diritti costituzionalmente sanciti
Ma, per una migliore comprensione, vi segnalo questo altro passaggio (il punto 13), meno "invasivo" e più preservativo di una futura (e crescente) discrezionalità valutativa della Corte, tanto da giustificare la menzione di un precedente che risale, infatti, al 2016: 
13.− Nel caso in esame, il rapporto di causalità tra allocazione di bilancio e pregiudizio per la fruizione di diritti incomprimibili avviene attraverso la combinazione tra la norma impugnata e la genericità della posta finanziaria del bilancio di previsione, nella quale convivono in modo indifferenziato diverse tipologie di oneri, la cui copertura è rimessa al mero arbitrio del compilatore del bilancio e delle autorizzazioni in corso d’anno. In buona sostanza si ripete, sotto il profilo sostanziale, lo schema finanziario già censurato da questa Corte, secondo cui, in sede di redazione e gestione del bilancio, vengono determinate, anche attraverso i semplici dati numerici contenuti nelle leggi di bilancio e nei relativi allegati, scelte allocative di risorse «suscettibili di sindacato in quanto rientranti “nella tavola complessiva dei valori costituzionali, la cui commisurazione reciproca e la cui ragionevole valutazione sono lasciate al prudente apprezzamento di questa Corte (sentenza n. 260 del 1990)”» (sentenza n. 10 del 2016).
III. Ma ci pare opportuno anche richiamare il precedente punto 7, che, nella sostanza, già delimita il senso del punto 11, "incanalando" la effettiva portata delle successive statuizioni: 
7.− Si deve ritenere che l’indeterminata insufficienza del finanziamento condizioni, ed abbia già condizionato, l’effettiva esecuzione del servizio di assistenza e trasporto come conformato dal legislatore regionale, violando in tal modo il precetto contenuto nell’art. 38, terzo e quarto comma, Cost.
Tale effettività non può che derivare dalla certezza delle disponibilità finanziarie per il soddisfacimento del medesimo diritto, nel quadro dei compositi rapporti amministrativi e finanziari degli enti territoriali coinvolti. Difatti l’affidamento generato dalla previsione del contributo regionale condiziona la misura della disponibilità finanziaria della Provincia e degli altri enti coinvolti nell’assolvimento del servizio in questione.
Non può neppure essere condivisa in tale contesto la difesa formulata dalla Regione secondo cui ogni diritto, anche quelli incomprimibili della fattispecie in esame, debbano essere sempre e comunque assoggettati ad un vaglio di sostenibilità nel quadro complessivo delle risorse disponibili. Innanzitutto, la sostenibilità non può essere verificata all’interno di risorse promiscuamente stanziate attraverso complessivi riferimenti numerici. Se ciò può essere consentito in relazione a spese correnti di natura facoltativa, diverso è il caso di servizi che influiscono direttamente sulla condizione giuridica del disabile aspirante alla frequenza e al sostegno nella scuola.
In secondo luogo, è proprio la legge di cui fa parte la norma impugnata a conformare in concreto le situazioni soggettive oggetto di assistenza (senza poi farne conseguire il necessario finanziamento per effetto del richiamato inciso riduttivo).  
Questa Corte ha già avuto modo di affermare che «in attuazione dell’art. 38, terzo comma, Cost., il diritto all’istruzione dei disabili e l’integrazione scolastica degli stessi sono previsti, in particolare, dalla legge 5 febbraio 1992, n. 104 (Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate)», la quale «attribuisce al disabile il diritto soggettivo all’educazione ed all’istruzione a partire dalla scuola materna fino all’università»; e che «la partecipazione del disabile “al processo educativo con insegnanti e compagni normodotati costituisce […] un rilevante fattore di socializzazione e può contribuire in modo decisivo a stimolare le potenzialità dello svantaggiato (sentenza n. 215 del 1987)”» (sentenza n. 80 del 2010).
IV. Il tema, ci auguriamo, dovrebbe essere ulteriormente approfondito da Francesco Maimone, quando naturalmente ne avrà modo.
Perciò, per adesso, mi limito a uno schema generale di inquadramento della questione.

In sintesi, quella che risulta compiuta dalla Corte al p.11, in un passaggio "confutativo" (di "accertamento" negativo di una eccezione ostativa all'accoglimento della prospettata illegittimità costituzionale), è una disapplicazione "invertita" del diritto UE  - per quanto assimilabile al Fiscal Compact- che, come sappiamo, e come ben sa la Corte, è la fonte alla base dell'art.81 Cost, nuova formulazione. 
In pratica, cioè, si dà una certa lettura costituzionalmente orientata onde non ritenere operante, nel caso concreto, un altro principio costituzionale (appunto il "pareggio di bilancio") che, diversamente inteso, legittimerebbe la norma esaminata dalla Corte (quantomeno sul piano della limitabilità della copertura finanziaria, sia pure determinatata e quantificata).
Da notare, poi, che il ragionamento di cui al p.11, è logicamente assorbito, cioè anticipatamente già reso non più rilevante ai fini del decidere, dal precedente rilievo del citato punto 7, (ribadito al punto 13): e questo, proprio in quanto si ritiene che l'illegittimità risieda anzitutto, e  autonomamente, nella "incertezza" e nella "indeterminatezza" del finanziamento (al trasporto scolastico per i disabili, aventi diritto all'accesso alla scuola con servizi didattici pianificati di sostegno), in quanto la legge censurata non ne precisa l'ammontare (un qualunque ammontare, attenzione) all'interno della "promiscua" "posta finanziaria del bilancio di previsione".

IV.1. E dunque, la questione affrontata nel p.11, quella della incomprimibilità di taluni diritti costituzionali a fronte del principio del "pareggio di bilancio", oltre che mero argomento concorrente, ma non decisivo, cioè ad adjuvandum di un distinto e preliminare profilo di illegittimità, appare quasi un obiter dictum. Ed infatti la struttura logica della decisione fa sì che, a parte l'effetto di reiezione della generica, e già assorbita (dal punto 7), "eccezione" difensiva della Regione, la questione affrontata al punto 11 in sè considerata, non conduca ad uno specifico e stringente effetto conformativo, per il legislatore regionale, derivante in modo univoco dal giudicato costituzionale: l'adeguamento alla sentenza della Corte, in buona sostanza, dovrebbe limitarsi a precisare l'ammontare dello stanziamento senza confondersi con altre possibile destinazioni di spesa e, in modo del tutto generico, a tenere conto del fatto che il diritto in questione non possa essere compresso oltre un certo limite (imprecisato dalla Corte e, peraltro, difficilmente precisabile, dato che si tratta di un rimborso, rispetto a cui il normale criterio prudenziale risulta essere quello di attenersi alla spesa richiesta "a consuntivo" negli anni precedenti, magari adeguata alla variazione dei prezzi di volta in volta rilevata).
Un effetto conformativo di tal genere, comunque, avrebbe avuto stabile efficacia di tutela solo imponendolo al legislatore statale che, rispetto alle competenze di cura degli interessi sociali sul territorio, è il motore primo che innesca il meccanismo che investe regioni e comuni; e lo è in base ai vincoli dei trattati UE, culminanti nel "nuovo" art.81 Cost.
 
IV.2. In particolare, la decisione non affronta e non risolve il problema logico pregiudiziale che è inscindibilmente legato alla ratio ed alla giustificazione della norma censurata (che, appunto, non è certo casuale e frutto di una "malvagia" scelta politica della Regione Abruzzo). 
Vale a dire, il problema della "guerra" tra poveri ovvero del conflitto tra diversi diritti costituzionalmente fondati che deriverebbe dal mero garantirne uno, quale incomprimibile, all'interno di un finanziamento che, complessivamente e promiscuamente, è comunque non solo limitato ma progressivamente tagliato in omaggio al principio del pareggio di bilancio. 
Questo si esprime, ormai da anni (e, prima ancora, nell'ottica della riduzione del deficit al 3%, cioè da decenni) in decisioni finanziarie statali di bilancio adottate per adeguarvisi, e, nello specifico, notoriamente, mediante la riduzione dei trasferimenti da parte dello Stato alle regioni, tutt'al più da compensare con aumenti della imposizione "locale" nel quadro del c.d. "patto di stabilità interno"
Ma questi meccanismi sono da sempre attuati, per vincolo c.d. "esterno", nel quadro della generale riduzione del fabbisogno statale verso il pareggio stesso, "voluto dall'Europa" e, dichiaratamente (da parte delle fonti europee), al fine prioritario di mantenere la nostra adesione alla moneta unica, e quindi al di fuori di qualsiasi (comprovato) vantaggio ponderabile con i costi sociali che emergono nelle sempre più numerose fattispecie all'esame della stessa Corte costituzionale

IV.3. La Corte, garantendo il pieno e non solo parziale rimborso (nel caso) delle spese sostenute per il trasporto scolastico dei disabili, ha tuttavia, in forza dell'inesorabile meccanismo dei saldi di bilancio, vincolati dal patto di stabilità interna, necessariamente inciso sulla (altrettanto "piena") erogabilità di altri servizi sociali finanziati in tutto o in parte, dalla regione, mediante lo stigmatizzato "indistinto" stanziamento: magari avrà determinato che una madre lavoratrice non avesse più posto nell'asilo nido per il bambino (venendone soppressa la stessa struttura); o che un anziano indigente e affetto da malattia cronica non potesse più vedersi assicurata l'assistenza domiciliare.
Non porsi il problema generale di come il pareggio di bilancio incida, in stretta connessione con la questione devoluta alla Corte, sui complessivi livelli di diritti tutti egualmente tutelati dalla Costituzione, porta a comprimerne, o a sopprimerne uno in luogo di un altro, generando un inammissibile conflitto tra posizioni tutelate.  
Un conflitto che, secondo un prudente apprezzamento della realtà notoria, non può essere risolto scindendo una realtà sociale composta da elementi interdipendenti; tale realtà viene, nel suo complesso, sacrificata illimitatamente, in una progressione di manovre finanziarie di riduzione, portate avanti pressocché annualmente, dall'applicazione del pareggio di bilancio e dalla graduale (o anche talora drastica) situazione di de-finanziamento che esso comporta.
La sua logica, propria dell'applicazione fattane agli enti territoriali, è infatti quella di una prioritaria allocazione delle risorse al risanamento del debito pregresso e dei suoi oneri finanziari.

IV.4. Non si tratta dunque di tutelare un "pochino" (meno) tutte queste posizioni costituzionalmente tutelate, comunque comprimendole tutte contemporaneamente, ma di un generale e inscindibile piano di "caduta" (in accelerazione), dovuto alla crisi economica indotta dalla euro-austerità fiscale, con la disoccupazione (effettiva) record che essa determina e, dunque, con l'oggettivo e notorio (e drammatico) ampliarsi della sfera dei cittadini aventi diritto alle prestazioni costituzionalmente garantite, cioè tutelandi (secondo la Costituzione).   
Il punto di caduta della legittima comprimibilità di tali diritti dei soggetti socialmente deboli è infatti già ben superato.  
La Corte, per parte sua, non sa, e, forse, ancora non pensa di indicarlo univocamente in via astratta e generale, come la Costituzione imporrebbe, in virtù della natura incondizionata delle sue previsioni.  
Dovrebbe essere notorio, infatti, che, di fronte alla massa della povertà dilagante, anche solo il mantenimento dei precedenti livelli di spesa assistenziale si rivela inadeguato e drammaticamente insufficiente
E tutto ciò, grazie all'applicazione del pareggio di bilancio (e prima ancora del limite del 3% al fabbisogno dello Stato, anche a costo di una sua funzione prociclica), pur quando formalmente "mediata" dalla flessibilità, del tutto simbolica, offerta dalla Commissione UE!
Si è arrivati ormai in una situazione di scelte dolorose obbligate, per cui o si effettua il trasporto scolastico dei disabili o si hanno decenti e sufficienti asili nidi o un adeguato numero di assistenti sociali (o analoghi operatori) per gli anziani.
E via dicendo...

IV.5. E la Corte avrebbe ben potuto porsi il problema, molto reale e necessariamente implicito nella questione ad essa devoluta, di questi effetti (inevitabili e programmatici) del pareggio di bilancio sulla interdipendente erogazione pubblica delle prestazioni corrispondenti ai più delicati diritti fondamentali costituzionalmente tutelati.
Questi "effetti", poi, si compongono, a monte, in un obiettivo dichiarato di deflazione competitiva a imposizione europea, che, oggettivamente (cioè per notorio "scientifico-economico" cfr; qui, pp.II-IV)), determina quella disoccupazione strutturale senza precedenti in Italia che è alla base del dilagare della povertà secondo i dati divulgati dall'Istat (e in continuo peggioramento). 
E' proprio il pareggio di bilancio, in particolare nella versione imposta agli enti territoriali, erogatori di servizi sociali, la causa del dover scegliere tra esso stesso e la tutela dei diritti fondamentali "sociali" della persona umana.

V. Ma, al di là degli aspetti appena evidenziati, proprio perchè posta entro tale meccanismo assimilabile ad una "disapplicazione invertita", da ritenere atipico nel diritto costituzionale nazionale, e che, soprattutto, lascia formalmente in vita la norma "implicitamente", disapplicata (cioè l'art.81 Cost.), il punto 11 ha limitate conseguenze operative:
a) il suo effetto è circoscritto a tale caso che, oltretutto, è quello di un diritto fondamentale alquanto atipico, perché nasce (dobbiamo ragionevolmente ritenere, già nella stessa sistemtica della Costituzione) da un'ibridazione di due diversi diritti (art.32, "diritto di tutti alla salute garantito dallo Stato" e 34 Cost., "diritto di tutti alla pubblica istruzione"),
posti logicamente "a monte" e più precisi, cioè più pertinenti, per quanto riguarda la materia dell'accesso all'istruzione scolastica, del parametro effettivamente utilizzato 

a1) Infatti, testualmente, la Corte, esamina la questione con riferimento all'art.38: e precisamente, c'è da aggiungere, al suo comma 3 ("gli inabili e i minorati hanno diritto all'educazione e all'avviamento professionale"), saltando a piè pari la coordinata previsione del comma 4, di rilevanza non trascurabile nella materia, dato che configurava un sistema di "organi e istituti predisposti...dallo Stato", ben diverso dalla soluzione di integrazione coi "normodotati" fatta propria dalla Corte nelle sue varie pronunce in questa materia (e non è infatti a priori stabilibile, se non scendendo in considerazioni medico-scientifiche "di merito", che il sistema in origine prescelto dalla Costituzione, al comma 4, fosse meno tutorio delle posizioni soggettive considerate, tenendo conto dell'aggiornabilità dei metodi educativi e didattici sviluppabili presso istituti specializzati: ma anche questi, ove sopravvivano, sono infatti sottoposti a crescenti tagli).
Il contenuto specifico del diritto tutelato, in effetti, ha una sua versione tutta giurisprudenziale, che conferma, nel suo chiaro riferimento ad una ritenuta "miglior" soluzione di terapeutica consistente nella "socializzazione", il prevalente legame con l'art.32 nella sua relazione con l'art.34 Cost.
a.2.) Su tale parametro espresso (art.38, co.3), dunque, si incentra il vero e proprio thema decidendi rimesso alla Corte, anche in relazione all’art. 24 della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità.
Ergo, la specialità intrinseca di tale diritto e del suo contenuto "costruttivista" ed evolutivo, delimita in partenza la portata della decisione, giustificato anche dal non dover contraddire il precedente della Corte, sulla stessa questione, n.80 del 2010 (e quando comunque i limiti dell'austerità, e del tetto al deficit derivante dal trattato di Maastricht, erano già più che sufficienti a limitare questo, MA anche tutti gl altri diritti fondamentali costituzionali);
 
b) infatti, l'assistenza ai disabili, come regime generale, continua e continuerà tranquillamente ad essere tagliata (a livello di fondo nazionale SSN e dei singoli bilanci dei comuni): cioè si fa una lotta ben delimitata su quello che è una sorta di "manifesto" (la scolarizzazione assistita nell'ambito del sistema scolastico "ordinario"), nascente da un "certo" contenuto del diritto che risulta a la page nel clima "culturale" UE, che si ritiene o si "scopre" costituzionalizzato, in via particolare e scissa dalla considerazione di ogni altro diritto sociale di prestazione, e lo si difende in quanto tale, pur non avendo, eccezionalmente, il consueto "costo zero" (v. qui, voce "diritti cosmetici");

c) è evidente che se si fosse voluta tutelare l'affermazione (invece volutamente circoscritta e meramente disapplicativa) della prevalenza dei diritti fondamentali "costituzionali" tout-court su ogni altra fonte, alla Corte avrebbero dovuto porsi il problema del contrasto dell'art.81, quantomeno, con gli artt.1-11 (in particolare quest'ultimo) e con gli altri diritti "di prestazione", propri della persona (art.2 Cost.) e connessi al perseguimento della eguaglianza sostanziale, (art.3, comma 2, Cost.), ancor più esplicitamente previsti dalla Costituzione.
c1) E ciò, secondo un rilievo di illegittimità costituzionale "interna" alla Carta fondamentale (qui, p.2), sollevabile ex officio, in relazione alla gerarchia tra le norme costituzionali originarie, "fondamentali" e non revisionabili, e le successive norme costituzionali da mera "revisione", portando poi l'esame sulla legge di esecuzione e ratifica del fiscal compact, ai sensi degli artt. 11 (10) e 139 Cost: come in effetti avvenuto nel caso della sentenza della Corte n.238 del 2014.

V.1. Ma di tutto questo non v'è traccia; e nemmeno si profila all'orizzonte. Almeno per ora (che pure è un momento quasi "finale"). 
Peraltro, come abbiamo visto nell'immagine di apertura del post, talora l'eccezione, invece che limitarsi a confermare la regola, può dar luogo ad una regola "secondaria" più estesa...Se vogliamo essere ottimisti.
D'altra parte, ad esempio, - se la Corte intendesse seguire fino in fondo la apertura "speciale" fatta in questo caso concreto -, il parlamento ben potrebbe, con molta attualità, sollevare conflitto di attribuzione versus diktat bancari BCE, in quanto applicati, con osservanza pedissequa, mediante atti del governo e della BdI, a tutela del risparmio ed ai sensi dell'art.47 Cost.: e "se non ora quando"?
A Italia rasa al suolo dal bombardamento tedesco?

Non facciamoci troppe illusioni...

mercoledì 28 dicembre 2016

IL QUARTO PARTITO? PARTITO: MA NON TROVA LA VIA DEL RITORNO


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[Dal vocabolario Treccani]:  eiziale agg. [dal lat. exitialis, der. di exitium: v. esizio1]. – Rovinoso, che reca gravissimo danno: fu un errore e.; è stato un provvedimento e. per le nostre industrie; che reca grave danno alla salute, mortale: quel clima è e. per gli Europei; la minima emozione potrebbe essere e. al malato.

1. Dagli editoriali a reiterazione pluridecennale dei giornaloni, e dai frequenti interventi nei talk show di politologi & filosofi, nonché espertologi a vario titolo, dovremmo prendere atto che, ormai, siamo una "democrazia liberale"
Nonostante la clamorosa smentita che, (solo) in astratto (da quel che pare), ha dato l'esito del referendum costituzionale, l'Italia sarebbe divenuta de facto una democrazia liberale, per dichiarata correlazione con la costruzione europea, come predicato dai più accessi sostenitori di questa tesi
La democrazia italiana si sarebbe trasformata extra ordinem in tale nuova forma - opposta a quella della "democrazia sociale",  che pure è stata disegnata nei principi fondamentali e immutabili della nostra Costituzione-, in virtù delle necessità e degli obblighi derivanti dall'appartenenza all'Unione politica e monetaria europea. 
Tali "sostenitori", culturalmente e accademicamente consolidatisi, sono divenuti maggioranza politica, mediante vari metodi elettorali e rivolgim€nti istituzionali, lungo una vicenda politico-internazionale di cui abbiamo più volte indagato le origini.

2. La definizione politico-teorica del "liberalismo" di questa democrazia "all'€uropea" oscilla tra varie formulazioni: tra esse campeggia il socialismo liberale, in cui le "liberalizzazioni" (e privatizzazioni) economiche portano il mercato al centro del "sociale", ma per il..."bene comune", trattandosi dunque di un modo retorico, e smentito dai suoi stessi teorici italo-tedeschi (pp.9-10), di denominare "l'economia sociale di mercato", formula chiarita dall'uso del termine "sociale" come "innocuo vezzo linguistico"..per tacitare gli "agitati sociali"
Ma esistono formule più avanzate, e meglio adattate all'irreversibile "sfida del globalismo", come quella della democrazia post-liberale che comunque preserva il carattere "liberale" della ipotizzata "democrazia" nel transito dallo Stato-nazione all'Europa
D'altra parte, l'innocuo e strumentale vezzo linguistico, di cui sopra detto, campeggia al centro delle previsioni del principale trattato €uropeo e sta ad indicare che la democrazia liberale è quella che si fonda sull'economia di mercato tout-court e sulla tutela delle "mere" libertà negative della cittadinanza, assunta, quest'ultima, come riflesso della qualità di operatore del mercato, anche solo come consumatore (v.p.6).

3. E dunque, nonostante le varie implicazioni della sovranazionalità dell'economia liberale di mercato che l'€uropa intende realizzare, assorbendo (sempre per il "bene comune" che, peraltro, coincide con l'esistenza stessa del superiore "ordine del mercato) la sovranità dei singoli Stati-membri, la democrazia liberale rimane pur sempre definibile nei termini illustrati da Costantino Mortati e così riassumibili, muovendo dal concetto specifico di sovranità che tale tipo di democrazia ammette (pp.11-11.2):
"...la funzione sostanziale del potere sovrano è quella di assicurare la pacifica coesistenza di interessi diversi e anche contrastanti tra loro; "come" questa essenza della sovranità sia concretamente attuata dipende da quali interessi, cioè da quali tipologie di gruppi sociali che ne sono portatori, siano considerati "bisognevoli di tutela".
...Così, se gli interessi considerati "meritevoli" e quindi da tutelare sono, in base al principio di eguaglianza formale, quelli di "tutti i cittadini" formalmente indistinti, al vedersi garantite delle libertà negative, cioè delle sfere soggettive di esclusione dello stesso potere di comando (altrimenti "incondizionato" dello Stato),  avrò la democrazia parlamentare "liberale" (in quanto ispirata a tale concetto di "libertà"): in essa soltanto il parlamento (eletto dai portatori degli interessi riconosciuti come titolari degli stessi), con le sue leggi, potrà stabilire dei limiti alle libertà (tipiche quelle personale, domiciliare, di espressione pubblica del pensiero e, soprattutto, di intrapresa dell'attività economica), ma non potrà comunque comprimerle oltre i limiti ammessi dai Bill of rights (o dalle costituzioni "liberali" che li ricalcano). Non a caso la Magna Carta, invocata come riferimento positivo della Costituzione britannica, è detta "libertatum".
...Dunque, in questo tipo di democrazia, "valori" (cioè le valutazioni storico-politiche che portano a considerare meritevoli certi, e non altri, interessi da tutelare mediante il potere sovrano) e fini (cioè gli obiettivi che, verso il "lato interno", potrà porsi l'esercizio della sovranità) sono obiettivamente funzionali all'economia di mercato, intesa come "free competition" e "free trade".  In questo tipo di Stato (liberale), la sovranità stessa, come potere dotato di certi contenuti strumentali e dipendenti dagli interessi effettivamente tutelati, definisce un regime/"forma di Stato" che si disinteressa del conflitto sociale: cioè non conferisce rilievo giuridico supremo alla soluzione del contrasto tra interessi propri di tutti i gruppi, o meglio classi sociali, considerate ciascuna portatrice di interessi meritevoli di tutela Ciò che noi sappiamo essere, invece, la caratteristica della nostra Costituzione e quindi del contenuto e della funzione della sovranità in esso assunta (la "Costituzione nella palude" è stato scritto proprio per riorganizzare la gran quantità di materiale che il blog aveva fornito al riguardo nel corso del tempo). Mortati precisa i rispettivi caratteri della "democrazia liberale" e della "democrazia sociale", ora sintetizzati, alle pagine 140-143 del Tomo I".
4. Ora, sulla scorta di tale premessa, (su cui mi sono dilungato per consentire un utile ripasso di un percorso già approfondito), la situazione politico-economica italiana, nel preciso frangente storico che stiamo vivendo, risulterebbe piuttosto "interessante", ove fosse vista da un osservatore esterno e non coinvolto nell'agone, molto contingente e confuso, della lotta per la supremazia politica.
Interessante perché mostra una "crisi" di tale democrazia liberale "de facto", tutta incentrata sulla leggerezza con cui è stato affrontato, pur in una visione ideologica "di mercato", il problema della perdita di sovranità nazionale e delle implicazioni di ciò sulla specifica "elite" liberale nazionale!
La "questione bancaria", determinata dalla perdita della sovranità monetaria unita alla perdita della sovranità fiscale, che ha condotto al presunto magico rimedio dell'Unione bancaria, e quindi alla perdita di sovranità anche nella vigilanza bancaria, pone infatti un grave problema di identità e addirittura di perdurante posizione di controllo politico-istituzionale, alla classe dirigente naturale, cioè a pretesa legittimazione scientifica, di una "democrazia liberale".

5. La sintesi di questo non trascurabile problema è che, desovranizzando e affidando la sovranità sottrattta all'odiato Stato (democratico e sociale, cioè costituzionale) all'ordine sovranazionale dei mercati instaurato dai trattati europei, non solo si perde il controllo dell'economia reale, cioè si deve cedere tutto il cedibile dell'industria nazionale, chiudendo il resto e deindustrializzando per sempre, ma, com'è inevitabile, si perde anche il controllo nazionale del sistema bancario; e, per di più, non prima di aver speso (pro-investitori esteri!) denaro pubblico, in situazione di soggiogamento ai mercati finanziari (simultaneamente interessati ad impadronisri dei nostri asset bancari!) per via della perdita della sovranità monetaria e fiscale.

6. Alberto Bagnai, ad ajuvandum di quanto qui esposto, esprime così la visione (politico)-macroeconomica di tale situazione:
"Ora che gli italiani hanno dato prova di essere meno stupidi di quanto certe aziende e certi organi di vigilanza pensavano che fossero, e pare quindi stiano evitando di immolarsi sull'altare della conversione "spintanea" delle loro obbligazioni in azioni, naturalmente interviene lo Stato. Il fatto che lo Stato intervenga ci dice una cosa ovvia: che può intervenire, e che quindi sarebbe potuto intervenire prima, evitando le massicce perdite del comparto bancario che avevamo in qualche modo delineato qui.
Resta poi una facile previsione: questo salvataggio non ci salverà.
Intanto, esso viene proposto e gestito all'interno della logica imposta dall'abbandono della sovranità monetaria: la logica della guerra fra poveri. Ci diranno che il contribuente ha salvato il risparmiatore. Già, proprio quello stesso contribuente al quale si chiede, anzi, si impone, di salvare uno stato che non ne ha bisogno, per il semplice motivo che è sufficientemente "austero", quello stesso contribuente che si vuole immolare sull'altare di un obiettivo la cui inutilità è chiaramente disvelata dal moralismo di cui si ammanta, diventa improvvisamente specie protetta, soggetto da tutelare, nel momento in cui si delinea il collasso (in questo caso vero) della finanza privata. 
Voi direte: bè, meno male! Invece no, non esattamente. 
Porre il problema in termini di antagonismo fra contribuente e risparmiatore, due soggetti che, fra l'altro, largamente coincidono, serve solo a fomentare un conflitto insensato per nascondere quello che fino a pochi anni fa era ovvio: il prestatore di ultima istanza del sistema bancario dovrebbe essere la banca centrale, la sua banca centrale, sua di lui, sua di quel sistema bancario. Siamo al sovvertimento totale della logica economica, così macroscopico da passare inosservato, quello che Claudio Borghi descrive così: siamo passati da un sistema in cui la Banca centrale garantiva il risparmio salvando le banche, a un sistema nel quale i cittadini salvano le banche coi loro risparmi, che sono sempre di meno perché la Banca centrale crea deflazione!
La guerra fasulla fra contribuente e risparmiatore è inutile, e la fomenta chi vuole farci dimenticare questa semplice verità. Se, come diceva un anno fa Barbagallo nell'audizione della quale il post linkato sopra riporta ampi stralci, dal 1936 in Italia non succedeva un disastro simile, è perché la Banca d'Italia, finché è stata la Banca d'Italia, fra mille inavvedutezze che la stanno rendendo un'istituzione poco credibile manteneva però la possibilità di emettere moneta per salvare gli istituti di credito. Nessun risparmiatore ha mai perso una lira, e nessun contribuente ha mai dovuto salvare nessun risparmiatore, finché la Banca centrale ha potuto svolgere questa sua funzione essenziale. Ma ora non può. Intervenendo tempestivamente, cosa che si può fare se si opera a livello nazionale, non se si dipende dalla sovrastruttura corrotta e inefficiente chiamata impropriamente Europa (in realtà, Unione Europea), si spende molto meno. 
Un anno fa sarebbero bastati tre miliardi (che erano stati stanziati, e che la Commissaria Vestager ci impedì di spendere per mantenere in piedi la finzione del "mercato" moralizzatore e disciplinatore, fustigatore del moral hazard...), un anno fa sarebbero bastati tre miliardi (che c'erano) per evitare il disastro delle quattro banche. Ora venti miliardi, da trovare nel bilanco pubblico (perché Bankitalia non è più liquida nella sua moneta), saranno appena sufficienti per dare un calcio al barattolo (come dicono gli anglofili), cioè per tirare a campare un altro po'.
Ma il problema non è risolto, il salvataggio non ci salverà, per un problema di struttura, che fra quattro anni tutti riconosceranno (perché tanti ce ne sono voluti a Giavazzi per riconoscere che il debito pubblico non c'entrava, e altrettanti glie ne occorreranno per riconoscere che invece l'euro c'entra)".
7. Dunque, ecco il problema "esiziale" (come si dice in termini "dotti"), di identità e di "controllo", per tale classe dirigente, che può riassumersi nella formula del "Quarto Partito". Abbiamo visto in cosa esso consista: essenzialmente nel plesso di potere istituzionale ed economico che fa capo a Banca d'Italia e a Confindustria, e del quale le parole di De Gasperi nel 1947 (qui, p.2) fornirono la sostanziale definizione, mentre Guido Carli ce ne ha ricostruito in dettaglio l'essenziale ruolo di "costituzione materiale" (qui, pp.6-8), da sempre contrapposto all'attuazione della Costituzione formale del 1948.
E il problema che si pone al Quarto Partito (che oggi più che mai potrebbe avere senso anche nella numerazione metaforicamente attribuitagli da De Gasperi), si manifesta ora in modo drammatico e, anzi, piuttosto brutale.

8. Alla base di ciò sta un gigantesco errore di calcolo a cui, però, non corrisponde una tangibile capacità di reazione all'altezza dell'urgenza e della drammaticità della situazione.
Prova ne è che questo plesso di potere economico-istituzionale, al di là del diretto coinvolgimento in questa crisi bancaria dagli incombenti contorni "e devastanti", non pare essere in grado di formulare una linea di reazione praticabile e veramente capace di tutelare, quantomeno, i propri interessi e, a monte di ciò, neppure un'analisi dei meccanismi causa/effetto che possa servire come base logica per trovare questa linea.
Basti vedere come Bankitalia, ancora nell'aprile 2016, nella "audizione del governatore Visco, in sede di "Indagine conoscitiva sulle condizioni del sistema bancario e finanziario italiano e la tutela del risparmio, anche con riferimento alla vigilanza, la risoluzione delle crisi e la garanzia dei depositi europee", eviti di interrogarsi sul legame, riconosciuto da tutti i più prestigiosi istituti economici mondiali, compreso ormai il FMI, tra recessione post 2011, moneta unica e politiche economico-fiscali imposte dal suo mantenimento in vita.

9. A sua volta, Confindustria, dopo aver paventato 4 punti di PIL in meno (in tre anni...), a seguito della mancata approvazione della riforma costituzionale (!?), si limita a prendere atto, sulla questione bancaria, del "fallimento del mercato", senza darsene una spiegazione nè scientifico-strutturale nè politico-morale:


10. Ogni risposta, pur di fronte al precipitare degli eventi, è articolata continuando ad ignorare le cause strutturali degli squilibri interni all'area euro, della cui esistenza pure si accorge, ma senza porre mai in discussione la reale convenienza e la sostenibilità della moneta unica. 
Su questo punto, Confindustria è ferma allo studio del CSC del 2014 in cui dichiara che uscire dall'euro sarebbe un "disastro". Ma non ha risposte, se non indicare, appunto, non persuasive cause esogene, sempre individuate nell'andamento dell'economia internazionale, per il disastro, molto reale e sempre più tangibile, che si sta verificando a causa della permanenza nella moneta unica.

Dunque, allo stato attuale delle prese di posizione, il Quarto Partito, nel senso storico-funzionale indicato da De Gasperi e Carli, non trova risposte e non pare essere in grado di fronteggiare la perdita della convenienza a sostenere la propria identità internazional-globalista e la conseguente deriva (in accelerazione) della perdita del controllo istituzionale, che si profila sul piano socio-politico.

Senza però pensare che, se anche questi populismi non ci fossero, ovvero fosse più opportuno trovare delle definizioni meno rudimentali del profondo malcontento del popolo italiano, (e non solo), e quindi, se anche tutto andasse, sul piano del consenso e del controllo istituzionale, nella direzione da loro auspicata e la più €uropeista possibile, la situazione di deterioramento degli attivi bancari, di dilagante insolvenza di famiglie e imprese, di destrutturazione industriale, di precarizzazione e disoccupazione diffusive di un livello un tempo inconcepibile di povertà, rimarrebbe persistente e irrisolvibile.
Irrisolvibile perché si persevera nell'errore di calcolo ignorando ogni evidenza che arriva prepotentemente dalla realtà: